Le novità del “decreto del fare” dopo la conversione

29 Ago 2013
29 Agosto 2013

In un post precedente avevamo elencato brevemente le modifiche più significative apportate al Testo Unico dell’Edilizia dall’art. 30 del  D.L. 69/2013 - c.d. “Decreto del fare”.

Con questo post segnaliamo le modifiche apportate al decreto legge citato in sede di conversione ad opera della L. 9 agosto 2013 n. 98  (il testo coordinato è già stato pubblicato su questo sito il 22 agosto 2013 ). Esse, per il vero, riguardano, non solo l’edilizia in senso stretto ma anche l’urbanistica e una in particolare il commercio.

Introduzione dell’art. 2 bis del D.P.R. 380/2001, intitolato “Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati”

L’articolo rappresenta una piccola rivoluzione, dal momento che per la prima volta viene scalfita la forza granitica del D.M. 2.4.1968, dando la possibilità alle Regioni e alle Province autonome (ferma restando la competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile ai sensi dell’art. 117, comma 1, lettera l) della Cost.):

1)      di prevedere con proprie leggi e regolamenti disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori Pubblici 2 aprile 1968 n. 14444;

2)      di dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione degli strumenti urbanistici o comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.

Osserviamo, ad un prima lettura, che, mentre la rubrica dell’articolo parla espressamente di deroga ai limiti di distanza tra fabbricati, il disposto normativo parla genericamente di disposizioni derogatorie al D.M. 1968; ciò fa sorgere il dubbio su quale sia la portata reale derogatoria della norma.

Neanche la seconda parte dell’articolo in questione risulta molto chiara, perché parrebbe che fossero le Regioni a dettare disposizioni sul dimensionamento della pianificazione, esautorando la potestà pianificatoria degli enti territoriali. Ma attendiamo lumi.

 Modifiche al nuovo art. 23- bis del D.P.R. 380/2001 in materia di scia edilizia

In sede di conversione è stato modificato il comma 4 del nuovo art. 23- bis del D.P.R. 380/2001, attraverso una disciplina ancora più restrittiva in materia di scia edilizia a tutela delle Z.T.O. A o equipollenti. 

La regola generale è che tutti gli interventi realizzabili con scia in zona A non possono essere iniziati prima che siano decorsi trenta giorni dalla presentazione della segnalazione.

Ma v’è di più. I Comuni devono adottare, entro la data del 30 giugno 2014, una deliberazione che individui, all’interno della zona A o equipollente, specifiche aree nelle quali sono vietati interventi di demolizione e ricostruzione e le di varianti a p.c. comportanti modifiche della sagoma.  In assenza della deliberazione e in mancanza di intervento sostitutivo regionale, il provvedimento è adottato da un commissario nominato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Fintantoché la prevista deliberazione non viene adottata, all’interno della zona A o equipollente,  non si applica la scia con modifica della sagoma.

Modifiche al nuovo comma 4-bis e soppressione del nuovo comma 4 -ter dell’art. 24 del D.P.R. 380/2001 in materia di agibilità parziale

 Vengono meglio specificate le condizioni per i rilascio dell’agibilità per singoli edifici o porzione della costruzione o per singole unità immobiliari. In particolare  viene specificato che è sufficiente che siano “completate  e collaudate le parti  strutturali connesse” , nonché “collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni” (prima si parlava genericamente di parti strutturali e parti comuni). 

Viene soppresso il comma 4-ter dell’art. 24 sulla proroga di tre anni del certificato di agibilità parziale.

Soppressione del comma 2 dell’art. 30 del D.L. 69/2013

Risulta soppresso in sede di conversione l’art. 2 del D.L. 69 sul trasferimento del solo vincolo di pertinenzialità dei parcheggi ex art. 9 della c.d. “Legge Tognoli” (L. 122/1989).

Precisazioni in merito alla proroga dei termini di inizio e ultimazione lavori di cui all’art. 15 del D.P.R. 380/2001

Il comma 3 dell’art. 30 del D.L. viene integrato, precisando che la proroga prevista per i termini di inizio e fine lavori si intende esclusa nei casi in cui i predetti termini siano già scaduti al momento della comunicazione di proroga dell’interessato o nei casi in cui, al momento della comunicazione stessa, il titolo abilitativo sia in contrasto con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati (una sorta di “salvaguardia”, dunque)

Introduzione del comma 3-bis dell’art. 30 del D.L. 69/2013

Molto interessante e per certi versi “dirompente” è la previsione della proroga di tre anni del termine di validità, nonché del termine di inizio e fine lavori nell’ambito di tutte le convenzioni di lottizzazione ovvero di accordi similari stipulati sino al 31 dicembre 2012. Parrebbe una sorta di norma imperativa cogente di inserzione automatica di clausole contrattuali ex art. 1339 c.c.

