Modifiche al codice del processo amministrativo

24 Set 2012
24 Settembre 2012

Segnaliamo che il decreto legislativo 14 settembre 2012, n. 160 ha introdotto varie modifiche al codice del processo amministrativo.

Ulteriori disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo

Vicenza chiede perdono a Pontelandolfo per la strage del 14 agosto 1861

22 Set 2012
22 Settembre 2012

Il Comune di Vicenza ha deciso di dedicare una via al Comune di Pontelandolfo per ricordare la strage del 14 agosto 1861, compiuta dai soldati italiani guidati dal collonello vicentino Pier Eleonoro Negri.

Per rappresaglia per l'uccisione di soldati, vennero massacrati 440 cittadini di Pontelandolfo, con donne violentate e case bruciate.

Il colonnello Negri ottenne la medaglia d'oro al valor militare e l'intitolazione di una via e di una scuola elementare.

Pubblichiamo sulla vicenda un commento del dott. Edoardo Bernkopf (che egli gradisce qualificare come "politicamente scorretto").

Pontelendolfo vincitori e vinti

Il Consiglio di Stato individua i casi nei quali non serve la comunicazione di avvio del procedimento

21 Set 2012
21 Settembre 2012

Nella sentenza n. 4925 del 2012 il Consiglio di Stato specifica quali sono i casi nei quali la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della L. n. 241 del 1990 è superflua.

Dice il Consiglio di Stato: "Alla luce di questa linea interpretativa si può affermare che la comunicazione di avvio del procedimento dovrebbe diventare superflua quando: l'adozione del provvedimento finale è doverosa (oltre che vincolata) per l'amministrazione; i presupposti fattuali dell'atto risultano assolutamente incontestati dalle parti; il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili; l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l'amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici).”. (Consiglio Stato , sez. IV, 30 settembre 2002, n. 5003)".

