Author Archive for: SanVittore

La prescrizione che richiede per edificare il preventivo piano particolareggiato è un vincolo strumentale soggetto a decadenza quinquennale

28 Set 2012
28 Settembre 2012

Sulla questione torna la sentenza del Consiglio di Stato n. 5088 del 2012.

Scrive il Consiglio: "Non è contestato che il vincolo edificatorio, che subordinava l’edificabilità della zona D del comune di Lucera all’adozione di un piano particolareggiato, sia decaduto a seguito dell’inutile decorso del termine quinquennale.
L’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (come prima l'art. 2, comma 1, della legge 19 novembre 1968 n. 1187) fissa in cinque anni la durata del vincolo preordinato all’esproprio. La disposizione ora vigente, al pari di quella che l’ha preceduta, si riferisce ai vincoli che producano una pressoché totale ablazione del diritto di proprietà, essendo tanto intensi da annullare o ridurre notevolmente il valore degli immobili cui si riferiscono, ivi compresa l'ipotesi di imposizione temporanea di inedificabilità fino all'entrata in vigore dei piani particolareggiati, per la cui redazione non sia fissato alcun termine finale certo. La decadenza del vincolo strumentale - per esso intendendosi quello che subordina l'edificabilità di un'area all'inserimento della stessa in un programma pluriennale oppure alla formazione di uno strumento esecutivo - non ha luogo nella sola ipotesi (peraltro estranea alla vicenda in oggetto, per la mancanza del PUG, cui la normativa regionale subordina l’iniziativa privata) in cui, in alternativa al piano particolareggiato, sia prevista dal piano regolatore generale la possibilità di ricorso a un piano di lottizzazione redatto dal privato: in questo ultimo caso, infatti, la possibilità di una pianificazione di livello derivato ad iniziativa privata esclude la configurabilità dello schema ablatorio e quindi, conseguentemente, la decadenza quinquennale del relativo vincolo (cfr. Cons. Stato, 24 marzo 2011, n, 615).
La decadenza del vincolo per decorso del quinquennio di efficacia non equivale ad annullamento della previsione di piano in vigore e dunque le aree divengono prive di disciplina urbanistica - salvo quanto previsto dall'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. zone bianche) – fino all'adozione da parte del Comune di nuove, specifiche prescrizioni (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 27 gennaio 2011, n. 615)".

sentenza CDS 5088 del 2012

Il sequestro penale dell’immobile abusivo non giustifica automaticamente la mancata demolizione ordinata dal Comune (ai fini dell’acquisizione)

27 Set 2012
27 Settembre 2012

Lo afferma il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia nella decisione n. 768 del 2012.

Scrive il Consiglio: "il sequestro non esclude di per sé la possibilità di procedere alla demolizione delle opere abusive; così come, per contro, non giustifica l’inerzia del privato sulla base del semplice rispetto delle esigenze probatorie e difensive che possono averlo determinato. Se così fosse, infatti, da strumento per un più incisivo contrasto all’abusivismo edilizio, il sequestro dell’opera in oggetto si trasformerebbe in un comodo alibi per congelare la situazione esistente a tutto vantaggio del privato, che per tutta la durata continuerebbe a mantenere sia la titolarità dell’opera che il godimento effettivo anche quando, come accaduto nella fattispecie oggetto del presente giudizio, non solo la ditta appellante non ha proceduto ad eliminare gli abusi commessi, ma, nonostante il sequestro, ha proseguito nella ulteriore consumazione dell’abuso, attraverso la realizzazione di ulteriori opere, come accertate dal Corpo dei VV.UU. del Comune.

Per evitare un tale abnorme risultato, una più coerente applicazione dei principi che presiedono alla disciplina del sequestro impone piuttosto al privato, il quale vuole evitare l’effetto ablatorio legato ope legis alla scadenza del termine per ottemperare all’ordine di demolizione, di tenere un comportamento attivo volto comunque ad eliminare l’abuso perpetrato: o sollecitando all’Autorità giudiziaria il dissequestro, secondo la procedura prevista dall’art. 85 disp. att. c.p.p., allo scopo di poter provvedere direttamente alla eliminazione, sicché, in tal caso, soltanto il rigetto dell’istanza giustificherebbe il factum principis che potrebbe inibire l’ordine di demolizione; ovvero, ove possibile, presentando un proprio progetto di adeguamento (demolizione parziale o modifica del fabbricato) che produca la riedizione del potere amministrativo e la conseguente caducazione della presupposta ordinanza di demolizione, quale effetto dell’obbligo amministrativo di esame di un progetto di adeguamento o in sanatoria".

