IL CGARS promuove il permesso convenzionato al posto del piano attuativo

06 Ago 2025
6 Agosto 2025

Era stato chiesto al Comune di Agrigento il permesso di costruire per realizzare un fabbricato destinato ad accogliere una media struttura di vendita.

Il Comune aveva respinto la richiesta, ritenendo che fosse necessario un piano attuativo, sostenendo che  non ricorrevano nella fattispecie concreta i presupposti richiesti dalla norma per l’accesso al permesso di costruire convenzionato, in quanto non si sarebbe trattato di un'area residua (requisito richiesto dalla legge siciliana).

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, con la sentenza n. 1365/2023, ha accolto il ricorso, ritenendo fondate le censure di parte ricorrente in ordine alla configurabilità del lotto quale “area residua” ai sensi dell’art. 20 L.R. Sicilia n.16/2016.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia (che in Sicilia opera giudice d'appello al posto del Consiglio di Stato), ha confermato la sentenza del TAR, con una pregevole disamina dell'istituto del permesso convenzionato.

In particolare il CGRS afferma: "L’area residua, impiegata dal legislatore regionale in modo volutamente flessibile ai fini dell'applicazione della disciplina sul permesso di costruire convenzionato, non si esaurisce in un dato meramente quantitativo o geometrico, bensì postula una valutazione sostanziale, qualitativa e funzionale, volta ad accertare se l’area interessata si collochi all’interno di un contesto urbanisticamente già strutturato, infrastrutturato e dotato di coerenza morfotipologica. Ne deriva che, ove si accerti l'esistenza di un assetto urbanistico già attuato, connotato da compatibilità infrastrutturale, la pianificazione esecutiva può essere superata mediante stipula di apposita convenzione urbanistica, ai sensi dell'art. 20 della L.R. n. 16/2016, senza con ciò violare il principio di legalità urbanistica".

Afferma anche che: "L’elemento di specialità che costituisce condizione materiale della norma è la modalità semplificata con cui, secondo le valutazioni dell’amministrazione, possono essere soddisfatte le esigenze di urbanizzazione, tanto che una pianificazione di secondo livello finirebbe per risultare ridondante, oltre che non rispettosa della proporzionalità tra l’interesse pubblico da perseguire e lo strumento amministrativo impiegato. L’assenza di un precedente piano urbanistico esecutivo non esclude di per sé la possibilità del rilascio del permesso convenzionato e, pertanto, il Comune è chiamato a verificare, in concreto, la praticabilità delle ipotesi urbanizzative proposte dall’appellato, all’interno dello schema convenzionale, senza potersi trincerare, aprioristicamente, dietro l’assenza di un piano attuativo".

Post di Dario Meneguzzo - avvocato

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2 replies
  1. Vittorio says:

    Sarebbe interessante leggere la C.T.U. perché definire l’area in questione “ quale ambito ormai strutturalmente urbanizzato e funzionalmente consolidato “ mi pare un tantino ardito.
    Basta guardare su google maps per vedere che l’area in questione non è propriamente definibile residuale rispetto all’urbanizzazione.
    Andrebbe vista tutta la documentazione, ovviamente, tuttavia …. .

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  2. Anonimo says:

    Piano attuativo come presidio imprescindibile della legalitĂ  urbanistica
    Il Consiglio di Stato ha ribadito, con argomentazione lineare e coerente con il proprio consolidato orientamento, che il piano attuativo previsto dall’art. 41-quinquies della legge urbanistica n. 1150/1942 costituisce uno strumento essenziale e non surrogabile per il governo del territorio. In particolare, quando si intenda realizzare edifici con volumi superiori a 3 mc/mq – come nel caso in esame – non è consentita alcuna edificazione diretta se non previa approvazione di un piano particolareggiato o di una lottizzazione convenzionata estesa all’intera zona.

    Il Collegio ha chiarito che la sufficienza urbanizzativa del singolo lotto non può mai giustificare l’omissione della pianificazione attuativa, la cui funzione va oltre il singolo intervento edilizio, mirando a garantire un ordinato raccordo con l’esistente e a potenziare le opere di urbanizzazione primarie. L’edificazione diretta, in assenza di piano attuativo, può configurarsi solo come eccezione, rigorosamente limitata ai casi in cui la completa saturazione del comparto renda il piano inattuabile. In ogni altro caso, compresi quelli di lotti interclusi o dotati di una propria autonomia funzionale, permane la necessità di uno strumento attuativo che assicuri il completamento della maglia urbanistica e la sostenibilità infrastrutturale dell’insediamento.

    In questo senso, il Consiglio di Stato riafferma una visione sistemica dell’urbanistica, dove il progetto edilizio individuale è subordinato alla coerenza complessiva della maglia urbanistica e alla programmazione degli standard pubblici, non valutabile caso per caso ma pianificata ex ante.

    Con questa impostazione, il Consiglio di Stato esclude che si possano condurre verifiche tecniche, in sede amministrativa o giurisdizionale, volte a sostituire surrettiziamente il piano attuativo mediante accertamenti sulla sola capacitĂ  infrastrutturale del lotto. Una simile impostazione – osserva il Collegio – vanificherebbe la funzione stessa della pianificazione urbanistica, CHE DEVE NECESSARIAMENTE PRECEDERE E NON SEGUIRE L’INTERVENTO EDILIZIO.

    A fine commento della sentenza, si dice: Oltre il caso specifico, la vicenda evidenzia – ancora una volta – l’arretratezza strutturale del nostro sistema urbanistico ed edilizio. A distanza di oltre ottant’anni dalla sua approvazione, la Legge n. 1150/1942 continua a influenzare la disciplina degli interventi edilizi in modo pervasivo, spesso disallineato rispetto alle trasformazioni sociali, territoriali e infrastrutturali che hanno investito le città italiane.

    Risposta: Attribuire alla sola vetustà della Legge n. 1150/1942 l’attuale rigidità del sistema urbanistico rischia di semplificare eccessivamente una questione complessa. La persistenza del piano attuativo, anche in aree già urbanizzate, non è necessariamente un retaggio “arretrato”, ma può rappresentare uno strumento di governo del territorio ancora valido, soprattutto quando si tratta di intervenire su zone con gravi criticità urbanistiche.

    La viabilità inadeguata, gli allagamenti ricorrenti, la carenza di parcheggi, la pressione sulle reti fognarie e sui servizi pubblici sono problemi strutturali che richiedono una visione integrata e pianificata dell’intervento edilizio. In questi casi, l’obbligo del piano attuativo garantisce che la trasformazione urbana non sia affidata a interventi puntuali e scoordinati, ma tenga conto dell’equilibrio complessivo del contesto.

    Sostenere che il sistema sia arretrato perchĂ© richiede pianificazione, anche in aree apparentemente urbanizzate, rischia di ignorare la realtĂ  concreta delle nostre cittĂ , dove l’urbanizzazione spesso si è sviluppata in modo disordinato e disfunzionale. L’intervento diretto, senza una previa valutazione complessiva, può aggravare anzichĂ© risolvere le criticitĂ  esistenti.

    La necessità non è tanto di superare i principi della Legge del 1942, quanto di applicare con intelligenza e coerenza gli strumenti di pianificazione, adattandoli alle specificità del territorio e integrandoli con le innovazioni normative e tecniche disponibili.

    La giurisprudenza consolidata (Cons. Stato, n. 7620/2021 e n. 8270/2019) limita i casi di edificazione diretta ai soli ambiti completamente edificati, dove l’attuazione risulterebbe di fatto inattuabile.

    Mi pare che questa impostazione sia stata applicata a Milano, per non presentare i PUA.

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