L’acquiescenza a un provvedimento amministrativo rileva sia sul piano sostanziale sia su quello processuale

06 Mag 2014
6 Maggio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 28 aprile 2014 n. 543, si occupa dell’istituto dell’acquiescenza: “Va da sè che il ricorrente non può, dopo aver acconsentito alla sospensione di un procedimento amministrativo, impugnare quella stessa sospensione in virtù della regola (canonizzata dall’art. 2 della legge n. 241/1990) che impone la conclusione del procedimento.

E’ nota, invero, la non perspicua delineazione sistematica dell’istituto dell’acquiescenza, privo, nel diritto amministrativo, di un ancoraggio di diritto positivo, che viene dunque rinvenuto nella norma dell’art. 329 del c.p.c., dettata in materia di impugnazioni.

In particolare, sebbene emerga in dottrina la consapevolezza che l’acquiescenza, pur provocando effetti processuali (id est: l’inammissibilità del ricorso) ha implicazioni di diritto sostanziale, peraltro ne rimane incerta la natura, come è chiaramente testimoniato dalla pluralità delle teorie formulate (che configurano l’istituto in esame in termini di "rinuncia al diritto di impugnazione", ovvero di "accettazione del provvedimento amministrativo", od ancora, senza pretesa alcuna di esaustività, come "dismissione dell’interesse legittimo").

A fronte di tale incertezza dogmatica si riscontra, peraltro, nell’applicazione pratica, il ricorso all’acquiescenza in tutti i casi in cui, nel comportamento del ricorrente, siano rinvenibili elementi che si pongano in contraddizione, o comunque in rapporto di non coerenza con la proposizione del gravame.

Ora, nel caso di specie, è indubbio che il comportamento tenuto dal ricorrente ed obiettivizzato nell’adesione alla proposta dell’Amministrazione comunale di trattare la cessione del bene preliminarmente all’avvio del procedimento di approvazione del piano di recupero, non sia coerente con le censure dedotte con il presente gravame (con cui si denuncia il mancato rispetto della conclusione di quello stesso procedimento che si è concordato di differire).

Né vale a sminuire tale contraddizione l’assunto, espresso dal ricorrente nella memoria 27.3.2013, secondo cui “la sospensione del procedimento non è prevista da alcuna norma”: se ciò è vero, infatti, è altresì vero che l’interessato, anzichè prestare acquiescenza alla sospensione – con ciò, come si è detto, frapponendo un insormontabile ostacolo alla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso la mancata conclusione del procedimento -, doveva interrompere le trattative in corso (onde non palesare ambiguità) e promuovere, per far constatare l’illegittimità dell’inerzia serbata dall’Amministrazione, formale diffida e messa in mora del Comune in ordine all’esame del progetto di piano, così come tassativamente imposto (all’epoca) dall’art. 25 del D.P.R. n. 3 del 1957 (cfr. CdS, 4.9.2006 n. 5088)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 543 del 2014

 

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