Author Archive for: SanVittore

Lo spunto del sabato: La zanzara e il leone

20 Set 2014
20 Settembre 2014

"C'era una piccola zanzara assai furba e spavalda. Stanca di giocare con le solite amiche, decise un giorno, di lanciare una sfida al Re della foresta. Si presentò così davanti al sovrano che era il leone e lo salutò con un rispettoso inchino. Il grande Re che era intento a schiacciare uno dei suoi pisolini più belli lungo la riva di un fiume, lanciò una distratta occhiata all'insetto. "Oh! Buongiorno".

Rispose Sua Maestà spalancando la bocca in un possente sbadiglio.
La zanzara disse: "Sire, sono giunta davanti a Voi per lanciarvi una sfida!" Il leone, un po' più interessato, si risvegliò completamente e si mise ad ascoltare.

'Voi " continuò l'insetto "credete di essere il più forte degli animali eppure io dico che se facessimo un duello riuscirei a sconfiggervi!" Il Sovrano divertito disse: "Ebbene se sei tanto sicura,proviamo!" In men che non si dica il piazzale si riempì di animali d'ogni genere desiderosi di assistere alla sfida. Il " Singolar Tenzone" ebbe inizio. L'insetto andò immediatamente a posarsi sul largo naso dell'avversario cominciando a pungerlo a più non posso. Il povero leone preso alla sprovvista tentò con le sue enormi zampe di scacciare la zanzara ma, invece di eliminarla, egli non fece altro che graffiarsi il naso con i suoi stessi artigli. Estenuato, il Re della foresta, si gettò a terra sconfitto. Così, la piccola zanzara fu acclamata da tutti i presenti. Levandosi in volo colma di gioia, la zanzara non si accorse però della tela di un ragno tessuta tra due rami e andò ad imprigionarvisi proprio contro. Intrappolato in quell'infida ragnatela l'insetto scoppiò in lacrime, consapevole del pericolo che stava correndo. Fortunatamente il leone, che aveva assistito alla scena, con una zampata distrusse la tela e liberò la piccolina dicendo:

"Eccoti salvata mia cara amica. Ricordati che esiste sempre qualcuno più forte di te! E questo me lo hai insegnato proprio tu!" La zanzara, da quel giorno imparò a tenere un po' a freno la propria spavalderia.

Le persone troppo sicure di sé riescono, a volte, a superare gli ostacoli più grossi ma inciampano spesso nelle difficoltà più piccole". 

E' una favola di Esopo, dedicata a quelli che credono che il possesso di un potere pubblico li renda i più forti di tutti, ventiquattro ore al giorno, ogni giorno della loro vita.

Dario Meneguzzo - uno che apprezza il sano e prudente relativismo

In ricordo di Bernardo Secchi

19 Set 2014
19 Settembre 2014

E' morto a Milano all'età di ottanta anni l'architetto Bernardo Secchi. 

E' stato uno dei maestri geniali dell'urbanistica italiana, che faceva dialogare con le altre discipline, tra le quali la letteratura e la filosofia, per capire quale fosse il modo migliore per disegnare una città o un territorio.

Era laureato in ingegneria e aveva insegnato a Milano, Venezia, Ginevra, Lovanio, Zurigo ed era stato chiamato nel 2008 da Sarkozy per collaborare al progetto della "grande Parigi".   

Lo scorso anno aveva pubblicato con Laterza il libro La città dei ricchi e la città dei poveri.

Per l’agibilità i requisiti di aeroilluminazione sono inderogabili e il condono va rilasciato anche se poi l’immobile non potrà avere l’agibilità

19 Set 2014
19 Settembre 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1123 del 2014.

Scrive il TAR: "Con specifico riferimento alle argomentazioni svolte da parte ricorrente nel corso della discussione in camera di consiglio, e relative al fatto che l’annullamento del certificato di agibilità si sarebbe basato su sopralluogo ULSS effettuato solo dall’esterno, il Collegio rileva ancora, ad abundantiam, che gli inconvenienti igienico sanitari riscontrati ( altezza interna e aeroilluminazione) sono riscontrabili dalle planimetrie e, per quanto riguarda la superficie finestrata, anche solo dall’esterno e che, in particolare, la carenza dei requisiti di aeroilluminazione contrasta con prescrizioni normative inderogabili (Consiglio di Stato,V , 03/06/2013 N. 3034), tanto più che è già stato ampiamente chiarito dalla giurisprudenza che i requisiti per il rilascio del condono possono sussistere indipendentemente da quelli per l’ottenimento dell’agibilità (Consiglio di Stato, V, 05/04/2005, N.1543)".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 1123 del 2014

Concorsi pubblici: la commissione ha un forte potere discrezionale

19 Set 2014
19 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 16 settembre 2014 n. 1208 si sofferma sulla valutazione dei titoli per poter accedere ad un concorso pubblico universitario, riconoscendo che la commissione ha un forte potere discrezionale.

