Terzo condono in area paesaggistica e falsità dichiarative

12 Nov 2025
12 Novembre 2025

Il Consiglio di Stato ha affermato che ai sensi dell’art. 32, co. 27, lett. d d.l. 269/2003, come convertito nella l. 326/2003, cd. terzo condono, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, anche di carattere relativo come il vincolo d’insieme, sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle altre condizioni, siano opere minori senza aumento di volume e superficie.

Risulta adeguatamente motivato un atto di annullamento d’ufficio del titolo edilizio rilasciato in sede di condono con riguardo alla non veritiera dichiarazione, nella pratica di condono, dell’insussistenza di vincoli paesaggistici, in grado di escludere qualunque legittimo affidamento del privato, anche alla luce della responsabilità assunta con il rilascio della dichiarazione, ai sensi del d.P.R. 445/2000. La natura non veritiera delle dichiarazioni, indipendentemente dal rilievo penale della vicenda, giustifica il superamento del termine di 18 mesi (ora 12) previsto dal comma 1 dell’art. 21-nonies l. 241/1990, ai sensi del comma 2-bis del medesimo articolo.

Post di Alberto Antico – avvocato

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L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’abuso edilizio non demolito

12 Nov 2025
12 Novembre 2025

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha affermato che l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, di cui all’art. 31, d.P.R. 380/2001, rappresenta una fattispecie sanzionatoria a formazione legale, che si perfeziona automaticamente per effetto dell’inutile decorso del termine assegnato per la demolizione. L’atto che il Comune adotta successivamente non costituisce il fondamento dell’effetto traslativo, ma ne rappresenta soltanto la presa d’atto formale, destinata a consentire l’immissione in possesso e la trascrizione nei registri immobiliari. Tale atto è, dunque, vincolato nel contenuto e privo di margini valutativi: può essere sindacato in sede giurisdizionale solo per vizi formali propri (ad esempio, difetti di notificazione, erronea perimetrazione catastale, carenze di individuazione dell’area), ma non per rimettere in discussione l’ordine di demolizione ormai definitivo.

Il terzo titolare di un diritto di abitazione sull’immobile abusivo, ancorché quest’ultimo sia trascritto anteriormente all’applicazione della misura repressiva e sia opponibile ai terzi, non rappresenta un destinatario necessario dell’ordine di demolizione, legittimamente rivolta e notificata al proprietario del bene, quale soggetto responsabile dell’abuso e tenuto ex lege a darvi esecuzione.

Post di Alberto Antico – avvocato

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È impugnabile il verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione?

12 Nov 2025
12 Novembre 2025

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha dichiarato ammissibile il ricorso proposto avverso il verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, laddove quest’ultimo rechi anche la contestuale disposizione circa la trascrizione presso l’Agenzia del territorio e gli altri adempimenti atti a dare attuazione all’art. 31, co. 5 d.P.R. 380/2001, ai fini dell’acquisizione al patrimonio comunale.

La sentenza di primo grado che dichiari inammissibile il relativo ricorso deve essere annullata con rinvio ai sensi dell’art. 105 c.p.a.

Post di Alberto Antico – avvocato

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Ordinanza di demolizione e richiesta di sanatoria

12 Nov 2025
12 Novembre 2025

Il TAR Veneto ha affermato che la presentazione di una domanda di sanatoria determina l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse avverso la relativa ordinanza di demolizione, poiché, ove l’istanza sia accolta, rimarrà definitivamente inoperante l’ingiunzione demolitoria e l’eventuale, successiva, acquisizione gratuita del bene al patrimonio del Comune; per il caso di rigetto della domanda, il Comune dovrà provvedere all’adozione di una nuova sanzione urbanistica.

Si segnala che la questione non è pacifica in giurisprudenza.

Post di Alberto Antico – avvocato

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La valutazione di interesse culturale di un immobile

12 Nov 2025
12 Novembre 2025

Il TAR Veneto ha offerto utili princìpi rispetto a tale procedimento, ampiamente discrezionale.

