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Quando i camini necessitano del permesso di costruire?

20 Giu 2013
20 Giugno 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 13 giugno 2013 n. 825, si occupa dei titoli edilizi necessari per realizzare i camini evidenziando che, laddove gli stessi comportino una modifica del prospetto e della sagoma dell’edificio, occorre il permesso di costruire e non la semplice D.I.A.: “E’, allora, applicabile quell’orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 01-10-2012, n. 4005) nell’ambito del quale si è sancito che “non può configurarsi come elemento meramente accessorio dell'edificio, la realizzazione di una canna fumaria, che, pur non consistendo in opere murarie, in quanto realizzata in metallo od altro materiale, vada a soddisfare esigenze non precarie del costruttore, ciò comportando una modifica del prospetto e della sagoma del fabbricato cui inerisce, riconducendosi tale intervento nell'ambito delle opere di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), realizzate mediante inserimento di nuovi elementi ed impianti, assoggettato al regime del permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso D.P.R”..

10.1 I camini di cui si tratta non sono suscettibili nemmeno di rientrare nella disciplina della c.d. DIA e, ciò, considerando come con gli stessi si sia posta in essere una modifica dei prospetti dell’edificio e delle parti comuni”.

 L’intervento de quo, consistente (anche) nell’innalzamento e nel parziale differente riposizionamento di alcune canne fumarie da parte di taluni condomini, avveniva in assenza del relativo titolo edilizio. Di conseguenza tali condomini, in seguito all’ordinanza di demolizione, presentavano all’ente una istanza di sanatoria edilizia la quale veniva però negata dal Comune - che confermava la rimessione in pristino - per contrasto con la normativa dettata dal Regolamento Edilizio. Proprio con riferimento alla richiesta di sanatoria il T.A.R. asserisce: “Sul punto va ricordato che il formarsi del silenzio assenso è ora strettamente correlato alla presentazione di una corretta documentazione e, soprattutto, di un’idonea relazione asseverativa che attesti il rispetto delle disposizioni urbanistiche vigenti nel Comune di riferimento, circostanze queste ultime inesistenti nel caso di specie” ed ancora laddove afferma che: “Non risulta condivisibile nemmeno la ricostruzione giuridica che vorrebbe operante il silenzio assenso in materia di permesso di costruire.  Sul punto, infatti, al di là della generale previsione di cui all’art. 20 del Dpr 380/2001, risulta applicabile la disciplina del silenzio rigetto così come disposta, in materia di sanatoria, dall’art. 36 comma 3 della stessa norma, conseguente al decorrere di 60 giorni dalla presentazione dell’istanza”.

 Nella medesima sentenza, inoltre, il Collegio affronta anche la tematica delle c.d. indagini civilistiche che l’ente può/deve esperire laddove siano connesse con una richiesta urbanistica: nel caso di specie si ricorda che, ex art. 1117, n. 3, c.c., le canne fumarie si presumevano comuni cosicché: “E’ del tutto evidente come non si possa condividere l’ulteriore argomentazione diretta ad evidenziare che il Comune non avrebbe dovuto richiedere alcuna autorizzazione in considerazione del fatto che l’utilizzo delle parti comuni rientrerebbe nell’ambito dei rapporti civilistici, non di competenza dell’Amministrazione comunale.

4.1 Sul punto è la stessa parte ricorrente che ricorda quanto previsto da un costante insegnamento giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. IV, 11-04-2007, n. 1654) laddove si precisa che “In materia di concessione edilizia, l'Amministrazione ha il potere - dovere di subordinare il rilascio della concessione al consenso di tutti i proprietari per la parte di intervento che interessa le parti comuni, avendo questi, nei confronti dell'atto concessorio, non la posizione di terzo, ma quella di contitolare di un diritto, che, per la parte idealmente spettante, non può, invito domino, essere modificata o compressa dall'Amministrazione”.

4.2 Costituisce, altresì, applicazione di un ulteriore orientamento consolidato (per tutti si veda T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, 31-03-2009, n. 196) che la formula di stile "salvi i diritti dei terzi", utilizzata con riferimento al provvedimento di sanatoria, indica semplicemente che il provvedimento autoritativo, non comporta la modifica unilaterale dei diritti soggettivi propri dei soggetti terzi.