Innanzitutto il Collegio ricorda la normativa vigente nella materia de qua: “Quanto al primo profilo, pare opportuno ricordare che l’art. 2 del D.M. 25 maggio 2011, n. 243 –recante “Criteri e parametri riconosciuti, anche in ambito internazionale, per la valutazione preliminare dei candidati destinatari dei contratti di cui all'articolo 24, della legge n. 240/2010” – dispone, per quanto qui interessa, che “Le commissioni giudicatrici delle procedure di cui all’art. 1 effettuano una motivata valutazione seguita da una valutazione comparativa, facendo riferimento allo specifico settore concorsuale e all'eventuale profilo definito esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, del curriculum e dei seguenti titoli, debitamente documentati, dei candidati….”” ed ancora: “i osserva, richiamando anche quanto già esposto in precedenza sotto questo profilo, che l’art. 3 del D.M. n. 243/2011, prevede, tra l’altro, che “Le commissioni giudicatrici effettuano la valutazione comparativa delle pubblicazioni di cui al comma 1 sulla base dei seguenti criteri:

a)  originalità, innovatività, rigore metodologico e rilevanza di ciascuna pubblicazione scientifica;

b)  congruenza di ciascuna pubblicazione con il settore concorsuale per il quale è bandita la procedura e con l'eventuale profilo, definito esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, ovvero con tematiche interdisciplinari ad essi correlate;

c)  rilevanza scientifica della collocazione editoriale di ciascuna pubblicazione e sua diffusione all'interno della comunità scientifica;

d)  determinazione analitica, anche sulla base di criteri riconosciuti nella comunità scientifica internazionale di riferimento, dell'apporto individuale del candidato nel caso di partecipazione del medesimo a lavori in collaborazione.”.

Chiarito ciò i Giudici statuiscono che “Dal quadro normativo esposto, emerge, dunque, che, ai fini della “motivata valutazione” e della “valutazione comparativa” relative alle procedure di pubbliche selezioni dei destinatari di contratti ex art. 24 legge n. 2409/2010, la Commissione giudicatrice avrebbe dovuto fare riferimento, in primis, allo specifico settore concorsuale –che, come detto, nel caso in esame è il settore 08/E2: Restauro e Storia dell’Architettura -, con la conseguenza che correttamente sono stati presi in considerazione titoli attinenti a tale settore concorsuale, che comprende sia il SSD ICAR 18 che il SSD ICAR 19; sotto questo profilo, dunque, l’operato della Commissione, a differenza di quanto sostenuto in ricorso, non risulta affetto da illegittimità per violazione delle norme sopra richiamate. La Commissione, peraltro, sempre in base al dettato normativo esposto, avrebbe dovuto considerare anche il profilo definito con l’indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, valutazione che effettivamente è avvenuta, atteso che un tanto emerge dai verbali della procedura concorsuale”.

Alla luce di ciò concludono che “come noto, costante giurisprudenza amministrativa ha chiarito, in più occasioni, che le valutazioni delle commissioni giudicatrici nei concorsi costituiscono espressione dell’ampia discrezionalità che è riconosciuta all’organo deputato alla selezione di coloro che, tra tutti i candidati al concorso, risultano essere i migliori; tali valutazioni non possono essere sostituite da quelle effettuate dal giudice amministrativo, perché ciò significherebbe impingere nel merito dell’azione amministrativa, restando salve le sole ipotesi in cui la detta azione non sia “ictu oculi” viziata da irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti ( a titolo puramente esemplificativo Consiglio di Stato, sez. VI, 12 aprile 2013, n. 2004; id., 1 febbraio 2013, n. 614; id., sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6037; id., sez. III, 23 marzo 2012, n. 1690;TAR Lazio, Roma, sez. III, 13 maggio 2014, n. 4907; TAR Abruzzo, sez. I, 7 novembre 2013, n. 930; TAR Puglia, Bari, sez. II, 23 maggio 2013, n. 817; TAR Lazio, Roma, sez. III, 9 gennaio 2013, n. 147; id., sez. I, 5 settembre 2012, n. 7562; id., 7 agosto 2012, n. 7288; id., 8 maggio 2012, n. 4128; TAR Campania, Salerno, sez. II, 6 aprile 2012, n. 656)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1208 del 2014

Spetta al Dirigente aderire alle convenzioni Consip

19 Set 2014
19 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 16 settembre 2014 n. 1207 si occupa delle convenzioni Consip.