In particolare, la mancata previsione di un possibile interesse culturale dell’edificio e della tenuta circostante nell’ambito del PAT non priva il Ministero della Cultura del potere di imporre successivamente un vincolo ex art. 10 d.lgs. 42/2004, in base alla normativa di tutela del patrimonio storico e artistico.

Post di Alberto Antico – avvocato

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Autorizzazione paesaggistica e ripostiglio in calcestruzzo

11 Nov 2025
11 Novembre 2025

Il TAR Veneto ha affermato che non può beneficiare dell’esenzione dall’autorizzazione paesaggistica ai sensi del punto A.19 del d.P.R. 31/2017 un ricovero/ripostiglio realizzato con blocchi di calcestruzzo che, pur in assenza di alcun tipo di collante e di fondazioni, non può qualificarsi come opera facilmente amovibile. Il manufatto presenta, infatti, all’evidenza, una sua stabilità per via degli elementi che lo compongono, i quali, al tempo stesso, non ne garantiscono la sicurezza strutturale.

Post di Alberto Antico – avvocato

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Aree idonee per il fotovoltaico: in mancanza dei decreti ministeriali, le Regioni non possono disporre alcuna disciplina transitoria

11 Nov 2025
11 Novembre 2025

Il Consiglio di Stato ha affermato che ai sensi dell’art. 20 d.lgs. 199/2021, l’esercizio del potere legislativo e regolamentare delle Regioni in materia di individuazione delle aree idonee è subordinato all’emanazione di specifici decreti ministeriali, da adottare previa acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni. Sino all’emanazione dei decreti, non v’è alcuno spazio di intervento della Regione, ma trova diretta e automatica applicazione il regime previsto dal comma 8 dell’art. 20 cit., che reca la qualificazione ex lege delle aree idonee. Pertanto, è illegittima la delibera regionale con cui si fissa una disciplina transitoria delle aree idonee e non idonee all’istallazione degli impianti fotovoltaici.

Post di Alberto Antico – avvocato

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Decadenza dagli incentivi energetici

11 Nov 2025
11 Novembre 2025

Il Consiglio di Stato ha affermato che in materia di decadenza dagli incentivi energetici disposta dal Gestore dei servizi energetici (GSE), nei casi in cui trova applicazione la disciplina transitoria contenuta nell’art. 56, co. 8 d.l. 76/2020, come convertito nella l. 120/2020, il termine di cui all’art. 21-nonies l. 241/1990 si applica solo a far data dalla sua introduzione e non dall’adozione dell’atto. Ove quello trascorso prima dell’entrata in vigore della novella, da solo o sommato a parte di quello sopravvenuto, sia di per sé già tale da superare il vaglio di «ragionevolezza», è di tutta evidenza che quest’ultimo non può risolversi in una sorta di rimessione in termini di una P.A. lungamente inerte.

In materia di decadenza dagli incentivi energetici, il richiamo ai presupposti di cui all’art. 21-nonies cit., contenuto nell’art. 42, co. 3 d.lgs. 28/2011, è comprensivo anche delle regole sulla autotutela doverosa parziale di cui al comma 2-bis dell’art. 21-nonies cit., ma i relativi principi necessitano di un adattamento alle peculiarità del potere di decadenza. In particolare, essi finiscono per assumere una notazione di maggior rigore in ragione della centralità del principio di autoresponsabilità nella produzione di dichiarazioni e di documenti che governa l’accesso agli incentivi.

Ciò comporta la sostanziale neutralità dello scrutinio dell’elemento soggettivo (e quindi dell’eventuale buona fede del dichiarante), nonché l’inconfigurabilità del falso innocuo, non potendo il GSE farsi carico di dimostrare l’intento sotteso alla mancata prospettazione di un quadro reale, salvo rilevarne la conseguenza finale.