4.3 Questi ultimi conservano, pertanto, tutta la loro estensione, potendo continuare a ricevere tutela anche in sede civile, sia sotto forma di risarcimento che di riduzione in pristino, accedendo (ad esempio in materia di violazione delle distanze codicistiche) alla cd. doppia tutela, davanti al giudice ordinario e a quello amministrativo (si veda anche Consiglio di Stato sentenza 24 ottobre 1996, n. 1273).

5. Nel caso di specie l’Amministrazione nel corso dell’istruttoria, senza svolgere un’indagine attinente al piano civilistico, si è limitata a constatare la mancanza di una situazione di certezza circa la titolarità dei manufatti di cui si tratta, richiedendo una documentazione integrativa che fosse idonea ad assentire le modifiche autonomamente poste in essere dal ricorrente.

Come ha confermato un ulteriore e recente pronuncia (Cons. Stato Sez. IV, 25-02-2013, n. 1144) “l’'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (riprodotto dall'art. 11 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - T.U. Edilizia), nel prevedere che la concessione edilizia (oggi permesso di costruire), sia rilasciata "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo", prevede anche che, in sede di rilascio, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che non appaiano controversi.

5.1 Detto orientamento ha sancito il principio che l’Amministrazione non può limitarsi alla verifica dell'esistenza del possesso dell'area (e cioè del concreto esercizio, da parte del richiedente del potere sulla cosa) tutte le volte che insorgano dubbi circa la titolarità della domanda.

Ne consegue l’infondatezza della censura dedotta”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 825 del 2013

Inottemperanza all’ordine di demolizione e individuazione dell’area di pertinenza

20 Giu 2013
20 Giugno 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 681 del 2013.

Scrive il TAR: "7.4 Come correttamente ricorda parte resistente l’atto con il quale si accerta l’inottemperanza dell’ordine di demolizione di un’opera edilizia abusiva ha un’efficacia meramente dichiarativa, limitandosi ad esternare e formalizzare effetti già verificatisi in base allo stesso ordine e, ciò, considerando che ai sensi dell’art. 7 comma 3 L. n.47/85 gli effetti costitutivi vanno ricondotti al semplice decorso del termine fissato nell’Ordinanza di demolizione (per tutti si veda Tar Puglia, Bari sez.III 16/02/2006).
7.5 Deve infatti essere ricordato che per un costante orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, 08-02-2012, n. 48) “Il provvedimento di acquisizione al patrimonio del comune di un'opera edilizia abusivamente realizzata (art. 31 d.p.r. n. 380 del 2001 - T.U. Edilizia) ha come unico presupposto l'accertamento dell' inottemperanza ad un ordine di demolizione di opere abusive. Si tratta di un atto dovuto avente natura dichiarativa e meramente consequenziale all'inottemperanza all'ordine di demolizione, che trova il suo diretto fondamento nella legge che indica le conseguenze dell'inottemperanza alla disposta ingiunzione. Pertanto, la mancata indicazione delle conseguenze derivanti dall'inottemperanza all'ordine di demolizione, non infirma il procedimento preordinato alla demolizione delle opere abusive, in quanto concernente effetti automatici ex lege (ossia ex art. 31, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 - T.U. Edilizia), come tali presuntivamente conosciuti dai destinatari”.
7.6 Sempre nel caso di specie va, altresì, ritenuto applicabile quelle pronunce che hanno sancito il principio in base al quale l’individuazione dell’area di pertinenza della res abusiva non deve realizzarsi al momento dell’emanazione dell’ingiunzione di demolizione, bensì in un provvedimento successivo con il quale viene accertata l’inottemperanza e si procede all’acquisizione gratuita del bene al patrimonio del Comune ai sensi dell’art. 7 della L. n.  47/1985. Si è infatti, precisato (per tutti T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, 21-02-2011, n. 291) che “l'ordinanza di ingiunzione alla demolizione di un immobile abusivo, e quella di acquisizione al patrimonio comunale, possono essere adottate senza la specifica indicazione delle aree oggetto di acquisizione, giacché a tale individuazione può procedersi, sulla base dell'art. 31 D.P.R. n. 380/2001, con successivo e separato atto”. Ne consegue che preso atto della difformità sostanziale del manufatto esistente rispetto a quello assentito e, considerato come il provvedimento di acquisizione abbia un’efficacia dichiarativa, il Comune avrebbe potuto con un successivo atto – di competenza della Direzione Patrimonio – far luogo agli adempimenti (es. la trascrizione sui registri immobiliari) idonei ad attestare un trasferimento della proprietà già di fatto avvenuto".

sentenza TAR Veneto 681 del 2013
 

Legge regionale n. 11 del 14 giugno 2013 – Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto.‏

20 Giu 2013
20 Giugno 2013

Sul Bur n. 51 del 18 giugno 2013 è stata pubblicata la legge regionale n. 11 del 14 giugno 2013, recante "Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto".