Per una migliore comprensione della questione, riportiamo l'intero passo che tratta l'argomento: "L’incombente di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990, nel caso di specie, lungi dallo svolgere la garantistica funzione prevista ex lege avrebbe avuto, unicamente, l’effetto di dilatare vieppiù i tempi di definizione del procedimento: uno strumentale abuso della garanzia procedimentale priva di ogni rispondenza al concreto interesse della parte.
2.1. Si osserva al riguardo che la necessità della comunicazione dell’avvio del procedimento ai destinatari dell’atto finale è stata prevista in generale dal menzionato art. 7 non soltanto per i procedimenti complessi che si articolano in più fasi (preparatoria, costitutiva ed integrativa dell’efficacia), ma anche per i procedimenti semplici che si esauriscono direttamente con l’adozione dell’atto finale, i quali comunque comportano una fase istruttoria da parte della stessa autorità emanante.
La portata generale del principio è confermata dal fatto che il legislatore stesso (art 7, 1° comma, ed art. 13 L. 241/90) si è premurato di apportare delle specifiche deroghe ( speciali esigenze di celerità,, atti normativi, atti generali, atti di pianificazione e di programmazione, procedimenti tributari) all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, con la conseguenza che negli altri casi deve in linea di massima garantirsi tale comunicazione, salvo che non venga accertata in giudizio la sua superfluità in quanto il provvedimento adottato non avrebbe potuto essere diverso anche se fosse stata osservata la relativa formalità ( cfr. CdS, sez. V n.2823 del 22.5.2001 e n. 516 del 4.2.2003; sez. VI n.686 del 7.2.2002).
Ha dato luogo a contrasti, in dottrina ed in giurisprudenza, la risposta al quesito relativo alla possibilità che la fase procedimentale indicata possa essere omessa o compressa per il fatto che si sia in presenza di provvedimento a contenuto vincolato.
Deve rilevarsi in proposito che parte della giurisprudenza ha affermato la sussistenza dell'obbligo di avviso dell'avvio del procedimento anche nella ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, sulla scorta della considerazione che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l'accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa (cfr. CdS sez. VI 20.4.2000 n. 2443; CdS 2953/2004; 2307/2004 e
396/2004). Secondo tale tesi, invero, non sarebbe rinvenibile alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all'amministrazione l'inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria.
In definitiva, quello che rileva è la complessità dell’accertamento da effettuare (V. CdS, sez. VI n.686 del 7.2.2002).
Secondo altra prospettazione, invece, “le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua - con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa - quando l'interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono comunque all'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti. In materia di comunicazione di avvio prevalgono, quindi, canoni interpretativi di tipo sostanzialistico e teleologico, non formalistico. Poiché l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ex art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241 è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all'azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l'atto conclusivo è destinato ad incidere - in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del provvedimento - l'omissione di tale formalità non vizia il procedimento quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione. Alla luce di questa linea interpretativa si può affermare che la comunicazione di avvio del procedimento dovrebbe diventare superflua quando: l'adozione del provvedimento finale è doverosa (oltre che vincolata) per l'amministrazione; i presupposti fattuali dell'atto risultano assolutamente incontestati dalle parti; il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili; l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l'amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici).”. (Consiglio Stato , sez. IV, 30 settembre 2002, n. 5003)
Tale orientamento da ultimo esposto appare al Collegio condivisibile, in quanto rispettoso delle garanzie procedimentali avulse da meccanicistiche applicazioni a natura essenzialmente formalistica.
Sotto altro profilo, conforto a tale interpretazione si rinviene in relazione al sopravvenuto disposto del comma 2 dell’art. 21 octies legge 15/2005, specificamente riferita alla violazione procedimentale dell’articolo 7, ed applicabile tanto alla ipotesi di atto vincolato che a quella di atto discrezionale: la novella legislativa ha previsto che l’amministrazione può dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato , così superando la censura di carattere formale (per una recente ricostruzione del sistema alla luce della “novella”, si veda Consiglio Stato , sez. VI, 07 gennaio 2008, n. 19).
Essa è applicabile in astratto ratione temporis anche alle controversie pendenti stante la natura processuale della norma (
L'art. 21 octies, l. n. 241 del 1990, il quale stabilisce che il provvedimento amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello
in concreto adottato, costituisce disposizione di carattere processuale, applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della l. n. 15 del 2005. L'orientamento in questione poggia sistematicamente sull'evidente ratio della disposizione da ultimo richiamata, volta a far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell'Amministrazione. (Consiglio Stato , sez. VI, 18 febbraio 2011 , n. 1040).
Orbene: se si pone mente alla circostanza che nessuna contestazione in punto di fatto è stata avanzata dall’appellante in ordine al mancato versamento degli oneri di urbanizzazione, e che le altre censure – come si è prima chiarito - si incentravano su circostanze di natura giuridica e confutavano – peraltro assai genericamente- una interpretazione di disposizioni di legge effettuata dall’Amministrazione e ben nota all’appellante anche in virtù del precedente contenzioso intercorso tra le parti, appare evidente che l’omissione dell’avviso non ha arrecato alcun vulnus né alla posizione dell’appellante, né tampoco all’azione amministrativa.
2.2. Nel caso di specie la superfluità dell’incombente non dipende (soltanto) dalla natura dell’atto di determinazione degli oneri inosservato, ed è superfluo immorare – come confusoriamente è dato riscontrare nell’atto di appello- sulla natura paritetica od autoritativa dello stesso.
La concreta situazione infraprocedimentale, il reiterato inadempimento dell’appellante, il pregresso contenzioso, sovrapponibile nei contenuti, rendeva la stessa pacificamente edotta delle conseguenze della propria omissione".

sentenza CDS 4925 del 2012

In Italia il riconoscimento delle unioni civili viene spinto dai comuni

20 Set 2012
20 Settembre 2012

Pubblichiamo la deliberazione consiliare n. 30 del 26 luglio 2012 del Comune di Milano, con la quale è stato approvato il regolamento per il riconoscimento delle unioni civili, eterosessuali o omosessuali.

Sembra, dunque, che in Italia siano i comuni a spingere sul tema del riconoscimento dei diritti civili.

L'articolo 3 del regolamento disciplina il rilascio dell'attestato di unione civile basata su vincoli affettivi.