Nello specifico, dopo aver chiarito l’obbligo per l’ente di aderire a questi strumenti di acquisto, riconosce la competenza del dirigente nella materia de qua: “Passando al merito del ricorso, deve in primo luogo essere respinto il primo motivo con il quale è stata dedotta l’incompetenza del dirigente comunale ad assumere provvedimenti concernenti l’adesione alla convenzione Consip con oggetto il servizio d’illuminazione pubblica, e ad emettere il relativo ordinativo di fornitura del 5.8.2013, trattandosi di attività gestionale rientrante nella competenza dei dirigenti comunali ai sensi dell’art. 107, comma 3, lett. c), del d.lgs. n. 267/2000, a tenore del quale spettano ai dirigenti “tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo (…) tra i quali in particolare (…) la stipulazione dei contratti”.

Deve, altresì, essere rigettato il profilo di censura con il quale la società ricorrente asserisce che tale decisione sarebbe in contrasto con la precedente delibera di giunta comunale n. 36 del 28 marzo 2011, con la quale era stato deliberato di procedere all’esternalizzazione del servizio di illuminazione pubblica, posto che detta delibera è stata superata dalla successiva delibera di giunta comunale n. 483 del 30.12.2013, con la quale sono stati fissati gli indirizzi per l’approvazione del piano di dettaglio degli interventi in adesione alla Convenzione Consip servizio Luce 2, alla quale ha fatto seguito l’impugnato provvedimento dirigenziale n. 2927 del 31.12.2013.

A medesime conclusioni, deve giungersi con riferimento al secondo motivo di ricorso con il quale parte ricorrente deduce che la scelta di aderire alla contestata convenzione Consip, non sarebbe stata motivata con riferimento alla convenienza del servizio ivi contenuto rispetto ad altre proposte che sarebbero potute eventualmente intervenire se si fosse proceduto all’esternalizzazione del servizio previa indizione di una procedura di evidenza pubblica, atteso che in applicazione dell’art. 1, comma 7, del decreto legge n. 95/2012, recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”, è fatto obbligo all’amministrazione comunale di procedere alla gestione del servizio di somministrazione di energia elettrica, tramite l’apposita convenzione Consip, ovvero tramite l’utilizzo dei suoi sistemi telematici di negoziazione, eccetto che nell’ipotesi in cui, non rinvenibile nella fattispecie in esame, il bando di gara sia stato pubblicato precedentemente alla data di entrata in vigore del citato decreto legge”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1207 del 2014

Expo 2015: il Consiglio di Stato sospende l’annullamento dell’aggiudicazione disposto dal TAR Lombardia

18 Set 2014
18 Settembre 2014

Il Consiglio di Stato, sez. IV, nell’ordinanza del 16 settembre 2014 n. 4089, sospende l’esecutività della sentenza del T.A.R. Lombardia n. 1802/2014, commentata nel post del 11.07.2014, che aveva disposto l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva della gara.

In particolare si legge: “che è tutt’altro che destituita di fondatezza l’eccezione di tardività dell’impugnativa di primo grado reiterata col primo motivo d’appello, tenuto conto della consolidata giurisprudenza in tema di irrilevanza, a fronte della piena conoscenza degli atti censurati e della loro lesività, di una asserita conoscenza successiva dei vizi di legittimità acquisita a causa di fatti sopravvenuti estranei agli atti medesimi (tenuto conto, fra l’altro, che nel caso di specie tale conoscenza successiva si assume da parte appellante discendere non già da una sopravvenuta conoscenza di atti della serie procedimentale culminata nell’aggiudicazione – ché non è contestata la piena conoscenza di detti atti a seguito della comunicazione ritualmente ricevuta ai sensi dell’art. 79, d.lgs. 12 aprile 2006, nr. 163 – ma dalla “nuova luce” gettata sulla vicenda amministrativa dalle notizie di stampa in merito alle indagini penali in corso per gravi reati commessi nel corso della gara per cui è causa);

