Urbanistica: quali poteri pianificatori spettano al Comune?

05 Set 2014
5 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella medesima sentenza n. 881/2006, afferma che il Comune, in sede di pianificazione, legittimamente può sanare delle situazioni di abusività: “In linea generale e prodromica, ritiene questo collegio che la pianificazione urbanistica, per sua stessa natura, deve tener conto della situazione esistente ma deve anche programmare e organizzare il futuro del territorio. Ciò significa che risulta senz’altro consentito alla pianificazione comunale agire in senso restrittivo, vietando o limitando l’edificazione in zone in cui prima essa era consentita. In tal modo vengono chiaramente lese le legittime aspettative dei soggetti proprietari di terreni edificabili resi appunto inedificabili dalla nuova strumentazione urbanistica. È evidente che anche in questo caso bisogna tener conto dell’esistente, per cui le edificazioni già avvenute non vengono toccate dalla nuova pianificazione, laddove le misure di salvaguardia impediscono nelle more dell’approvazione dello strumento urbanistico l’edificazione in zone in cui essa non sarà più consentita. Peraltro si deve ritenere, sulla base della normativa esistente e della stessa logica testé illustrata, che sia consentito anche l’opposto, rendere cioè edificabili zone che non lo erano in precedenza, sulla base di una diversa valutazione delle linee programmatiche di sviluppo del comune. Si tratta anche in questo caso di una scelta discrezionale dell’amministrazione comunale, proiettata nel futuro. Se quindi è in generale consentito mutare l’assetto pianificatorio esistente, in entrambi in sensi, rendendo edificabile una  zona che non lo era e viceversa, risulta implicitamente consentito anche sanare alcune situazioni pregresse, ammettendo ad esempio l’edificazione in zone in cui essa non era consentita e sulle quali peraltro esistevano edifici abusivi. L’abusività di un edificio può quindi ben essere sanata in sede di pianificazione urbanistica, rientrando anche tale peculiare aspetto nella scelta discrezionale dell’amministrazione. Ciò implica il tener conto della situazione di fatto, ancorché contrastante con quella de jure, il che risulta implicito in caso di abusività. Si tratta ovviamente di una sanatoria affatto diversa da quella prevista dalle normative statale e regionale, che si applica in via generale agli edifici abusivi e solitamente risulta collegata a specifici requisiti e oneri, in quanto una sanatoria avente origine in un piano regolatore risulta frutto di una scelta discrezionale comunale, legata al futuro assetto del territorio e a specifiche e puntuali scelte programmatorie (si veda sul punto Consiglio di Stato, sezione IV, 25 novembre 2003 n. 7775). Indipendentemente quindi dal fatto che i capannoni in questione fossero abusivi o meno (questione dubbia ma che risulta comunque irrilevante), l’amministrazione può ben decidere di rendere edificabile l’area, nel caso entro limiti ben precisi, in qualche modo procedendo ad una “sanatoria” di quanto esiste già sul territorio. Non si tratta quindi di consentire una sanatoria non prevista dalla legge, quanto di ammettere che tra le scelte dell’amministrazione comunale in sede di pianificazione urbanistica possa rientrare anche quella di rendere legittima l’edificazione dove prima non lo fosse, implicitamente ma indirettamente sanando una situazione di fatto esistente. Altrimenti opinando, una pregressa situazione di abusività impedirebbe la libera scelta pianificatoria comunale, con un vincolo che non trova alcun riscontro nella normativa esistente o nella logica. Il Comune deve tener contro della situazione di fatto esistente, ma non ne può rimanere vincolato per il futuro, in nessun senso”.

 dott. Matteo Acquasaliente

 

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