CGA_201200768_SE

L’aggiudicazione può essere revocata anche dopo l’affidamento provvisorio e anticipato del servizio rispetto alla stipula del contratto

26 Set 2012
26 Settembre 2012

La sentenza del TAR Veneto n. 1202 del 2012 si occupa di un caso nel quale la societĂ  risultata aggiudicaria definitiva di un appalto di servizi, la quale aveva ricevuto l'affidamento provvisorio e anticipato del servizio rispetto alla stipula del contratto, si era resa responsabile di una serie di inadempimenti.

In particolare, le contestazioni riguardavano: le modalità di svolgimento del servizio, l’efficienza dello stesso, la tenuta della documentazione relativa alla rendicontazione della movimentazione dei rifiuti, l’omessa comunicazione alla stazione appaltante della disponibilità di un Centro servizi in uno dei Comuni soci, qualificato come “unità locale” (comprendente la rimessa di automezzi, magazzini ricambi e attrezzature, sistemi e dotazioni di sicurezza, spogliatoi e servizi per i dipendenti, recapito telefonico telex e posta elettronica, secondo quanto previsto dall’art. 33 del capitolato speciale d’appalto), nonché l’omessa indicazione in merito alla ripartizione dei servizi all’interno dell’ATI capeggiata dalla ricorrente.

Allora la stazione appaltante ha revocato  "l'affidamento del servizio".

Il TAR ha ritenuto che si sia trattato della revoca della aggiudicazione, dicendo che: " l’atto impugnato non può, quindi, essere qualificato né come recesso né come risoluzione di un rapporto contrattuale, non ancora sorto, ma come esercizio del potere di autotutela della stazione appaltante sul provvedimento di aggiudicazione".

Scrive il TAR: "Con il provvedimento impugnato, infatti, la stazione appaltante ha inteso esercitare il proprio potere di riesame in via di autotutela in conseguenza di una serie di disservizi e di contestazioni che, sebbene sorte durante l’esecuzione anticipata di una porzione specifica del servizio oggetto di gara (riguardando il servizio di raccolta differenziata dei rifiuti nel solo Comune di Arcugnano), hanno determinato una rivalutazione delle ragioni di pubblico interesse sottese all’originario provvedimento di aggiudicazione in ragione della riconsiderazione dell’idoneità organizzativa e tecnica della ATI ricorrente a divenire affidataria definitiva del servizio oggetto di gara.
7.3. Secondo un principio pacificamente affermato in giurisprudenza e condiviso dal Collegio, infatti, «nei contratti d’appalto l’Amministrazione aggiudicatrice non è obbligata a stipulare il contratto con il soggetto aggiudicatario ed essa ben può rimuovere gli effetti dell’atto di aggiudicazione provvisoria e finanche di quello di aggiudicazione definitiva, purché la conseguente azione amministrativa sia condotta coi necessari crismi della legittimità» (T.A.R. Torino Piemonte, II, 3 aprile 2012, n. 385; T.A.R. Toscana, II, 1 settembre 2011, n. 1372; conforme T.A.R. Sicilia, Catania, I, 25 febbraio 2011, n. 463)".

E aggiunge: "A conferma della natura pubblicistica del provvedimento impugnato, soccorre, peraltro, anche il chiaro tenore letterale dell’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, secondo cui «l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta», dovendosi così escludere che con l’aggiudicazione medesima sorga il rapporto contrattuale. Coerentemente con tale assunto, il successivo comma 9 fa espressamente salvo, una volta «divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva», «l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti».
7.7. La condotta dell’ATI aggiudicataria successiva alla consegna anticipata del servizio e precedente alla stipula del contratto è stata, dunque, valutata dall’amministrazione al solo fine di rimuovere il provvedimento di aggiudicazione e determinare, quindi, un diverso esito della gara con conseguente aggiudicazione ad altro soggetto; l’atto impugnato non può, quindi, essere qualificato né come recesso né come risoluzione di un rapporto contrattuale, non ancora sorto, ma come esercizio del potere di autotutela della stazione appaltante sul provvedimento di aggiudicazione.
7.8. In definitiva, l’Amministrazione, con l’atto impugnato, ha rimesso in discussione l’esito della fase pubblicistica volta alla scelta del contraente prima della stipula del contratto. Pertanto, conformemente a quanto affermato dal Consiglio di Stato, «spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione di comportamenti ed atti assunti prima dell’aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la stipula dei singoli contratti» (così Consiglio di Stato, sez. V., 21 aprile 2010, n. 2254), ai sensi dell’art. 133, comma 1, lettera e), del c.p.a.".

