Ingegnere impara l’arte e mettila da parte

21 Gen 2014
21 Gennaio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza del 09 gennaio 2014 n. 21, dichiara che gli ingegneri possono essere esclusi dall’attribuzione di incarichi professionali afferenti la direzione di lavori relativi ad immobili di interesse storico-artistico perché tali compiti spettano, almeno parzialmente, ai soli architetti ex art. 52 del R.D. 2537 del 1925 il quale prevede che: “1. Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. 2.Tuttavia le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l'antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall'architetto quanto dall'ingegnere”.

 A tal fine si riportano i passi salienti della sentenza:

  • in entrambi i ricorsi in appello che vengono all’esame di questo Consiglio di Stato viene riproposta, sia pure con prospettazione asimmetrica nelle distinte controversie, in ragione delle antitetiche posizioni processuali delle parti, la questione della compatibilità comunitaria della disciplina normativa italiana che riserva ai soli architetti le prestazioni principali sugli immobili di interesse culturale (art. 52 del R.D. del 22 ottobre 1925 n. 2537). Nel ricorso in appello RG n.6736/08, in particolare, è il Ministero dei beni e le attività culturali a censurare la sentenza di accoglimento del T.A.R. del Veneto, rilevando che dalla stessa ordinanza della Corte di Giustizia 5 aprile 2004 si ricaverebbe il principio secondo cui la diversificazione normativa nell’accesso ad alcune prestazioni particolari dell’architettura, oltre che essere una esclusiva prerogativa statuale, come tale estranea alla sfera di intervento del diritto comunitario, rappresenterebbe anche una soluzione coerente con la diversità dei percorsi formativi degli ingegneri e degli architetti. (...) Nel ricorso in appello RG n. 2527/09 sono gli ordini provinciali degli ingegneri del Veneto a censurare la sentenza di rigetto di primo grado ed a riproporre, sia pure in via subordinata, la stessa questione afferente la illegittimità de iure communitario dell’articolo 52 del R.D. 22 ottobre 1925 n. 2537, sostenendosi in via principale l’affidabilità (anche) agli ingegneri dell’incarico oggetto d’appalto, in ragione della natura delle attività oggetto di gara, in tesi estranee al campo applicativo delle prestazioni riservate agli architetti secondo la richiamata disposizione di diritto interno. Con la richiamata ordinanza 27 gennaio 2012, n. 386 questo Consiglio ha ritenuto che, al fine della definizione della controversia, fosse necessario investire la Corte di giustizia dell’UE di due quesiti pregiudiziali ai sensi dell’articolo 267 del TFUE”;
  • La Corte di giustizia ha definito il ricorso per rinvio pregiudiziale con la sentenza della Quinta Sezione 21 febbraio 2013 (in causa C-111/12). Con tale decisione, in particolare, la Corte ha statuito che gli articoli 10 e 11 della direttiva 85/384/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1985, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli del settore dell’architettura e comportante misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi, devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale secondo cui persone in possesso di un titolo rilasciato da uno Stato membro diverso dallo Stato membro ospitante - titolo abilitante all’esercizio di attività nel settore dell’architettura ed espressamente menzionato al citato articolo 11 - possono svolgere, in quest’ultimo Stato, attività riguardanti immobili di interesse artistico solamente qualora dimostrino, eventualmente nell’ambito di una specifica verifica della loro idoneità professionale, di possedere particolari qualifiche nel settore dei beni culturali”;
  • Nel merito, il ricorso n. 6736/2008 – proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali – deve essere accolto, mentre deve essere respinto il ricorso n. 2527/2009 – proposto dagli Ordini degli Ingegneri delle Province del Veneto”;
  • Per quanto riguarda, in primo luogo, la delimitazione dell’ambito oggettivo della richiamata, parziale riserva, la giurisprudenza di questo Consiglio ha condivisibilmente osservato che, ai sensi dell’articolo 52, cit., non la totalità degli interventi concernenti gli immobili di interesse storico e artistico deve essere affidata alla specifica professionalità dell’architetto, ma solo “le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico”, restando invece nella competenza dell’ingegnere civile la cd. parte tecnica, ossia “le attività progettuali e di direzione dei lavori che riguardano l’edilizia civile vera e propria (…)” (in tal senso: Cons. Stato, VI, 11 settembre 2006, n. 5239)”;
  • Sempre con riferimento all’ambito di applicazione della parziale riserva di cui al più volte richiamato articolo 52, la giurisprudenza nazionale (ancora una volta, sulla scorta dei chiarimenti interpretativi forniti dalla Corte di giustizia dell’UE) ha ulteriormente chiarito che le disposizioni della direttiva 85/384/CEE (concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli del settore dell'architettura e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi e da ultimo trasfusa nel corpus della direttiva 2005/37/CE) non hanno in alcun modo comportato la piena equiparazione dei titoli di architetto e di ingegnere civile ai fini dell’esercizio delle attività professionali nel campo dell’architettura”;
