Sulle autorizzazioni paesaggistiche: ragionevole interpretazione dell’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 36 bis del DPR 380/2001 (opere incompatibili ante vincolo)
Vi sottopongo una possibile lettura, a mio parere convincente, dell'ultimo periodo dell'art.36-bis comma 4 del DPR 380/2001, come introdotto in sede di conversione del D.L.69/2024, dalla Legge 105/2024: «Le disposizioni del presente comma si applicano anche nei casi in cui gli interventi di cui al comma 1 risultino incompatibili con il vincolo paesaggistico apposto in data successiva alla loro realizzazione».
Abbiamo riflettuto a lungo sul significato delle parole "risultino incompatibili" e ci sembra che vi possa essere una lettura ragionevole che vi proponiamo.
La lettura è la seguente: Ho realizzato un'opera senza titolo edilizio prima del vincolo paesaggistico.
Questa opera può essere compatibile e allora seguo il procedimento "comune di Spinea - parere ministero della Cultura" ovvero autorizzazione paesaggistica artt. 146 ordinaria "ora per allora", la ottengo e non pago la sanzione. Se però l'opera dovesse essere valutata dalla Soprintendenza / Comune come NON COMPATIBILE, allora seguirò il procedimento del 36 bis e pagherò la sanzione che, come noto sarà conteggiata sulla base del maggior valore tra il danno arrecato e il profitto conseguito.
Ci sembrerebbe una lettura ragionevole e convincente.
Esempio: Edificio lungo via Roma con vincolo imposto nel 1971. Dovevo realizzare un edificio di 2 piani e invece ho realizzato un edificio di 3 piani senza titolo edilizio e prima dell'imposizione del vincolo.
Due scenari possibili:
1. presento un'autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 146 "ora per allora", con procedimento ordinario, come indicato dal ministero della cultura. Se l'opera è compatibile con il contesto, rilascio l'autorizzazione "ora per allora" e non pago alcuna sanzione perchè non ho commesso alcun illecito.
2. sono nel caso 1, ma la soprintendenza/comune ritiene che invece l'opera NON sia compatibile con la tutela del vincolo perchè l'area è di particolare pregio e quel piano in più ha caratteristiche e finiture che non si adeguano al contesto. Insomma sono opere incompatibili con la tutela del vincolo, ma realizzate prima del vincolo. Che faccio, le devo demolire? La sanzione del 1° comma del 167 [demolizione] non la posso applicare perchè non ho commesso alcun illecito paesaggistico avendo costruito l'opera prima del vincolo. E quindi che faccio? Riconduco il caso, come espressamente previsto dall'ultimo periodo dell'art.36-bis comma 4 del DPR 380/2001, all'interno dell'accertamento del 36 bis e lo sottopongo alla sanzione corrispondente al maggior valore tra il profitto conseguito e il danno arrecato.
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Arch. Fiorenza Dal Zotto - Funzionario del Comune di Spinea
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Trovo interessante la ricostruzione dell’ “anonimo” del 31 Luglio 2025 alle 09:00 che non posso ringraziare personalmente perchè appunto anonimo … ma che in ogni caso ringrazio …
Tutto una questione di linguaggio Architetto- confesso
Sopraelevazioni in area vincolata: il Comune non ha margini di scelta, il parere vincolante della Soprintendenza blocca la sanatoria
La sopraelevazione è un intervento edilizio ammesso solo nel rispetto di specifici requisiti strutturali e urbanistici. In presenza di vincoli paesaggistici, il parere della Soprintendenza è vincolante e impedisce ogni decisione autonoma da parte del Comune. La sentenza n. 2067/2025 del TAR Sicilia ha confermato il diniego di condono per opere abusive, chiarendo che la creazione di nuovi volumi in aree vincolate è difficilmente sanabile e la tutela del paesaggio prevale su ogni interesse privato, anche se consolidato.
