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Progetto di riforma della legge regionale in materia di aree protette e parchi

18 Giu 2013
18 Giugno 2013

La normativa regionale in vigore è la L. R. 16 agosto 1984, n. 40 (BUR n. 38/1984) intitolata “nuove norme per la istituzione di parchi e riserve naturali regionali”. All’art. 1 si legge “Nell’assolvimento delle proprie funzioni di tutela dell’ambiente naturale e al fine di assicurare la conservazione e la valorizzazione dell’ambiente naturale nelle zone di particolare interesse paesaggistico, naturalistico ed ecologico, nonchè allo scopo di promuoverne lo studio scientifico, di rendere possibile l’uso sociale dei beni e di creare, specie nelle zone rurali e montane, migliori condizioni di vita per le collettività locali, la Regione Veneto istituisce parchi e riserve naturali regionali, assicurandone il funzionamento con adeguate misure finanziarie e favorisce l’istituzione di parchi e riserve naturali regionali di interesse locale da parte di Province, Comuni, Comunità montane e relativi Consorzi, nonchè da parte delle Comunioni familiari montane, anche associate fra loro”.

Sull’argomento sono stati presentanti 3 progetti di legge, attualmente all’esame del Consiglio Regionale e relativi alla nuova normativa in materia di aree protette, che intendono aggiornare l’attuale normativa in vigore. Il primo è stato presentato dalla Giunta Regionale, il secondo da alcuni consiglieri regionali del PD ed il terzo è di iniziativa dei Consiglieri comunali di Arquà Petrarca, Cervarese S. Croce, Cinto Euganeo e Baone d'Este.

La proposta della Giunta regionale mira alla razionalizzazione degli Enti nella logica della spending review, ovvero semplificazione ed alla razionalizzazione della gestione, nonché al controllo della spesa pubblica, unificando l'attuale disciplina delle singole leggi istitutive dei parchi regionali, stabilendo la composizione degli organi e il numero dei componenti degli stessi in modo univoco. Tal progetto di legge non prevede più il Consiglio dell'Ente, organo politico assembleare, mentre il Consiglio Direttivo sarà costituito dal presidente dell'Ente e da 4 componenti; è altresì prevista la Comunità del Parco, i cui componenti parteciperanno a titolo gratuito, con funzioni consultive.

La proposta del Partito Democratico, invece, si pone l'obiettivo di pensare soprattutto ad una valorizzazione dei parchi coniugando lo sviluppo locale con la biodiversità delle aree protette. Il progetto di legge nasce da premesse opposte a quelle della Giunta, ovvero che la tutela e la valorizzazione del territorio siano un investimento, puntando sul valore paesaggistico del piano del parco e l'introduzione delle missioni di scopo e delle aree contigue.

La proposta dei Consiglieri Comunali mira a salvaguardare le competenze di autogoverno delle comunità locali, valorizzare la democrazia partecipativa all'interno del Parco e fare dell'ente regionale un motore di sviluppo e di rilancio turistico di un'area di singolare pregio ambientale. L'iniziativa degli Ammnistratori Locali nasce in alternativa al disegno di legge della Giunta regionale, che mira a semplificare il sistema di governo dei cinque parchi regionali riconducendoli ad un'unica direzione regionale.

dott.sa Giada Scuccato

Progetto di legge nr. 286 pervenuto in commissione il 17/07/2012 ed illustrato il 12/09/2012, denominato “Norme per la tutela della rete ecologica regionale” di iniziativa della Giunta regionale

http://www.consiglioveneto.it/crvportal/pdf/pratiche/9/pdl/PDL_0286/1000_5Ftesto_20presentato.pdf

Progetto di legge nr. 335 pervenuto in II commissione il 22/03/2013 ed illustrato il 03/04/2013, denominato “Disposizioni di riordino e di semplificazione normativa in materia di aree naturali protette, modifiche alla legge regionale 10 ottobre 1989, n. 38 “Norme per l’istituzione del Parco regionale dei Colli Euganei” di iniziativa delle Amministrazioni comunali di Arquà Petrarca, Cervarese S.Croce, Cinto Euganeo, Baone ed Este.

http://www.consiglioveneto.it/crvportal/pdf/pratiche/9/pdl/PDL_0335/1000_5Ftesto_20presentato.pdf

Progetto di Legge nr. 337 pervenuto in  II commissione il 25/03/2013 ed illustrato il 03/04/2013, denominato “Sistema delle aree protette della Regione del Veneto: organizzazione, tutela e valorizzazione” di iniziativa dei Consiglieri Azzalin, Berlato Sella, Bonfante, Bortoli, Fasoli, Fracasso, Pigozzo, Puppato, Reolon, Ruzzante, Sinigaglia e Tiozzo

http://www.consiglioveneto.it/crvportal/pdf/pratiche/9/pdl/PDL_0337/1000_5Ftesto_20presentato.pdf

