I chiarimenti del Consiglio di Stato sulla nozione di ristrutturazione edilizia

10 Nov 2025
10 Novembre 2025

Il Consiglio di Stato ha affermato che l’evoluzione della normativa (tra cui la riscrittura a più riprese dell’art. 3, co. 1, lett. d d.P.R. 380/2001) ha portato all’individuazione di tre distinte ipotesi di ristrutturazione edilizia, che possono tutte portare «ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente»: una prima ipotesi, spesso definita “ristrutturazione conservativa”, che non comporta la demolizione del preesistente fabbricato e che può apportarvi anche modifiche di significativo impatto, compresi, in linea generale, l’inserimento di nuovi volumi o la modifica della sagoma; nonché una seconda e una terza ipotesi, definite anche “ristrutturazione ricostruttiva” o “demoricostruzione”, caratterizzate, rispettivamente, dalla demolizione e ricostruzione di un edificio e dal ripristino di un fabbricato crollato o demolito.

In caso di demo-ricostruzione il proprietario può sfruttare il volume dell’edificio demolito, mentre nell’ipotesi di nuova costruzione può utilizzare solo la volumetria espressa dall’area di edificazione. Inoltre, la ri-costruzione è consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti (come oggi codificato nell’art. 2-bis, co. 1-ter d.P.R. 380/2001), mentre i nuovi edifici devono rispettare i limiti di distanza tra i fabbricati previsti dall’art. 9 d.m. 1444/1968.

L’evoluzione dell’art. 3, co. 1, lett. d d.P.R. 380/2001 è innegabilmente caratterizzata da un progressivo allontanamento dall’obbligo originario della fedele ricostruzione, mediante l’eliminazione dei vari vincoli e la conseguente estensione della nozione di ristrutturazione edilizia.

Il requisito del “nesso di continuità” tra il fabbricato preesistente e quello risultante dall’intervento, se preteso in termini assoluti, non trova fondamento nell’ultimo testo della lett. d cit., sul quale il legislatore è intervenuto nel 2020 con l’intenzione – ricavabile oggettivamente dalle modifiche apportate (l’espressa puntualizzazione che possono mutare «sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche») ed esplicitato nei lavori parlamentari (in particolare, nella relazione illustrativa al Senato), e nella circolare congiunta del MIT e del Ministero per la P.A. del 2 dicembre 2020 – di ricomprendere, per gli immobili non vincolati, qualsiasi intervento di demolizione e ricostruzione anche con caratteristiche molto differenti rispetto al preesistente, salvo il limite della volumetria.

Tuttavia, da un’altra prospettiva, un’esegesi che sia rispettosa della lettera e della logica della disposizione non può nemmeno condurre a ritenere che dalla demolizione derivi – di per sé sola e in assenza di specifiche previsioni di legge o degli strumenti urbanistici – una sorta di “credito volumetrico” che il proprietario può spendere rimanendo comunque nell’alveo della ristrutturazione edilizia, dovendo quest’ultima rispettare una serie di limiti e condizioni, che si ricavano dalla lett. d cit. e ai quali deve essere ricondotta ogni pretesa di “continuità”.

In primo luogo, l’intervento deve avere a oggetto un unico edificio, nel senso che nella fase di ricostruzione è precluso – meglio, esorbita dall’ambito della ristrutturazione ricostruttiva – l’accorpamento di volumi precedentemente espressi da manufatti diversi ovvero il frazionamento di un volume originario in più edifici di nuova realizzazione. Ciò vale anche se uno dei due edifici che si volessero accorpare fosse una pertinenza.

