E’ logico e ha senso applicare il concetto attuale di difformità edilizia alle situazioni anteriori alla legge n. 10/1977?

05 Nov 2021
5 Novembre 2021

Chi si occupa di edilizia riscontra giornalmente innumerevoli situazioni nelle quali prima della legge n. 10 del 1977 gli edifici venivano costruiti in  modo difforme rispetto alla licenza edilizia richiesta dalla legge n. 1150 del 1942 e dalla legge  n. 765 del 1967.

Queste situazioni, quando vengono approfondite con i documenti dell'epoca, molto spesso rivelano che il Comune era pienamente consapevole della difformità, ma che non la considerava un problema irrisolto, tanto che il Comune rilasciava normalmente la abitabilità, scrivendo in modo espresso che le opere eseguite erano conformi al progetto. Ma attestazioni similari sulla conformità delle opere eseguite al progetto si trovano talvolta anche in altri documenti provenienti dal Comune.

O i nostri antenati erano bugiardi e falsari incalliti e spregiudicati oppure a noi oggi sfugge qualcosa, vale a dire che siamo noi che ragioniamo male e non capiamo il senso di quei documenti.

E io personalmente ritengo che il problema siamo proprio noi e non loro, perchè applichiamo le rigide categorie attuali di abuso edilizio alle fattispecie di allora, quando la normativa e la prassi erano completamente diverse da quelle attuali.

Infatti ci sono almeno due modi di ragionare sulle innumerevoli situazioni nelle quali prima della legge n. 10 del 1977 gli edifici venivano costruiti in  modo difforme rispetto alla licenza edilizia richiesta dalla legge n. 1150 del 1942 e dalla legge  n. 765 del 1967.

Il primo modo è quello massimalista e ispirato a una visione ideologicamente repressiva delle vicende umane: poichè in base alle leggi attuali (a partire perlomeno dalla legge n. 10/1977), si  tratta di abusi edilizi, queste fattispecie vanno sanzionate con le regole attuali, a prescindere da varie circostanze, tra le quali, per esempio, dal fatto che a suo tempo il comune avesse rilasciato la abitabilità dichiarando la conformità delle opere eseguite.

Il secondo modo è quello che si sforza di capire perchè i nostri antenati agivano in quel modo.

In questo scritto provo a dare una spiegazione o, perlomeno, a spiegare alcune cose che a me sembra di avere capito.

Prima di procedere, peraltro, mi sembra anche utile ricordare che l'articolo 11 delle disposizioni preliminari al codice civile stabilisce che: "La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo".  E questo dovrebbe essere un ulteriore buon motivo per fare una sforzo per capire il senso di quello che accadeva a quel tempo.

Cominciamo andando a vedere cosa succede in materia di difformità a partire dal 1977.

L'articolo 15 della legge n. 10 del 1977, che ha introdotto la figura della concessione edilizia, al posto della precedenza licenzia edilizia, disciplinava le sanzioni amministrative, stabilendo, tra l'altro, quanto segue:

"Le opere realizzate in parziale difformità dalla concessione debbono essere demolite a spese del concessionario. Nel caso in cui le opere difformi non possono essere rimosse senza pregiudizio della parte conforme, il sindaco applica una sanzione pari al doppio del valore della parte dell'opera realizzata in difformità dalla concessione. Non si precede alla demolizione ovvero all'applicazione della sanzione di cui al comma precedente nel caso di realizzazione di varianti, purchè esse non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e non modifichino la sagoma, le superfici utili e la destinazione d'uso delle costruzioni per le quali è stata rilasciata la concessione. Le varianti dovranno comunque essere approvate prima del rilascio del certificato di abitabilità".

Successivamente la legge n. 47 del 1985 ha introdotto l'istituto dell'accertamento di conformità, stabilendo che l'interessato può ottenere una concessione in sanatoria per le difformità, "quando l'opera eseguita in assenza della concessione o autorizzazione è conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda", con l'aggiunta che "il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di concessione in misura doppia, ovvero, nei soli casi di gratuità della concessione a norma di legge, in misura pari a quella prevista dagli articoli 3, 5, 6 e 10 della legge 28 gennaio 1977, n. 10". Quindi la legge 47 ha precisato meglio i presupposto per la sanatoria e ha introdotto una oblazione pecuniaria per ottenere la sanatoria, che prima non era prevista.