La Corte Costituzionale “impallina” la legge regionale che esenta da titolo edilizio e autorizzazione paesaggistica i “casoti da cacia”

17 Giu 2013
17 Giugno 2013

Con la sentenza n. 139 del 2013 la Corte Costituzionale :

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3, della legge della Regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”), nella parte in cui esenta dall’assoggettamento al regime dell’autorizzazione paesaggistica gli appostamenti per la caccia al colombaccio;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, della legge della Regione Veneto n. 25 del 2012, nella parte in cui esenta dall’assoggettamento al regime del titolo abilitativo edilizio e dell’autorizzazione paesaggistica gli appostamenti fissi per la caccia.

La legge era stata impugnata dal Consiglio dei Ministri. E' interessante ricordare le motivazioni dell'impugnazione:

"1.− Con ricorso notificato il 10 settembre 2012 e depositato il successivo 17 settembre (reg. ric. n. 122 del 2012) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 3, e 2, comma 1, della legge della Regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”), in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione.

Le disposizioni impugnate modificano la legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio).

In particolare, l’art. 1, comma 3, aggiungendo un comma 3-bis all’art. 20-bis di quest’ultimo testo normativo, stabilisce che «gli appostamenti per la caccia al colombaccio di cui al presente articolo sono soggetti alla comunicazione al comune e non richiedono titolo abitativo edilizio ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia” e successive modificazioni e si configurano quali interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica, ove siano correttamente mimetizzati e siano realizzati, secondo gli usi e le consuetudini locali, in legno e metallo, di altezza non superiore il limite frondoso degli alberi e siano privi di allacciamenti e di opere di urbanizzazione e comunque non siano provvisti di attrezzature permanenti per il riscaldamento».

Il ricorrente ritiene lesiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.) la previsione che esclude gli appostamenti per la caccia al colombaccio, indicati dalla norma impugnata, dall’autorizzazione paesaggistica, dato che essa deve ritenersi richiesta ai sensi degli artt. 146 e 149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Tali interventi, infatti, non potrebbero avere carattere di lieve entità e non ricadrebbero, quindi, nel regime dell’“autorizzazione semplificata” di cui all’art. 1 del d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni).

La seconda disposizione impugnata, cioè l’art. 2, comma 1, aggiunge una previsione all’art. 9, comma 2, lettera h), della legge regionale n. 50 del 1993, stabilendo che «tutte le tipologie di appostamento di cui all’articolo 20 della presente legge e all’articolo 12, comma 5 della legge n. 157 del 1992, realizzate secondo gli usi e le consuetudini locali, sono soggette a comunicazione al comune e non richiedono titolo abitativo edilizio ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia” e successive modificazioni e si configurano quali interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica; per gli appostamenti che vengono rimossi a fine giornata di caccia non è previsto l’obbligo della comunicazione al comune territorialmente competente».

Il ricorrente in primo luogo formula la medesima censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. avanzata nei confronti dell’art. 3, comma 1, per la sottrazione di tutti gli appostamenti all’autorizzazione paesaggistica.

In secondo luogo, per l’esclusione della necessità del titolo abilitativo edilizio, il ricorrente denuncia la violazione del principio fondamentale in materia di governo del territorio (art. 117, terzo comma, Cost.) recato dall’art. 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A).

A parere del ricorrente, in base a questa disposizione restano soggetti a permesso di costruire interventi edilizi privi del carattere della precarietà funzionale, per la tipologia dei materiali impiegati e l’uso non temporaneo.

Gli appostamenti per la caccia rientrerebbero in tale fattispecie, avendo carattere fisso, sicché neppure in forza dell’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001, che pure consente alla Regione di estendere il regime dell’attività edilizia libera, il legislatore regionale avrebbe potuto derogare all’obbligo del permesso di costruire".

sentenza Corte Costituzionale 139 del 2013

                                                                            "secondo me i casoti sono tanto brutti...

                                                                               dal punto di vista  paesaggistico"

                                                                                                                      " ""  ""

                                                                                                                         "  "

                                                                                                                           "

E’ impugnabile il Pdc rilasciato al CTU nominato dal giudice dell’esecuzione civile?

17 Giu 2013
17 Giugno 2013

Segnaliamo la sentenza n. 831 del 13.6.2013, con cui il TAR del Veneto, sez. II, ha sancito l’inammissibilità di un ricorso proposto contro un permesso di costruire per demolizione, rilasciato dal comune al CTU nominato dal giudice dell'esecuzione civile, al fine di dare esecuzione ad una sentenza civile di condanna a demolire parte di un edificio per violazione delle distanze dal confine stabilite dal regolamento edilizio comunale.

