Spetta al Consiglio comunale e non alla Giunta regolamentare l’apertura degli esercizi commerciali

05 Nov 2014
5 Novembre 2014

Il Consiglio di Stato si occupa della competenza in materia di regolamentazione degli orari di chiusura dei pubblici esercizi commerciali e dei loro limiti di rumorosità. In particolare, riformando in parte la sentenza del T.A.R. Veneto n. 7/2013, giunge ad affermare che spetta unicamente al Consiglio comunale, e non alla Giunta, regolamentare l’apertura e la rumorosità di questi esercizi.

Nella sentenza n. 5288/2014 il Collegio affronta in modo molto approfondito la questione: “8.1. Il d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”), fissa in modo puntuale le competenze del consiglio comunale (art. 42), della giunta comunale (art. 48) e del sindaco, quale organo del comune (art. 50) e quale ufficiale di governo (art. 54).

L’organo consiliare elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politico – amministrativi di carattere generale, che si traducono in atti amministrativi fondamentali, tassativamente indicati nell’art. 42, mentre la giunta ha una competenza residuale, spettandole di emanare tutti gli atti che non sono riservati dalla legge al consiglio comunale e che non ricadono nelle competenze del sindaco (ex multis, Cons. St. sez. V, 13 dicembre 2005, n. 7058; 2 marzo 2010, n. 1208; 12 ottobre 2011, n. 5518; 2 febbraio 2013, n. 539; 15 luglio 2013, n. 3809; 20 agosto 2013, n. 4192; 20 dicembre 2013, n. 6115).

8.2. All’organo consiliare spetta in via generale ed esclusiva (art. 42, comma 2, lett. a) l’esercizio del potere normativo che, quale peculiare caratteristica dell’autonomia dell’ente locale (art. 3, comma 4), si manifesta, oltre che nell’adozione dello statuto, anche nell’emanazione di regolamenti, atti a contenuto generale ed astratto, disciplinanti il comportamento, alla stregua di altre norme giuridiche, della generalità dei cittadini o di una determinata categoria di essi.

Il potere regolamentare trova espresso e generale fondamento nell’art. 7 (e copertura costituzionale nell’art. 117 Cost., come riscritto dalla legge costituzionale 18 ottobre del 2001, n. 3) e non è limitato alle materie ivi indicate, riguardando tutti gli ambiti di competenza comunale: ciò sia in ragione del carattere meramente esemplificativo del contenuto del richiamato art. 7, sia in ragione della natura di ente a fini generali propria del comune (quale ente rappresentativo della comunità stanziata sul relativo territorio), sia infine perché il potere regolamentare si pone anche quale espressione del potere di autoorganizzazione dell’ente stesso (Cons. St., sez. V, 27 settembre 2004, n. 6317).

Coerentemente con la delineata natura e con le funzioni dell’organo consiliare è da considerarsi del tutto speciale ed eccezionale la competenza della giunta comunale di emanare regolamenti, limitata ai soli “regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio”.

8.3. Ai sensi del comma 7 dell’art. 50, rientra nelle esclusive competenze del sindaco il coordinamento e la riorganizzazione, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell’ambito dei criteri eventualmente indicati dalla Regione, degli “…orari degli esercizi commerciali, dei pubblici servizi e dei servizi pubblici…”.

Al sindaco è riconosciuto anche il potere di modificare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici “in casi di emergenza, connessi con il traffico o con l’inquinamento atmosferico o acustico, ovvero quando a causa di circostanze straordinarie si verifichino particolari necessità dell’utenza o per motivi di sicurezza urbana”: in tali casi egli agisce, ai sensi del comma 6 dell’art. 54, in qualità di ufficiale di governo, emanando ordinanze contingibili ed urgenti.

Come ha più volte rilevato la giurisprudenza, tali provvedimenti sono espressione di un potere atipico, il cui esercizio è consentito solo allorché sussista un pericolo attuale per l’incolumità pubblica, cioè una situazione di eccezionalità tale da rendere indispensabili ed improcrastinabili interventi urgenti ed extra ordinem, consistenti nell’imposizione di obblighi di fare o di non fare a carico del privato, e, d’altra parte, gli ordinari mezzi previsti dall’ordinamento non siano idonei ed adeguati.

