L’art. 42 bis del d.p.r. 327/2001 si applica in tutti i casi in cui la P.A. occupa sine titulo anche se la stessa non ha realizzato le opere usate

17 Set 2014
17 Settembre 2014

La sentenza del Consiglio n. 4696 del 2014 riguarda un caso nel quale la P.A. utilizzava senza titolo opere di urbanizzazione realizzate da un privato, il quale  invitava l’Amministrazione a riconoscere e dichiarare se opere e prestazioni dallo stesso eseguite su terreni di propria proprietà o di terzi fossero di pubblica utilità, chiedendo che in tal caso il Comune provvedesse all’acquisizione sanante prevista dall’art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001 e alla corresponsione del relativo indennizzo ex lege previsto.

Poichè il Comune non ha risposto, l'interessato si è rivolto al TAR, che ha respinto il ricorso. L'appello, invece, è stato accolto dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4696 del 2014: "Con il primo motivo di appello il Felicioni chiede la riforma della sentenza gravata laddove non ha riconosciuto l'obbligo per l'amministrazione di iniziare e concludere il procedimento, sollecitato dall'appellante, e volto ad effettuare la valutazione amministrativa discrezionale consistente nella scelta fra l'acquisizione autoritativa dell'immobile secondo la disciplina di cui all'art 42 bis cit., da una parte, e l'opzione in favore della soluzione restitutoria e risarcitoria regolata dal diritto comune, dall'altra.

Il Tar ha sul punto ritenuto che non si sia in presenza di un silenzio-inadempimento in quanto, con riferimento al procedimento de quo, non sussisterebbe in capo all'Amministrazione un obbligo giuridico di provvedere.

Il motivo di appello merita accoglimento.

L'art. 42 bis, come già in precedenza evidenziato da questo Consiglio di Stato riguardo all'analoga ratio dell'art. 43 (Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830), è stato emanato per consentire una legale via di uscita per i casi in cui una pubblica amministrazione avesse occupato senza titolo un'area di proprietà privata, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio.

L'articolo in questione, inserito nel Testo unico degli espropri dal decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (art. 34) ha dunque reintrodotto, con diversa disciplina, il potere discrezionale già attribuito dall'art. 43: l'amministrazione - valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto - può decidere se demolire l'opera e restituire l'area al proprietario, oppure se disporre l'acquisizione.

L'art. 42 bis prevede infatti, al comma 1, che l'Amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, possa disporre, con formale provvedimento, l'acquisizione del bene, con la corresponsione al privato di un indennizzo per il pregiudizio subito, patrimoniale e non patrimoniale.

Il potere di disporre l'acquisizione ex art. 42 bis del d.p.r. 327/2001 è espressione del più generale potere di amministrazione attiva che compete agli enti pubblici cui il giudice amministrativo non può sostituirsi al di fuori dei casi di giurisdizione estesa al merito. La valutazione degli interessi in gioco e la conseguente decisione in ordine all'acquisizione o alla restituzione del bene rimane quindi nella sfera di discrezionalità dell'amministrazione (cfr. Cons. St., sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1514).

La scelta tra la possibilità di procedere all'acquisizione sanante o alla restituzione del bene deve infatti derivare da una valutazione comparativa degli interessi in gioco, valutazione che spetta unicamente all'Amministrazione.

La sentenza gravata, ha quindi correttamente sottolineato il carattere altamente discrezionale della scelta spettante all'Amministrazione, non potendo il giudice condannare il Comune all'adozione di un atto specifico riconoscendo la fondatezza della pretesa sostanziale di parte ricorrente.

Tuttavia, il Tar ha errato laddove ha ritenuto insussistente un obbligo di provvedere.

Infatti, l'occupazione sine titulo di beni immobili appartenenti a privati è una situazione di fatto del tutto contrastante con quella di diritto e l'Amministrazione deve tempestivamente adoperarsi per ripristinare una situazione di legalità.

“Il privato può dunque legittimamente domandare o l'emissione del provvedimento di acquisizione o, in difetto, la restituzione del fondo con la sua riduzione in pristino. Nell'attuale quadro normativo, le Amministrazioni hanno infatti l'obbligo giuridico di far venir meno -- in ogni caso -- l'occupazione "sine titulo" e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto. La P.A. ha due sole alternative: o restituisce i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo "status quo ante", oppure deve attivarsi perché vi sia un legittimo titolo di acquisto dell'area. Quello che le amministrazioni non possono pensare di continuare fare è restare inerte in situazioni di illecito permanente connesso con le occupazioni usurpative”. (Cons. St., sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1713)

Nel caso di specie è pacifico che il Comune stia utilizzando senza titolo beni presenti su terreni di proprietà altrui. L'amministrazione ha quindi l'obbligo di restituire i beni illecitamente occupati, oppure, di acquisirli al proprio patrimonio ritenendo sussistenti le condizioni per procedere ex art. 42 bis.