Art. 50
Disposizioni finali e transitorie

 4. Restano confermate e conservano validità:

 a) le autorizzazioni all’esercizio di strutture ricettive alberghiere e di strutture ricettive all’aperto, già rilasciate o rinnovate prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

 b) le dichiarazioni o segnalazioni certificate di inizio attività relative a strutture ricettive extralberghiere presentate prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

c) autorizzazioni all’apertura di agenzie di viaggi, già rilasciate o rinnovate prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 38;

 d) l’elenco provinciale delle agenzie di viaggio e turismo e l’albo provinciale dei direttori tecnici, già disciplinati, rispettivamente, dagli articoli 74 e 78 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni;

 e) i provvedimenti di classificazione a residenza d’epoca, già rilasciati prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

 f) limitatamente all’esclusivo ambito della disciplina turistica, la destinazione d’uso edilizia, la capacità ricettiva ed i requisiti dimensionali e strutturali delle strutture ricettive già autorizzati prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

 g) limitatamente all’esclusivo ambito della disciplina turistica, la destinazione d’uso edilizia, i requisiti dimensionali e strutturali delle strutture ricettive con progetti di nuova costruzione o ristrutturazione edilizia presentati in comune prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

 h) l’albo provinciale delle associazioni Pro Loco, già disciplinato dall’articolo 10 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33.

 5. Nel caso di progetti di nuova costruzione o ristrutturazione edilizia di strutture ricettive, presentati in comune a partire dalla data di pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31, i requisiti dimensionali e strutturali previsti dal provvedimento si applicano limitatamente ai nuovi volumi delle strutture ricettive.

 6. Le strutture ricettive già classificate alla data di entrata in vigore della presente legge e le sedi congressuali già esistenti alla stessa data, devono ottenere la nuova classificazione, su domanda, ai sensi della presente legge, entro il termine di dodici mesi, prorogabile di sei mesi con motivata richiesta, dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31; decorso inutilmente tale termine, il comune competente, su segnalazione della provincia, procede alla chiusura delle strutture ricettive o sedi congressuali non classificate ai sensi della presente legge.

 7. I bed & breakfast, le foresterie per turisti e le unità abitative ammobiliate ad uso turistico non classificate, già regolarmente esercitate prima dell’entrata in vigore della presente legge regionale, devono ottenere la classificazione, su domanda, ai sensi della presente legge, entro il termine di dodici mesi, prorogabile di sei mesi con motivata richiesta, dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31; decorso inutilmente tale termine, il comune competente, su segnalazione della provincia, procede alla chiusura della struttura non classificata.

 8. I rifugi escursionistici, già classificati in vigenza della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni, devono ottenere la denominazione e la corrispondente classificazione, su domanda, di rifugio alpino, ai sensi della presente legge, entro il termine di dodici mesi, prorogabile di sei mesi con motivata richiesta, dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31; decorso inutilmente tale termine, il comune competente, su segnalazione della provincia, procede alla chiusura del rifugio escursionistico.

 9. Ai procedimenti amministrativi e di spesa in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e fino alla loro conclusione, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni".

E’ entrata in vigore la riforma del condominio

20 Giu 2013
20 Giugno 2013

Il giorno 18 giugno 2013 è entrata in vigore la legge 11 dicembre 2012, n. 22, recante "Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici".

Legge 220 del 2012

Il CdS ritiene non più ammessa dall’ordinamento la c.d. “sanatoria giurisprudenziale” edilizia (occorre la doppia conformità)

19 Giu 2013
19 Giugno 2013

Lo dice nella sentenza n. 3220 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "1.1. Infatti, è pur vero che il principio della cd. “doppia conformità” ex art. 13 1. n. 47 del 1985 può manifestarsi nelle forme, secondo un certo orientamento giurisprudenziale, definite “sanatoria giurisprudenziale”, e può essere riferibile all'ipotesi di specie, in modo da risultare conforme al principio di proporzionalità e ragionevolezza nel contemperamento dell'interesse pubblico e privato, poiché imporre per un unico intervento costruttivo, comunque attualmente conforme, una duplice attività edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria, lederebbe lo stesso interesse pubblico tutelato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 7 maggio 2009, n. 2835; sez. V, 29 maggio 2006, n. 3267).