E’ stato anche recentemente ribadito che tale potere “…può essere legittimamente esercitato, quale immanente prerogativa sindacale di provvedere in via d’urgenza e contingibile alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica, nonché quando la violazione delle norme che tutelano i beni previsti dal D.M. 5 agosto 2008 (situazioni di degrado o isolamento, tutela del patrimonio pubblico e della sua fruibilità, incuria ed occupazione abusiva di immobili, intralcio alla viabilità o alterazione del decoro urbano) non assuma rilevanza solo in sé stessa (poiché in tal caso soccorrono gli strumenti ordinari), ma qualora possa costituire la premessa per l’insorgere di fenomeni di criminalità suscettibili di minare la sicurezza pubblica, dato che, in tal caso, vengono in rilievo interessi che vanno oltre le normali competenze di polizia amministrativa locale” (Cons. St., sez. VI, 31 ottobre 2013, n. 5276).

8.4. La legge regionale del Veneto n. 29 del 21 settembre 2007 ha specificamente disciplinato l’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande.

Per quanto qui interessa, in particolare:

  1. a) all’art. 6 ha previsto puntuali limitazioni anche orarie per la somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche;
  2. b) all’art. 18 (Orari degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande) ha attribuito al Comune, sentite le rappresentanze locali delle organizzazioni del commercio, turismo e servizi, delle associazioni dei consumatori e degli utenti e delle organizzazioni dei laboratori, il potere di determinare l’orario massimo nell’ambito di determinate fasce orarie e degli orari minimi e massimo di apertura, puntualmente indicati;
  3. c) all’art. 20 (Limitazioni degli orari per esigenze pubbliche ha testualmente stabilito che “1. Salvo quanto previsto dall’articolo 54, comma 3 [ora comma 4], del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, il sindaco può disporre con atto motivato rivolto a persone determinate, in via permanente o per situazioni contingenti, limitazioni agli orari per ragioni di ordine e di sicurezza pubblica o comunque di interesse pubblico senza applicare le procedure di cui all’articolo 18, comma 1”.

Anche secondo tale normativa spetta in via generale al consiglio comunale l’esercizio del potere regolamentare e al sindaco quello di adottare singoli provvedimenti per ragioni di ordine sicurezza pubblica o comunque di pubblico interesse (ragioni evidentemente diverse da quelle che legittimerebbero l’emanazione delle ordinanze contingibili ed urgenti, nell’esercizio cioè della funzione di ufficiale di governo), con esclusione di qualsiasi competenza, anche solo residuale, in capo alla giunta.

8.5. Per completezza sull’argomento deve rilevarsi che dopo l’entrata in vigore degli artt. 35, comma 6, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla l. 15 luglio 2011, n. 111, e 31, comma 1, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio, senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi genere, compresi gli orari di apertura e chiusura dell’esercizio, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi compreso quello urbano, e dei beni culturali, con conseguente automatica caducazione di tutti i provvedimenti amministrativi, anche di natura generale e regolamentare, che ponevano limiti agli orari stessi (Cons. St., sez. V, 13 gennaio 2014, n. 70).

  1. Sulla base del delineato substrato normativo e giurisprudenziale, la Sezione è dell’avviso che i motivi dell’appello principale, che per loro intima connessione possono essere esaminati congiuntamente, siano infondati.

9.1. L’amministrazione comunale di Venezia ha dedotto che sono legittimi i propri provvedimenti, in particolare delle previsioni contenute negli artt. 49 ter e 49 quater del Regolamento di Polizia Urbana (introdotti con la delibera consiliare n. 75 del 23 maggio 2011) e della delibera della Giunta municipale n. 502 del 27 ottobre 2011, negando decisamente che tali atti siano inficiati dal vizio di incompetenza, come lamentato dai ricorrenti in primo grado e riscontrato dai primi giudici, ed invocando a fondamento del potere esercitato l’art. 54 del D. Lgs. n. 267 del 2000, come modificato dal d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazione dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, ed i principi desumibili dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 115 del 7 aprile 2011.

Tale ricostruzione non può essere accolta.

9.1.1. Sotto un primo profilo va osservato che l’art. 54 disciplina soltanto le competenze del sindaco nei servizi statali, mentre la controversia in esame esula da tale ambito, attenendo a questioni di rilievo esclusivamente comunale.

