La sanatoria delle variazioni essenziali su immobili in zona vincolata
E' possibile utilizzare il procedimento semplificato dell’art. 36-bis per sanare le variazioni essenziali che incidano su immobili ricadenti in zona assoggettata a vincolo paesaggistico?
Esiste un contrasto fra l’art. 32, comma 3, ed il nuovo art. 36-bis T.U.Ed.?
L'avvocato Domenico Chinello, che sentitamente ringraziamo, risponde al dubbio proponendo la sua interpretazione della nuova normativa sul Salva Casa con l'articolo che volentieri pubblichiamo.
Chinello_La sanatoria delle variazioni essenziali in zona vincolata
Oggi i pareri della Soprintendenza sono questi sulle sanatorie:
QUESTA SOPRINTENDENZA ESPRIME PARERE FAVOREVOLE
per quanto di propria competenza e limitatamente agli interventi in difformità descritti nella relazione illustrativa e rappresentati negli elaborati grafici allegati all’istanza a riscontro, in quanto, le modifiche apportate non alterano i rapporti con il contesto e quindi non incidono sui valori paesaggistici tutelati.
Con il salva casa-
La Soprintendenza di Milano: ove possibile, ricorrere al silenzio-assenso
Sulla base di queste premesse, la Soprintendenza segnala che per le istanze di accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167 del d.Lgs n. 42/2004 pervenute a decorrere dal 28 luglio scorso, in quanto autorità preposta alla gestione del vincolo, si avvarrà, ove possibile, dell’istituto del silenzio-assenso.
Ne deriva che decorsi 90 giorni dal ricevimento della richiesta di parere di compatibilità si intende formato il silenzio assenso e gli enti preposti potranno concludere il procedimento di accertamento, verificando che la documentazione sia completa senza bisogno di richiedere integrazioni.
Inoltre rimane invariata l’applicazione del silenzio-assenso sulle richieste di parere obbligatorio e vincolante per le autorizzazioni paesaggistiche, sia ordinarie che semplificate.
Sostanzialmente avvalendosi del silenzio assenso, la Soprintendenza applicherà sì il regime derogatorio previsto dal Salva Casa, ma sfrutterà di fatto un automatismo previsto nel procedimento amministrativo, piuttosto che rendere un parere espresso e “consapevole”.
-Questo è il risultato di volere forzare le norme-
A MIO AVVISO CORRETTO VISTO CHE : come fanno a dire che le modifiche apportate non alterano i rapporti con il contesto e quindi non incidono sui valori paesaggistici tutelati?
Oltretutto la Soprintendenza è ancorata a questa circolare:
VISTA la Circolare della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto n. 44 del 10/09/2012 in recepimento del parere dell’Ufficio legislativo del Ministero per i beni e le attività culturali prot. n. 16721 del 13/09/2010;
Appare corretto avere elevato il livello alle variazioni essenziali, visto che le parziali difformità sono diverse tra le regioni.
Varianti essenziali: caratterizzate da “incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall’articolo 32 D.P.R. n. 380 del 2001 (in Veneto art. 92 lr. n. 61/85), le quali sono perciò soggette al rilascio di un permesso a costruire nuovo e autonomo rispetto a quello originario in osservanza delle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante.
La cosa che fa pensare è quella che se si rientra nelle variazioni essenziali preventivamente, bisogna richiedere un nuovo titolo, a sanatoria va tutto bene.
Per cui la variazione essenziale in zona vincolata è punita a livello penale e repressiva come totale difformità, ma rimane variazione essenziale a livello edilizio.In caso contrario sarebbe una norma inapplicabile.. Sarebbe un concetto molto raffinato, che sinceramente non ho capito su cosa si basa questo ragionamento…mi viene da pensare che è stato sempre così, e che prima questo aspetto non rilevava perché si sanava solo con l art.36
Capisco la domanda sul perché non hanno eliminato il comma 3 dell’art. 32. La risposta potrebbe essere che non era necessario, proprio perché il comma 3 dell’art. 32 equipara le “variazioni essenziali” alla “totale difformità” a certi fini ben specifici, ossia ai (soli) fini sanzionatori, cosicché non impatta affatto con la disciplina della sanatoria.
Quanto alla circostanza che qualcun altro la pensi in maniera diversa, è altrettanto comprensibile (il diritto è sempre questione di interpretazione). L’importante è che ne venga fornita la motivazione, cosicché si possa aprire un confronto.
