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In effetti la questione posta meriterebbe una soluzione e quella prospettata mi sembra, a una prima lettura, ragionevole. Nella speranza che prima o poi che il legislatore intervenga, mi permetto di segnalare una questione che potrebbe rivelarsi utile. E’ vero che molti comuni hanno uno strumento urbanistico che spesso estende l’obbligo di un titolo edilizio su tutto il territorio comunale giĂ prima del 1967 (nulla osta, autorizzazione, ecc., viene qualificato in vari modi nelle diverse realtĂ ’ comunali). E’ altrettanto vero che però, solitamente, questi stessi strumenti hanno, al proprio interno, norme che precisano anche che modeste modifiche ai progetti originari non richiedono lĂ presentazioni di varianti. Ecco questo può costituire, giĂ attualmente, uno strumento per risolvere alcuni così di difformitĂ che possono appunto non qualificarsi abusi edili in quanto riconducibili alla “tolleranza” concessa è ammessa dallo strumento urbanistico vigente al momento della sua realizzazione. Certo, questa soluzione può applicarsi nei caso in cui le variazioni riscontrate possano incontrovertibilmente ricondursi al processo di costruzione originario dell’edilificio e siano riconducibili a quelle , solitamente di “modesta entitĂ ” ammesse dagli strumenti urbanistici del passato, ma consente di dare soluzioni appunto ragionevoli e, a mio avviso, anche sostenibili dal punto di vista giuridico a quelle difformitĂ che spesso si riscontrano nella realtĂ quali appunto la traslazione (contenuta) dell’edificio nel lotto, la realizzazione di altezze limitatamente maggiori o minori di quanto indicato nel nulla osta/ autorizzazione. Questa soluzione può trovare applicazione quanto meno per alcune difformitĂ risalenti nel tempo e consente quindi, attraverso una “contestualizzazione” della difformitĂ , di risolvere almeno alcuni così di difformitĂ che attualmente difficilmente potrebbero essere sanati ai sensi art. 36 d.P.r. 380/2001. Il principio è: questa difformitĂ , tanto in quanto ammessa dallo strumento urbanistico in vigore al momento della sua realizzazione, non costituisce abuso o difformitĂ dal titolo tanto in quanto appunto riconducibile alle possibili varianti e adeguamenti ammessi dallo strumento urbanistico stesso. D’altro canto, la contestualizzazione dell’opera all momento della sua costruzione è un’operazione consueta anche in relazione ai profili di carattere paesaggistico. Se infatti abbiamo una costruzione realizzata molti anni fa regolarmente su un’area che un tempo non era vincolata dal punto di vista paesaggistico (l’area viene sottoposta a vincolo solo successivamente) e che quindi viene costruita senza alcuna autorizzazione paesagggistica perchĂ© allora il vincolo paesaggistico non c’ era, non è che ora ci sogniamo di chiedere l’autorizzazione paesaggistica per quella costruzione. La chiediamo solo nel caso in cui si volgiano fare modifiche in un momento successivo all’imposizione del vincolo (altro discorso vale per i pareri in relazione alla datazione delle opere nel caso del vincolo di inedificabilitĂ di cui all’articolo. 33 della legge 47/1985). Nella speranza di aver dato un utile contributo, ringrazio l’avv. meneguzzo per aver posto l’attenzione su un tema che richiede L’ intervento del legislatore affinchĂ© si possano offrire soluzioni a problemi concreti e ricorrenti. Forse sarebbe utile prendere spunto anche dalla legislazione straniera. Francia, Germania, e altri, come fanno? Fiorenza dal zotto
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