Infatti, sulla base della succitata considerazione, è stato ammesso che la sanatoria edilizia possa intervenire anche a seguito di conformità sopraggiunta dell'intervento in un primo tempo illegittimamente assentito, divenuto cioè permissibile al momento della proposizione della nuova istanza dell'interessato, posto che questa si profila come del tutto autonoma rispetto all'originaria istanza che aveva condotto al permesso annullato in sede giurisdizionale, in quanto basata su nuovi presupposti normativi in materia edilizia; all’opposto, si è ritenuto irragionevole negare una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente concedibili al momento della nuova istanza.

Tale principio, tuttavia, è stato disatteso da un diverso e più consolidato orientamento, secondo cui la “sanatoria giurisprudenziale”, in quanto introduce un atipico atto con effetti provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione normativa, non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento, caratterizzato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, secondo il principio di nominatività, poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e pena l’invasione nelle sfere di attribuzioni riservate all’Amministrazione.

Alla luce di tali argomenti, è altresì evidente che l’eccezione di incostituzionalità della norma di cui all'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, così come dedotta dall’appellante, è manifestamente infondata, poiché sarebbe, semmai, l’eventuale istituto della sanatoria giurisprudenziale ad essere sospetto di compatibilità con il nostro sistema costituzionale.

Peraltro, la norma in esame, richiedente per la sanatoria delle opere realizzate senza concessione e delle varianti non autorizzate, che l'opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell'opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, è una disposizione la cui ratio è legata al contrasto all'inerzia dell'Amministrazione; ciò significa che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda; tale ratio della norma è del tutto comprensibile, quindi, e compatibile con i precetti costituzionali di cui all’art. 97 Cost.

Pertanto, in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, contenente l'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, l'Autorità amministrativa, che non è chiamata a compiere scelte discrezionali, deve esclusivamente accertare la c.d. doppia conformità dell'intervento realizzato alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti (generali e di attuazione), oltre che la sua non contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da strumenti urbanistici solo adottati (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 17 settembre 2007, n. 4838; sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126).

Peraltro, giova osservare che l’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 20012, n. 380 - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, norma attualmente vigente sul medesimo tema, e non innovativa rispetto alla norma anteriormente vigente (l’art. 13 1. n. 47 del 1985), e che disciplina l’accertamento di conformità richiesto dalla ricorrente, recita: “In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire…il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda” (cfr. Consiglio di Stato, sez. I, parere 24 giugno 2011, n. 4162/09; sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2306).

Pertanto, è la stessa norma, che come si ribadisce non ha carattere innovativo, trattandosi di norma raccolta nel predetto T.U. ai fini del coordinamento normativo ex art. 7 Legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998 – Bassanini Quater), che attualmente conferma l’insussistenza dell’istituto sopra sunteggiato, denominato “sanatoria giurisprudenziale”.

Conclusivamente, dall’art. 13 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 non è ricavabile alcun diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l'autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria.

Nel caso di specie (come si evince dalla relazione depositata dal comune intimato in primo grado) risulta che le opere in assenza di concessione, ovvero la sopraelevazione di porzione di edificio fino a mt. 9.50, sono state realizzate nell’agosto 1999 mentre era vigente l’art. 33.3.4. delle N.T.A del P.R.G. che permetteva un’altezza massima di mt. 8.50; solo al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria il suddetto articolo, nel frattempo modificato, autorizzava un’altezza massima di mt. 10.50, così consentendo tale intervento, non però anche l’eventuale sanatoria, che richiedeva la doppia conformità e che è stata dunque legittimamente negata, mancando la conformità originaria dell’opera.

