L’aggiudicazione tacita non equivale a quella definitiva

22 Mag 2014
22 Maggio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 14 maggio 2014 n. 632, si occupa di alcune questioni relative all’aggiudicazione provvisoria: “considerato che è infondata la prima censura con la quale parte ricorrente afferma la violazione dell’art. 12 del codice dei contratti per avere la stazione appaltante revocato il provvedimento di aggiudicazione provvisoria quando, essendo spirato il termine perentorio di trenta giorni dalla sua adozione, si era già formalizzata l’aggiudicazione definitiva: l’inutile decorso del termine (di trenta giorni, qualora non diversamente previsto) indicato nell’art. 12, I comma del codice comporta non già l’aggiudicazione definitiva, ma soltanto l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria della gara (adempimento, questo, che ai sensi dell’art. 11, V comma, è preliminare all’adozione del provvedimento finale di aggiudicazione definitiva): in altre parole, scaduto il termine di trenta giorni dall’aggiudicazione provvisoria, quest’ultima, in difetto di un provvedimento espresso, si ha per approvata tacitamente, e l’aggiudicatario provvisorio può esigere, chiedendola formalmente, l’emissione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, quale atto conclusivo della procedura concorsuale (cfr. CdS, III, 16.10.2012 n. 5282; IV, 26.3.2012 n. 1766; TAR Veneto, I, 8.2.2013 n. 178);

che ha pregio nemmeno l’ulteriore motivo con cui l’interessata assume l’illegittimità della revoca per violazione della legge n. 241/1990, in quanto disposta senza contraddittorio. L’adottato provvedimento si qualifica non già come revoca in senso tecnico - l'aggiudicazione provvisoria è, infatti, atto endoprocedimentale, instabile e ad effetti interinali -, ma come mera, mancata conclusione della procedura concorsuale per riscontrata carenza dei requisiti di moralità in capo al legale rappresentante dell’aggiudicataria provvisoria: non si tratta, dunque, di un nuovo procedimento che necessita del contraddittorio con l’interessato (come, invece, nell’ipotesi di revoca dell’aggiudicazione definitiva divenuta efficace), ma della fase conclusiva – il diniego di aggiudicazione definitiva, in questo caso (e la contestuale aggiudicazione all’impresa seconda graduata) - del medesimo procedimento azionato dalla parte con la domanda di partecipazione alla gara (cfr., ex multis, CdS, III, 11.7.2012 n. 411)”.

Nella stessa sentenza il Collegio, con specifico riferimento alla causa di esclusione ex art. 38, c. 1, lett. c) del Codice Appalti, affronta il rapporto tra il sindaco giurisdizionale ed i poteri discrezionali dell’Amministrazione “che, analogamente, non può condividersi il terzo rilievo con cui la ricorrente contesta il giudizio di valore reso dalla stazione appaltante in ordine al reato commesso dal legale rappresentante della ditta aggiudicataria, ritenuto grave ed incidente sulla moralità professionale e, dunque, tale da comportare l’esclusione della concorrente ai sensi dell’art. 38, I comma, lett. c) del codice. I provvedimenti emanati nell’esercizio del potere discrezionale tecnico della pubblica Amministrazione – tra i quali rientrano a pieno titolo quelli che con adeguata e congrua motivazione valutano l'idoneità del reato ad integrare la causa di esclusione dalla gara - sono sindacabili dal giudice amministrativo per vizi di legittimità e non di merito, nel senso che non è consentito al giudice amministrativo esercitare un controllo c.d. di tipo "forte" sulle valutazioni comunque opinabili, che si tradurrebbe nell'esercizio da parte del giudice di un potere sostitutivo spinto fino a sovrapporre la propria valutazione a quella dell'Amministrazione. È ben vero che l'esercizio della discrezionalità non è di per sè idoneo a determinare l'affievolimento dei diritti soggettivi di coloro che dal provvedimento amministrativo siano eventualmente pregiudicati, ma è anche vero che il ricorso a criteri discrezionali conduce sovente ad un ventaglio di soluzioni possibili, destinato inevitabilmente a risolversi in un apprezzamento non privo di un certo grado di opinabilità: in situazioni di tal fatta il sindacato del giudice, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è destinato ad arrestarsi al limite oltre il quale la stessa opinabilità dell'apprezzamento operato dall'Amministrazione impedisce d'individuare un parametro giuridico che consenta di definire quell'apprezzamento illegittimo. Con la conseguenza che compete al giudice di vagliare la correttezza dei criteri, la logicità e la coerenza del ragionamento e l'adeguatezza della motivazione con cui l'Amministrazione ha supportato le proprie valutazioni. In altre parole, quando il giudizio presenta apprezzamenti che presuppongono un oggettivo margine di opinabilità, il sindacato giurisdizionale, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell'Amministrazione che si sia mantenuta entro i suddetti margini. Si tratta di limiti che perimetrano in termini chiari, puntuali e ineludibili l'ambito entro il quale il giudice amministrativo può svolgere il proprio compito, che, avendo – come si è detto - ad oggetto la verifica della regolarità del procedimento, non gli consente in alcun caso di sovrapporre il proprio convincimento a quello espresso dall'organo a ciò deputato. Ciò premesso – e precisato che l'espressione "in danno dello Stato o della Comunità" non si riferisce a tipologie di reato qualificate, ma va letta nel più ampio contesto della fattispecie indicata alla lettera c): una simile restrizione, infatti, non si evince né dalle direttive comunitarie né dall'ordinamento penale italiano, che non contempla una categoria di reati in danno dello Stato o della Comunità; pertanto, indipendentemente dallo specifico oggetto giuridico della singola norma incriminatrice, deve trattarsi di reati idonei a creare allarme sociale rispetto ad interessi di natura pubblicistica -, e passando all'esame della fattispecie concreta oggetto del presente giudizio, il Collegio ritiene che la valutazione di gravità (ove vengono presi in esame tutti gli elementi che possono incidere negativamente sul vincolo fiduciario quali, ad esempio, l'elemento psicologico, l'epoca e la circostanza dei fatti, il tempo trascorso dalla condanna, il bene leso dal comportamento delittuoso, in relazione anche all'oggetto ed alle caratteristiche dell'appalto), e l’incidenza dei due reati commessi (utilizzo di un lavoratore extra comunitario privo di permesso di soggiorno e falso in atto pubblico) sulla moralità professionale del rappresentante legale dell’impresa (in quanto manifestano una radicale contraddizione con i principi deontologici della professione), effettuata dall’Amministrazione, non possa che riconoscersi congruamente motivata in relazione, appunto, ai palesati elementi dell’epoca (recente) della risalenza dei fatti per i quali è stato condannato, delle peculiarità del caso concreto, del peso specifico dei reati ascritti e della prestazione che la ditta aggiudicataria deve espletare”.

 dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 632 del 2014

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