  • In definitiva, secondo la Corte di giustizia, la più volte richiamata direttiva non impone allo Stato membro di porre i diplomi di laurea in architettura e in ingegneria civile indicati all’articolo 11 su un piano di perfetta parità per quanto riguarda l’accesso alla professione di architetto in Italia; né tantomeno essa può essere di ostacolo ad una normativa nazionale che riservi ai soli architetti i lavori riguardanti gli immobili d’interesse storico-artistico sottoposti a vincolo (in tal senso: Cons. Stato, sent. 5239/06, cit.)”;
  • In definitiva la Corte ha ritenuto di non potersi pronunziare in modo espresso sul se la normativa italiana rilevante comporti o meno un fenomeno di ‘discriminazione alla rovescia’ in danno dei professionisti italiani (giacché ciò esula dalle sue competenze istituzionali, le quali non includono le ‘situazioni puramente interne’, al cui ambito sono pacificamente da ricondurre le controversie in esame – punto 34 della motivazione -). Tuttavia, la Corte ha ritenuto di dover comunque definire e chiarire ulteriormente i contorni applicativi della normativa comunitaria dinanzi richiamata (e segnatamente, degli obblighi di mutuo riconoscimento di cui agli articoli 7, 10 e 11 della direttiva 85/384/CEE) al fine di consentire a questo Giudice del rinvio di disporre di una quadro conoscitivo più completo per definire il giudizio – ad esso solo demandato in via esclusiva – relativo alla sussistenza o meno del richiamato fenomeno di discriminazione alla rovescia”;
  • il Collegio ritiene che l’esame degli atti di causa e della pertinente normativa comunitaria e nazionale non palesino i paventati profili di discriminazione alla rovescia in danno dell’ingegnere civile italiano, al quale (nella tesi degli ordini degli Ingegneri appellanti nel ricorso n. 2527/2009, condivisa dal T.A.R. del Veneto con la sentenza n. 3630/2007) sarebbe indiscriminatamente e irrazionalmente vietato l’esercizio di alcune attività professionali (quelle inerenti gli interventi sui beni di interesse storico e artistico) le quali – al contrario – sarebbero altrettanto indiscriminatamente consentite agli Ingegneri di altri Paesi dell’Unione europea”;
  • nello stato attuale di evoluzione del diritto comunitario, la disciplina sostanziale dell’attività degli architetti e degli ingegneri non costituisce oggetto di armonizzazione, né di ravvicinamento delle legislazioni, così come risulta allo stato non armonizzata la disciplina delle condizioni di accesso a tali professioni, ragione per cui non risulta esatto affermare (contrariamente a quanto si legge a pag. 10 della sentenza n. 3630, cit.) che la direttiva 384, cit. avrebbe sancito la piena “equiordinazione sul piano comunitario dei titoli di ingegnere civile e di architetto”;
  • è del tutto determinante osservare che (contrariamente a quanto affermato nell’impugnata sentenza n. 3630/2007 e a quanto sembrano sostenere gli Ordini degli ingegneri appellanti nel ricorso n. 2527/2009) non tutti i diplomi, certificati e altri titoli di ingegnere civile rilasciati da altri Paesi dell’UE consentono l’indifferenziato svolgimento di tutte le attività proprie della professione di architetto.Al contrario, l’esame della pertinente normativa comunitaria (e, segnatamente, dell’articolo 7 della direttiva 85/384/CEE) rende chiaro che l’inclusione negli elenchi nazionali predisposti – per così dire – ‘a regìme’ ai sensi del medesimo articolo 7 è consentita solo ai professionisti i quali abbiano svolto un adeguato percorso di formazione tipico della professione di architetto”;
  • conclusivamente, non è possibile affermare che il sistema normativo nazionale di parziale riserva in favore degli architetti delle attività previste dall’articolo 52 del R.D. 2537 del 1925 sia idoneo a sortire in danno degli ingegneri italiani l’effetto di ‘discriminazione alla rovescia’ richiamato dalla sentenza del T.A.R. del Veneto n. 3630/2007 e la cui sussistenza in concreto la stessa Corte di giustizia ha demandato alla verifica in sede giudiziale da parte di questo Giudice del rinvio, trattandosi pur sempre – secondo quanto statuito dalla medesima Corte – di controversia nell’ambito della quale vengono pacificamente in rilievo ‘situazioni puramente interne’ (in tal senso: CGCE, sentenza in causa C-111/12, cit. punto 34).6.3. E il richiamato (e meramente paventato) effetto di ‘reverse discrimination’ quale effetto della previsione di cui all’articolo 52, cit. deve essere escluso sia per quanto riguarda il particolare sistema transitorio e derogatorio di cui agli articoli 10 e 11 della direttiva 85/384/CEE, sia per quanto riguarda il sistema ‘a regime’ di cui all’articolo 7 della medesima direttiva” (...) Al riguardo si osserva che, secondo un condiviso orientamento, la parziale riserva di cui al più volte richiamato articolo 52 non riguarda la totalità degli interventi concernenti immobili di interesse storico e artistico, ma inerisce alle sole parti di intervento di edilizia civile che implichino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito delle attività di restauro e risanamento di tale particolarissima tipologia di immobili (si richiama ancora una volta, al riguardo, la sentenza di questo Consiglio n. 5239 del 2006)”;
  • Infine, non può trovare accoglimento il terzo motivo di appello, con il quale (reiterando ancora una volta un motivo di doglianza già articolato in primo grado e disatteso dal T.A.R.) si è lamentata l’illegittimità della scelta di riservare agli architetti anche il ruolo di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione”.

dott. Matteo Acquasaliente

Cons_Stato_VI_21-2014_riserva_architetti

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