- che, con specifico riguardo ai vizi ravvisati dal primo giudice, è quanto meno discutibile che nella specie la violazione della dichiarazione d’impegno resa ai sensi dell’art. 4, comma 2, del Protocollo di legalità (ammesso che una tale violazione sia ravvisabile non solo nella omessa denuncia o segnalazione di condotte illecite altrui delle quali il concorrente avesse avuto a conoscenza, ma anche nel caso di mancata “autodenuncia” di reati commessi dallo stesso concorrente), oltre a legittimare l’esercizio da parte della stazione appaltante della facoltà di risoluzione del contratto di appalto – espressamente ricondotta dalla clausola citata all’art. 1456 c.c., e che lo stesso primo giudice ha riconosciuto rientrare nella sfera di autonomia dell’Amministrazione committente – si sia riverberata anche sulla legittimità della retrostante procedura di gara (per giunta concretando un vizio idoneo a inficiare la sola ammissione del concorrente interessato, e non l’intera procedura selettiva);

Ritenuto altresì, quanto al profilo del periculum in mora, che l’interesse rappresentato dalla parte appellante appare manifestamente ancorato agli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione, che espone l’Ente committente al rischio di una pesantissima condanna a risarcimento per equivalente in caso di mancato esercizio della facoltà di risoluzione del contratto di appalto, pur formalmente rimesso dal T.A.R. all’autonoma valutazione della parte pubblica (e dal quale, ove di fatto esercitato, deriverebbe per converso un diverso e gravissimo pregiudizio all’interesse pubblico alla sollecita realizzazione delle opere oggetto dell’appalto);

Rilevato, ancora, che la sopravvenuta disciplina di cui al d.l. 24 giugno 2014, nr. 90 (in forza della quale risulta in concreto oggi nominato un Commissario Straordinario nella gestione dell’impresa aggiudicataria, con sostanziale estromissione dei soggetti sottoposti ad indagini), oltre a rafforzare le esigenze cautelari rappresentate dalle parti appellanti, costituisce la piena dimostrazione ex post– contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice – della non automatica incidenza sulla legittimità degli atti di gara delle indagini penali in corso, pur nell’estrema gravità dei reati ipotizzati, essendo evidente che il legislatore si è posto il problema dei rimedi da predisporre per fattispecie come quella oggi all’esame ed ha predisposto un meccanismo, quello del “commissariamento” dell’impresa appaltatrice fino all’esito del procedimento penale, ritenuto idoneo a conciliare l’interesse pubblico alla rapida esecuzione dell’opera pubblica con l’esigenza di impedire la percezione dei profitti d’impresa da parte di soggetti sospettati di illeciti, almeno fino alla conclusione del procedimento penale (soluzione nella quale – è appena il caso di sottolinearlo – natura del tutto recessiva è stata attribuita all’interesse a subentrare nella commessa delle altre imprese partecipanti alla gara, le quali evidentemente potranno far valere le proprie ragioni in altre e diverse sedi)”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS ordinanza n. 4089 del 2014

Il Consiglio di Stato conferma che anche il cambio d’uso senza opere può incrementare il carico urbanistico

18 Set 2014
18 Settembre 2014

Il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza del 03 settembre 2014 n. 4483 conferma la sentenza del T.A.R. Veneto n. 1445/2012, commentata nel post del 03.12.2012, in materia di contributo di costruzione connesso al cambio d’uso c.d. funzionale.

In questa pronuncia il Collegio stabilisce che il cambio d’suo senza opere, laddove comporti il passaggio tra categorie edilizie omogenee determinanti un aumento del carico urbanistico, implica il pagamento del contributo di costruzione perché: “L'art. 19 comma 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 dispone, in modo affatto chiaro, che "Qualora la destinazione d'uso delle opere indicate nei commi precedenti...venga comunque modificata nei dieci anni successivi all'ultimazione dei lavori, il contributo di costruzione è dovuto nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione, determinata con riferimento al momento dell'intervenuta variazione".

La disposizione si riferisce in modo omnicomprensivo al contributo di costruzione, come definito dal precedente art. 16, senza distinzione tra le sue componenti, e quindi tanto alla quota parte riferibile agli oneri di urbanizzazione, quanto a quella relativa al costo di costruzione, e trova giustificazione nel diverso regime, più favorevole per gli immobili a destinazione industriale o artigianale (per i quali ai sensi del precedente comma 1 è dovuto contributo limitato ai soli oneri urbanizzativi) e più gravoso per gli immobili a destinazione turistica, commerciale, direzionale e a servizi (per cui invece ai sensi del comma secondo, oltre agli oneri urbanizzativi è dovuto un contributo commisurato anche al costo di costruzione, sebbene nella più ridotta misura ivi specificata, pari al 10% del costo di costruzione documentato).