Il fatto che tali opere non siano state realizzate dall'Amministrazione ma dal privato stesso, non fa venir meno l'applicabilità delle disposizioni dell'art. 42 bis che, come si è detto, nelle intenzioni del legislatore vuole rappresentare una legale via di uscita per tutti i casi in cui una pubblica amministrazione avesse occupato senza titolo un bene di proprietà privata, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio. A conferma della generale applicazione dell'art. 42 bis può citarsi il fatto che comma 6 del detto articolo prevede espressamente l'applicabilità delle disposizioni, in quanto compatibili, anche nel caso in cui l'Amministrazione abbia in via di fatto imposto una servitù su un bene altrui.

Il fatto che le opere utilizzate non siano state realizzata dal Comune potrà semmai rilevare nel caso in cui si proceda alla restituzione dei beni, non dovendosi in tal caso provvedere alla rimessione in pristino.

Fermo restando quindi il carattere discrezionale della valutazione rimessa alla Amministrazione sulla possibilità di procedere ex art. 42 bis, non v'è dubbio che l'esercizio di tale potestà non possa protrarsi indefinitamente nel tempo, altrimenti l'inerzia dell'Amministrazione si tradurrebbe in un illecito permanente.

Seppure, quindi, l'art. 42 bis non contempli un avvio del procedimento ad istanza di parte, deve ritenersi che il privato possa sollecitare l'Amministrazione ad avviare il relativo procedimento e che l'Amministrazione abbia l'obbligo di provvedere al riguardo, essendo l'eventuale inerzia dell'Amministrazione configurabile quale silenzio-inadempimento impugnabile di fronte al giudice amministrativo.

Infatti, per la P.A. l'obbligo giuridico di provvedere, positivizzato in via generale dall'art. 2 della legge n. 241/1990, sussiste ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, derivandone che il silenzio-rifiuto è un istituto riconducibile a inadempienza dell'Amministrazione, in rapporto a un sussistente obbligo di provvedere che, in ogni caso, deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall'ordinamento (cfr.: Cons. St., Sez. IV, 22.6.2006 n. 3883; Id, 4.9.1985 n. 333 e 6.2.1995 n. 51; Sez. V 6.6.1996 n. 681 e 15.9.1997 n. 980; Sez. VI, 11.11.2008). Peraltro, la giurisprudenza ha chiarito che tale obbligo è rinvenibile anche al di là di un'espressa disposizione normativa che tipizzi il potere del privato di presentare un'istanza e, dunque, anche in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l'adozione di un provvedimento ovvero tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell'Amministrazione (ex plurimis: Cons. St., sez VI, 14.10.1992 n. 762).

Nel caso di specie il ricorrente è titolare di una situazione soggettiva protetta e, anche a fronte del notevole lasso di tempo intercorso, ha senz'altro una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni dell'Amministrazione riguardanti la sua proprietà.

Deve quindi riformarsi la sentenza gravata, accogliendo il ricorso avverso il silenzio e riconoscendo l'obbligo per l'Amministrazione di concludere il procedimento determinando, entro 60 giorni dal deposito della presente sentenza, se intenda procedere o meno all'acquisizione del bene ex art. 42 bis cit..

2. Con il secondo motivo di appello, il Felicioni contesta la sentenza del Tar laddove ha dichiarato “inammissibile la domanda di accertamento della utilitas e dell'arricchimento conseguito dal Comune resistente attraverso il godimento dei terreni di proprietà del sig. Felicioni, la quale appartiene alla giurisdizione del G.O. ed è coperta dal giudicato formatosi per effetto della sentenza della Corte di cass. n. 3322 del 12.2.1010”.

Sostiene il Felicioni, con argomentazioni non contrastate da controparte, che tale statuizione non sia conforme al contenuto e ai limiti delle domande avanzate in primo grado che sarebbero state rivolte, invece, a:

a) chiedere l'accertamento dell'indebita utilizzazione, in quanto mai acquisiti al patrimonio pubblico, dei terreni di proprietà sua o di terzi e delle opere sugli stessi eseguite;

b) all'accertamento dell'obbligo de Comune di assumere le proprie determinazioni in ordine all'acquisizione o meno dei terreni.

Deve sul punto rilevarsi come il Tar abbia errato nel valutare il contenuto ed i limiti della domanda e, pertanto, si deve riformare la sentenza gravata.

Con riferimento al punto a), come peraltro rilevato dalla stessa parte appellata, si tratta di materia estranea al rito del silenzio. Deve quindi sul punto riformarsi la sentenza impugnata, prevedendo la prosecuzione del giudizio a seguito della conversione del rito anche in merito a tale aspetto. A seguito di conversione del rito, pertanto, il giudizio proseguirà di fronte al Tar per l'esame della domanda di condanna alla restituzione dei terreni (come già disposto dal giudice di prime cure con statuizione non appellata) e anche per l'accertamento dell’utilitas e dell’arricchimento derivante dalla indebita utilizzazione degli stessi; in tale sede dovrà inoltre valutarsi l'eventuale efficacia preclusiva del giudicato formatosi a seguito della sentenza della Corte di Cassazione.

Con riferimento al punto b), si rinvia a quanto argomentato supra al punto 1 della presente sentenza".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 4696 del 2014

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