sentenza TAR Veneto 1202 del 2012

Regolamento sulla utilizzazione delle terre e rocce da scavo

25 Set 2012
25 Settembre 2012

Il Ministero  dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato il decreto 10 agosto 2012 , n. 161 (in vigore dal 6 ottobre 2012), recante la disciplina dell'utilizzazione delle terre e rocce da scavo.

Regolamento terre e rocce da scavo Dm 10 agosto 2012

Un condomino può sopprimere una porzione del tetto per realizzare una terrazza esclusiva?

24 Set 2012
24 Settembre 2012

La questione è stata esaminata dalla sentenza della Cassazione civile n. 14107 del 3 agosto 2012, che ha dato risposta positiva.

Scrive la Corte: "Rimane da chiedersi se la materiale soppressione di una porzione limitata della falda sia di per sé alterazione della destinazione della cosa.

La risposta deve essere negativa, perché per destinazione della cosa si intende la complessiva destinazione di essa, che deve essere salva in relazione alla funzione del bene e non alla sua immodificabile consistenza materiale.

Pertanto la soppressione di una piccola parte del tetto, se viene salvaguardate diversamente la funzione di copertura e si realizza nel contempo un uso più intenso da parte del condomino, non può esser intesa come alterazione della destinazione, comunque assolta dal bene nel suo complesso.

Ovviamente il giudizio sul punto andrĂ  formulato caso per caso, in relazione alle circostanze peculiari e si risolve in un giudizio di fatto sindacabile in sede di legittimitĂ  solo avendo riguardo alla motivazione".

Evidenziamo che in passato la Corte aveva affermato il contrario: ciò che affascina nelle sentenze è l'attitudine a supportare indifferentemente una verità e anche quella opposta.

Insomma, c'è speranza per tutti, ma bisogna almeno provarci.

Dario Meneguzzo

Cass. civ. sez. II 03 agosto 2012 n. 14107

Modifiche al codice del processo amministrativo

24 Set 2012
24 Settembre 2012

Segnaliamo che il decreto legislativo 14 settembre 2012, n. 160 ha introdotto varie modifiche al codice del processo amministrativo.

Ulteriori disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo

Vicenza chiede perdono a Pontelandolfo per la strage del 14 agosto 1861

22 Set 2012
22 Settembre 2012

Il Comune di Vicenza ha deciso di dedicare una via al Comune di Pontelandolfo per ricordare la strage del 14 agosto 1861, compiuta dai soldati italiani guidati dal collonello vicentino Pier Eleonoro Negri.

Per rappresaglia per l'uccisione di soldati, vennero massacrati 440 cittadini di Pontelandolfo, con donne violentate e case bruciate.

Il colonnello Negri ottenne la medaglia d'oro al valor militare e l'intitolazione di una via e di una scuola elementare.

Pubblichiamo sulla vicenda un commento del dott. Edoardo Bernkopf (che egli gradisce qualificare come "politicamente scorretto").

Pontelendolfo vincitori e vinti

Il Consiglio di Stato individua i casi nei quali non serve la comunicazione di avvio del procedimento

21 Set 2012
21 Settembre 2012

Nella sentenza n. 4925 del 2012 il Consiglio di Stato specifica quali sono i casi nei quali la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della L. n. 241 del 1990 è superflua.

Dice il Consiglio di Stato: "Alla luce di questa linea interpretativa si può affermare che la comunicazione di avvio del procedimento dovrebbe diventare superflua quando: l'adozione del provvedimento finale è doverosa (oltre che vincolata) per l'amministrazione; i presupposti fattuali dell'atto risultano assolutamente incontestati dalle parti; il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili; l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l'amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici).”. (Consiglio Stato , sez. IV, 30 settembre 2002, n. 5003)".