Così motiva il TAR la sua decisione: “… i vizi dedotti con il ricorso principale (violazione delle norme del PATI e del PI poste a tutela del paesaggio, carenza di istruttoria con riferimento alle conseguenze della demolizione parziale sulla stabilità della restante parte dell’edificio) attengono a questioni che sono state già oggetto di cognizione da parte del Giudice dell’esecuzione per il tramite del nominato CTU, o in ogni caso, di questioni che attenendo alle modalità dell’esecuzione, possono formare oggetto solo di un’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., ma non di un autonomo ricorso al T.A.R.; altrimenti si verificherebbe una sovrapposizione ed un conflitto tra strumenti di tutela giurisdizionale.

Quindi, se i comuni dovessero trovarsi di fronte ad un CTU del Tribunale Civile che, su ordine del Giudice dell’Esecuzione, richiedesse il rilascio di un permesso a demolire, non potrebbe che rilasciarlo: “Il titolo edilizio in esame assume il carattere di atto totalmente vincolato, avverso il quale sono deducibili solo vizi estrinseci quali l'incompetenza dell'organo emanante, o violazioni procedimentali (cfr. T.A.R. Campania, Napoli n. 3757/2012).

sentenza TAR Veneto 831 del 2013

Il parere di compatibilità delle utilizzazioni idriche ad uso di scambio termico dell’Autorità di Bacino

17 Giu 2013
17 Giugno 2013

Con il parere 6dis/2012 il Comitato Istituzionale dell’autorità di Bacino dei Fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta-Bacchiglione e del Fiume Piave, ha emesso le “LINEE GUIDA PER IL RILASCIO DEL PARERE DI COMPATIBILITA’ DELLE UTILIZZAZIONI IDRICHE AD USO DI SCAMBIO TERMICO CON IL BILANCIO IDROGEOLOGICO”.

In merito si ricorda che “L’art. 96 prevede, infatti, che le Autorità di bacino, nell’ambito del procedimento di rilascio delle concessioni d’acqua, comunichino il loro parere vincolante in ordine alla compatibilità dell’utilizzazione con le previsioni del Piano di tutela, ai fini del controllo dell’equilibrio sul bilancio idrico o idrologico, anche in attesa dell’approvazione del piano anzidetto”. L’obiettivo del progetto è quello di “armonizzare il perseguimento degli obiettivi di tutela dello stato quantitativo dei corpi idrici e di salvaguardia degli utilizzi idropotabili, già indicato dalla direttiva 2000/60/CE, con le esigenze di incentivare lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, di cui le risorse geotermiche rappresentano una componente, come invece disposto dalla direttiva 2009/28/CE”.

Il contesto rispetto al quale si riferisce il documento qui in commento, è riconducibile a tutti quei  casi in cui la derivazione d’acqua sotterranea è concessa con le modalità previste dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici, di cui al Regio Decreto 11 dicembre 1933, n.1775. In tali casi, infatti, è richiesto il parere vincolante dell’Autorità di bacino ex art. 96 del D.lgs. 152/2006, il quale è espresso, come già esposto in premessa, in ordine alla compatibilità della derivazione idrica con i Piani di Tutela delle Acque regionali, ai fini del controllo sull’equilibrio del bilancio idrico.

Per il rilascio del parere relativo ad istanze di derivazione idrica per uso scambio termico, si ricorda che l’Autorità si pone come obiettivi principali:

1) il controllo del bilancio idrico;

2) la salvaguardia della qualità delle acque (aspetti batteriologici, fisici e geochimica);

3) la tutela dell’uso idropotabile delle acque sotterranee, incluso l’uso domestico non sottoposto ad

obbligo di concessione.

dott.sa Giada Scuccato

parere autorità

Il parere della terza commissione consiliare sul regolamento del commercio

14 Giu 2013
14 Giugno 2013

Pubblichamo il parere espresso dalla III Commisione Consiliare della REgione Veneto sul "Regolamento regionale recante gli indirizzi per lo sviluppo del sistema commerciale".  Il parere è stato chiesto ai sensi dell'art. art. 4, comma 1, della legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50.

Le istanze per modificare in regolamento in modo sostanziale non sono state ascoltate.

Regolamento commercio Parere Terza Commissione seduta 05 giugno 2013

 

                                                                

Qualche nota sul parere della III Commissione Consiliare sul regolamento del commercio

14 Giu 2013
14 Giugno 2013

Parere alla Giunta regionale n. 369

Regolamento regionale recante gli indirizzi per lo sviluppo del sistema commerciale.

Richiesta di parere alla Commissione consiliare (art. 4, comma 1, legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50).