Segnaliamo i commi 2 e 3 dell'articolo 2

“2. Il Comune provvede, attraverso singoli atti e disposizioni degli Assessorati e degli Uffici competenti, a tutelare e sostenere le unioni civili, al fine di superare situazioni di discriminazione e favorirne l'integrazione e lo sviluppo nel contesto sociale, culturale ed economico del territorio.
3. Le aree tematiche entro le quali gli interventi sono da considerarsi prioritari sono:
a) casa;
b) sanità e servizi sociali;
c) giovani, genitori e anziani;
d) sport e tempo libero;
e) formazione, scuola e servizi educativi;
f) diritti e partecipazione;
g) trasporti.

Il proprietario dell’immobile che non impedisce a un terzo la commissione dell’abuso edilizio risponde penalmente dell’abuso

20 Set 2012
20 Settembre 2012

Lo dice la sentenza n. 33540 del 2012 della Corte di Cassazione penale.

La Corte ravvisa il fondamento della responsabilità nell'art. 40 del codice penale, il quale stabilisce che: "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo". Secondo la Corte tale articolo deve essere interpretato in termini solidaristici, alla luce dell'art. 41, comma 2, Cost, sicché è da ritenere che il proprietario non possa utilizzare la cosa propria ne' consentire che altri la utilizzi in modo che ne derivi danno ai consociati ed abbia, quindi, l'obbligo giuridico di non consentire che l'evento dannoso o pericoloso si realizzi.. " (Sez 3 n. 12163, 12/7/1999 rv. 215078).

Scrive la Corte di Cassazione: "In questo senso la sentenza sembra richiamare l'indirizzo inizialmente (ed a lungo) sostenuto dalla Corte secondo cui in tema di reati edilizi, non può essere attribuito ad un soggetto, per il mero fatto di essere proprietario dell'area, un dovere di controllo, dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva, prescindendo dalla concreta situazione in cui venne svolta l'attività incriminata, cioè senza identificare, in relazione alla specifica situazione di fatto, il comportamento positivo o negativo posto in essere dal soggetto medesimo che possa essere assunto ad elemento integrativo della colpa. In relazione a tale orientamento coerentemente si è ritenuto che il proprietario risponde dei relativi reati non in quanto tale, ma solo se abbia la disponibilità dell'immobile ed abbia dato incarico dei lavori o li abbia eseguiti personalmente; mentre se l'incarico sia stato dato da altro proprietario o da altro detentore, non può essere ritenuto responsabile dell'abuso, anche se abbia espresso adesione alla realizzazione dell'opera." (Sez. Ili n. 859 del 7/9/2000, ric. Cutaia ed altro, rv. 216945). Tale indirizzo è stato, tuttavia, successivamente rivisitato. Si è puntualizzato, infatti, che nel caso in cui il proprietario sia consapevole che sul suo terreno sia eseguita da un terzo una costruzione abusiva e, potendo intervenire, deliberatamente se ne astenga, pone in essere una condotta omissiva che condiziona, rendendola possibile, la realizzazione della predetta opera abusiva che è, quindi, conseguenza diretta anche della sua omissione della quale egli deve essere ritenuto responsabile ai sensi del principio generale di causalità di cui al primo comma dell'art. 40 cod. pen.. Si è aggiunto poi che anche il secondo comma del succitato art. 40 cod. pen., per il quale "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo", deve essere interpretato in termini solidaristici, alla luce dell'art. 41, comma 2, Cost, sicché è da ritenere che il proprietario non possa utilizzare la cosa propria ne' consentire che altri la utilizzi in modo che ne derivi danno ai consociati ed abbia, quindi, l'obbligo giuridico di non consentire che l'evento dannoso o pericoloso si realizzi.. " (Sez 3 n. 12163, 12/7/1999 rv. 215078).