Introduzione del comma 5-ter dell’art. 30 del D.L. 69/2013

La norma integra il disposto di cui all’art. 31, comma 2 del D.L. 201/2011, recante disposizioni sull’apertura di esercizi commerciali, introducendo una sorta di temperamento al principio della liberalizzazione tout court.

Infatti, le Regioni e gli enti locali, in sede di adeguamento dei propri ordinamenti alla disciplina europea sulla libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali, possono “prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali”.

Avv. Marta Bassanese

 

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3 replies
  1. fiorenza dal zotto says:

    a mio avviso, proprio la possibilità (contenuta nella nuova legge) di prevedere modifiche, da parte delle regioni, alle limitazioni date dal d.m. 1444/1968 consente di superare gli ostacoli segnalati dalla corte costituzionale sulla legittimità della nostra legge regionale (in particolare la sentenza sulla legittimità della l.r. 11/2004 proprio nelle parti – citate nel commento di viottorio – in cui prevede, per ambiti limitati e specifici, la possibilità d derogare al rispetto della distanze del d.m.). Quindi, bene ha fatto, sempre a mio modesto avviso, il legislatore statale a introdurre tale possibilità.
    Sulla questione sollevata da luca in relazione al fatto che tale novità potrebbe compromettere la razionale crescita urbana, temo che l’ordinato e aromonioso sviluppo urbanistico della città sia un problema più di carattere culturale che normativo e che, ad ogni modo, sia necessario ripensare e rinnovare, dopo quasi 50 anni, i criteri e i principi insediativi (distanze, altezze, standard, ecc.). Parleremo anchedti tutto questo, al convegno che si svolgerà a spinea il prossimo 27 settembre. Saluti
    fiorenza dal zotto

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  2. Luca says:

    Italia: paese del quarto mondo
    Credo che in nessun paese europeo si abbia più dispregio dei propri cittadini. Una modifica del d.m. 1444/68 rappresenterebbe un completo stravolgimento urbanistico con gravi ripercussioni sulla qualità di vita dei cittadini. Un pericoloso precedente l’abbiamo avuto con il “piano casa”. E’ veramente una cosa assurda che la Regione Veneto si proclami paladina del rispetto dell’ambiente e poi costringa i propri cittadini vivere in città degradate per mancanza di spazi vivibili e di aree verdi. Nel prossimo futuro prevedo tante Calcutta made in Veneto

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  3. Vittorio says:

    Mi pare che, invero, il testo prenda atto e, in qualche modo, giustifichi interventi legislativi regionali già in essere.
    Ad esempio l’articolo 17 comma 3° della L.R. 11 /2004 (riprendendo par paro l’articolo 23 comma 7 della L.R. 61/1985 ) prevede :
    3. Il PI può, altresì, definire minori distanze rispetto a quelle previste dall’articolo 9 del decreto del Ministro per i lavori pubblici 20 aprile 1968, n. 1444 “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765”:
    a) nei casi di gruppi di edifici che formino oggetto di PUA planivolumetrici;
    b) nei casi di interventi disciplinati puntualmente (evidentemente vengono assimilati a piani urbanistici – nota mia ).
    Vale la pena di notare che la seguente lettera c) cassata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 232/2005 torna quindi d’attualità ( non in vigore, salve non improbabili circolari regionali ). La lettera c) recitava ( o forse reciterà nuovamente ….. ) :
    [c) nelle zone territoriali omogenee B e C1 qualora, fermo restando per le nuove costruzioni il rispetto delle distanze dal confine previste dal piano regolatore generale che comunque non possono essere inferiori a cinque metri, gli edifici esistenti antistanti a quelli da costruire siano stati realizzati legittimamente ad una distanza dal confine inferiore.]
    Inoltre all’articolo 80 comma 5 è detto che : “ Il Sindaco può altresì autorizzare, in limitata deroga alla disciplina urbanistica vigente, aumenti di volume dei fabbricati o diminuzione delle distanze tra edifici relativi a documentate esigenze di isolamento termico e/o acustico o di recupero di gravi condizioni di degrado e comportanti opere da eseguirsi all’esterno dei fabbricati e da cui non conseguano aumenti delle superfici o dei volumi utili. “
    Tuttavia la possibilità per le regioni e le provincie autonome “di prevedere con proprie leggi e regolamenti disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori Pubblici 2 aprile 1968 n. 14444; “ ben si concilia con la nuova definizione di ristrutturazione edilizia novellata nel D.P.R. 380/2001.
    Non credo comunque valga la pena di scervellarsi sull’interpretazione della norma statale. Le novità contenute nel decreto del fare ( confusione ) scateneranno l’inesauribile estro poetico del Legislatore Regionale.
    Avremo di che consumare le nostre povere ultime malandate sinapsi.
    Vittorio

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