Nel caso di annullamento di un titolo edilizio quando è applicabile la sanzione pecuniaria dell’art. 38 del DPR 380 del 2001

08 Nov 2013
8 Novembre 2013

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n. 5115 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "L’art. 38 del DPR 6 giugno 2001 n.3890 (Testo unico dell’edilizia) disciplina il regime sanzionatorio applicabile nelle ipotesi in cui l’intervento edilizio sia stato realizzato sulla base di un titolo poi annullato, con la espressa previsione dell’irrogazione di una sanzione pecuniaria … “ove non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino…” . La norma è finalizzata ad introdurre un regime sanzionatorio più mite per le opere edilizie realizzate conformemente ad un titolo abilitativo successivamente rimosso rispetto ad altri interventi abusivi eseguiti sin dall’origine in assenza di titolo, con il chiaro intento di tutelare un certo affidamento del privato, regime che consente la conservazione del bene (Cons. Stato Sez. IV 10/8/2011 n.4770). Ora nella specie non si può escludere in capo agli interessati una situazione di buona fede, ma il fatto è che nel caso de quo siamo al di fuori del campo operativo della norma sopra illustrata, recante sostanzialmente una forma di sanatoria a formazione progressiva (con la sanzione pecuniaria in luogo della rimozione). Invero, anche tenuto conto della stessa formulazione letterale della disposizione (“qualora non sia possibile .. la rimozione dei vizi delle procedure amministrative …”), l’effetto, per così dire, sanante della stessa è circoscritto alle sole ipotesi in cui il titolo ad aedificandum sia stato annullato per vizi di carattere formale e procedurale, non essendoci, così, spazio per l’applicazione della sanzione pecuniaria, allorché sia stata acclarata la sussistenza di un vizio di natura sostanziale (Cons. Stato Sez. V 12 maggio 2006 n.2960). Nella specie, è stata accertata la non conformità della costruzione alle prescrizioni di carattere vincolante recate in materia di normativa antisismica dal D.M. 16/1/1996, laddove per il fabbricato de quo è prevista, in relazione alla larghezza della strada su cui si affaccia (via Vico Vitetta), l’altezza massima consentita di 11 metri, mentre risulta essere stato assentito per 18 metri, con violazione dunque delle disposizioni in questione. All’uopo appare utile osservare come la prescrizione relativa all’altezza de qua non è uno standard “normale”, nel senso che non riguarda, come per il requisito dell’altezza previsto dall’art. 8 del D.M. n.1444 del 1968, un aspetto squisitamente edilizio della gestione dell’assetto del territorio: qui l’altezza degli edifici viene regolamentata ai fini antisismici, in cui l’elemento in questione ha una sua palese e specifica rilevanza, andando in particolare ad incidere sulla velocità di inclinazione delle strutture del fabbricato e quindi sugli aspetti di sicurezza e di incolumità pubblica sottesi alla normativa dettata dal D.M. del 1996. Questi hanno un pregnanza essenziale in relazione agli interessi che si vanno a proteggere e sono, dunque, assolutamente vincolanti e non suscettibili di qualsiasi deroga. Stante la natura tecnica del rilievo, il vizio accertato non può non attenere alla costruzione nella sua unitarietà, non essendo scindibile quanto realizzato in conformità all’altezza prescritta ( 11 metri ) e quanto in più eseguito. E siccome “l’alterazione” investe l’edificio nella sua integralità, la costruzione non può comunque essere conservata oltre l’altezza massima consentita con riferimento alla strada su cui si affaccia. Quanto testè osservato circa la natura e gli effetti del vizio sostanziale rilevato a carico della costruzione rende inammissibile il vizio di difetto di motivazione, pure dedotto nei confronti dell’Amministrazione, per non avere la medesima motivato “circa la possibilità di adottare soluzioni alternative alla ingiunta demolizione”. Non è configurabile per il Comune (e quindi non sussiste onere motivazionale ad ho ) l’esercizio di un potere tecnico-discrezionale sussumibile sotto la figura di una propensione per l’una o l’altra scelta (demolizione o sanzione pecuniaria), perché la stessa è impedita dalla portata assolutamente vincolante dell’anomalia riscontrata, la quale non ammette “sanatoria” sia pure sotto forma di sanzione pecuniaria e neppure una demolizione parziale. L’Amministrazione dunque, in esecuzione del giudicato in precedenza emesso sul punto da questo Consiglio di Stato, non poteva non adottare le misure “ consequenziali” di ripristino dello stato dei luoghi, senza che potessero residuare spazi di applicazione della norma di favore recata dal citato art. 38 del DPR n.380/2001".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza CDS 5115 del 2013

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