In secondo luogo la norma affronta due ipotesi di ristrutturazione ricostruttiva, a seconda che l’edificio di partenza esista, oppure sia crollato o demolito. Nel primo caso, si presuppone necessariamente una contestualità temporale tra la demolizione e la ricostruzione, dando luogo ad una “unitarietà” dell’intervento, nel senso, dunque, che entrambe debbono essere legittimate dal medesimo titolo. Nel secondo caso, la continuità che si perde sul piano temporale viene recuperata, dal legislatore, con la reintroduzione del limite costituito dal rispetto della preesistente consistenza del fabbricato non più esistente, cioè la necessità di rispettare, nel nuovo fabbricato, la volumetria del fabbricato crollato o demolito. La differenza tra le due ipotesi si coglie soprattutto sui presupposti per la legittimità dell’intervento: nel primo, l’edificio è ancora presente nel momento in cui il privato instaura il rapporto con la P.A., presentando l’istanza di rilascio del PdC ovvero la SCIA alternativa allo stesso, cosicché la sua consistenza può essere verificata dalla P.A., nell’istruttoria preordinata al rilascio del titolo abilitativo ovvero ai fini dell’eventuale esercizio dei poteri inibitori, repressivi e conformativi di cui all’art. 19, co. 3 l. 241/1990; nel secondo, il privato deve dimostrarne la “preesistente consistenza”, onere che logicamente non può essere assolto unicamente mediante i rilievi e le asseverazioni del tecnico di fiducia – i quali devono a loro volta essere verificabili – ma deve esserlo mediante elementi oggettivi, quali gli atti di fabbrica o i titoli edilizi che hanno interessato il precedente fabbricato, ovvero le planimetrie catastali, purché da essi siano ricavabili in maniera pressoché certa, l’esatta cubatura e sagoma d’ingombro del fabbricato su cui intervenire, poiché solo se è chiara la base di partenza, è possibile discutere l’entità e la qualità delle modifiche apportabili. La demolizione e la ricostruzione devono essere realizzate in forza di un unico titolo legittimante (anche al fine di consentire al Comune di verificare l’esatta consistenza del fabbricato preesistente prima che ne inizi la demolizione).

In terzo e ultimo luogo, il volume dell’edificio ricostruito non può superare quello del fabbricato demolito, perché la lett. d cit. stabilisce che gli incrementi di volumetria sono ammissibili «nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali». Devono ritenersi escluse – meglio, conducono a qualificare l’intervento come nuova costruzione – tutte quelle opere che non siano meramente funzionali al riuso del volume precedente e che comportino una trasformazione del territorio ulteriore rispetto a quella già determinata dall’immobile demolito. Infatti, nelle varie evoluzioni della nozione di ristrutturazione ricostruttiva che si sono susseguite, è rinvenibile un minimo comune denominatore, consistente nel fatto che l’intervento deve comunque risultare “neutro” sotto il profilo dell’impatto sul territorio nella sua dimensione fisica.

Come espressamente stabilito dal comma 2 dell’art. 3 d.P.R. 380/2001, le definizioni contenute al precedente comma 1 prevalgono sugli strumenti urbanistici e sui regolamenti edilizi.

Post di Alberto Antico – avvocato

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Titolo edilizio necessario al cambio d’uso, dopo la cd. riforma Salva casa

10 Nov 2025
10 Novembre 2025

Il Consiglio di Stato ha affermato che, con riferimento agli interventi che comportino il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile, l’art. 23-ter, co. 1-quinquies d.P.R. 380/2001 richiede la SCIA ordinaria per i cambiamenti senza opere (o con opere rientranti nell’edilizia libera ex art. 6 d.P.R. cit., ovvero soggette a CILA ai sensi del successivo art. 6-bis), mentre in caso di esecuzione di opere prevede che il titolo richiesto per la loro realizzazione legittimi anche il cambio di destinazione.

Post di Alberto Antico – avvocato

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Condizioni dell’azione nei ricorsi avverso titoli edilizi

10 Nov 2025
10 Novembre 2025

Il Consiglio di Stato ha affermato che il pregiudizio per il ricorrente, la cui eliminazione mediante annullamento del provvedimento che lo determina rappresenta l’utilità ricavabile dal processo, in caso di un intervento edilizio (che si assume) illegittimo è collegato al valore ovvero al godimento del proprio immobile e discende dalla compromissione dei beni della salute e dell’ambiente oppure dalle menomazioni di valori urbanistici e dalle degradazioni dell’ambiente in conseguenza dell’aumentato carico urbanistico in termini di riduzione dei servizi pubblici, sovraffollamento, aumento del traffico.

Nel caso di specie, il proprietario di un ex laboratorio poi dismesso, formato da due corpi di fabbrica, presentava una SCIA che mirava, riqualificato il sito e demolito il fabbricato con bonifica del terreno, alla ricostruzione di un edificio a uso residenziale di due piani fuori terra, destinato a ospitare quattro unità abitative, nonché un piano cantine con garage interrati per sette posti auto.

È stata riconosciuta la legittimazione e l’interesse ad impugnare l’atto con cui il Comune sanciva la regolarità edilizia dell’operazione di risulta sia in capo ai vicini, sia in capo all’amministratore del supercondominio di cui il fabbricato preesistente faceva parte.