La decurtazione percentuale degli incentivi energetici in luogo della decadenza, prevista dall’art. 42, co. 3 cit., presuppone un giudizio aggiuntivo di rilevanza della violazione da parte del GSE e si pone come una sanzione minore rispetto alla decadenza in quanto la salvaguardia, almeno in parte, della situazione riscontrata, è ritenuta compatibile con le esigenze pubblicistiche sottese al potere di vigilanza. Esso riguarda le sole violazioni di minore entità e non quelle rilevanti ai fini dell’ottenimento dell’incentivo

L’artato frazionamento degli impianti costituisce abuso del diritto nello specifico settore dei meccanismi di incentivazione per la produzione di energia da fonti rinnovabili e costituisce una violazione rilevante ai fini della decadenza dagli incentivi energetici, in quanto l’elusione delle regole di settore al fine di conseguire vantaggi non spettanti, quale che ne sia la natura, non può assurgere a fattispecie costitutiva del diritto all’incentivazione (o del diritto a un’incentivazione superiore a quella spettante), in quanto pregiudica gli altri operatori economici che quelle regole hanno rispettato, vanifica l’imposizione di specifici requisiti di potenza per l’ammissione al beneficio e frustra, in ultima analisi, la stessa finalità perseguita attraverso la distribuzione delle risorse, scarse per definizione.

Per «artato frazionamento» deve intendersi la pratica utilizzata dal produttore di energia rinnovabile per ottenere incentivi non dovuti o maggiori rispetto a quelli effettivamente spettanti, o comunque un beneficio, mediante la divisione di un unico impianto in due o più di taglia più piccola, con ciò danneggiando non solo le casse dello Stato ma anche gli altri produttori, giusta la natura limitata delle somme destinate allo scopo.

Sul piano probatorio, ai fini della sussistenza dell’artato frazionamento di un impianto, è sufficiente che esso possa ragionevolmente e non illogicamente desumersi da fatti gravi, precisi e concordanti: nel caso di specie, la sostanziale contestualità di richieste e adempimenti, la contiguità degli impianti (tutti di analoga potenza) e delle particelle di ubicazione, poi confluite in una sola dopo essere rimaste frazionate per il tempo necessario all’inoltro delle singole istanze e l’identità del soggetto responsabile.

Post di Alberto Antico – avvocato

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Cambio d’uso nella Città antica di Venezia: la riforma Salva casa dev’essere interpretata rispettando l’unicità della Serenissima

11 Nov 2025
11 Novembre 2025

Nel caso di specie, il privato presentava al Comune di Venezia una SCIA volta al cambio di destinazione d’uso del suo immobile in Zona A, da residenziale a turistico, ai sensi dell’art. 23-ter d.P.R. 380/2001, nel testo vigente dopo la cd. riforma Salva casa.

Il Comune inibiva il cambio d’uso, ritenendo che i commi 1 ter-quater dell’art. 23-ter cit. facciano salve le normative di settore e le norme degli strumenti urbanistici comunali che fissino specifiche condizioni. Nello specifico, ostava al cambio d’uso il fatto che la scheda del PRG relativa all’immobile non prevedesse la destinazione turistico-ricettiva, nonché che il regolamento edilizio richiedesse un accesso separato per le attività ricettive e determinati obblighi relativi agli scarichi delle acque reflue. Non bastasse, lo strumento urbanistico prevede che l’insediamento e l’ampliamento dell’attività ricettiva alberghiera e complementare siano autorizzati con deliberazione consiliare, ove il Comune ne ravvisi il pubblico interesse.

Il TAR Veneto ha respinto il ricorso del privato.

La richiesta del privato cozzava con lo spirito informatore della novella legislativa che ha condotto alla modifica dell’art. 23-ter d.P.R. 380/2001 e, prima ancora, con il canone della «natura delle cose» (sic), così come inteso da un’autorevolissima dottrina che ne predica l’applicazione anche nel campo del diritto amministrativo.

Siffatto stato delle cose contribuisce a delineare quell’unicità del contesto della realtà veneziana, dove una normativa nazionale – diretta sia a semplificare sia a stimolare un andamento positivo dei valori sia di acquisto che di locazione dei beni immobili ad uso residenziale – è andata ad impattare, misurandosi con disposizioni legislative regionali ovvero regolamentari comunali che, da sempre, mirano a preservare la Città antica di Venezia favorendo, ormai da tempo, l’uso residenziale.

