11 Novembre 2025
Il Consiglio di Stato ha affermato che in materia di decadenza dagli incentivi energetici disposta dal Gestore dei servizi energetici (GSE), nei casi in cui trova applicazione la disciplina transitoria contenuta nell’art. 56, co. 8 d.l. 76/2020, come convertito nella l. 120/2020, il termine di cui all’art. 21-nonies l. 241/1990 si applica solo a far data dalla sua introduzione e non dall’adozione dell’atto. Ove quello trascorso prima dell’entrata in vigore della novella, da solo o sommato a parte di quello sopravvenuto, sia di per sé già tale da superare il vaglio di «ragionevolezza», è di tutta evidenza che quest’ultimo non può risolversi in una sorta di rimessione in termini di una P.A. lungamente inerte.
In materia di decadenza dagli incentivi energetici, il richiamo ai presupposti di cui all’art. 21-nonies cit., contenuto nell’art. 42, co. 3 d.lgs. 28/2011, è comprensivo anche delle regole sulla autotutela doverosa parziale di cui al comma 2-bis dell’art. 21-nonies cit., ma i relativi principi necessitano di un adattamento alle peculiarità del potere di decadenza. In particolare, essi finiscono per assumere una notazione di maggior rigore in ragione della centralità del principio di autoresponsabilità nella produzione di dichiarazioni e di documenti che governa l’accesso agli incentivi.
Ciò comporta la sostanziale neutralità dello scrutinio dell’elemento soggettivo (e quindi dell’eventuale buona fede del dichiarante), nonché l’inconfigurabilità del falso innocuo, non potendo il GSE farsi carico di dimostrare l’intento sotteso alla mancata prospettazione di un quadro reale, salvo rilevarne la conseguenza finale.
La decurtazione percentuale degli incentivi energetici in luogo della decadenza, prevista dall’art. 42, co. 3 cit., presuppone un giudizio aggiuntivo di rilevanza della violazione da parte del GSE e si pone come una sanzione minore rispetto alla decadenza in quanto la salvaguardia, almeno in parte, della situazione riscontrata, è ritenuta compatibile con le esigenze pubblicistiche sottese al potere di vigilanza. Esso riguarda le sole violazioni di minore entità e non quelle rilevanti ai fini dell’ottenimento dell’incentivo
L’artato frazionamento degli impianti costituisce abuso del diritto nello specifico settore dei meccanismi di incentivazione per la produzione di energia da fonti rinnovabili e costituisce una violazione rilevante ai fini della decadenza dagli incentivi energetici, in quanto l’elusione delle regole di settore al fine di conseguire vantaggi non spettanti, quale che ne sia la natura, non può assurgere a fattispecie costitutiva del diritto all’incentivazione (o del diritto a un’incentivazione superiore a quella spettante), in quanto pregiudica gli altri operatori economici che quelle regole hanno rispettato, vanifica l’imposizione di specifici requisiti di potenza per l’ammissione al beneficio e frustra, in ultima analisi, la stessa finalità perseguita attraverso la distribuzione delle risorse, scarse per definizione.
Per «artato frazionamento» deve intendersi la pratica utilizzata dal produttore di energia rinnovabile per ottenere incentivi non dovuti o maggiori rispetto a quelli effettivamente spettanti, o comunque un beneficio, mediante la divisione di un unico impianto in due o più di taglia più piccola, con ciò danneggiando non solo le casse dello Stato ma anche gli altri produttori, giusta la natura limitata delle somme destinate allo scopo.
Sul piano probatorio, ai fini della sussistenza dell’artato frazionamento di un impianto, è sufficiente che esso possa ragionevolmente e non illogicamente desumersi da fatti gravi, precisi e concordanti: nel caso di specie, la sostanziale contestualità di richieste e adempimenti, la contiguità degli impianti (tutti di analoga potenza) e delle particelle di ubicazione, poi confluite in una sola dopo essere rimaste frazionate per il tempo necessario all’inoltro delle singole istanze e l’identità del soggetto responsabile.
Post di Alberto Antico – avvocato
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