Quanto ai primi, l’esistenza di una servitù di passaggio, pedonale e carrabile, attraverso gli androni condominiali induce a ritenere che, in ragione del completamento dell’immobile oggetto della SCIA con la realizzazione di garage interrati con sette posti auto (in luogo dell’edificio preesistente che, oltre a essere stato ormai demolito, era comunque privo di parcheggi interni), vi sarà un maggior traffico, dunque un aggravio sulle parti comuni. I vicini vantano anche un interesse meritevole di tutela a salvaguardare la visuale e la salubrità degli ambienti in cui vivono, comunque incise dall’edificazione.

Quanto al secondo, l’amministratore può agire, anche in autonomia e in assenza di autorizzazione assembleare, per compiere atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio, ai sensi degli artt. 1131 e 1130, co. 1, n. 4 c.c., missione che deve interpretarsi estensivamente nel senso che, oltre agli atti conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, l’amministratore ha il potere-dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato.

Una volta accertata la sussistenza dell’interesse ad agire, ossia dell’utilità dell’annullamento del provvedimento lesivo di una posizione giuridica soggettiva meritevole di tutela del ricorrente, in linea di principio non è necessario dimostrare uno specifico interesse rispetto alle singole censure dedotte, nella misura in cui il loro accoglimento si traduca comunque nella caducazione integrale dell’atto impugnato (quindi, nella tutela del diritto o interesse legittimo dell’attore).

Post di Alberto Antico – avvocato

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L’azione risarcitoria nei confronti della P.A., in materia edilizia

10 Nov 2025
10 Novembre 2025

Il Consiglio di Stato ha affermato che in sede di domanda di risarcimento dei danni nei confronti della P.A. ex art. 2043 c.c., al pari di quanto avviene in generale nel giudizio civile, il ricorrente ha l’onere di allegare e provare tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, e fra questi anche l’evento dannoso (inteso come pregiudizio a interessi meritevoli di tutela di cui l’attore è titolare), oltre alla condotta illecita della P.A., all’elemento soggettivo e al nesso causale tra condotta ed evento dannoso. Infatti, nell’azione di responsabilità per danni dinanzi al G.A. il principio dispositivo dell’art. 2697, co. 1 c.c. opera con pienezza, senza il temperamento del metodo acquisitivo caratteristico dell’azione giurisdizionale di annullamento.

In materia edilizia, mentre la lesione dell’interesse alla qualità dell’insediamento abitativo dei vicini-condòmini, dovuta alla riduzione di aria e luce nel cortile, e l’aumento del traffico attraverso le parti comuni, a causa delle opere realizzate dal confinante, sono sufficienti a sorreggere l’interesse alla domanda di annullamento, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria occorre un elemento ulteriore, consistente nella prova dei danni derivanti dall’attività edilizia legittimata dal Comune.

Post di Alberto Antico – avvocato

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La decadenza del permesso di costruire (PdC)

10 Nov 2025
10 Novembre 2025

Il TAR Veneto ha affermato che se un PdC viene dichiarato decaduto per mancato effettivo inizio lavori e mancata loro conclusione entro il termine di tre anni, qualsiasi intervento che sia stato eventualmente realizzato in forza di tale titolo dovrebbe essere qualificato ex post come realizzato in assenza di titolo, e dunque abuso.

Post di Alberto Antico – avvocato

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Processo amministrativo: di fronte alla notifica di un appello, è obbligatorio proporre appello incidentale, o si può proporre appello in via autonoma?

10 Nov 2025
10 Novembre 2025

Il Consiglio di Stato ha affermato che, sebbene l’art. 333 c.p.c., richiamato dall’art. 96, co. 3 c.p.a., stabilisca che la parte che abbia ricevuto la notificazione dell’appello abbia l’onere d’impugnare la sentenza in via incidentale, non vi è alcuna sanzione diretta a carico della parte soccombente in prime cure che abbia proposto il proprio appello in forma autonoma, anziché incidentale, soccorrendo in ogni caso il potere-dovere del giudice di riunire gli appelli proposti avverso la medesima sentenza, come previsto dallo stesso art. 96 c.p.a.

Tale parte che abbia proposto appello in via autonoma (a seguito della notifica dell’appello principale) può inserirvi la riproposizione dei motivi del ricorso di primo grado assorbiti o comunque non esaminati, in quanto l’art. 101, co. 2 c.p.a., nell’esigere che tale adempimento avvenga «con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio», si riferisce espressamente «alle parti diverse dall’appellante» (non solo quello principale, quindi).