Questione, invece, completamente diversa è quella della prevalenza o meno dell’art. 36-bis T.U.Ed. sul 167 del Codice Urbani D.Lgs. 42/2004, e questo dubbio riguarda, non solo le variazioni essenziali, ma l’intera applicabilità dell’art. 36-bis in zona vincolata. Questo profilo di incertezza deriva, però, dalla norma di cui all’art. 183, comma 6, dello stesso Codice Urbani, il quale in effetti si presta a due letture contrapposte. È altrettanto vero, tuttavia, che l’interpretazione della dottrina dominante propende per la non cogenza di clausole c.d. abrogative come quella dell’art. 183, comma 6, D.Lgs. 42/2004, a prescindere da quello che potranno dire, o non dire, le Soprintendenze. Quasi inevitabile che, prima o poi, si arriverà ad un contenzioso sul punto.
Ritengo che tanti operatori del settore (avvocati, tecnici, funzionari pubblici ecc.) non abbiano considerato che l’art. 183, co. 6, d.lgs. 42/2004 OSTA acchè le leggi della Repubblica modifichino le disposizioni del Codice senza la loro espressa abrogazione.
Orbene, la legge Salva casa non contiene l’espressa abrogazione delle disposizioni degli articoli 146 e 167 del Codice che ostano alla sanatoria in presenza di aumenti di superfici e volume in assenza di autorizzazione paesaggistica.
Quindi, a ben vedere, le disposizioni del Salva Casa sono solo programmatiche riguardo a questa precipua circostanza di abusi edilizi e paesaggistici, fintanto che il Parlamento, in ragione di tale norma programmatica, non modifichi espressamente il Codice.
Del resto la norma dell’art. 183, co. 6, d.lgs. 42/2004 non è una novità nell’ordinamento, atteso che anche il Testo unico degli enti locali, approvato con d.lgs. 267/2000, all’art. 1, co. 4, contiene un’egual norma di impermeabilità ad abrogazioni implicite. Nonché la contiene il Testo unico dell’ambiente.
Ricordo che i Giudici della Corte costituzionale, nella sentenza n. 129/2019, hanno statuito, riguardo al Testo unico dell’ambiente: “… Le norme contenute nel cod. ambiente, infatti, per espressa previsione dell’art. 3-bis “possono essere derogate, modificate o abrogate solo per dichiarazione espressa da successive leggi della Repubblica”; e la mancanza di tale dichiarazione espressa nella legge n. 56 del 2014 non può essere colmata né dagli interventi legislativi regionali, né dalle intese intervenute nella Conferenza unificata …”.
Quindi, la norma in questione è espressione del cosiddetto potere di autolimite esercitato a garanzia della tutela di preminenti interessi pubblici di rango costituzionale. In ispecie vieppiù rigidi all’indomani della modifica dell’art. 9 Costituzione.
Scusi Avvocato, può una norma essere scritta tanto malamente da porre tante domande? ammesso che sia percorribile la strada che dice Lei, rimane sempre un fatto essenziale, quali sono le totali difformità?… a mio avviso l’unico codificato è quello di cui all’art. 32c. 3, non modificato, gli altri sono rimandati all’art. 31 c. 1 in modo troppo generico; il rischio è che si presenta una pratica in comune e ne viene contestata la totale difformità.
Mi permetta di capovolgere la domanda :
– perché hanno eliminato la seconda parte del comma 3 dell’art. 32, visto che non era necessario, proprio perché a certi fini ben specifici, ossia ai (soli) fini sanzionatori, non impattava affatto con la disciplina della sanatoria.
Hanno fatto un’altro pasticcio, e si tenta di rimediare in questo modo. In prima battuta non si erano nemmeno posto il problema dell’art, 32 c. 3 seconda parte.
La domanda è: come mai è rimasta la prima parte dell’art. 32 c.3 e non hanno eliminato pure quello? l’Avv. di Leo in un webinar del sole24ore, la pensa diversamente.
Personalmente ho dei dubbi sulla prevalenza dell’art. 36-bis rispetto all’art. 167, c. 4, D.Lgs. 42/2004. Il contrasto sussiste e vedremo le Sopritendenze come si esprimeranno nel caso di aumento di volume. Ricordo che l’autorizzazione paesaggistica è prevalente ed “autonoma” rispetto alla pratica edilizia collegata. E quest’ultima non può avere un esito positivo finché non si forma il titolo paesaggistico, in questo caso la compatibilità del citato art. 167, c. 4. Vedremo gli sviluppi.
Complimenti all’avv. Chinello. Finalmente ha spiegato chiaramente la questione, a mio avviso non adeguatamente affrontata fino a ora. Principio, tra l’altro, confermato nel recente seminario organizzato dal dott. Travaglini lo scorso 24 ottobre per Confindustria. Condivido. Buona giornata
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