Per una migliore comprensione della questione, riportiamo l'intero passo che tratta l'argomento: "L’incombente di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990, nel caso di specie, lungi dallo svolgere la garantistica funzione prevista ex lege avrebbe avuto, unicamente, l’effetto di dilatare vieppiù i tempi di definizione del procedimento: uno strumentale abuso della garanzia procedimentale priva di ogni rispondenza al concreto interesse della parte.
2.1. Si osserva al riguardo che la necessità della comunicazione dell’avvio del procedimento ai destinatari dell’atto finale è stata prevista in generale dal menzionato art. 7 non soltanto per i procedimenti complessi che si articolano in più fasi (preparatoria, costitutiva ed integrativa dell’efficacia), ma anche per i procedimenti semplici che si esauriscono direttamente con l’adozione dell’atto finale, i quali comunque comportano una fase istruttoria da parte della stessa autorità emanante.
La portata generale del principio è confermata dal fatto che il legislatore stesso (art 7, 1° comma, ed art. 13 L. 241/90) si è premurato di apportare delle specifiche deroghe ( speciali esigenze di celerità,, atti normativi, atti generali, atti di pianificazione e di programmazione, procedimenti tributari) all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, con la conseguenza che negli altri casi deve in linea di massima garantirsi tale comunicazione, salvo che non venga accertata in giudizio la sua superfluità in quanto il provvedimento adottato non avrebbe potuto essere diverso anche se fosse stata osservata la relativa formalità ( cfr. CdS, sez. V n.2823 del 22.5.2001 e n. 516 del 4.2.2003; sez. VI n.686 del 7.2.2002).
Ha dato luogo a contrasti, in dottrina ed in giurisprudenza, la risposta al quesito relativo alla possibilitĂ  che la fase procedimentale indicata possa essere omessa o compressa per il fatto che si sia in presenza di provvedimento a contenuto vincolato.
Deve rilevarsi in proposito che parte della giurisprudenza ha affermato la sussistenza dell'obbligo di avviso dell'avvio del procedimento anche nella ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, sulla scorta della considerazione che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l'accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa (cfr. CdS sez. VI 20.4.2000 n. 2443; CdS 2953/2004; 2307/2004 e
396/2004). Secondo tale tesi, invero, non sarebbe rinvenibile alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all'amministrazione l'inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria.
In definitiva, quello che rileva è la complessità dell’accertamento da effettuare (V. CdS, sez. VI n.686 del 7.2.2002).
Secondo altra prospettazione, invece, “le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua - con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa - quando l'interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono comunque all'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti. In materia di comunicazione di avvio prevalgono, quindi, canoni interpretativi di tipo sostanzialistico e teleologico, non formalistico. Poiché l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ex art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241 è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all'azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l'atto conclusivo è destinato ad incidere - in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del provvedimento - l'omissione di tale formalità non vizia il procedimento quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione. Alla luce di questa linea interpretativa si può affermare che la comunicazione di avvio del procedimento dovrebbe diventare superflua quando: l'adozione del provvedimento finale è doverosa (oltre che vincolata) per l'amministrazione; i presupposti fattuali dell'atto risultano assolutamente incontestati dalle parti; il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili; l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l'amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici).”. (Consiglio Stato , sez. IV, 30 settembre 2002, n. 5003)
Tale orientamento da ultimo esposto appare al Collegio condivisibile, in quanto rispettoso delle garanzie procedimentali avulse da meccanicistiche applicazioni a natura essenzialmente formalistica.
Sotto altro profilo, conforto a tale interpretazione si rinviene in relazione al sopravvenuto disposto del comma 2 dell’art. 21 octies legge 15/2005, specificamente riferita alla violazione procedimentale dell’articolo 7, ed applicabile tanto alla ipotesi di atto vincolato che a quella di atto discrezionale: la novella legislativa ha previsto che l’amministrazione può dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato , così superando la censura di carattere formale (per una recente ricostruzione del sistema alla luce della “novella”, si veda Consiglio Stato , sez. VI, 07 gennaio 2008, n. 19).
Essa è applicabile in astratto ratione temporis anche alle controversie pendenti stante la natura processuale della norma (
L'art. 21 octies, l. n. 241 del 1990, il quale stabilisce che il provvedimento amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello
in concreto adottato, costituisce disposizione di carattere processuale, applicabile anche ai procedimenti in corso o giĂ  definiti alla data di entrata in vigore della l. n. 15 del 2005. L'orientamento in questione poggia sistematicamente sull'evidente ratio della disposizione da ultimo richiamata, volta a far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell'Amministrazione. (Consiglio Stato , sez. VI, 18 febbraio 2011 , n. 1040).
Orbene: se si pone mente alla circostanza che nessuna contestazione in punto di fatto è stata avanzata dall’appellante in ordine al mancato versamento degli oneri di urbanizzazione, e che le altre censure – come si è prima chiarito - si incentravano su circostanze di natura giuridica e confutavano – peraltro assai genericamente- una interpretazione di disposizioni di legge effettuata dall’Amministrazione e ben nota all’appellante anche in virtù del precedente contenzioso intercorso tra le parti, appare evidente che l’omissione dell’avviso non ha arrecato alcun vulnus né alla posizione dell’appellante, né tampoco all’azione amministrativa.
2.2. Nel caso di specie la superfluità dell’incombente non dipende (soltanto) dalla natura dell’atto di determinazione degli oneri inosservato, ed è superfluo immorare – come confusoriamente è dato riscontrare nell’atto di appello- sulla natura paritetica od autoritativa dello stesso.
La concreta situazione infraprocedimentale, il reiterato inadempimento dell’appellante, il pregresso contenzioso, sovrapponibile nei contenuti, rendeva la stessa pacificamente edotta delle conseguenze della propria omissione".