Sopraelevazioni, condono, Soprintendenza, art. 90 DPR 380/01, vincolo paesaggistico, parere vincolante.
A mio avviso non si puo non tenere conto del parere della Soprintendenza, il titolo riasciato sarebbe illegittimo. La ratio prevista dall’ art.5bis, nel caso di diniego, vale sia ante che post vincolo.
Considerazione:_
Nel caso in cui la Soprintendenza si limiti a esprimere un diniego, senza richiedere integrazioni né formulare osservazioni specifiche, si configura un atteggiamento formalmente legittimo, ma sostanzialmente poco collaborativo. Questo tipo di parere negativo, privo di motivazioni articolate o di apertura al confronto progettuale, lascia spazio a dubbi interpretativi: si tratta di un rigetto definitivo o di una posizione rivedibile?
Quando poi, nonostante il parere negativo, il Comune decide di rilasciare ugualmente il permesso in sanatoria, la posizione della Soprintendenza risulta in qualche modo “scavalcata”. Tuttavia, ciò non significa che l’Ente perda ogni potere sul bene. Anzi: in caso di successivi interventi sullo stesso immobile, il precedente diniego potrebbe essere invocato dalla Soprintendenza come conferma della propria posizione ostativa.
Va inoltre considerato che l’avvenuto rilascio della sanatoria non sana il rapporto con il vincolo dal punto di vista sostanziale: qualora la Soprintendenza ritenga l’intervento lesivo del bene paesaggistico, potrebbe persino attivare forme di tutela ulteriori (diffide, ricorsi, annullamenti d’ufficio – se ne sussistono i presupposti di legge). Più realisticamente, però, tenderà a irrigidire la propria posizione nei confronti di futuri interventi, ritenendo che l’esito della sanatoria non abbia valore vincolante né sul piano tecnico né su quello procedimentale. In questo senso, il precedente non crea un diritto acquisito al “ripetersi” di soluzioni analoghe, ma può anzi rafforzare la posizione di chiusura dell’amministrazione tutoria.”
Che valore ha un parere negativo della Soprintendenza, reso su un’opera realizzata prima dell’imposizione del vincolo, nell’ambito di un procedimento per autorizzazione paesaggistica “ora per allora”?
Risposta breve: ha valore solo in negativo — impedisce il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, ma non comporta automaticamente conseguenze sanzionatorie o demolitorie. Approfondimento
Il parere della Soprintendenza in questo caso è obbligatorio e vincolante, ma il suo effetto è limitato:
Se è favorevole, consente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica “ora per allora” (art. 146 Codice beni culturali).
Se è negativo, preclude il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, ma non legittima l’applicazione di sanzioni paesaggistiche (come la demolizione), perché l’intervento è antecedente al vincolo e quindi non costituisce illecito paesaggistico.
Cosa succede dopo un parere negativo della Soprintendenza su opera ante vincolo?
L’intervento non è sanabile sotto il profilo paesaggistico.
Non è applicabile la sanzione demolitoria di cui all’art. 167, proprio perché l’intervento non ha violato un vincolo esistente al momento della realizzazione.
Il parere negativo resta privo di effetti sanzionatori diretti.
Ecco il punto debole del sistema: il parere negativo crea un “limbo” giuridico, perché:
*Illecito paesaggistico? No, perché l’opera è ante vincolo
*Sanabile paesaggisticamente? No, perché il parere è negativo
*Demolizione paesaggistica applicabile? No, perché manca il presupposto dell’illecito
*Sanzione pecuniaria applicabile? Non chiarita espressamente
Quindi, il valore del parere negativo è puramente ostativo:
Serve a negare la possibilità di sanare l’opera ex post.
Ma non produce effetti demolitori né sanzionatori diretti, proprio perché l’opera è stata realizzata legittimamente rispetto al paesaggio all’epoca.
