Pari opportunità: quando le sfumature fanno la differenza

07 Gen 2013
7 Gennaio 2013

Il Consiglio di Stato, sez. V, torna, con la sentenza 5 dicembre 2012, n. 6228, ad affronta il tema delle pari opportunità nella composizione degli organi di governo dell’ente pubblico nel solco tracciato da precedenti pronunce sull’argomento.

Il “riequilibrio delle rappresentanze di genere” nei consigli e nelle giunte degli enti locali, così come, più in generale, negli uffici pubblici di ogni ordine e grado, è un tema che continua, nonostante i solenni impegni scolpiti nelle leggi, a mantenere attualità.

 La legge 23 novembre 2012, n. 215, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’11 dicembre 2012, n. 288, rubricata “disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali”, reca, con particolare riferimento agli enti locali, alcune modifiche al Testo Unico degli Enti Locali (TUEL), il d. Lgs. n. 267 del 2000, intese a rendere più efficace l’impegno verso il “riequilibrio”.

 In particolare, l’articolo 1, comma 1, della l. n. 215 del 2012, modificando l’articolo 6, comma 3, del TUEL, vorrebbe rafforzato l’obbligo dell’ente locale in questa direzione, obbligo da fissare in norme statutarie e regolamentari atte a “garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune ..., nonché degli enti, aziende ed istituzioni ... dipendenti”.

 Il successivo comma 2 dell’articolo 1, fissa, poi, un termine di sei mesi dall’entrata in vigore della legge (avvenuta il 27 dicembre 2012) entro il quale gli enti locali devono adeguare i propri statuti e regolamenti.

 La partita del riequilibrio sembra, quindi, destinata a passare attraverso una doverosa revisione degli statuti comunali. Nell’attesa di vedere come la norma verrà declinata dall’autonomia locale, nel tentativo di fissare un qualche indirizzo che tracciare il percorso da compiere, si richiamano alcune recenti pronunce della sezione V del Consiglio di Stato sull’argomento.

 Una prima sentenza è la n. 4502 del 27 luglio 2011. La sez. V conferma l’annullamento dell’atto di nomina di un assessore da parte del Presidente della Giunta regionale campana, pronunciato in primo grado dal TAR Campania, per avere violato il disposto statutario del “pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne ed uomini” in seno alla Giunta.

 La norma, sottolinea il Giudice, costituisce un vincolo, ancorché elastico, al potere del Presidente: nell’operare le nomine, lo stesso deve garantire il rispetto del principio. Conseguentemente, la nomina, nel caso specifico, di un unico componente di sesso femminile in seno alla Giunta determina la violazione del canone dell’equilibrata presenza.

 Sulla medesima vicenda è intervenuta anche la Corte Costituzionale che, con sentenza 5 aprile 2012, n. 81, ha sottolineato come i vincoli di carattere generale, elaborati in sede di statuto, “delimitano lo spazio di azione” dell’organo politico, rendendo, quindi, l’atto sindacabile in sede giurisdizionale sotto il profilo della sua legittimità in caso di violazione degli stessi.

 Secondo il Consiglio di Stato, quindi, il principio dell’equilibrata presenza non può tradursi nella nomina di un solo componente di sesso femminile rispetto ad una totalità di componenti maschi.

 Con la successiva sentenza n. 3670 del 21 giugno 2012, il Consiglio di Stato, sez. V, si occupa delle nomine fatte dal Presidente della Giunta regionale della Lombardia.

 Ai sensi dell’articolo 11, comma 3, dello Statuto, “la Regione promuove il riequilibrio tra entrambi i generi negli organi di governo della Regione”. Secondo il Giudice, il senso da attribuire alla norma statutaria va ricercato nella necessità di operare “una specifica <azione positiva per obiettivo legale> , intesa come misura volta al perseguimento di uno specifico risultato”. Lo Statuto, cioè, impone, a differenza della previsione campana la quale afferma un principio, di attivarsi per raggiungere l’obiettivo del riequilibrio.

 Il Consiglio di Stato conferma, quindi, l’illegittimità della nomina operata dal Presidente dalla Giunta di un solo assessore donna, per essere venuto meno al “vincolo di attuare la … azione positiva per assicurare il rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne e uomini nei componenti della Giunta”.

 Da ultimo si richiama la sentenza n. 6228 del 5 dicembre 2012, n. 6228. Il Consiglio di Stato, sez. V, analizza, questa volta, una questione sorta nel contesto di un ente locale, lo statuto del quale prescrive come sia compito dello stesso “promuovere e favorire iniziative che assicurino condizioni sostanziali di pari opportunità, per il superamento di ogni discriminazione tra i sessi”.

 Secondo il Supremo Giudice Amministrativo la norma non predetermina alcuno specifico vincolo in ordine alla composizione degli organi di governo comunale e, come tale, è inidonea a “veicolare in concreto la discrezionalità politica”, mancando di contenuti precettivi “in ragione della sua vaga e generica formulazione, di rilievo puramente enfatico, non contenente neppure una regola di cd. <positive action> di tipo promozionale”.

 Si dice che siano le sfumature a fare la differenza, soprattutto quelle impercettibili ai più.

Angelo Frigo - dottore di ricerca in diritto ed economia dell'impresa nell'Università di Verona

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