1.2. Anche la censura d’appello relativa all’illegittimità del diniego di sanatoria per omessa acquisizione del parere della commissione edilizia è infondata, atteso che, come detto, nell'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, l'Autorità amministrativa non è chiamata a compiere scelte discrezionali, bensì deve esclusivamente accertare la c.d. doppia conformità dell'intervento realizzato alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti (generali e di attuazione), oltre che la sua non contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da strumenti urbanistici solo adottati (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 17 settembre 2007, n. 4838; sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; sez. IV, 12 febbraio 2010, n. 772), rendendo pertanto irrilevante e superflua una fase istruttoria specificamente destinata all’esame di questioni che necessitano di valutazioni tecnico-discrezionali, quali caratterizzano l’attività delle commissioni edilizie".

sentenza CDS 3220 del 2013

La gestione dell’impianto sportivo comunale rappresenta una concessione di servizi

19 Giu 2013
19 Giugno 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 10 giugno 2013 n. 797, si occupa della gestione degli impianti sportivi comunali chiarendo che la loro gestione si sostanzia in una concessione di servizio pubblico e non in una concessione d’uso di un bene pubblico privo di rilevanza economica come affermato dalla parte ricorrente: “8.6. Ed invero, la fattispecie oggetto di scrutinio risulta senz’altro riconducibile alla concessione di servizio pubblico. Infatti, il bene affidato in gestione (impianto sportivo) rientra nella previsione dell’ultimo capoverso dell’art. 826 cod. civ., ossia in quella relativa ai beni di proprietà dei comuni destinati ad un pubblico servizio e perciò assoggettati al regime dei beni patrimoniali indisponibili, i quali, giusto il disposto dell’art. 828, non possono essere sottratti alla loro destinazione (cfr. CDS, sez. V, n. 2385 del 2013). La gestione degli impianti sportivi sottende senz’altro ad un’attività di interesse generale, come confermato dal fatto che l’ordinamento sportivo è connotato da un’organizzazione di stampo pubblicistico, con al vertice il CONI, ente pubblico, e quindi le federazioni sportive, qualificate dalla legge istitutiva di detto ente come organi dello stesso, soggetti incaricate di funzioni di interesse generale, consistenti nella promozione ed organizzazione dello sport (artt. 2, 3 e 5 legge n. 426/1942, istitutiva del CONI).

8.7. Peraltro, proprio il tenore letterale di alcune previsioni della “convenzione per la gestione ed uso impianto sportivo” allegata al bando di gara (cfr. doc. 3 del ricorrente) assoggetta il privato concessionario a vincoli gestionali puntuali, esorbitanti rispetto alla conduzione di un’attività di impresa: si allude a quelli concernenti la predisposizione di un programma di attività di valorizzazione degli impianti in relazione alle esigenze della collettività sportiva da redigere annualmente in accordo con il Comune di Venezia (art. 2), nonché gli obblighi di rendicontazione (art. 11) e soggezione ai poteri di controllo e verifica dell’amministrazione concedente (art. 15).

8.7.1. Tali finalità di “promozione di attività volte a favorire l’aggregazione e la solidarietà sociale” e di “massima diffusione dello sport a tutti i livelli” sono del resto ben specificate nel progetto gestionale presentato in sede di gara dal Raggruppamento Associazione Marzenego a.s.d. (cfr. doc. 7 del ricorrente).

8.8. Il concessionario è inoltre tenuto all’applicazione e alla riscossione delle tariffe d’uso stabilite dall’Amministrazione (art. 19), sicché deve ritenersi che l’operatore si assume, a differenza di quanto accade con l’appalto, i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione della tariffa (cfr. ex multis CDS, sez. VI, n. 4682 del 2012)”.

In considerazione di quanto esposto il T.A.R. giunge a ritenere che: “alla fattispecie oggetto di giudizio, non risulta invero applicabile il rito speciale di cui all’art. 120 c.p.a., trattandosi di concessione (non già di affidamento) di servizio pubblico, in quanto tale sottratta all’applicazione delle disposizioni del codice dei contratti (cfr. art. 30 del codice dei contratti) e non ricompresa nella specifica previsione di cui al combinato disposto degli artt. 119 e 120, comma 1, lettera a), del c.p.a.”.

Ma davvero una concessione di servizio pubblico non rientra nel concetto di “affidamentoex artt. 119 e 120 c.p.a.?

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 797 del 2013

Frazionamento artificioso degli appalti del verde pubblico per stare sotto i 20 mila euro: è turbativa d’asta

19 Giu 2013
19 Giugno 2013

Sull'Arena.it si legge che un funzionario comunale veronese è stato arrestato per avere frazionato gli appalti relativi alla gestione del verde pubblico in modo da stare sotto i 20 mila euro e procedere quindi con affidamento diretto.