Né alcun elemento utile alla tesi dell’appellante può ricavarsi dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 115 del 7 aprile 2011: infatti dalla dichiarata illegittimità costituzionale dell’art. 54, nella parte in cui ricomprendeva la locuzione “anche” prima delle parole “contingibili ed urgenti” e consentiva pertanto al Sindaco di emettere ordinanza “ordinarie” al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli per l’incolumità pubblica e la sicurezza pubblica, per violazione dei principi costituzionali di uguaglianza (art. 3), riserva di legge (23) e legalità (art. 97), e dalla conseguente legittimità costituzionale del potere del sindaco di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, per fronteggiare situazioni eccezionali ed imprevedibili, con effetti provvisori e limitati, non può ricavarsi l’esistenza di un potere implicito di regolamentare la materia de qua.

9.1.2. A ciò non consegue tuttavia che il Comune sia privo del potere di regolamentare la materia di cui si discute.

In realtà la Corte Costituzionale con la sentenza n. 226 del 24 giugno 2010, giudicando sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 40, 41, 42 e 43 delle legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sollevata dalle Regioni Toscana, Emilia – Romagna e Umbria, ha rilevato che la nozione di sicurezza pubblica, ai sensi dell’art. 1, del d.m. 5 agosto 2008, identifica “un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale”, sottolineando che il medesimo decreto ministeriale ha ad oggetto esclusivamente la tutela della sicurezza pubblica, intesa come attività di prevenzione e repressione dei reati ed aggiungendo significativamente che “…i poteri esercitabili dai sindaci, ai sensi dei commi 1 e 4 dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, non possono essere che quelli finalizzati all’attività di prevenzione e repressione dei reati, e non i poteri concernenti lo svolgimento delle funzioni di polizia amministrativa nelle materie di competenza delle Regioni e delle Province Autonome (sentenza n. 196 del 2009)”.

Spetta effettivamente all’ente locale il potere di tutelare la sicurezza urbana, intesa come bene pubblico che concerne il regolare ed ordinato svolgimento della vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale, con esclusione dell’attività di prevenzione e repressione dei reati (che attiene invece all’ordine pubblico ed alla sicurezza pubblica e spetta esclusivamente allo Stato e che legittima il potere extra ordinem del sindaco, quale ufficiale di governo), tale potere rientrando però non già nell’alveo del citato art. 54, bensì nelle funzioni e nei compiti propri della polizia amministrativa locale (secondo la definizione dell’art. 159, comma 1, del 31 marzo 1998, n. 112, riguardando “le misure dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati ai soggetti giuridici ed alle cose nello svolgimento di attività relative alle materie nelle quali vengono esercitate le competenze, anche delegate, delle regioni e degli enti locali, senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni e gli interessi tutelati in funzione dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”).

L’esercizio di tale potere spetta, secondo la ordinaria ripartizione delle competenze tra gli organi del comune, esclusivamente al consiglio comunale.

9.1.3. Sotto altro profilo la Sezione deve rilevare che, come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, il vizio di incompetenza riscontrato dai primi giudici non riguarda la delimitazione delle “…aree della città in cui si evidenzino fenomeni di degrado e/o allarme sociale consistenti soprattutto in assembramenti di numerose persone che, stazionanti all’esterno di esercizi commerciali, artigianali e di somministrazione di alimenti e bevande, consumino sulla pubblica via bevande in misura e forma tali da compromettere la qualità della vita ed il riposo delle persone residenti nonché le comune regole di vita civile” (punto 1 della delibera della Giunta comunale n. 502 del 27 ottobre 2011), quanto piuttosto il punto 2 a) della delibera stessa, che stabilisce le tipologie delle limitazioni (in particolare “a) è vietato, nelle zone indicate al punto 1, dalle ore 00.01 alle ore 06.00, l’esercizio di ogni attività di somministrazione di alimenti e bevande, di commercio di alimenti e bevande alcoliche, nonché l’esercizio di attività artigianali di produzione di alimenti con contestuale commercializzazione degli stessi in pubblico”), il punto 3 limitatamente all’espressione 49 ter, e il punto 4 (nella parte in dispone che “è vietata in tutte le zone indicate al precedente punto 1, la concessione di proroghe agli orari di chiusura dei pubblici esercizi”).

Diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, la questione non riguarda pertanto la sussistenza del potere del Comune di adottare per determinate aree della città misure atte a garantire la qualità della vita, il riposo delle persone residenti e le comune regole della vita civile e tutelare così la sicurezza urbana, quanto piuttosto quale sia la natura delle disposizioni che prevedono le tipologie di limitazioni che a tal fine possono essere imposte agli orari di apertura degli esercizi commerciali, artigianali e di somministrazione di alimenti e bevande.