Ma prima del 1977 come venivano disciplinate ledifformità? Da quello che ho ricostruito, la disposizione di legge rilevante era  l'articolo 32 della legge n. 1150 del 1942, il quale attribuiva al Podestà il compito di vigilare sulle costruzioni, stabilendo che:

"Il podestà esercita la vigilanza sulle costruzioni che si eseguono nel territorio del Comune per assicurarne la rispondenza alle norme della presente legge e dei regolamenti, alle prescrizioni del piano regolatore comunale ed alle modalità esecutive fissate nella licenza di costruzione. Esso si varrà per tale vigilanza dei funzionari ed agenti comunali e d’ogni altro modo di controllo che ritenga opportuno adottare. Qualora sia constatata l’inosservanza delle dette norme, prescrizioni e modalità esecutive, il podestà ordina l’immediata sospensione dei lavori con riserva dei provvedimenti che risultino necessari per la modifica delle costruzioni o per la rimessa in pristino. L’ordine di sospensione cesserà di avere efficacia se entro un mese dalla notificazione di esso il podestà non abbia adottato e notificato i provvedimenti definitivi".

Quindi c'era una disciplina molto scarna, dalla quale si poteva benissimo capire che le varianti o le difformità venivano accettate se erano conforme alle "norme della presente legge e dei regolamenti, alle prescrizioni del piano regolatore comunale" e che veniva ordinata la rimessione in pristino se tale conformità non sussisteva (a parte il fatto che spesso il piano regolatore  non c'era neanche).

L'articolo 32 non disciplinava un formale procedimento di sanatoria, non era previsto il rilascio di un titolo in sanatoria e, quindi, è del tutto logico immaginare i nostri antenati abbiano pensato che il problema si poteva risolvere in sede di abitabilità: in quel momento, se le opere erano conformi alle "norme della presente legge e dei regolamenti, alle prescrizioni del piano regolatore comunale", nel provvedimento di rilascio della abitabilità si attestava che le opere erano conformi al progetto e si rilasciava l'abitabilità. E' evidente che dal punto di vista linguistico oggi noi siamo portati a dire che non è vero che le opere difformi fossero conformi al progetto approvato, ma, quando dalla carte dell'epoca emerge in modo inequivocabile che il Comune aveva rilevato la difformità, è anche evidente che la attestazione di conformità non poteva essere riferita al progetto inziale, ma non poteva che riferirsi altro che al progetto realizzato e alla sua conformità rispetto alle "norme della presente legge e dei regolamenti, alle prescrizioni del piano regolatore comunale".

A mio giudizio deve essere valorizzata anche l'espressione contenuta nell'articolo 32 "con riserva dei provvedimenti che risultino necessari per la modifica delle costruzioni": mancando  una disciplina di tali provvedimenti è realistico pensare che i Comuni si sentissero abbastanza liberi di recepire le modifiche intervenute rispetto al progetto approvato in modo abbastanza libero e informale, per esempio appunto in sede di agibilità.

Ho provato a intervistare sul punto alcune persone molto anziane che, però. si ricordano come funzionavano le cose all'epoca (funzionari comunali, geometri, persone che hanno costruito la casa in modo difforme dal progetto). Esse mi hanno confermato che quasi mai venivano presentate varianti al Comune (ritenendo che non fossero previste dalla normativa) e che il Sindaco normalmente diceva a voce di procedere pure con la costruzione e che  avrebbe preso atto delle difformità in sede di abitabilità.

In un caso che ho esaminato, riferito al Comune di Vicenza, ho trovato un ulteriore tassello che, a mio parere, conferma questa ricostruzione: quando l'interessato ha chiesto l'abitabilità un ingegnere della Sezione Edilizia Privata nel 1970 ha emesso una attestazione "di eseguito sopralluogo e di conformità della costruzione al progetto approvato": però la costruzione presentava al tempo alcune difformità, che sussistono ancora oggi (e non c'è nessun dubbio che l'edificio sia nato così). Un mese dopo, il Capo Sezione Edilizia Privata rilascia una ulteriore attestazione nella quale scrive: "Si dichiara che i lavori sono stati ultimati il 25-8-70 ed eseguiti in conformità al progetto approvato".

E' evidente che questi funzionari dell'epoca non erano delinquenti incalliti che dichiaravano volontariamente il falso: gli è che il concetto di conformità al progetto approvato che avevano all'epoca non è quello che abbiamo noi oggi.

La diffusione generalizzata della situazione descritta nel presente post consente di escludere con sicurezza che si trattasse di fenomeni di illegittimità e di compimento di falsi, trattandosi piuttosto di una prassi operativa all'epoca ritenuta normale e legittima.

Forse è meglio che ci fermiamo un attimo a rifletto se abbia ancora davvero un senso fare diventare matte le persone che hanno il certificato di abitabilità per opere che per noi oggi sarebbero difformi.

