Gli interventi in contrasto con gli strumenti urbanistici vanno rimossi, senza possibilità di invocare le disposizioni sull’attività edilizia libera

09 Apr 2013
9 Aprile 2013

La sentenza del Tribunale di Venezia in commento riguardava una causa di scioglimento di una comunione avente ad oggetto un terreno agricolo.

Nell’economia del giudizio rilevava l’abusività o meno di un “gazebo” insistente sull’area.

Gli attori, per sostenere la legittima insistenza del manufatto, avevano provato di avere subito (e pagato) una sanzione pecuniaria ex art. 6 comma 7 del D.P.R. 380/2001, dunque per omessa comunicazione di attività edilizia libera.

Il giudice ordinario – avvalendosi del potere generale di cui all’art. 5 della L. 2248/1965, all. E – ha disapplicato nel caso specifico l’ordinanza applicativa della sanzione pecuniaria, ritenendo da un lato che il gazebo non potesse essere ricompreso in alcuna delle previsioni di “attività libera” dell’articolo 6 e dall’altro che comunque fosse preclusivo dell’applicazione dell’articolo 6 (e delle sanzioni da esso previste) il contrasto del gazebo con la destinazione urbanistica dell’area.

Si legge nella sentenza:

In primo luogo, il gazebo non risulta rientrare in nessuna delle fattispecie elencate all'art. 6 co. 2 D.P.R. 380/2001 novellato e, in particolare, non appare costituire una pertinenza difettando l'edificio principale (si rammenta che il bene in comunione è un terreno). In secondo luogo, occorre osservare, con riferimento all'attività edilizia libera disciplinata dal D.P.R. n. 380 del 2001 art. 6, che la stessa riguarda alcune tipologie di opere che si ritiene non abbiano alcun impatto sull'assetto territoriale e, come tali, non soggette ad alcun titolo abilitativo.

L'art. 6 è stato profondamente modificato ad opera della menzionata L. n. 73 del 2010 che ne ha sostituito il testo originario.

La disposizione, tuttavia, specifica che vengono fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e non si prescinde dal rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, dalle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004.

Dal tenore letterale del testo deve ritenersi che l'elencazione non sia tassativa ma esemplificativa, con la conseguenza che deve ritenersi richiesto il rispetto di tutta la normativa di settore, ancorché non menzionata, che abbia comunque rilevanza nell'ambito dell'attività edilizia.

Dovranno, pertanto, essere esclusi dall'applicazione di tale particolare regime di favore tutti gli interventi eseguiti in contrasto con le disposizioni precettive degli strumenti urbanistici comunali ed in violazione delle altre disposizioni menzionate. Sulla scorta di dette premesse, la Suprema Corte ha affermato il principio, secondo il quale la particolare disciplina dell'attività edilizia libera, contemplata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6 come modificato dalla L. n. 73 del 2010, art. 5, comma 2, non è applicabile agli interventi che, pur rientrando nelle categorie menzionate da tale disposizione, siano in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici (così Cass. pen. n. 19316/2011).

Alla luce del principio appena formulato, deve ritenersi che, nel caso in esame, il gazebo non fosse realizzabile da parte dei comproprietari in assenza di un titolo abilitativo, in quanto la sua erezione è avvenuta in area classificata dallo strumento urbanistico come zona agricola, di tal che l'opera si pone in contrasto con la destinazione urbanistica dell'area”.

La decisione ci sembra del tutto corretta.

Forse la conclusione – ma non era oggetto del giudizio – potrebbe essere ancora più ampia, e radicale: alla luce dei presupposti dati, infatti, il gazebo appare non solo e non tanto “non realizzabile in assenza di un titolo abilitativo”, ma non realizzabile tout court.

Infatti se da un lato, come ha ricordato la sentenza, l’art. 6 fa salve esplicitamente “le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività' edilizia ….”, va ricordato anche che l’art. 22 comma 1 del D.P.R. 380/2011, in tema di SCIA, richiede in ogni caso la conformità “alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”; e ancora, e soprattutto, che l’art. 27 comma 2 sempre del Testo unico (su cui si siamo espressi in più occasioni in questo blog[1]) prevede la sanzione demolitoria “in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.

Insomma, non ci sono solo le attività libere, quelle soggette a comunicazione, quelle soggette a SCIA/SIA, quelle soggette a permesso di costruire; ci sono anche le attività non ammesse (dalla legge o dallo strumento urbanistico), e per esse l’unica sanzione non può che essere quella ripristinatoria.

Dario Meneguzzo
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