Quando la modifica di un impianto di trattamento dei rifiuti esistente corrisponde ad un nuovo impianto?

24 Giu 2014
24 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 18 giugno 2014 n. 863 chiarisce quando la modifica di un impianto per lo smaltimento ed il trattamento dei rifiuti già esistente corrisponde alla creazione di un nuovo impianto: “Per quanto concerne gli impianti di trattamento dei rifiuti l’art. 49 del piano d’area, mediante apposite direttive, fissa degli obiettivi che devono essere raggiunti in sede di pianificazione provinciale e comunale, demandando agli enti locali di indicare i criteri o gli ambiti per la loro localizzazione e rilocalizzazione.

Con prescrizioni e vincoli immediatamente precettivi dispone inoltre che “nuovi impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti non possono essere ubicati in fregio e all’interno: a) degli ambiti di interesse naturalistico - ambientale; b) delle zone archeologiche; c) delle aree di risorgiva e dei punti di presa dell’acqua potabile; d) dell’ambito prioritario della protezione del suolo” facendo salvo “in ogni caso quanto già autorizzato alla data di adozione del presente piano” e con l’ulteriore specificazione che “eventuali ampliamenti delle discariche esistenti devono essere motivati e realizzati in modo tale che la sistemazione finale comporti un miglioramento significativo dell’ambiente circostante”.

Nel caso all’esame l’impianto ricade all’interno dell’ambito di protezione del suolo.

Si tratta di un ambito territoriale per il quale l’art. 51 del piano d’area pone forme particolari di tutela finalizzate ad evitare modificazioni della giacitura dei terreni e delle caratteristiche fisiche dei suoli e la loro impermeabilizzazione, a facilitare l’infiltrazione delle acque superficiali garantendone la massima permeabilità, e per le quali sono vietati l’impermeabilizzazione di estese superfici e l’uso, in linea di massima, di fitofarmaci e diserbanti nella manutenzione del verde, mentre sono consentiti lavori di miglioria fondiaria a condizione del rispetto delle suddette finalità.

Poste tali premesse, ed in mancanza di una definizione normativa di “nuovo impianto”, il Collegio ritiene condivisibili le conclusioni cui è giunta la Provincia circa la necessità di utilizzare un criterio di carattere sostanzialistico nel definire la tipologia di interventi che ricadono nel divieto.

Infatti tale criterio è quello che risulta coerente con le finalità di tutela dell’ambito di protezione del suolo dato che le modifiche agli impianti esistenti possono essere talmente importanti da costituire un nuovo progetto, e per la loro natura, dimensione o ubicazione, possono risultare idonei a produrre un impatto sull' ambiente del tutto equivalente ad un nuovo impianto, e sarebbe contrario agli obiettivi del piano sottrarre dal suo campo di applicazione queste modifiche.

Peraltro nella materia ambientale, per non frustrare il raggiungimento degli obiettivi di tutela, di norma le modifiche sostanziali ad un impianto sono equiparate ad un nuovo impianto.

Rispetto all’ordinamento comunitario, ad esempio, si è ritenuto in via interpretativa che la procedura di valutazione di impatto ambientale dovesse essere svolta anche rispetto a modifiche di opere esistenti, nonostante l’allegato II della direttiva 85/337 CEE nel testo originario non si riferisse esplicitamente anche alle modifiche dei progetti ivi elencati (cfr. CGCE sentenza resa nella causa C – 72/95 del 24 ottobre 1996).

La normativa nazionale all’art. 208 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, assoggetta alle procedure per nuovi impianti le varianti sostanziali in corso d'opera o di esercizio che comportino modifiche a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all'autorizzazione rilasciata, e all’art. 5 definisce come modifica sostanziale di un progetto, di un’opera o di un impianto “la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell'impianto, dell'opera o dell'infrastruttura o del progetto che, secondo l'autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull'ambiente”.

Allo stesso modo anche la legislazione regionale ricorre ad un criterio di carattere sostanzialistico quando, all’art. 23, comma 6, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, assoggetta alla procedura prevista per nuovi impianti le varianti sostanziali in corso di esercizio che comportino modifiche per cui gli impianti non siano più conformi all’autorizzazione rilasciata, con la sola esclusione delle varianti che non riguardino il processo tecnologico e non comportino modifiche ai quantitativi di rifiuti recuperati o smaltiti.

Pertanto, poiché manca una definizione normativa di “nuovo impianto” o di “modifica di un impianto esistente” nel piano d’area, appare corretta l’interpretazione che ricorre al criterio sistematico e teleologico, secondo la quale restano assoggettate alla disciplina prevista per nuovi impianti, anche le modifiche di impianti esistenti che per la loro natura, dimensione o ubicazione producano effetti sull'ambiente equivalenti a quelli di un nuovo impianto, dato che altrimenti un qualsiasi impianto potrebbe, di modifica in modifica, espandersi senza limiti, vanificando la portata precettiva e le finalità di salvaguardia della norma del piano d’area.

1.2 In senso contrario non possono essere valorizzate le considerazioni svolte dalla parte ricorrente circa l’erroneità di un esito interpretativo il cui effetto le impedirebbe di realizzare interventi di sviluppo ed ampliamento della propria attività, da ritenersi connaturati ad ogni attività di impresa.

Infatti l’introduzione di restrizioni alla facoltà di apportare modifiche agli impianti esistenti, limitandole agli interventi necessari a mantenerne la funzione in atto (ed in effetti la Provincia ha autorizzato, non ritenendole incompatibili con l’art. 49 del piano, l’accorpamento delle tre diverse autorizzazioni, la realizzazione della raccolta e della gestione delle acque interne, e la realizzazione delle tettoie relative alla copertura dei rifiuti già autorizzati, contenuti in container), appare conforme al principio giurisprudenziale secondo cui deve ritenersi ammissibile una disciplina che produce effetti conformativi per il futuro.

In tal modo non vengono infatti messi in discussione né l’intangibilità delle attività e delle opere poste in essere in conformità della disciplina previgente che mantengono la loro precedente e legittima destinazione, né il correlato principio che la cessazione di attività in essere può essere disposta solo sulla base di atti a contenuto espropriativo (con riferimento alla disciplina urbanistica, ex pluribus, cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 21 giugno 2013, n. 3429), e si incentiva al contempo la delocalizzazione di un impianto, la cui presenza è giudicata incompatibile con la tutela di interessi pubblici ritenuti prevalenti”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 863 del 2014

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