Conclusione
Il parere negativo della Soprintendenza ha un valore bloccante, non sanzionatorio:
Blocca il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
Non legittima demolizione né sanzioni paesaggistiche, salvo che la norma venga interpretata estensivamente (comma 4, ultimo periodo, art. 36-bis), con tutti i rischi che ci sono.
Siamo in un vero e proprio vuoto normativo:
non esiste attualmente una norma che disciplini compiutamente cosa accade in questo caso. E ciò comporta una contraddizione sistemica, perché:
il comma 4, ultimo periodo sembra introdurre una sanzione economica anche per l’intervento ante vincolo non compatibile, ma il comma 5-bis, nel dettagliare i due esiti possibili (accoglimento o rigetto), lega la sanzione economica solo al caso di compatibilità, e la demolizione (impropriamente) anche al caso ante vincolo.
Possibile soluzione operativa (oggi)
In assenza di compatibilità paesaggistica (parere negativo), l’unico strumento applicabile oggi, con forzatura interpretativa, è l’applicazione analogica del comma 4, ultimo periodo, come sanzione residuale urbanistica (non paesaggistica), motivando che:
-l’opera è abusiva ediliziamente,
-la demolizione non è possibile per limiti normativi (essendo ante vincolo),
-il sistema non può tollerare la totale impunità.
Questa impostazione non è però esente da rischi di impugnazione, proprio per il vuoto normativo tra comma 4 e comma 5-bis.
Questo vuoto normativo non esiste nel caso di sanatoria ex art. 167 c. 4 – viene in aiuto l’art. 17 del Dpr n. 31/2017-
Art. 17. Rinvio all’articolo 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
1. Nel caso di violazione degli obblighi previsti dal presente decreto, fermo restando quanto previsto dall’articolo 181 del Codice, si applica l’articolo 167 del Codice. In tali casi l’autorità preposta alla gestione del vincolo e il Soprintendente, nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 167, comma 4, del Codice, dispongono la rimessione in pristino solo quando non sia in alcun modo possibile dettare prescrizioni che consentano la compatibilità paesaggistica dell’intervento e delle opere.
Era molto più semplice sanare ai sensi dell’art. 34-ter prima dell’apposizione del vincolo. Se si punta a ottenere un titolo forte – ai sensi del comma 1 dell’art. 34-ter, che contribuisce alla formazione dello stato legittimo pieno – si può presentare una SCIA in sanatoria, anche qualora si rientri potenzialmente nei presupposti del comma 4 (stato legittimo come tolleranza ai sensi dell’art. 34-bis).
In caso di diniego da parte della Soprintendenza, nulla vieta di invocare in alternativa proprio il comma 4, come via residuale.
La norma è alquanto complessa (id est, scritta male) … di cui il Ministro tanto si vanta.
Comunque, a mio sommesso parere, in ordine alla quaestio juris circa il significato dell’ultimo periodo dell’art. 36-bis dpr 380/2001 e, segnatamente, dell’inciso: “… risultino incompatibili ….”, non si tiene conto di quanto dispone il comma 5-bis (2^ proposizione) e cioè:
“5-bis. …; in caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui all’articolo 167, comma 1, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42.”.
Detto altrimenti, siccome proposto, “Ricondurre il caso di specie, come espressamente previsto dall’ultimo periodo dell’art. 36-bis, comma 4, del DPR 380/2001, all’interno dell’accertamento del 36-bis e sottoporlo alla sanzione corrispondente al maggior valore tra il profitto conseguito e il danno arrecato” non è un automatismo, e men che meno può assurgere a “scorciatoia” per eludere il (potenziale) parere di “incompatibilità” nel procedimento di “autorizzazione paesaggistica «postuma»” ex art. 146 dlgs 42/2004.
Bisogna smetterla con la cultura “pago”, semplifico la vita a me ed al Comune (consenziente), e porto a casa il risultato … col rilascio di atti amministrativi privi della necessaria, pregnante motivazione a corroborare (recte, legittimare) l’operato d’ufficio.