Anche nella successiva evoluzione giurisprudenziale si continua ad insistere sulla ravvisabilità del concorso del proprietario non committente nel caso in cui costui abbia piena consapevolezza dell'esecuzione delle opere da parte del coimputato o abbia prestato consenso, seppure implicito o tacito, all'attività edilizia posta in essere (Sez. 3, n. 44160 del 01/10/2003 Rv. 226589); e talora viene riaffermata per il proprietario l'esistenza dell'obbligo giuridico di non consentire che con l'utilizzo della cosa propria si realizzi l'evento dannoso o pericoloso, affermando il concorso morale nel reato consumato dall'autore della edificazione abusiva, in capo al proprietario che potendo intervenire se ne astenga deliberatamente, (Sez. 3, n. 43232 del 12/11/2002 Rv. 222969; ecc) .

Non è sufficiente, dunque, sulla base di tali pronunciamenti, per escludere il concorso nel reato, che il proprietario del terreno non abbia commissionato materialmente i lavori ma occorre sostanzialmente qualcosa in più e, cioè, che dagli atti emerga che lo stesso non abbia interesse all'abuso e non sia stato nelle condizioni di impedirne l'esecuzione. Si pone allora il problema di individuare gli elementi indizianti. Al riguardo si è precisato con motivazioni del tutto condivise dal Collegio che gli elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che questi abbia concorso, anche solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei lavori, possono essere individuati, nella piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e nell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione, così come dei rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, nellal eventuale presenza di quest'ultimo "in loco", nello svolgimento di attività ó\ì vigilanza dell'esecuzione dei lavori, nella richiesta di provvedimenti abilitativ in sanatoria, nel regime patrimoniale dei coniugi, ovvero in tutte quelle situazioni e comportamenti positivi o negativi dai quali possano trarsi element integrativi della colpa (Sez. 3, n. 26121 del 12/04/2005 Rv. 231954). In altre sentenze, in linea con i rilievi del PM ricorrente, si è effettivamente precisato che può essere attribuita al proprietario non formalmente committente dell'opera abusiva la responsabilità anche in relazione all'accertamento che questi abiti nello stesso territorio comunale ove è stata eretta la costruzione' abusiva, che sia stato individuato sul luogo, che sia il destinatario finale dell'opera (Sez. 3, n. 9536 dei 20/01/2004 Rv. 227403). Appare di conseguenza evidente che l'esclusione della responsabilità del proprietario non committente possa essere ritenuta solo qualora, all'esito del vaglio degli elementi di prova, si possa escludere l'interesse o il consenso di quest'ultimo dell'abuso".

SENTENZA CASSAZIONE

Quale posizione assume il comproprietario nel processo avverso la bocciatura di una DIA edilizia derivante dal mancato consenso del comproprietario all’intervento

19 Set 2012
19 Settembre 2012

La questione è esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 1180 del 2012.

Dalla sentenza si evince che il TAR parte dal presupposto che sia corretto che il comune non consenta un intervento edilizio, se manca il consenso del comproprietario dell'immobile oggetto dell'intervento.

Nel caso in cui, poi, il richiedente bocciato presenti un ricorso al TAR, la posizione dell'altro comproprietario è quella del controinteressato, con la conseguenza che il ricorso deve essere notificato anche a lui, a pena di inammissibilità.

Il TAR precisa anche che, nel caso di omessa notifica, l'intervento volontario nel processo da parte del controinteressato pretermesso non vale a sanare la inammissibilità.

L'unica possibilità che rimane all'interessato (se l'inammissibilità è già stata dichiarata dal tribunale) è quella di presentare un altro ricorso, sempre che non siano già scaduti i termini per ricorrere (per esempio, potrebbe presentare un ricorso straordinario, che non è impedito dal principio dell'alternatività tra il ricorso giurisdizionale e quello straordinario, data la inammissibilità del ricorso al TAR).

sentenza TAR veneto 1180 del 2012

Quanto costano allo Stato, e quindi a noi cittadini, gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti per malattia di Comuni, Unioni di Comuni, Province e Comunità Montane?‏ Euro 9.484.318

18 Set 2012
18 Settembre 2012

Dunque il costo è di Euro 9.484.318.