Ne consegue che, come chiarito da questa Sezione, la quota parte relativa al costo di costruzione è comunque dovuta "...anche in presenza di una trasformazione edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si verifica per il mutamento di destinazione o comunque per ogni variazione anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico" (Cons. Stato, Sez. IV, 20 dicembre 2013, n. 6160; vedi anche 14 ottobre 2011, n. 5539, quest'ultima peraltro nel senso che anche la sola variazione di destinazione d'uso all'interno di una stessa categoria, da commercio all'ingrosso a commercio al dettaglio, giustifica il pagamento del contributo, anche per la quota afferente al costo di costruzione).

D'altro canto, è indiscutibile che il mutamento di destinazione d'uso, ancorché senza opere edilizie, da una tipologia utilizzativa artigianale ad altra commerciale implica un mutamento del carico urbanistico, connesso ai ben diversi flussi di traffico e clientela, nonché della redditività, e quindi dei vantaggi economici connessi alla destinazione e all'attività.

In relazione all'incontestato mutamento della destinazione d'uso comportante passaggio da una ad altra tipologia e/o categoria edilizia, d'altra parte, il Comune non era tenuto a supportare la propria richiesta con alcuna motivazione specifica, essendo sufficiente il richiamo al presupposto giuridico-fattuale, ciò che implica il superamento anche dei rilievi introdotti con la memoria di replica a prescindere dalla loro ritualità, contestata dal difensore dell'Amministrazione in sede di discussione”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS sentenza n. 4483 del 2014

Ai fini delle domande edilizie come si calcolano le maggioranze nel condominio normale e in quello “minimo” (di due soli condomini)

18 Set 2014
18 Settembre 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n. 1140 del 2014.

Scrive il TAR: "il provvedimento impugnato con il presente ricorso appare sorretto da validi presupposti, risultando, viceversa, palesemente infondata la doglianza principale articolata dal ricorrente, in base alla quale, in un condominio formato da quattro proprietari quale quello in questione, ai fini dell’approvazione delle innovazioni previste dall’art. 1120 c.c. e della formazione della maggioranza assembleare prescritta dal quinto comma dell’art. 1136 c.c., basterebbe l’approvazione della maggioranza dei condomini calcolata “per teste”, e non per millesimi come invece preteso dal Comune; che, invero, nel caso di specie non possono applicarsi le deroghe al sistema delle maggioranze previsto dal codice civile, le quali sono state individuate dalla giurisprudenza, entro ben definiti limiti, con esclusivo riferimento al c.d. condominio minimo, quello cioè composto - diversamente dal condominio del ricorrente - da due soli condomini ed in cui difetta, materialmente, la possibilità di applicare la disciplina dettata dall'art. 1136 c.c. sulla costituzione delle assemblee e la validità delle sue delibere; che, pertanto, trovando piena applicazione al caso in esame l’art. 1136 c.c., l’innovazione realizzata dal ricorrente doveva essere approvata da tanti condomini che rappresentassero al contempo la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell’edificio; che il ricorrente non ha dimostrato di avere ottenuto l’assenso dell’assemblea dei condomini all’intervento, e comunque, di avere acquisito l’assenso di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell’edificio, offrendo tale prova per mezzo delle tabelle millesimali come correttamente richiesto dal Comune; ed infatti, anche se - come argomentato dal ricorrente - la previa adozione delle tabelle millesimali non è prevista dalla legge come condizione necessaria per la gestione del condominio, rimane il fatto che esse forniscono un criterio certo e obiettivo, difficilmente sostituibile, di identificazione delle quote di partecipazione condominiale, dato dal rapporto tra il valore delle proprietà singole ed il valore dell'intero edificio, che consente di valutare (ove occorre a posteriori ed in giudizio) se i quorum di costituzione dell'assemblea e di deliberazione sono stati raggiunti (cfr. Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 09- 08-2010, n. 18478); che in mancanza della dimostrazione da parte del ricorrente della propria legittimazione a richiedere la sanatoria per le opere in oggetto, era superfluo per il Comune procedere, nel merito, alla valutazione della compatibilità paesaggistica  dell’intervento;  che, pertanto, il ricorso in esame deve essere respinto in quanto infondato".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 1140 del 2014

Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sui provvedimenti del sindaco ex art. 53, comma 23, della Legge 388/2000

17 Set 2014
17 Settembre 2014

L'articolo 53, comma 23, della legge 388/2000 stabilisce che: "23. Gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemilaabitanti fatta salva l’ipotesi di cui all’articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all’articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni (ora articolo 4, commi 2, 3 e 4, decreto legislativo n. 165 del 2001), e all’articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio". (comma così modificato dall'articolo 29, comma 4, legge n. 448 del 2001)

Un geometra comunale ha impugnato la determinazione del Sindaco con la quale quest’ultimo, appena riconfermato nella carica dalle elezioni amministrative ed in apertura della nuova legislatura, ha trattenuto in capo alla sua persona, ai sensi dell’art. 53, comma 23, della Legge 388/2000, la responsabilità del Settore Tecnico-Manutentivo, fino ad allora affidata al geometra ricorrente.