sentenza CDS 4925 del 2012

In Italia il riconoscimento delle unioni civili viene spinto dai comuni

20 Set 2012
20 Settembre 2012

Pubblichiamo la deliberazione consiliare n. 30 del 26 luglio 2012 del Comune di Milano, con la quale è stato approvato il regolamento per il riconoscimento delle unioni civili, eterosessuali o omosessuali.

Sembra, dunque, che in Italia siano i comuni a spingere sul tema del riconoscimento dei diritti civili.

L'articolo 3 del regolamento disciplina il rilascio dell'attestato di unione civile basata su vincoli affettivi.

Segnaliamo i commi 2 e 3 dell'articolo 2

“2. Il Comune provvede, attraverso singoli atti e disposizioni degli Assessorati e degli Uffici competenti, a tutelare e sostenere le unioni civili, al fine di superare situazioni di discriminazione e favorirne l'integrazione e lo sviluppo nel contesto sociale, culturale ed economico del territorio.
3. Le aree tematiche entro le quali gli interventi sono da considerarsi prioritari sono:
a) casa;
b) sanitĂ  e servizi sociali;
c) giovani, genitori e anziani;
d) sport e tempo libero;
e) formazione, scuola e servizi educativi;
f) diritti e partecipazione;
g) trasporti.”

Il proprietario dell’immobile che non impedisce a un terzo la commissione dell’abuso edilizio risponde penalmente dell’abuso

20 Set 2012
20 Settembre 2012

Lo dice la sentenza n. 33540 del 2012 della Corte di Cassazione penale.

La Corte ravvisa il fondamento della responsabilità nell'art. 40 del codice penale, il quale stabilisce che: "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo". Secondo la Corte tale articolo deve essere interpretato in termini solidaristici, alla luce dell'art. 41, comma 2, Cost, sicché è da ritenere che il proprietario non possa utilizzare la cosa propria ne' consentire che altri la utilizzi in modo che ne derivi danno ai consociati ed abbia, quindi, l'obbligo giuridico di non consentire che l'evento dannoso o pericoloso si realizzi.. " (Sez 3 n. 12163, 12/7/1999 rv. 215078).