In  data  3   agosto   2012   e'   stato   emanato   il   decreto interministeriale  (interno  -   Mef)   concernente   «Modalita'   di assegnazione agli enti locali delle risorse economiche a fronte degli oneri da sostenere per gli accertamenti medico-legali  nei  confronti dei dipendenti assenti  per  la  malattia  (art.  17,  comma  5,  del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98) con allegato l'elenco degli  enti beneficiari delle quote di pertinenza, con indicazione della parte  a ciascuno spettante.

Il testo integrale  del  decreto  e  il  relativo  allegato  sono pubblicati  interamente  sul  sito  del  Ministero   dell'interno   - Dipartimento affari interni e territoriali - Direzione centrale della finanza  locale:  http://finanzalocale.interno.it//index.html nella pubblicazione del 30 agosto 2012 «Pagamento di somme per accertamenti medico-legali».

Link diretto:http://finanzalocale.interno.it//docum/comunicati/com300812all.pdf

Ai fini della scadenza del termine di impugnazione di un titolo edilizio non si può dire che la piena conoscenza si abbia solo dopo avere esercitato il diritto di accesso

18 Set 2012
18 Settembre 2012

Lo precisa la sentenza del TAR Veneto n. 1179 del 2012.

Il problema è stabilire quando si formi la piena conoscenza dell'atto da impugnare (circostanza che fa scattare il termine per l'impugnazione).

La questione è rilevante per sapere, per esempio, fino a quando il confinante possa impugnare il titolo ediizio del v icino (ricordando che la più recente giurisprudenza del TAR Veneto richiede anche la dimostrazione di un interesse specifico).

Scrive il TAR: "Parte ricorrente sostiene che il decorso di detti termini sia il risultato della piena conoscenza della lesività dell’atto, lesività che sarebbe stata pienamente “percepita” solo a seguito dell’esperimento del diritto di accesso. Tesi quest’ultima sostenuta sia nel proponimento del ricorso principale sia, ancora, per quanto concerne i successivi motivi aggiunti.
A tal fine il ricorrente riporta l’orientamento giurisprudenziale in base al quale, in materia edilizia, i titoli abilitativi sono impugnabili dai controinteressati dal momento in cui si possa ritenere integrata la conoscenza da parte dei terzi dell'intervento programmato. In particolare, tale orientamento postula che le opere abbiano raggiunto uno stadio e una consistenza tali da renderne chiara la lesività per le posizioni soggettive del confinante.
Detto orientamento giurisprudenziale deve, tuttavia, considerarsi “recessivo” rispetto a quella Giurisprudenza del Consiglio di Stato che, sempre ai fini di individuare il termine di impugnativa, ritiene comunque indispensabile verificare, nel concreto, in quale preciso momento il ricorrente abbia acquisito l’effettiva consapevolezza della lesione eventualmente manifestatasi (Consiglio di Stato sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4374).
Il termine dei lavori deve allora essere considerato una “presunzione” (peraltro “relativa”) dell’avvenuta conoscibilità della lesione ed, in quanto tale, non deve essere considerato applicabile tutte le volte che venga in rilievo sulla base di ulteriori elementi, ipotesi quest’ultima verificatasi nel caso di specie.
Dall’esame della documentazione dedotta in giudizio si desume come i Sig.ri Virginio e Gaspare Mazzocco avevano presentato un’istanza (inviata per conoscenza agli attuali controinteressati) e, in data 04/11/2011, diretta ad ottenere, da parte del Comune, la verifica delle distanze tra le costruzioni confinanti.
Il successivo 19 Marzo 2012, sempre i Sig.ri Virginio e Gaspare Mazzocco, avevano provveduto ad inviare al Comune un’analoga nota con la quale avevano reiterato la richiesta di verifica di legittimità dell’atto impugnato e, ciò, in considerazione dell’assunta violazione delle norme sulle distanze tra la stalla e l’edificio (presumibilmente in costruzione) di proprietà dei controinteressati.
L’invio di dette note dimostra come la lesività dell’opera fosse, in entrambe le date sopra ricordate, già del tutto manifesta.
2. Sul punto va inoltre ricordato come l’orientamento prevalente del Consiglio di Stato (Sez. IV, 13 Giugno 2011, n. 3583) ritiene che la nozione di “piena conoscenza…non postula necessariamente la conoscenza di tutti gli elementi, essendo sufficiente quella degli elementi essenziali quindi, l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo”.
Il tenore delle note inviate dalla parte ricorrente evidenzia inoltre come detta lesività costituisse oramai un dato di fatto oggettivo, in quanto strettamente correlato ad un dato ictu oculi verificabile e, in quanto tale, riconducibile alla presunta violazione delle regole sulle distanze.
3. Altresì censurabile è la tesi di parte ricorrente che vorrebbe far decorrere la piena conoscenza della “lesività” o dall’ultimazione dei lavori o, ancora, dall’acquisizione della documentazione successiva alla presentazione di un istanza di accesso agli atti. Sul punto è necessario ricordare quanto affermato da un’altrettanto recente Giurisprudenza nella parte ha sancito che..” la piena conoscenza del provvedimento causativo…non può ritenersi operante oltre ogni limite temporale ed in base ad elementi puramente esteriori, formali o estemporanei, quali ad esempio, atti d’iniziativa di parte (richieste d’accesso, istanze segnalazioni, ecc) con la conseguenza inaccettabile che l’attività dell’Amministrazione e le iniziative dei contro interessati restano soggette in definitivamente o per tempi dilatati alla possibilità di impugnazione anche quando l’interessato non si renda parte
diligente nel far valere la pretesa entro i limiti temporali assicuratigli dalla legge (Consiglio di Stato 05 Marzo 2010 n. 1298)”.
Deve pertanto concludersi nel dichiarare l’irricevibilità del ricorso per tardività della sua proposizione e ai sensi di cui all’art. 35 comma 1 lett. A) e, ciò, per quanto attiene i Sig. Virginio e Gaspare Mazzocco".