 

La Terza Commissione consiliare, esaminata la proposta, nella seduta del 05 giugno 2013, ha espresso all’unanimità parere favorevole al testo presentato, con le modifiche di seguito elencate:

 

Articolo 2 – Criteri per la pianificazione locale: approccio sequenziale

1)     al comma 1, dopo le parole “strumento urbanistico comunale” è aggiunta la seguente frase: “,con variante al Piano degli Interventi (inseguito denominato” PI”),”;

Non risolve il problema, ma in buona parte lo elude. Se la “localizzazione” si deve comunque tradurre in una variante al P.I., cosa succede laddove c’è ancora il PRG? E laddove la “localizzazione” non rispondesse ai “criteri” di cui all’art. 13, lett. j), che sono contenuto del PAT?

Circa il problema delle “localizzazioni” già presenti negli strumenti urbanistici, soprattutto se tradottisi in convenzioni attuative sottoscritte e/o frutto di accordi pubblico-privati che le contemplano, si veda la modifica proposta al punto 2) dell’art. 9.

2)     i commi 2 e 3 sono soppressi;

E’ misura connessa a quella del punto 1), per cui valgono le considerazioni di cui sopra

3)     al comma 4 è aggiunto il seguente periodo: “Ai sensi dell’articolo 40, comma 2, della legge regionale n. 11 del 2004, costituiscono parte integrante dei centri storici le aree in essi ricomprese o circostanti che, pur non avendo le caratteristiche di cui al comma 1 del medesimo articolo, sono funzionalmente collegate in quanto interessate da analoghi modi d’uso”;

Positivo perché amplia il “perimetro” del centro storico ai fini della c.d. “liberalizzazione” delle localizzazioni al suo interno; non può essere sottaciuta la genericità dell’espressione “funzionalmente collegate in quanto interessate da analoghi modi d’uso”.

4)     al comma 5, le parole “gli ambiti caratterizzati da:” sono sostituite dalla seguente frase: “gli ambiti che presentino una o più delle seguenti caratteristiche:”;

Positivo

5)     al comma 8 le parole “con una o più deliberazioni” sono soppresse;

Ininfluente

6)     dopo il comma 17 è aggiunto il seguente comma:

        “18. I criteri di pianificazione di cui al presente articolo non trovano applicazione per le medie strutture di vendita le cui aree siano state localizzate dallo strumento urbanistico comunale alla data di entrata in vigore della legge regionale, in presenza, alla medesima data, di convenzioni urbanistiche o accordi tra soggetti pubblici e privati     sottoscritti ai sensi delle vigenti normative regionali.”

Tiene parzialmente conto delle osservazioni critiche avanzate in occasione dell’Audizione. Non si capisce perché, una volta affermato il principio della tutela dell’<aspettativa> fondata non solo sulla localizzazione disposta dallo strumento urbanistico generale, ma addirittura assistita dal convenzionamento, ovvero presupposta dall’accordo pubblico.-privato, il principio non debba valere anche per le grandi strutture di vendita.

Articolo 3 – Autorizzazione commerciale per grandi strutture di vendita

1)         Al comma 2 dopo le parole “(“conferenza di servizi”).” È aggiunto il seguente periodo “In particolare rientrano nella competenza comunale le verifiche in ordine ai profili urbanistici, edilizi e viabilistici di rango comunale dell’iniziativa commerciale, mentre rientrano nella competenza della Provincia le verifiche in ordine ai profili ambientali e viabilistici di rango provinciale; rientrano nella competenza regionale, unitamente alle verifiche dei profili viabilistici di rango regionale, le verifiche in ordine alla conformità dell’iniziativa commerciale alla normativa regionale.”.

Integrazione degna di monsieur de La Palisse: si sentiva effettivamente il bisogno di chiarire che rientrano nella competenza di un Ente i profili di “rango” di quell’Ente!

Articolo 4 – Valutazione integrata degli impatti

1)         Al comma 3 è aggiunta la seguente frase: “La verifica di sostenibilità ha luogo qualora a seguito della verifica di compatibilità sia stato attribuito almeno il punteggio minimo di ammissibilità di cui al comma 4.”;

Precisazione corretta.

2)         al comma 4, lettera A.3. prima delle parole “punti 6” è aggiunto l’inciso “fino a”;

Modifica opposta alle richieste formulate in Audizione: si sollecitava la riduzione/eliminazione della discrezionalità valutativa, suggerendo di sopprimere l’inciso “fino a” laddove presente, mentre nel parere della Commissione si introducono nuove situazioni in cui il punteggio non è più fisso, ma variabile fino ad una soglia massima!

3)         al comma 4, lettera A.4. prima delle parole “punti 4” è aggiunto l’inciso “fino a”;

Idem.

