Ma davvero il registro INI-PEC non può essere utilizzato per la notificazione degli atti processuali?

31 Ott 2019
31 Ottobre 2019

Secondo la Cassazione civile questo registro non vale.

Nell’ordinanza n. 24160 del 27.09.2019, infatti, la Suprema Corte ha dichiarato che solo il registro cd. ReGindE, ovvero il registro curato dal Ministero della Giustizia, sarebbe valido ai fini delle notifiche degli atti processuali tramite PEC, mentre non avrebbe la stessa valenza il registro INIPEC.

La decisione, però, suscita non poche perplessità, dato che si tratta di due registri complementari e non alternativi tra loro: il ReGindE, infatti, raccoglie solo gli indirizzi PEC dei soggetti appartenenti ad un ente pubblico, dei professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge, degli ausiliari del Giudice non appartenenti ad un ordine di categoria o che appartengono ad ente/ordine professionale che non abbia ancora inviato l’albo al Ministero della Giustizia e, per di più, si tratta di un registro che non è liberamente consultabile.

Il registro INIPEC, invece, raccoglie gli indirizzi PEC di tutti i professionisti e le imprese ed è liberamente consultabile.

Appare ex se la diversità degli stessi.

La decisione commentata, al contrario, sembra non rendersi conto di ciò e, soprattutto, del chiaro dettato normativo che, per comodità, si riporta.

L’art. 16 ter del d.l. n. 179/2012, convertito con modificazione dalla l. n. 221/2012, in origine recitava che: “A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto; all'articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, dall'articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia”.

Il d.l. n. 90/2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 114/2014, ha emendato l'art. 16 ter, riducendo gli elenchi pubblici degli indirizzi PEC utilizzabili ai fini delle notifiche degli atti processuali.

La norma nella formulazione attuale si presenta così: “A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto; dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, dall'articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.

Come si vede, il riferimento all'articolo 16 del d.l. n. 185/2008 rimane limitatamente al comma 6, che contempla il solo registro delle imprese.

Sulla base del nuovo art. 16 ter, quindi, oltre al registro delle imprese, sono pubblici registri anche l'Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente, il Pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese, l’Elenco degli indirizzi PA presso il Ministero della giustizia (PP.AA.), i registri IniPec ed il Reginde.

Va da sé la “non coerenza” con il sistema legislativo supra delineato della decisione della Cassazione civile qui pubblicata.

Post di Matteo Acquasaliente - avvocato

P.s. segnaliamo che la Corte di Cassazione ha corretto quanto affermato in questa ordinanza, come si può leggere nel post pubblicato in questo sito in data 19 novembre 2019

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