Il fallimento non è obbligato alla bonifica dei suoli inquinati dai rifiuti
Il TAR Catania enuclea una pluralità di motivi, per i quali un fallimento, nella persona del curatore fallimentare, non può diventare soggetto obbligato alla bonifica dei suoli inquinati dai rifiuti (anche di amianto):
- Il curatore non ha obbligo alcuno di garantire la tutela sanitaria degli immobili affidatigli;
- Il principio “chi inquina paga” vieta di porre l’obbligo di bonifica in capo al curatore e, con ciò, scaricarne i costi sui creditori incolpevoli;
- Il fallimento attua lo spossessamento, non l’ablazione, delle proprietà della società fallita, la quale peraltro mantiene la propria soggettività giuridica;
- Il fallimento non attua un fenomeno di successione o subentro nelle situazioni giuridiche soggettive ai sensi del d.lgs. 231/2001, perciò non può divenire legittimato passivo dell’ordinanza sindacale di bonifica;
- Il munus pubblico del curatore fallimentare consiste nella gestione dei beni del fallito, ai fini della liquidazione del suo patrimonio e della soddisfazione dei creditori, non anche nella rimozione degli illeciti amministrativi commessi dal fallito stesso;
- Il curatore fallimentare non può essere considerato ‘detentore dei rifiuti’, ai sensi della normativa europea.
Post di Alberto Antico – dottore in giurisprudenza
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