4)         al comma 4, lettera A.5.1. prima delle parole “punti 4” è aggiunto l’inciso “fino a”;

Idem.

5)         al comma 4, lettera a.5.2. prima delle parole “punti 3” è aggiunto l’inciso “fino a”;

Idem.

6)         al comma 4, lettera A.5.3. prima delle parole “punti 8”  è aggiunto l’inciso “fino a”;

Idem.

7)         al comma 4, dopo l’elencazione dei punteggi di cui alla lettera A) (componente urbanistico-territoriale) è aggiunta la seguente frase: “I fattori di valutazione di alle lettere A1 e A2 sono alternativi.”;

Precisazione corretta.

8)         al comma 5, Quadro A, lettera D.4.3., dopo la parola “Km” è aggiunta la seguente frase: “calcolati secondo il percorso stradale,”; Precisazione corretta. prima del numero “15” è aggiunto l’inciso “fino a”; Vedi annotazione ai punti da 2) a 6).

9)         al comma 5, Quadro A, lettera D.4.4., dopo la parola “Km” è aggiunta la seguente frase: “, calcolati secondo il percorso stradale,”; prima del numero “20” è aggiunto l’inciso “fino a”; Vedi punto precedente.

10)       al comma 5, Quadro B, lettera C.3., è aggiunta la seguente frase: “(es. realizzazione di aree di parcheggio interrate o in struttura)”;

Precisazione corretta.

11)       al comma 6, dopo le parole “deve essere allegata” è inserito il seguente inciso “, a pena di inammissibilità,”;

Precisazione di utile chiarimento, anche se rigorosa.

12)       dopo il comma 6 è aggiunto il seguente comma:

            “7. Alla domanda di autorizzazione commerciale per grandi strutture di vendita è, altresì, allegata una scheda di autovalutazione del soggetto proponente in ordine alla compatibilità e sostenibilità dell’iniziativa commerciale ai sensi dei commi 4 e 5.”.

Aggiunta in linea di principio apprezzabile, peccato che alla scheda non venga attribuito alcun “ruolo” nella procedura di valutazione integrata degli impatti.

Articolo 9 – Interventi di rilevanza regionale

1)         al comma 2 dopo le parole “legge regionale” è aggiunto il seguente inciso “ovvero ai sensi delle vigenti normative regionali,”;

Altra precisazione degna di monsieur de La Palisse: forse che la “legge regionale” non fa anch’essa parte delle “vigenti normative regionali”?

2)         al comma 2 l’ultimo periodo da “Detti criteri” a “ampliamento” è sostituito dal seguente periodo: “Detti criteri non trovano applicazione nel caso di variante urbanistica localizzativa funzionale ad interventi commerciali di valorizzazione di complessi sportivi di interesse regionale situati all’interno dei comuni capoluogo. I criteri medesimi non trovano, altresì, applicazione nel caso di variante localizzativa funzionale ad un intervento commerciale di ampliamento.”.

Si tratta apparentemente di un ampliamento del novero della fattispecie per le quali è dato prescindere dai criteri “localizzativi” di cui all’art. 2. Nella sostanza, la norma verosimilmente mira ad “agevolare” concrete situazioni presenti nei comuni capoluogo  (di provincia?): ai vicentini viene in mente l’<Arena degli eventi> prevista da PAT e dal PI non solo come luogo di localizzazione del nuovo stadio e delle strutture sportive collaterali, ma anche di insediamenti commerciali, anche di GSV.

 

Modificata la legge: i Comuni possono acquistare a titolo oneroso i beni soggetti alle procedure di esproprio

14 Giu 2013
14 Giugno 2013

La legge 6 giugno 2013 n. 64 di conversione, con modificazioni, del D. L. 08 aprile 2013 n. 35, recante “Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché' in materia di versamento di tributi degli enti locali. Disposizioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria” e pubblicata nella G.U. n. 132 del 07 giugno 2013, conferma che gli enti locali possono acquistare immobili a titolo oneroso laddove siano dichiarati di pubblica utilità ex D.P:R. 327/2001, come preannunciato nel post del 28 maggio 2013.