Dario Meneguzzo - avvocato

5 replies
  1. Marco Farro says:

    Ottima analisi Avvocato, ma purtroppo penso che il problema lo può risolvere solo il legislatore statale.
    Ti proporrei di redigere un “Manifesto” con pochi punti sintetici e chiari, che possano costituire una proposta normativa utile per fare pressione sul legislatore.

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  2. Rg says:

    Fantastica e lucida analisi, bravissimo, ma, ahinoi, poco utile nei confronti di banche, notai e pubbliche amministrazioni varie a tutti i livelli. Purtroppo per i proprietari di vecchie case e purtroppo per noi tecnici, le normative si sono stratificate fino a formare il mostro ingestibile che abbiamo ora.
    Mi sarebbe piaciuto leggere anche qualche possibile proposta per risolvere il problema, nonchè sapere se c’è qualcosa che si possa fare, come tecnici, per sensibilizzare chi di dovere a cercare una soluzione corretta a questi problemi.

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  3. geometra Carlo Bisol Vidor says:

    In quel epoca, prima del 1977 i tecnici comunali non tenevano conto dentro o fuori del centri abitati delle modifiche apportate al progetto autorizzato, rilasciavano l’abitabilità con delle annotazioni sulla pratica, praticamente segnavano le varianti apportate che invece oggi noi dobbiamo fare grafici comparativi, dichiarazioni su dichiarazioni anche per modeste modifiche interne Oggi. per rilasciare un benestare di un mutuo certe banche verificano con la lente di ingrandimento la corrispondenza del progetto, una volta era immaginabile di bloccare un mutuo per un spostamento di qualche parete. Purtroppo abbiamo creato un sistema che non ne veniamo fuori, perchè nessuno si prende la responsabilità di cancellare quelle norme fuori della realtà che cui dobbiamo sanare ora piccole difformità fatte 50 anni fà. All’estero ci prendono per pazzi.

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  4. Vittorio says:

    Due episodi.
    In un Comune presso cui ho prestato servizio fra il 1984 e il 1996 , nel 1985 con l’arrivo del condono edilizio si sono dissepolte innumerevoli pratiche edilizie si richiesta dei Cittadini che volevano verificare la situazione dei propri immobili.
    Con mia gran sorpresa – ero giovane ed ingenuo – scoprii che in molti elaborati progettuali erano riportate, a matita, le difformità rilevate, con tanto di misure, al momento del rilascio del certificato di abitabilità. Certificato peraltro regolarmente rilasciato.
    Il Collega amministrativo, che prestava servizio da una ventina d’anni, mi spiegò che il precedente Capo Ufficio – perito anzitempo in modo tragico – quando usciva per le agibilità faceva questi rilievi, ma non per motivi urbanistici, bensì per calcolare l’importo del “ dazio “ che si pagava al Comune sino al 1972. “ Dazio “ sul quale l’ex Capo Ufficio Tecnico percepiva una piccola percentuale.
    L’accertamento veniva fatto, quindi, per fini fiscali e pro domo sua .
    Fu nostra cura avvisare gli interessati che fosse opportuno regolarizzare la situazione utilizzando il condono edilizio. Certo nell’archivio riposano ancora placidamente numerose pratiche in questa situazione, pronte a scoppiare, come mine dimenticate, al primo intervento.
    In un altro Comune scoprii che l’Ufficio aveva rilevato, in sede di abitabilità e in data ben anteriore al 1977, un abuso edilizio ma – con tanto di scrittura privata in carta bollata da £ 500 – aveva soprasseduto in quanto il proprietario aveva ceduto al Comune un tratto di strada.
    Mi piacerebbe sapere come si esprimerebbe la Giustizia Amministrativa qualora i Comuni in questione dovessero emettere provvedimenti repressivi …..

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  5. Fiorenza Dal Zotto says:

    Spesso i comuni hanno dei regolamenti/programmi di fabbricazione/piani regolatori, come nel mio caso, che disciplinano anche l’obbligo e i casi in cui è necessario presentare varianti ai nulla osta/permessi/concessioni (così come variamente definiti) anche prima del 1977 e direi che questa è la situazione più diffusa.
    In ogni caso, il legislatore regionale ha cercato di risolvere la questione posta – seppure in modo confuso soprattutto in relazione alle limitazioni “soggettive” del richiedente – con il nuovo 93 bis della l.r. 61/1985 introdotto dall’art. 7 della l.r. 19/2021, che però è stato impugnato.

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