Il Comune ha eccepito che la giurisdizione non spetta al giudice amministrativo, ma a quello ordinario e il TAR, con la sentenza n. 1197 del 2014, ha accolto tale eccezione.

Scrive il TAR: "Con il presente ricorso, il Geometra X Y impugna la determinazione del Sindaco di Teglio Veneto con la quale quest’ultimo, appena riconfermato nella carica dalle elezioni amministrative ed in apertura della nuova legislatura, ha trattenuto in capo alla sua persona, ai sensi dell’art. 53, comma 23, della Legge 388/2000, la responsabilità del Settore Tecnico-Manutentivo, fino ad allora affidata all’odierno ricorrente.  Il Geometra X Y impugna altresì la nota con la quale il Sindaco lo ha informato della suddetta decisione e lo ha invitato “a sottopormi i provvedimenti che dovrò sottoscrivere e che la S.V. avrà cura di predisporre”. Preliminarmente, deve essere affrontata la questione, sottoposta dal resistente e dal controinteressato e comunque rilevabile d'ufficio, dell’esistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulla presente controversia, riguardante un rapporto di lavoro contrattualizzato alle dipendenze della P.A. . In estrema sintesi, la giurisdizione va riconosciuta per il caso di contestazione di provvedimenti di organizzazione perché connessi a posizioni di interesse legittimo va, invece, declinata per quelli incidenti su situazioni giuridiche soggettive integrate nel rapporto di lavoro e da ricondurre quindi alla giurisdizione ordinaria (Consiglio Stato, sez. V, 29 aprile 2010, n. 2454; Cassazione SS. UU. 16 febbraio 2009, n. 3677; Cassazione SS. UU. 24 novembre 2010, ord. n. 23781). Ciò posto, si ritiene che nel caso in esame la giurisdizione vada declinata con riguardo ad entrambi gli atti impugnati, perché riconducibili alla gestione di una singola posizione lavorativa. E ciò vale, evidentemente, per l’invito rivolto dal Sindaco, con la nota del 27 maggio 2014, al dipendente, di predisporre i provvedimenti, inerenti alla gestione del settore tecnico-manutentivo, da sottoporre alla firma del primo. E, a ben vedere, anche la determina del Sindaco di conferimento a sé stesso della responsabilità del settore Tecnico-Manutentivo del Comune, è strettamente connessa e prodromica alla predetta  disposizione, ed anch’essa, non assume rilevanza organizzativa, non avendo una portata di generale innovazione dell'organizzazione degli uffici e dei servizi e delle macrostrutture, bensì incidendo su di un’unica posizione organizzativa, ovvero quella del settore tecnico-manutentivo, con riflessi immediati sul singolo rapporto lavorativo con l’odierno ricorrente. Pertanto, alla luce di quanto sopra rappresentato, il Collegio ritiene che difetti la giurisdizione in capo al giudice amministrativo sulla controversia in esame e che la stessa sia da attribuire al giudice ordinario".

Dario Meneguzzo - avvocato

L’art. 42 bis del d.p.r. 327/2001 si applica in tutti i casi in cui la P.A. occupa sine titulo anche se la stessa non ha realizzato le opere usate

17 Set 2014
17 Settembre 2014

La sentenza del Consiglio n. 4696 del 2014 riguarda un caso nel quale la P.A. utilizzava senza titolo opere di urbanizzazione realizzate da un privato, il quale  invitava l’Amministrazione a riconoscere e dichiarare se opere e prestazioni dallo stesso eseguite su terreni di propria proprietà o di terzi fossero di pubblica utilità, chiedendo che in tal caso il Comune provvedesse all’acquisizione sanante prevista dall’art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001 e alla corresponsione del relativo indennizzo ex lege previsto.