Scrive la Corte di Cassazione: "In questo senso la sentenza sembra richiamare l'indirizzo inizialmente (ed a lungo) sostenuto dalla Corte secondo cui in tema di reati edilizi, non può essere attribuito ad un soggetto, per il mero fatto di essere proprietario dell'area, un dovere di controllo, dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva, prescindendo dalla concreta situazione in cui venne svolta l'attività incriminata, cioè senza identificare, in relazione alla specifica situazione di fatto, il comportamento positivo o negativo posto in essere dal soggetto medesimo che possa essere assunto ad elemento integrativo della colpa. In relazione a tale orientamento coerentemente si è ritenuto che il proprietario risponde dei relativi reati non in quanto tale, ma solo se abbia la disponibilità dell'immobile ed abbia dato incarico dei lavori o li abbia eseguiti personalmente; mentre se l'incarico sia stato dato da altro proprietario o da altro detentore, non può essere ritenuto responsabile dell'abuso, anche se abbia espresso adesione alla realizzazione dell'opera." (Sez. Ili n. 859 del 7/9/2000, ric. Cutaia ed altro, rv. 216945). Tale indirizzo è stato, tuttavia, successivamente rivisitato. Si è puntualizzato, infatti, che nel caso in cui il proprietario sia consapevole che sul suo terreno sia eseguita da un terzo una costruzione abusiva e, potendo intervenire, deliberatamente se ne astenga, pone in essere una condotta omissiva che condiziona, rendendola possibile, la realizzazione della predetta opera abusiva che è, quindi, conseguenza diretta anche della sua omissione della quale egli deve essere ritenuto responsabile ai sensi del principio generale di causalità di cui al primo comma dell'art. 40 cod. pen.. Si è aggiunto poi che anche il secondo comma del succitato art. 40 cod. pen., per il quale "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo", deve essere interpretato in termini solidaristici, alla luce dell'art. 41, comma 2, Cost, sicché è da ritenere che il proprietario non possa utilizzare la cosa propria ne' consentire che altri la utilizzi in modo che ne derivi danno ai consociati ed abbia, quindi, l'obbligo giuridico di non consentire che l'evento dannoso o pericoloso si realizzi.. " (Sez 3 n. 12163, 12/7/1999 rv. 215078).

Anche nella successiva evoluzione giurisprudenziale si continua ad insistere sulla ravvisabilitĂ  del concorso del proprietario non committente nel caso in cui costui abbia piena consapevolezza dell'esecuzione delle opere da parte del coimputato o abbia prestato consenso, seppure implicito o tacito, all'attivitĂ  edilizia posta in essere (Sez. 3, n. 44160 del 01/10/2003 Rv. 226589); e talora viene riaffermata per il proprietario l'esistenza dell'obbligo giuridico di non consentire che con l'utilizzo della cosa propria si realizzi l'evento dannoso o pericoloso, affermando il concorso morale nel reato consumato dall'autore della edificazione abusiva, in capo al proprietario che potendo intervenire se ne astenga deliberatamente, (Sez. 3, n. 43232 del 12/11/2002 Rv. 222969; ecc) .

Non è sufficiente, dunque, sulla base di tali pronunciamenti, per escludere il concorso nel reato, che il proprietario del terreno non abbia commissionato materialmente i lavori ma occorre sostanzialmente qualcosa in più e, cioè, che dagli atti emerga che lo stesso non abbia interesse all'abuso e non sia stato nelle condizioni di impedirne l'esecuzione. Si pone allora il problema di individuare gli elementi indizianti. Al riguardo si è precisato con motivazioni del tutto condivise dal Collegio che gli elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che questi abbia concorso, anche solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei lavori, possono essere individuati, nella piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e nell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione, così come dei rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, nellal eventuale presenza di quest'ultimo "in loco", nello svolgimento di attività ó\ì vigilanza dell'esecuzione dei lavori, nella richiesta di provvedimenti abilitativ in sanatoria, nel regime patrimoniale dei coniugi, ovvero in tutte quelle situazioni e comportamenti positivi o negativi dai quali possano trarsi element integrativi della colpa (Sez. 3, n. 26121 del 12/04/2005 Rv. 231954). In altre sentenze, in linea con i rilievi del PM ricorrente, si è effettivamente precisato che può essere attribuita al proprietario non formalmente committente dell'opera abusiva la responsabilità anche in relazione all'accertamento che questi abiti nello stesso territorio comunale ove è stata eretta la costruzione' abusiva, che sia stato individuato sul luogo, che sia il destinatario finale dell'opera (Sez. 3, n. 9536 dei 20/01/2004 Rv. 227403). Appare di conseguenza evidente che l'esclusione della responsabilità del proprietario non committente possa essere ritenuta solo qualora, all'esito del vaglio degli elementi di prova, si possa escludere l'interesse o il consenso di quest'ultimo dell'abuso".

SENTENZA CASSAZIONE

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