La legge è entrata in vigore il giorno 08 giugno 2013e per la parte che ivi interessa recita: “Dopo l'articolo 10 sono inseriti i seguenti:

«Art. 10-bis (Norma di interpretazione autentica dell'articolo 12, comma 1-quater, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111). -

1. Nel rispetto del patto d stabilità  interno, il divieto di acquistare immobili a titolo oneroso, di cui all'articolo 12, comma 1-quater, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, non si applica alle procedure relative all'acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni effettuate per pubblica utilità ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, nonché' alle permute a parità di prezzo e alle operazioni di acquisto programmate da delibere assunte prima del 31 dicembre 2012 dai competenti organi degli enti locali e che  individuano con esattezza i compendi immobiliari oggetto delle operazioni e alle procedure relative a convenzioni urbanistiche previste dalle normative regionali e provinciali”.

dott. Matteo Acquasaliente

L. n. 64 del 2013

 

Ai fini dell’art. 873 del codice civile la nozione di “costruzione” è più ampia di quella di “edificio”

13 Giu 2013
13 Giugno 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 680 del 2013 contiene una ampia disamina della nozione di "costruzione" di cui all'art. 873 del codice civile. La discussione ruotava  intorno a due silos scoperti ad uso agricolo, a servizio della stalla esistente.

Scrive il TAR: "5. L’oggetto della controversia ora sottoposta a questo Collegio può essere circoscritta alla qualificazione della natura giuridica del manufatto in relazione al quale il soggetto controinteressato ha ottenuto l’emanazione del permesso di costruire in sanatoria.
5.1 A parere del Comune di Santa Giustina in Colle si tratterebbe di modesti manufatti la cui realizzazione non avrebbe comportato la creazione di superfici utili o volumi.
5.2 Confermando le argomentazioni del Comune il soggetto controinteressato rileva come detta impostazione sia stata, a sua volta, fatta propria anche dalla Soprintendenza nel momento in cui ha rilasciato il parere di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167 e 181 del D.Lgs. 42/2004 e, ciò, in considerazione del presupposto che la compatibilità paesaggistica può essere rilasciata in sanatoria solo nel caso in cui determinati lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili.
5.3 Il Comune di Santa Giustina in Colle fonda, pertanto, la legittimità del provvedimento impugnato evidenziando esso sia stato emanato in applicazione dell’art.4 punto 12 delle NTA, laddove queste ultime definiscono la distanza dai confini quale “distanza minima misurata con riferimento alla sola superficie coperta”. Considerato che nel caso di specie i manufatti risultano privi di una copertura, secondo l’Amministrazione comunale, ne conseguirebbe l’inapplicabilità della disciplina sulle distanze nella parte in cui sancisce il rispetto il limite minini dei 5 metri dai confini e, quindi, la legittimità della concessione in sanatoria ora impugnata.
6. Dette argomentazioni non possono essere condivise.
6.1 E’ del tutto evidente come nel caso di specie sia stata violato il connaturato disposto di cui all’art. 873 del codice civile e dell’art. 4 e 15 punto 4 delle NTA del Comune di Santa Giusta del Colle, laddove queste ultime prevedono la necessità del rispetto della distanza minima di 5 metri dal confine e, ciò, ricordando come uno dei muri di cui si compone il manufatto di cui si tratta sia stato realizzato proprio sul confine della proprietà.
6.2 Sul punto va ricordato che l’art. 873 del codice civile consente alle Amministrazioni comunali di prevedere distanze più ampie e, ciò, senza circoscrivere o limitare l’applicabilità di una disciplina di carattere nazionale. E’ del tutto evidente, infatti, che prevedere l’applicabilità della disciplina delle NTA, in materia di distanze, alle sole superficie coperte avrebbe l’effetto di introdurre una nuova nozione di costruzione, riferita appunto alle sole costruzioni coperte, circoscrivendo di fatto l’ambito dell’art. 873 del codice civile, introducendo delle deroghe ad una norma di fatto inderogabile.
6.3 Sul punto va ricordato che, come ha rilevato un costante orientamento giurisprudenziale (per tutti T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, 04-05-2011, n. 1174) “Agli effetti dell'art. 873 c.c., la nozione di costruzione, che è stabilita dalla legge statale, è unica, e non può essere derogata, sia pure al limitato fine del computo delle distanze, dalla normativa secondaria, giacché il rinvio contenuto nella seconda parte dell'art. 873 c.c., è limitato alla sola facoltà per i regolamenti locali di stabilire una distanza maggiore (tra edifici o dal confine) rispetto a quella codicistica”.
6.4 Anche la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che la nozione di costruzione agli effetti dell’art. 873 c.c. è unica e non può subire deroghe, neppure al limitato fine del computo delle distanze legali, da parte delle norme secondarie, in quanto il rinvio contenuto nella seconda parte del suddetto articolo ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore (Cass. civ. Sez. II 07 Ottobre 2005 n. 19530).
7. E’, allora, del tutto evidente che le NTA locali non possono fornire una nozione loro propria del concetto di costruzione e, ciò, sia
considerando “l’unicità” di detta nozione in quanto riferita ad una legge nazionale sia, rilevando come detta interpretazione implicherebbe la violazione di una norma anch’essa inderogabile.
8. Nel caso di specie è del tutto irrilevante che il manufatto sia privo di una copertura e, ciò, considerando come, ai fini dell'osservanza delle norme sulle distanze legali, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio.
8.1 Essa deve intendersi integrata tutte le volte in cui si sia in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, e con riferimento ad un manufatto che, per struttura e destinazione, abbia carattere di stabilità e permanenza.
8.2 Come ha ulteriormente precisato la Giurisprudenza di merito “la nozione di costruzione è comprensiva non solo dei manufatti in calce e mattoni, ma di qualsiasi opera che, indipendentemente dalla forma e dal materiale con cui è stata realizzata, determini un ostacolo del genere (Conferma della sentenza del T.a.r. Basilicata - Potenza, sez. I, n. 849/2009 e Cons. Stato Sez. IV, 22-01-2013, n. 354).
La successiva giurisprudenza, nell’elaborare una nozione di costruzione più ampia di quella di edificio, ha inteso escludere dall’ambito di applicazione dell’art. 873 del codice civile solo le opere realizzate nel sottosuolo o i manufatti che non si elevino oltre il livello del suolo e, ciò, nell’intento – argomentando a contrario - di ricomprendere tutte quelle opere dotate di immobilità e di stabile collegamento con il suolo.
8.3 Nel caso di specie, come ha rilevato correttamente la Corte di Cassazione nella sentenza di rinvio non siamo in presenza di un unico muro di cinta (come sostiene parte resistente), poiché i due muri risultano essere uniti da una platea di cemento, circostanza quest’ultima che consente di rinvenire l’esistenza di una vera e propria costruzione, a sé stante, e dotata di una propria e autonoma funzionalità".