9.2. Così correttamente delineato l’ambito della controversia, la Sezione osserva che:

- non può ragionevolmente dubitarsi della natura regolamentare, correttamente esercitata dal consiglio comunale, della disposizione dell’art. 49 ter che ha conferito alla giunta il compito di individuare e delimitare le “…aree della città in cui si evidenzino fenomeni di degrado e/o allarme sociale consistenti soprattutto in assembramenti di numerose persone che, stazionanti all’esterno di esercizi commerciali, artigianali e di somministrazione di alimenti e bevande, consumino sulla pubblica via bevande in misura e forma tali da compromettere la qualità della vita ed il riposo delle persone residenti nonché le comune regole di vita civile” e della natura provvedimentale del punto 1 della delibera di giunta n. 502 del 27 ottobre 2011 che ha effettivamente individuato quelle aree, così che sul punto nessun vizio di incompetenza sussiste nell’emanazione di quegli atti (tanto più che al riguardo nessuna contestazione è stata fatta);

- non altrettanto può dirsi per quanto riguarda l’individuazione delle tipologie di limitazioni da adottare a tutela e garanzia della sicurezza urbana.

Trattandosi anche in questo caso di determinazioni di carattere regolamentare (stante l’indeterminatezza e la generalità dei destinatari e l’indefinita ripetibilità ed applicabilità a fattispecie concrete), la loro individuazione spettava esclusivamente al consiglio comunale, secondo l’ordinaria ripartizione delle competenze tra gli organi comunali come sopra delineata, coerentemente peraltro con la natura rappresentativa dell’organo consiliare.

Il consiglio comunale pertanto non poteva sostanzialmente delegare tale potere, attribuendolo, com’è avvenuto, alla giunta municipale, non avendo quest’ultima nessuna competenza ad esercitare funzioni normative, eccezion fatta per l’ipotesi, espressamente prevista, di cui all’art. 48, comma 3, del D. Lgs. n. 267 del 2000, tanto più che nel caso di specie neppure alcun criterio è stato formulato dal consiglio comunale per l’eventuale esercizio di tale impropria ed inammissibile delega.

Sotto tale aspetto, va rilevato che - per il principio di legalità – un organo amministrativo può delegare ad un altro organo i poteri di cui sia titolare solo qualora una legge lo consenta.

Infatti, solo una disposizione di rango primario può consentire ad un organo amministrativo di devolvere ulteriori poteri ad un altro organo, con i relativi obblighi e le relative responsabilità.

In tal senso correttamente i primi giudici hanno ritenuto sussistente il vizio di incompetenza delle determinazioni della giunta (in connessione all’illegittimità dell’atto del consiglio attributivo del relativo potere), giacché - pur dovendosi ammettere che, fermo restando il potere sindacale di emanare ordinanze contingibili ed urgenti allorché si verifichino situazioni eccezionali, impreviste ed imprevedibili come tali autonomamente idonee a ledere o mettere in pericolo l’incolumità dei cittadini e la sicurezza pubblica (ivi compreso l’inquinamento acustico o atmosferico), il comune abbia il potere di tutelare e garantire la sicurezza urbana individuando a tal fine le misure più idonee ed adeguate - tale potere non può che manifestarsi in via ordinaria attraverso l’esercizio della potestà regolamentare che spetta interamente ed esclusivamente all’organo consiliare.

9.3. A conclusioni analoghe deve giungersi anche con riferimento all’art. 6 della legge 26 ottobre 1995, n. 447.

Se è vero che in attuazione di tale normativa i comuni, il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico – ambientale e turistico, possono introdurre una più specifica regolamentazione dell’emissione e della immissione dei rumori e di disciplinare l’esercizio di professioni ed attività rumorose, anche individuando fasce orarie in cui le stesse possono essere esercitate, anche tale disciplina postula l’esercizio del potere regolamentare da parte del consiglio comunale, senza alcuna competenza particolare o residuale della giunta comunale, diversamente da quanto è avvenuto nel caso di specie (ciò indipendentemente da ogni considerazione sulla adeguatezza e sulla idoneità dell’istruttoria espletata al riguardo)”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza Consiglio di Stato 5288 del 2014

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