sentenza TAR Veneto 1179 del 2012

Note sulla decadenza del permesso di costruire

17 Set 2012
17 Settembre 2012

L’art. 15 del D.P.R. 06 giugno 2001 n. 380 (c.d. T.U. sull’edilizia) recita: “1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.

2. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.

3. La realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione.

4. Il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.

In passato era dibattuta la natura della decadenza del titolo edilizio correlata all’inattività dell’interessato: operava automaticamente o era necessario un provvedimento amministrativo espresso?

Parte della giurisprudenza riteneva che “La decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed ultimazione dei lavori non è automatica e, pertanto, tale decadenza deve essere necessariamente dichiarata, ai sensi dell'art. 31, l. n. 1150 del 1942, con apposito provvedimento, nei cui riguardi il privato non vanta che una posizione giuridica di interesse legittimo, sicché non è configurabile nella specie un giudizio d'accertamento” (T.A.R. Abruzzo, Pescara, 28.06.2002, n. 595) e che “affinché la concessione edilizia perda, per decadenza, la propria efficacia ex art. 31 l. n. 1150 del 1942, occorre un atto formale dell'amministrazione che renda operanti gli effetti della decadenza accertata” (Cons. Stato, sez. V, 26.06.2000, n. 3612), con la conseguenza che “è necessaria l'adozione di un atto dell'amministrazione che, accertata la sussistenza dei presupposti della decadenza, renda operativa la perdita di efficacia della concessione edilizia” (Cons. Stato, sez. V, 15.06.1998, n. 834).

L’orientamento maggioritario riteneva invece che: “La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori opera di diritto, con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi "ex se" con l'inutile decorso del termine. Segue da ciò che: a) l'eventuale provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato con richiamo al termine ultimo previsto per l'inizio dei lavori, senza che sia necessaria una comparazione tra l'interesse del privato e quello pubblico, essendo quest'ultimo "ope legis" prevalente sul primo; b) non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, essendo la decadenza un effetto "ipso iure" del mancato inizio dei lavori e non residuando all'amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 28.06.2005, n. 5370).