Poichè il Comune non ha risposto, l'interessato si è rivolto al TAR, che ha respinto il ricorso. L'appello, invece, è stato accolto dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4696 del 2014: "Con il primo motivo di appello il Felicioni chiede la riforma della sentenza gravata laddove non ha riconosciuto l'obbligo per l'amministrazione di iniziare e concludere il procedimento, sollecitato dall'appellante, e volto ad effettuare la valutazione amministrativa discrezionale consistente nella scelta fra l'acquisizione autoritativa dell'immobile secondo la disciplina di cui all'art 42 bis cit., da una parte, e l'opzione in favore della soluzione restitutoria e risarcitoria regolata dal diritto comune, dall'altra.

Il Tar ha sul punto ritenuto che non si sia in presenza di un silenzio-inadempimento in quanto, con riferimento al procedimento de quo, non sussisterebbe in capo all'Amministrazione un obbligo giuridico di provvedere.

Il motivo di appello merita accoglimento.

L'art. 42 bis, come già in precedenza evidenziato da questo Consiglio di Stato riguardo all'analoga ratio dell'art. 43 (Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830), è stato emanato per consentire una legale via di uscita per i casi in cui una pubblica amministrazione avesse occupato senza titolo un'area di proprietà privata, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio.

L'articolo in questione, inserito nel Testo unico degli espropri dal decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (art. 34) ha dunque reintrodotto, con diversa disciplina, il potere discrezionale già attribuito dall'art. 43: l'amministrazione - valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto - può decidere se demolire l'opera e restituire l'area al proprietario, oppure se disporre l'acquisizione.

L'art. 42 bis prevede infatti, al comma 1, che l'Amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, possa disporre, con formale provvedimento, l'acquisizione del bene, con la corresponsione al privato di un indennizzo per il pregiudizio subito, patrimoniale e non patrimoniale.

Il potere di disporre l'acquisizione ex art. 42 bis del d.p.r. 327/2001 è espressione del più generale potere di amministrazione attiva che compete agli enti pubblici cui il giudice amministrativo non può sostituirsi al di fuori dei casi di giurisdizione estesa al merito. La valutazione degli interessi in gioco e la conseguente decisione in ordine all'acquisizione o alla restituzione del bene rimane quindi nella sfera di discrezionalità dell'amministrazione (cfr. Cons. St., sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1514).

La scelta tra la possibilità di procedere all'acquisizione sanante o alla restituzione del bene deve infatti derivare da una valutazione comparativa degli interessi in gioco, valutazione che spetta unicamente all'Amministrazione.

La sentenza gravata, ha quindi correttamente sottolineato il carattere altamente discrezionale della scelta spettante all'Amministrazione, non potendo il giudice condannare il Comune all'adozione di un atto specifico riconoscendo la fondatezza della pretesa sostanziale di parte ricorrente.

Tuttavia, il Tar ha errato laddove ha ritenuto insussistente un obbligo di provvedere.

Infatti, l'occupazione sine titulo di beni immobili appartenenti a privati è una situazione di fatto del tutto contrastante con quella di diritto e l'Amministrazione deve tempestivamente adoperarsi per ripristinare una situazione di legalità.

“Il privato può dunque legittimamente domandare o l'emissione del provvedimento di acquisizione o, in difetto, la restituzione del fondo con la sua riduzione in pristino. Nell'attuale quadro normativo, le Amministrazioni hanno infatti l'obbligo giuridico di far venir meno -- in ogni caso -- l'occupazione "sine titulo" e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto. La P.A. ha due sole alternative: o restituisce i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo "status quo ante", oppure deve attivarsi perché vi sia un legittimo titolo di acquisto dell'area. Quello che le amministrazioni non possono pensare di continuare fare è restare inerte in situazioni di illecito permanente connesso con le occupazioni usurpative”. (Cons. St., sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1713)

Nel caso di specie è pacifico che il Comune stia utilizzando senza titolo beni presenti su terreni di proprietà altrui. L'amministrazione ha quindi l'obbligo di restituire i beni illecitamente occupati, oppure, di acquisirli al proprio patrimonio ritenendo sussistenti le condizioni per procedere ex art. 42 bis.

Il fatto che tali opere non siano state realizzate dall'Amministrazione ma dal privato stesso, non fa venir meno l'applicabilità delle disposizioni dell'art. 42 bis che, come si è detto, nelle intenzioni del legislatore vuole rappresentare una legale via di uscita per tutti i casi in cui una pubblica amministrazione avesse occupato senza titolo un bene di proprietà privata, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio. A conferma della generale applicazione dell'art. 42 bis può citarsi il fatto che comma 6 del detto articolo prevede espressamente l'applicabilità delle disposizioni, in quanto compatibili, anche nel caso in cui l'Amministrazione abbia in via di fatto imposto una servitù su un bene altrui.