Post di Alberto Antico – avvocato

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L’abusivismo edilizio: i poteri del giudice penale e del Comune

08 Nov 2025
8 Novembre 2025

Il TAR Napoli ha affermato che il giudicato penale in materia di abusivismo edilizio non priva la P.A. del potere di provvedere sulla medesima questione edilizia mediante il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria. Tuttavia, qualora tale provvedimento venga ritenuto illegittimo dal giudice penale (nella specie, chiamato a pronunciarsi sull’istanza di revoca dell’ordine di demolizione) in sede di incidente di esecuzione, alla medesima P.A. non resta che procedere al ritiro in autotutela del titolo edilizio, anche oltre il termine ordinario di autotutela. Nel caso in cui la nota di illiceità dell’abuso commesso si appalesa in virtù di una esclusiva ed autonoma valutazione dei fatti compiuta dal giudice penale, residua uno spazio molto limitato per una eventuale (ulteriore e diversa) valutazione del Comune, il cui intervento finisce in sostanza con il presentarsi come a livello di leale collaborazione con l’Autorità giudiziaria rispetto ai poteri repressivi e sanzionatori già esercitati in maniera compiuta e definitiva dal giudice penale.

In tema di reati edilizi, l’ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, per la sua natura di sanzione amministrativa applicata dall’Autorità giudiziaria, non è suscettibile di passare in giudicato, essendone sempre possibile la revoca quando esso risulti assolutamente incompatibile con provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all’immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività.

L’ordine di demolizione, conseguente alla pronuncia di una sentenza penale irrevocabile di condanna per illecito edilizio, costituisce espressione di un potere dispositivo autonomo attribuito dalla legge all’Autorità giudiziaria, il quale può eventualmente concorrere con quello omologo della P.A., onde è il pubblico ministero competente ad eseguirlo, mentre è il giudice dell’esecuzione che deve accertarne in sede di incidente la compatibilità con eventuali atti che siano stati emanati medio tempore dalla P.A.

Post di Alberto Antico – avvocato

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Il ricorso per rettificazione di una sentenza del TSAP

08 Nov 2025
8 Novembre 2025

Il Tribunale superiore delle acque pubbliche (TSAP) ha affermato che nel processo in materia di acque pubbliche, ai sensi dell’art. 204 r.d. 1775/1933, l’istanza di rettificazione di una sentenza del TSAP, emessa in grado di appello, è ammissibile non solo quando la sentenza abbia omesso del tutto di pronunciare su una domanda o eccezione (in senso stretto) ritualmente proposta, ma anche quando la mancata pronuncia derivi da un errore valutativo dello stesso TSAP nell’accertare la proposizione della domanda o dell’eccezione stessa nel giudizio di primo grado, giacché tale errore integra pur sempre un vizio di omessa pronuncia sull’oggetto della domanda o eccezione rimediabile con lo strumento della rettificazione.

Post di Alberto Antico – avvocato

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Annullamento di un regolamento (comunale) e invalidità caducante

08 Nov 2025
8 Novembre 2025

Il Consiglio di Stato ha affermato che l’annullamento di un atto normativo (nella specie, un regolamento comunale in materia di prestazioni economiche integrative di rette per i servizi residenziali a ciclo continuativo per persone anziane non autosufficienti), fonte del diritto suscettibile di uso reiterato nel tempo per i caratteri che sono propri della generalità, astrattezza ed innovatività, è efficace erga omnes, nel senso che ne comporta la rimozione dall’ordinamento in modo assoluto e con efficacia ex tunc, cioè per chiunque possa, anche successivamente, esserne destinatario, ancorché non parte del giudizio in senso formale e comporta dunque la preclusione, per la P.A., di continuare ad applicare la norma.

L’annullamento del regolamento comporta, in via automatica, la caducazione degli atti applicativi, ravvisandosi un’ipotesi di invalidità caducante che presuppone l’appartenenza dei due provvedimenti alla medesima sequenza procedimentale e l’esistenza tra essi di un nesso di presupposizione-consequenzialità, da intendersi come derivazione necessaria, nel senso che il primo provvedimento costituisce il presupposto unico e imprescindibile del secondo, senza che quest’ultimo sia soggetto ad alcuna altra valutazione da parte della P.A. competente. Il primo dei requisiti indicati, costituito dall’appartenenza dei due provvedimenti alla medesima sequenza procedimentale, non vuol dire necessariamente appartenenza allo stesso procedimento, ma anche a due procedimenti distinti ma collegati dall’evidenziato nesso di derivazione necessaria.