sentenza TAR Veneto 680 del 2013

In materia di riscossione di contributi di urbanizzazione c’è la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo o quella del giudice ordinario a seconda delle questioni sollevate

12 Giu 2013
12 Giugno 2013

Con la sentenza n. 620 del 2013 il TAR Veneto ha deciso un ricorso col quale la parte ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’iscrizione a ruolo e della conseguente cartella di pagamento emessadalla Cariverona Banca spa, concessionaria della riscossione dei tributi per un comune, in relazione a un contributo di costruzione in entrambe le sue componenti (commisurate agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione). Secondo il ricorrente, nessun contributo è  dovuto trattandosi di intervento qualificabile come opera pubblica di interesse generale, esente dal contributo ex art. 9, comma 1, lett. f, L. 77/10.

Nel ricorso il ricorrente ha dedotto l’illegittimità del procedimento di riscossione seguito che, anziché avvenire attraverso le procedure di formazione del ruolo previste dall’art. 67 del D.P.R. n. 43/1988, avrebbe dovuto seguire la procedura di cui al regio decreto n. 639/1910, fondata sull’ingiunzione del sindaco. Con il secondo motivo di ricorso ha invece eccepito la nullità della notifica della cartella esattoriale, per assenza di elementi d’identificazione del debitore e dell’ufficiale esattore e per mancata indicazione della modalità di notifica.

Il Comune ha eccepito il difetto di giurisdizione del TAR, il quale ha così deciso: "Pregiudizialmente, deve essere accolta l’eccezione di difetto di giurisdizione. Infatti, nel caso in esame non viene contestata la debenza o la quantificazione del contributo di costruzione - questione che forma oggetto di separato giudizio e che, investendo il momento autoritativo del rapporto tra pubblica amministrazione e privato, ricade nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133 comma 1, lett. f, del c.p.a. - bensì la legittimità del procedimento di riscossione seguito e la validità formale del titolo esecutivo e della sua notifica. Pertanto, tali questioni, investendo il momento meramente esecutivo di riscossione coattiva del credito vantato dalla P.A. ed in particolare le modalità di esercizio dell’esecuzione forzata, non possono che essere conosciute dal giudice ordinario secondo parametri di legittimità tutti interni alla disciplina dell'esecuzione. In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, secondo la quale "In tema di contributi di urbanizzazione determinati a carico del beneficiario di concessione edificatoria sussiste la giurisdizione del giudice ordinario limitatamente alle contestazioni attinenti alla legittimità del procedimento di riscossione (se mediante l'impiego dello strumento del ruolo ovvero mediante l'ingiunzione del sindaco), mentre deve essere esclusa per quelle che investano l'an od il quantum di detti contributi, vertendosi in tema di atti autoritativi dell'ente territoriale, denunciabili davanti al giudice amministrativo" (Cassazione civile, sez. un., 19 ottobre 1998, n. 10365). In conclusione il Collegio ritiene che difetti la giurisdizione in capo al giudice amministrativo sulla controversia in oggetto e che la stessa sia da attribuire al giudice ordinario".

sentenza TAR Veneto 620 del 2013

La Corte Costituzionale promuove gli ambiti in materia di distribuzione del gas naturale

12 Giu 2013
12 Giugno 2013

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 134 del 2013, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 24, comma 4, del decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo per la Lombardia, sede di Milano.