Il fatto che le opere utilizzate non siano state realizzata dal Comune potrà semmai rilevare nel caso in cui si proceda alla restituzione dei beni, non dovendosi in tal caso provvedere alla rimessione in pristino.

Fermo restando quindi il carattere discrezionale della valutazione rimessa alla Amministrazione sulla possibilità di procedere ex art. 42 bis, non v'è dubbio che l'esercizio di tale potestà non possa protrarsi indefinitamente nel tempo, altrimenti l'inerzia dell'Amministrazione si tradurrebbe in un illecito permanente.

Seppure, quindi, l'art. 42 bis non contempli un avvio del procedimento ad istanza di parte, deve ritenersi che il privato possa sollecitare l'Amministrazione ad avviare il relativo procedimento e che l'Amministrazione abbia l'obbligo di provvedere al riguardo, essendo l'eventuale inerzia dell'Amministrazione configurabile quale silenzio-inadempimento impugnabile di fronte al giudice amministrativo.

Infatti, per la P.A. l'obbligo giuridico di provvedere, positivizzato in via generale dall'art. 2 della legge n. 241/1990, sussiste ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, derivandone che il silenzio-rifiuto è un istituto riconducibile a inadempienza dell'Amministrazione, in rapporto a un sussistente obbligo di provvedere che, in ogni caso, deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall'ordinamento (cfr.: Cons. St., Sez. IV, 22.6.2006 n. 3883; Id, 4.9.1985 n. 333 e 6.2.1995 n. 51; Sez. V 6.6.1996 n. 681 e 15.9.1997 n. 980; Sez. VI, 11.11.2008). Peraltro, la giurisprudenza ha chiarito che tale obbligo è rinvenibile anche al di là di un'espressa disposizione normativa che tipizzi il potere del privato di presentare un'istanza e, dunque, anche in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l'adozione di un provvedimento ovvero tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell'Amministrazione (ex plurimis: Cons. St., sez VI, 14.10.1992 n. 762).

Nel caso di specie il ricorrente è titolare di una situazione soggettiva protetta e, anche a fronte del notevole lasso di tempo intercorso, ha senz'altro una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni dell'Amministrazione riguardanti la sua proprietà.

Deve quindi riformarsi la sentenza gravata, accogliendo il ricorso avverso il silenzio e riconoscendo l'obbligo per l'Amministrazione di concludere il procedimento determinando, entro 60 giorni dal deposito della presente sentenza, se intenda procedere o meno all'acquisizione del bene ex art. 42 bis cit..

2. Con il secondo motivo di appello, il Felicioni contesta la sentenza del Tar laddove ha dichiarato “inammissibile la domanda di accertamento della utilitas e dell'arricchimento conseguito dal Comune resistente attraverso il godimento dei terreni di proprietà del sig. Felicioni, la quale appartiene alla giurisdizione del G.O. ed è coperta dal giudicato formatosi per effetto della sentenza della Corte di cass. n. 3322 del 12.2.1010”.

Sostiene il Felicioni, con argomentazioni non contrastate da controparte, che tale statuizione non sia conforme al contenuto e ai limiti delle domande avanzate in primo grado che sarebbero state rivolte, invece, a:

a) chiedere l'accertamento dell'indebita utilizzazione, in quanto mai acquisiti al patrimonio pubblico, dei terreni di proprietà sua o di terzi e delle opere sugli stessi eseguite;

b) all'accertamento dell'obbligo de Comune di assumere le proprie determinazioni in ordine all'acquisizione o meno dei terreni.

Deve sul punto rilevarsi come il Tar abbia errato nel valutare il contenuto ed i limiti della domanda e, pertanto, si deve riformare la sentenza gravata.

Con riferimento al punto a), come peraltro rilevato dalla stessa parte appellata, si tratta di materia estranea al rito del silenzio. Deve quindi sul punto riformarsi la sentenza impugnata, prevedendo la prosecuzione del giudizio a seguito della conversione del rito anche in merito a tale aspetto. A seguito di conversione del rito, pertanto, il giudizio proseguirà di fronte al Tar per l'esame della domanda di condanna alla restituzione dei terreni (come già disposto dal giudice di prime cure con statuizione non appellata) e anche per l'accertamento dell’utilitas e dell’arricchimento derivante dalla indebita utilizzazione degli stessi; in tale sede dovrà inoltre valutarsi l'eventuale efficacia preclusiva del giudicato formatosi a seguito della sentenza della Corte di Cassazione.

Con riferimento al punto b), si rinvia a quanto argomentato supra al punto 1 della presente sentenza".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 4696 del 2014

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