Post di Alberto Antico – avvocato

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L’elusione del giudicato, in materia di giudizio di anomalia dell’offerta

08 Nov 2025
8 Novembre 2025

Il TAR Catania ha affermato che la nullità del provvedimento amministrativo per violazione e/o elusione del giudicato ex art. 21-septies l. 241/1990 viene in rilievo ogniqualvolta la P.A., nella riedizione di un potere già oggetto di una sentenza di annullamento del G.A., si ridetermini in contrasto o, comunque, aggirando l’effetto conformativo promanante dalla motivazione contenuta nella precedente pronuncia giurisdizionale.

Un nuovo provvedimento adottato dalla P.A., a seguito di un precedente giudicato di annullamento, può essere considerato violativo e/o elusivo del giudicato soltanto nei casi in cui dal precedente dictum giurisdizionale derivi un obbligo assolutamente puntuale e vincolato, cosicché il suo contenuto sia integralmente desumibile, nei suoi tratti essenziali, dalla sentenza, con la conseguenza che la verifica della sussistenza del vizio comportante la nullità della nuova determinazione amministrativa implichi lo stretto riscontro sulla presenza, o no, di difformità specifiche dell’atto contestato rispetto all’obbligo processuale di attenersi esattamente al contenuto della pronuncia giudiziale da eseguire.

Affinché possa ravvisarsi il vizio di violazione o di elusione del giudicato, non è sufficiente che la nuova azione amministrativa posta in essere alteri l’assetto degli interessi definito in precedenza in sede giurisdizionale, essendo piuttosto necessario che la P.A. eserciti la medesima potestà pubblicistica, già in precedenza illegittimamente esercitata, in contrasto con il contenuto precettivo del giudicato amministrativo o, comunque, mediante il tentativo di conseguire il medesimo risultato con un’azione connotata dallo sviamento del dictum giudiziale.

È facoltà della parte quella di incardinare, in alternativa, un unico ricorso in sede di ottemperanza, proponendo cumulativamente la domanda di nullità e quella di annullamento, quest’ultima per vizi di legittimità nuovi e autonomi degli atti gravati, ovvero due distinti giudizi, uno di ottemperanza e uno di legittimità.

Il fatto che la delibazione della nullità degli atti amministrativi per violazione e/o elusione del giudicato sia stata riservata al giudice dell’ottemperanza si sposa con la peculiare natura di tale tipologia di giudizio rispetto a quello di legittimità, in quanto il primo è diretto alla verifica, in concreto, del rispetto da parte della P.A. soccombente dell’obbligazione nascente dal precedente giudicato, assicurando al privato l’ottenimento effettivo dell’utilità riconosciutagli dal giudice della cognizione.

Il perimetro del giudicato e i relativi effetti, anche conformativi in capo alla P.A., sono individuati sulla base del petitum oggetto della controversia di cognizione e, dunque, del provvedimento ivi impugnato, e degli stessi vizi in quella sede fatti valere.

Nelle gare pubbliche, la verifica dell’anomalia dell’offerta è finalizzata alla verifica dell’attendibilità e della serietà della stessa e all’accertamento dell’effettiva possibilità dell’impresa di eseguire correttamente l’appalto alle condizioni proposte. La relativa valutazione della Stazione appaltante ha natura globale e sintetica e costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato alla P.A. che, come tale, è insindacabile in sede giurisdizionale, salvo che la manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell’operato, renda palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta.

Sussiste il vizio di elusione del giudicato allorquando, rinnovando il giudizio di verifica della congruità dell’offerta a seguito della pronuncia di annullamento, la P.A. non abbia tenuto conto di talune voci di costo che, in quanto indicate in sede di offerta e riportate anche nella precedente pronuncia, avrebbero dovuto essere oggetto di valutazione (e di specifico computo) ai fini dell’esito di tale giudizio. Trattasi, invero, di un’omessa considerazione di talune voci di costo la quale, pur afferendo ad un procedimento – quale è quello di verifica della congruità dell’offerta – contrassegnato da profili di discrezionalità tecnica, non si colloca al di fuori dello spazio coperto dalla sentenza da ottemperare, ma ne elude precise statuizioni, non venendo in rilievo nuovi vizi che, in quanto espressione di un margine discrezionale residuante in capo alla P.A. procedente a seguito della prima pronuncia di annullamento, sarebbero stati censurabili, se del caso, in via cognitorio-impugnatoria.

Post di Alberto Antico – avvocato

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