La Procura ritiene che si tratti di turbativa d'asta.

L'Arena.it

Video convegno del 31 maggio 2013 su PAI e altre complicazioni

18 Giu 2013
18 Giugno 2013

Pubblichiamo le registrazioni video delle relazioni del convegno del 31 maggio 2013 sul PAI (dott. geologo Rimsky Valvassori); terre e rocce da scavo (avv. Vincenzo Pellegrini); profili penalistici (avv. Novelio Furin); legge sulle pubblicazioni obbligatorie (avv. Stefano Bigolaro); conclusioni (prof. avv. Alessandro Calegari).

Quando si apre la pagina su YouTube, c'è un tempo di attesa di circa 1 minuto prima che il video parta in automatico.

Dott. Valvassori

Avv. Vincenzo Pellegrini

Avv. Novelio Furin

Avv. Stefano Bigolaro

Prof. Avv. Alessandro Calegari

Per la Commissione europea l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria sottosoglia è salva

18 Giu 2013
18 Giugno 2013

Articolo tratto da:

http://fainotizia.delta.radioradicale.it/contributo/04-06-2013/testo/opere-di-urbanizzazione-commissione-europea--Decreto-SalvaItalia-Governo-Monti%20

"...La Commissione ha deciso di non dare seguito ad un reclamo presentato in merito all’articolo 16 comma 2bis del DPR 380/2001 introdotto nell’ordinamento con il Decreto SalvaItalia del Governo Monti.

Per la Commissione affidare l’esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria sotto la soglia comunitaria (5 milioni di euro), senza l’obbligo di applicare il Codice dei Contratti, non è contrasto con il diritto comunitario in materia di appalti, a condizione che venga comunque rispettato l’art. 29 del Codice dei Contratti per il calcolo dell’importo dei lavori da aggiudicare, e che non si proceda all’affidamento diretto, senza trasparenza, di appalti qualora vi sia un interesse transfrontaliero certo.

Per la Commissione la formulazione del comma 2bis non è chiara. 

COSA PREVEDE IL COMMA 2BIS DELL’ART.16 DPR 380/2001

Con una norma inserita nel cosiddetto Decreto SalvaItalia, il Governo Monti ha modificato, alla fine del 2011, la disciplina relativa all’esecuzione delle opere di urbanizzazione correlate e funzionali agli interventi di trasformazione del territorio.

Nel nostro ordinamento, il titolare del permesso di costruire deve assicurare la presenza delle opere di urbanizzazione (strade, fognature, attrezzature, verde pubblico, etc.), e dotare gli edifici privati che realizza delle attrezzature e dei servizi necessari, nel rispetto delle grandezze urbanistiche minime (standard) stabilite dalla normativa statale e dalla strumentazione urbanistica comunale. L'operatore può assolvere a questo obbligo, versando i contributi necessari alla loro realizzazione (il cosiddetto contributo per il rilascio del permesso di costruire articolo 16 D.P.R. 380/2001, gli oneri concessori della cosiddetta legge Bucalossi), oppure facendosi carico della loro esecuzione, attraverso la stipula di un'apposita convenzione urbanistica con il Comune, detraendone il valore economico dalle somme che l'operatore è comunque tenuto a versare nelle casse comunali, in base al citato articolo 16, a titolo di contributo per l'urbanizzazione.

Per effetto della progressiva affermazione dell’orientamento comunitario, questa disposizione è stata progressivamente modificata preservando la facoltà, per il titolare del permesso di costruire, di assumere l’onere di eseguire le opere oggetto di convenzionamento con l’Amministrazione, ma assoggettando lo stesso titolare del permesso all’obbligo di procedere, al pari di una amministrazione aggiudicatrice, nel rispetto delle disposizioni del Codice dei Contratti.

L’equilibrio normativo sancito con le modifiche al Codice dei Contratti approvate con il Decreto Legislativo 152/2008 (il cosiddetto terzo decreto correttivo) - in base al quale sono stati individuati due distinti sistemi di aggiudicazione: uno per le opere di urbanizzazione eseguite dal titolare del permesso di costruire di importo sopra la soglia comunitaria e uno per quelle di importo inferiore – è stato però modificato, per opera del Governo Monti, che ha introdotto all’articolo 16 del Testo Unico sull’Edilizia il comma 2bis.