Con ordinanza del 17 febbraio 2012 (reg. ord. n. 110 del 2012), il Tribunale amministrativo per la Lombardia, sede di Milano, ha sollevato, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 4, del decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE), nella parte in cui prevede che, a far data dalla entrata in vigore del medesimo decreto legislativo (29 giugno 2011), le gare per l’affidamento del servizio di distribuzione di gas naturale sono effettuate unicamente per ambiti territoriali di cui all’art. 46-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e equità sociale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 29 novembre 2007, n. 222.

Secondo la stessa ricorrente, l’Amministrazione comunale non avrebbe potuto indire la gara in quanto, ai sensi dell’art. 24, comma 4, del d.lgs. n. 93 del 2011, non si può procedere a gara nel settore della distribuzione del gas fino a quando non siano divenuti operativi gli ambiti territoriali di cui all’art. 46-bis, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007.

La Corte ha rigettato la questione con la seguente motivazione: ".....La scelta effettuata sin dal 2007 si è dunque compiutamente definita nel corso del 2011, consentendo il passaggio da un sistema caratterizzato da estrema frammentazione (affidamento del servizio su base territoriale comunale), al cosiddetto sistema ambiti.

Le ragioni della scelta, confermata da tutti gli interventi normativi successivi, compresi, come si è visto, quelli sopravvenuti alle ordinanze di rimessione, risiedono nella acquisita consapevolezza che l’aumento di dimensione degli ambiti di gara consente di ridurre significativamente le tariffe di distribuzione, a vantaggio dei consumatori, di migliorare la qualità del servizio e di ridurre i costi relativi allo svolgimento delle gare.

Non sembra dubitabile che, nel novero delle misure idonee a realizzare un’organizzazione concorrenziale ed efficiente del mercato interno della distribuzione di gas naturale, debba essere inserita l’attuazione del sistema di affidamento per bacini ottimali di utenza.

Questa Corte, con la sentenza n. 325 del 2010, ha già evidenziato, sul piano generale, che la disciplina concernente le modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica va ricondotta all’ambito della tutela della concorrenza, «tenuto conto degli aspetti strutturali e funzionali suoi propri e della sua diretta incidenza sul mercato».

Con indicazioni progressivamente più puntuali, nella parte generale della legge di delega n. 96 del 2010, l’art. 2, comma 1, lettera b), dispone che, «ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, fatti salvi i procedimenti di semplificazione amministrativa ovvero le materie oggetto di delegificazione».

Riguardo alla specifica attuazione della direttiva 2009/73/CE, la delega è contenuta nell’art. 17, comma 4, della legge n. 96 del 2010. Vengono in rilievo, ai fini del presente scrutinio, i principi e criteri dettati alle lettere f), i), q) ed s) del citato comma 4.

Il legislatore delegante ha richiesto l’adozione di misure atte a promuovere una concorrenza effettiva e a garantire l’efficiente funzionamento del mercato (lettere f e q), nonché maggiore trasparenza ed efficienza nel settore del gas naturale (lettera i); sono stati, inoltre, previsti interventi di «rimozione degli ostacoli, anche di tipo normativo, al processo di aggregazione delle piccole imprese di distribuzione del gas naturale, per favorirne l’efficienza e la terzietà» (lettera s).

Quest’ultima previsione – che è quella più esplicitamente mirata alla trasformazione, sul piano organizzativo, del servizio di distribuzione di gas naturale – mette in evidenza la situazione critica del settore di riferimento, ancora caratterizzato dalla presenza di operatori di dimensioni molto ridotte, che gestiscono il servizio per bacini di utenza altrettanto circoscritti, con le diseconomie e inefficienze che ne derivano.

Con tale indicazione il legislatore delegante ha inequivocabilmente richiesto misure finalizzate a realizzare un diverso dimensionamento del mercato della distribuzione – peraltro già previsto dal 2007 –, che «favorisca» l’aggregazione delle piccole imprese del settore.

La norma censurata, nel prevedere la moratoria temporanea delle gare di affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale su base territoriale diversa dagli ambiti individuati, ai sensi dell’art. 46-bis del d.l. 159 del 2007, risponde alla ratio della delega ed ai principi e criteri direttivi richiamati, in quanto rende applicabile la nuova disciplina degli affidamenti, evitando il rinnovo delle concessioni su base comunale e, con esse, l’ulteriore frazionamento delle gestioni".

Corte Costituzionale su legittimità periodo transitorio gare GAS

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