In ambiti di così alto pregio storico-artistico, i fattori che ostano a un’applicazione tranchant della nuova disciplina sono molteplici: la chiara vocazione della riforma Salva casa alla tutela del fabbisogno abitativo; l’esistenza di un ordito normativo stratificatosi nel tempo a presidio dello spopolamento della Città e contro lo sviluppo incontrollato di attività turistico-ricettive; l’ammissibilità di un diverso utilizzo dell’unità immobiliare, per il tramite del mutamento della destinazione d’uso, purché conforme a quello caratterizzante in modo prevalente l’immobile ove la stessa singola unità è ubicata.

Da parte sua, il legislatore regionale ha riscritto l’art. 42-bis l.r. Veneto 11/2004 stabilendo, in sostanza, l’efficacia condizionante degli strumenti urbanistici vigenti (cfr. commi 4 e 8 art. cit.).

In definitiva, tra tutte le opzioni ermeneutiche possibili relative all’art. 23-ter d.P.R. 380/2001, è da preferire, in quanto maggiormente compatibile con lo spirito della norma emendata, quella che fa salve le specifiche prescrizioni contenute nello strumento urbanistico vigente notoriamente finalizzate a salvaguardare l’«assetto territoriale della convivenza» così come disegnato nel tempo, al di là dell’uso in concreto delle singole unità immobiliari destinate alla residenzialità in senso stretto ovvero allo svolgimento di un’attività ricettiva complementare.

Post di Alberto Antico – avvocato

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La vicinitas non basta da impugnare il titolo edilizio del vicino e gli strumenti urbanistici

11 Nov 2025
11 Novembre 2025

Il TAR Veneto ha negato l’interesse ad agire in capo al ricorrente, il cui edificio dista oltre 40 metri da quello del vicino che otteneva il titolo edilizio, tenendo conto che: tra i due complessi immobiliari vi è una strada comunale asfaltata e di larga percorrenza; il fabbricato del vicino è composto da un solo piano (terra), ha un’altezza di soli 2,70 m, e si trova ad una quota inferiore alla pubblica via e a una quota ancor più bassa rispetto ai fabbricati del ricorrente; il confine della proprietà del ricorrente è protetto da una fitta siepe, esistente da decenni, alta oltre 4 metri, che costituisce una barriera visiva impenetrabile, occultando completamente, dal punto di vista della strada, gli edifici presenti sul lato opposto.

Post di Alberto Antico – avvocato

Pubblichiamo inoltre alte due recenti sentenze del TAR veneto sul tema della vicinitas.

  1. Una riguarda l'impugnazione degli strumenti urbanistici: in materia di impugnazione di strumenti urbanistici, generali e attuativi la sollecitazione del sindacato giurisdizionale è ammissibile nel caso in cui la parte ricorrente si dolga di prescrizioni che riguardano direttamente i beni di proprietà ovvero comportino un significativo decremento del valore di mercato o dell’utilità dei suoi immobili.
  2. In un'altra sentenza ol TAR Veneto ha riconosciuto la legittimazione e l’interesse a ricorrere avverso il titolo edilizio del vicino in capo al privato, in quanto nel caso di specie erano piuttosto evidenti gli effetti che potrebbero riverberarsi sul privato in conseguenza della realizzazione di un piazzale di logistica parzialmente a confine e comunque in prossimità dell’intero compendio immobiliare di sua proprietà (terreno e fabbricato), il quale per ciò solo potrebbe potenzialmente subire una perdita di valore.

    A seguire, il TAR ha accolto il ricorso: il permesso di costruire impugnato era illegittimo nella parte in cui assentiva la trasformazione di una “area verde” in “parcheggio-piazzale” al servizio dell’attività di logistica e trasporto del controinteressato. L’area verde rappresentava la dotazione stabilita a suo tempo dal PRG per concedere l’ampliamento di un’attività produttiva in una zona agricola che, per tale motivo, era stata qualificata zona impropria.

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