Attualmente la prevalente giurisprudenza ritiene che la decadenza del premesso di costruire operi ipso jure, cioè in assenza di un provvedimento espresso in quanto “la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori operava di diritto e che il provvedimento pronunciante la decadenza, ove adottato, aveva carattere meramente dichiarativo di un effetto “ex se”, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine prefissato” (Cons. Stato, sez. IV, 18.05.2012, n. 2915). Anche il T.A.R. Marche, Ancona, 28.12.2009, n. 1475 afferma lo stesso principio: “, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa della società concessionaria, la decadenza deve essere dichiarata mediante un provvedimento formale, avendo la stessa natura dichiarativa”.

In realtà non mancano alcune pronunce di segno contrario: il Consiglio di Stato, sez. V, 12.05.2011, n. 2821 reputa che “la perdita di efficacia della concessione edilizia per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell'Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la declaratoria di decadenza”.

Recentemente il T.A.R. Veneto ha affermato la decadenza automatica del permesso di costruire per mancato inizio dei lavori entro l’anno in assenza di proroga anche con riferimento all’ampliamento previsto dall’art. 9, comma 6, della L. R. 08 luglio 2009 n. 14 (c.d. Piano Casa) sancendo la “decadenza del permesso di costruire, dichiarata per mancato inizio dei lavori entro l’anno” (T.A.R. Veneto, Venezia, 01.03.2011, n. 361).

Il Consiglio di Stato ritiene che la pronuncia di “decadenza del permesso di costruire è per certo  espressione di un potere strettamente vincolato; ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare, ovvero della sopravvenienza di una nuova e diversa strumentazione edilizia e assume pertanto decorrenza ex tunc; inoltre il termine di durata del titolo edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo edilizio e che accerti l'impossibilità del rispetto del termine ab origine fissato, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis, ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore” (Cons. Stato, sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).

Con riferimento alla proroga il T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 22.05.2012, n. 874 chiarisce che: “il superamento del termine massimo previsto per l'ultimazione dei lavori è giustificato in presenza di un «factum principiss» o di forza maggiore, ossia di atti d'autorità provenienti (anche) dalla stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo o di fatti sopravvenuti non imputabili al concessionario; per essere ritenuti ammissibili, le ipotesi di sospensione o proroga connesse a «factum principiss» o a forza maggiore debbono, tuttavia, risultare non riferibili alla condotta del titolare della concessione o comunque della situazione di vantaggio. L'evento interruttivo è, infatti, imputabile al titolare del diritto nelle ipotesi in cui non si è di fronte a fatti che sfuggono con carattere di non eludibilità al suo controllo”.

Corollario di ciò è che se il soggetto richiedente il permesso di costruire presenta una istanza di proroga conforme ai requisiti previsti dall’art. 15 del T.U. dell’edilizia, l’Amministrazione deve adottare un provvedimento ad hoc in cui accerti la presenza dei requisiti legali richiesti: tale provvedimento quindi non ha natura dichiarativa ma costitutiva.

Alla luce di quanto detto si può affermare che se il soggetto richiedente il permesso di costruire - decorso il termine di ultimazione dei lavori ed in assenza di istanza di proroga - sia rimasto inerte l’Amministrazione non ha l’onere di notificare all’interessato un provvedimento che dichiari la sua decadenza; al contrario in caso di istanza di proroga l’Amministrazione ha l’obbligo di adottare un provvedimento espresso che accerti (o non accerti) la presenza dei requisiti richiesti.

dott. Matteo Acquasaliente

T.A.R. Veneto. Venezia, 01.03.2011, n. 361

Seminario sui titoli edilizi e le novità della legge 134 del 2012: Spinea 19 ottobre 2012

15 Set 2012
15 Settembre 2012

Il Comune di Spinea organizza un convegno sui titoli edilizi e le novità introdotte dalla legge 134 del 2012.

Verranno esaminati i procedimenti e il regime sanzionatorio ed analizzate le problermatiche più frequenti.

Relatori saranno l'avv. Stefano Bigolaro e l'avv. Alessandro Veronese, ai quali potranno essere anticipati i quesiti.

Alleghiamo la locandina con il modulo per l'iscrizione.

ProgrammaConSchedaIscrizione19 ottobre

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