Analisi interpretativa
L’uso dell’espressione “risultino incompatibili” con il vincolo paesaggistico sopravvenuto è particolarmente rilevante. La norma chiarisce che l’esistenza di un vincolo paesaggistico apposto successivamente alla realizzazione dell’intervento non costituisce ostacolo alla sanatoria, anche se il vincolo renderebbe oggi l’intervento non più assentibile.
Scrivendo:
“risultino incompatibili con il vincolo paesaggistico apposto in data successiva…”
il legislatore dice:
Anche se oggi l’intervento è incompatibile con il vincolo (cioè sarebbe vietato), puoi comunque sanarlo, perché il vincolo è arrivato dopo.
Quindi: si sanano tutti, anche quelli che oggi violerebbero il vincolo.
Il legislatore ha voluto escludere ogni ambiguità: anche se l’intervento è oggi manifestamente contrario (cioè “incompatibile”) con il nuovo vincolo, non si può usare quel vincolo sopravvenuto come ostacolo alla sanatoria.
Perché è importante dirlo così?
Perché nella prassi amministrativa, gli uffici possono essere tentati di rigettare una sanatoria dicendo:
“Ma oggi, con questo vincolo, quell’opera è vietata!”
La norma risponde in anticipo:
“Anche se oggi è vietata, non importa: se quando l’hai fatta il vincolo non c’era, e l’urbanistica attuale la consente, puoi sanare.”
In conclusione:
L’espressione “risultino incompatibili” è forte e volutamente usata per escludere ogni dubbio interpretativo. Serve a tutelare chi ha costruito prima che il vincolo fosse introdotto, anche se oggi quell’opera sarebbe vietata.
L’espressione:
“risultino incompatibili con il vincolo paesaggistico apposto in data successiva alla loro realizzazione”
sembra paradossale: se qualcosa è incompatibile con un vincolo, ci si aspetterebbe che non possa essere sanato. Invece la norma dice il contrario: anche se è incompatibile, la sanatoria si può fare.
Se avessero scritto:
“…nei casi in cui gli interventi risultino compatibili con il vincolo…”
allora la conseguenza sarebbe stata opposta:
Solo gli interventi oggi compatibili con il vincolo avrebbero potuto essere sanati.
Ma così si sarebbe completamente svuotato il senso della norma! Perché:
• Il vincolo paesaggistico sopravvenuto è proprio ciò che impedirebbe (oggi) di autorizzare l’intervento;
• e la norma vuole dire il contrario: cioè che quel vincolo, essendo arrivato dopo, non può impedire la sanatoria.
Quindi, scrivere “compatibili” invece di “incompatibili” avrebbe completamente rovesciato la portata della disposizione
La formulazione utilizzata (“risultino incompatibili”) è coerente con l’obiettivo della norma, che è quello di evitare che vincoli successivi retroagiscano negativamente sull’ammissibilità della sanatoria edilizia.
Già l’avere realizzato un’opera senza titolo edilizio- esclude l’art. 36bis–salvo la scia non presentata e conforme.
Da una prima analisi-
Gentile Architetto,
una riflessione sull’art. 36-bis: non parte esso, per sua natura, da una condizione di parziale difformità rispetto al titolo edilizio originario? O tale requisito può essere superato nel caso di un accertamento postumo?
Nel caso in cui vi sia doppia conformità, immagino si possa applicare anche l’art. 36, o comunque andrebbero valutate le due norme su binari distinti. Durante l’incontro dell’11 luglio scorso, mi è parso si dicesse proprio questo: distinguere con attenzione tra i due casi. L’Avvocato osservava che la norma si fosse inasprita nel richiedere espressamente questa condizione, ma si è anche parlato della possibilità di un “doppio binario” applicativo.
Dal punto di vista edilizio, però, resta il dubbio: come si esce da questa situazione? Si può configurare un unico titolo abilitativo che però prevede due distinti provvedimenti paesaggistici, uno ante e uno post?
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