Con questa norma, il titolare del permesso di costruire può realizzare ovvero affidare direttamente l’esecuzione dei lavori per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria che hanno un importo fino a 5 milioni di euro, e non ha l’obbligo di rispettare le norme del Codice dei Contratti.

Ciò significa che - per utilizzare le parole usate nella Deliberazione n. 43/2012 (punto 4 dei “Ritenuto in diritto”) dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici - è consentito “all’operatore privato di gestire contratti fino ad un valore di 5 milioni di euro, senza tracciabilità degli eventuali, e consistenti, ribassi d’asta, subappalti, qualificazione delle imprese esecutrici dei lavori stessi, vigilanza dell’Autorità, per opere di urbanizzazione di pubblica utilità che saranno acquisite al patrimonio comunale”

LA COMMISSIONE EUROPEA SALVA LA NORMA

Per chiedere alla Commissione Europea di pronunciarsi sulla compatibilità della norma in questione con il diritto europeo degli appalti pubblici è stato presentato un formale reclamo nel mese di agosto del 2012. Gli Uffici della Commissione hanno deciso di non dare seguito al reclamo salvando il comma 2bis dell'articolo 16 del Testo Unico sull'Edilizia approvato con il Decreto Salva Italia del Governo Monti.

Per gli appalti sotto la soglia comunitaria le direttive non sono vincolanti - Nella prima nota di riscontro al reclamo, la Commissione motiva la scelta di non dare seguito alla segnalazione affermando - in parziale contraddizione con la posizione assunta dalla stessa Commissione nel giudizio contro l’art.2 c.5 della legge Merloni conclusosi con la sentenza della Corte di Giustizia UE del 21 febbraio 2008- che l’obbligo, a carico degli Stati membri, di applicare le Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE vale soltanto per gli appalti di importo uguale o superiore alle soglie fissate dalle medesime direttive, e non per quelli di importo inferiore quali quelli disciplinati dall’art.16 comma 2bis del D.P.R. 380/2001.

Nessun rischio di frazionamento artificioso delle opere oggetto della Convenzione - Nella stessa nota del febbraio scorso, gli Uffici della Commissione hanno chiarito che l’ordinamento italiano, anche dopo l’introduzione del comma 2bis, non è stato riportato nella situazione giuridica - oggetto della ricordata condanna da parte della Corte di Giustizia UE - in base alla quale è possibile procedere all’aggiudicazione del complesso di opere di urbanizzazione, oggetto del convenzionamento con il Comune, per lotti di importo inferiore alla soglia comunitaria, con il solo scopo di eludere gli obblighi stabiliti dalle direttive comunitarie.

Come si legge nella nota, secondo la Commissione non è possibile ricorrere al frazionamento artificioso delle opere convenzionate dal momento che l'art. 29. comma 7 lettera a) del Codice dei contratti pubblici prevede che quando un'opera prevista possa dare luogo ad appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti distinti, il valore da considerare è quello complessivo stimato della totalità di tali lotti.

LE CONCLUSIONI DELLA COMMISSIONE

In merito alla prima obiezione, nella nota del 22 maggio con la quale è stato deciso, a titolo definitivo, di non dare seguito al reclamo, la Commissione ha scritto che l’articolo 29 del Codice dei Contratti, in quanto norma strumentale, si deve applicare a tutti gli appalti pubblici e che - indipendentemente da quanto scritto nell’art.16 c.2bis DPR 380/2001 - il metodo di calcolo fissato da questo articolo del Codice deve essere applicato comunque per individuare gli appalti rispetto ai quali trova applicazione il regime derogatorio del citato comma 2bis, e quelli rispetto ai quali continuerà a trovare applicazione, integralmente, il Codice dei Contratti.

In merito all’applicabilità degli artt. 43 CE e 49 dei Trattati, la Commissione ha precisato – o più precisamente ha avvisato le amministrazioni aggiudicatrici italiane - che “qualora vi sia un interesse trans-frontaliero certo” nell’esecuzione di opere di urbanizzazione primaria, un affidamento diretto dei lavori - in conformità con l’articolo 16 comma 2bis – “senza alcuna trasparenza ad un soggetto appartenente allo Stato membro” si può configurare come una violazione dei principi del Trattato.

PER LA COMMISSIONE LA NORMA È SALVA MA NON È CHIARA

La nota del 22 maggio non contiene soltanto le segnalazioni e avvisi per addetti ai lavori, ma anche un giudizio complessivo sulla norma e sulla sua formulazione molto incerta.

In merito a ciò la Commissione scrive letteralmente “l’interpretazione della norma non è univoca. In particolare non è chiaro se l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria «a carico» del titolare del permesso di costruire sia complementare o alternativa all’obbligo previsto dal comma 1 dello stesso articolo, e in particolare se anche in tal caso sia prevista la possibilità di scomputo totale o parziale della quota relativa agli oneri di urbanizzazione”

In altri termini la Commissione afferma che la norma non stabilisce chiaramente se l’esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria sotto la soglia comunitaria, con le modalità “derogatorie” previste dal dell’articolo 16 comma 2bis del DPR 380/2001, sia una prestazione complementare – e dunque che si vada ad aggiungere - all’obbligo di corrispondere il contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione (art. 16 comma 1), oppure se vada considerata come una prestazione sostitutiva di quest’ultimo obbligo.

Il punto sul quale la Commissione afferma che la norma non è chiara è piuttosto delicato, dal momento che, ove si intenda che l’esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria in base all’art.16 comma 2bis DPR 380/2001 sia “complementare” all’obbligo di cui al comma 1 dello stesso articolo, per il titolare del permesso di costruire, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 16 comma 2 - e a quanto continuerebbe ad accadere per le opere sopra la soglia comunitaria – non sarebbe possibile portare in detrazione il valore economico delle opere di urbanizzazione primaria eseguite in base al comma 2bis, dai contributi dovuti...".

Parere Comm_Europea opere primarie sottosoglia_22.05.13

Piano Casa: il TAR Veneto conferma che deroga alle distanze dai confini previste dai Piani Urbanistici

18 Giu 2013
18 Giugno 2013

Lo dice la sentenza n. 835 del 2013.

Scrive il TAR: "Premesso, nel merito, che l’intervento in questione risulta progettato ai sensi e per gli effetti della L.r. n. 14/09, come modificata dalla successiva L.r. n. 13/2011;

- che il Comune di Gruaro ha negato il permesso di costruire richiamando il comma 5 dell’art. 11 delle n.t.a. del p.r.g., che prevede che l’edificazione in aderenza al confine di proprietà, nel caso in cui il lotto sia inedificato, deve essere, mediante specifico atto, preventivamente consentita dal confinante; atto di consenso mancante nel caso di specie;

- che, in particolare, il Comune di Gruaro, nel motivare il diniego, ha ritenuto che la valenza derogatoria della normativa sul Piano Casa nei confronti delle disposizioni locali in materia urbanistico - edilizia, sia limitata alle disposizioni in materia di distanze e non alle altre norme contenute nel regolamento comunale e nelle n.t.a.;

Considerato che, ai sensi dell’art. 2 comma 1, la L.r. n. 14/09 opera “in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali, comunali, provinciali e regionali”;

Ritenuto che l’ampia locuzione usata dal legislatore include tutti i contenuti territoriali, urbanistici ed edilizi degli atti di pianificazione di ogni livello, con la sola esclusione, in quanto estranei al campo applicativo della L.r. n. 14/2009, dei contenuti ambientali o paesaggistici;

- che la legge citata, dunque, consente di derogare, non solo alle norme sulle distanze (diverse da quelle di fonte statale), ma anche a tutte le altre previsioni poste da fonti locali in materia urbanistico-edilizia, ivi comprese, quindi, le previsioni, come quella di specie, che subordinano la facoltà di costruire sul confine al previo consenso del vicino;

Considerato, infine, che non è in questione il rispetto delle distanze tra fabbricati di cui all’art. 873 c.c. e al D.M. 1444/68, in quanto, nel caso di specie, il fondo confinante è inedificato;

- che, di conseguenza, il diniego impugnato, nella parte in cui condiziona il rilascio del titolo abilitativo alla produzione di un atto di consenso del proprietario confinante, sulla base del comma 5 dell’art. 11 delle n.t.a. del p.r.g., risulta illegittimo per contrasto con la speciale disciplina derogatoria introdotta dalla normativa sul “Piano Casa”;

per detti motivi il ricorso va accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato".

sentenza TAR_Veneto 835 del 2013

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