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Da quando decorre il termine di prescrizione decennale del contributo di concessione dovuto in caso di condono edilizio?

10 Ott 2012
10 Ottobre 2012

Alla domanda risponde la sentenza del Consiglio di Stato n. 5201 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "costituisce approdo consolidato in giurisprudenza quello per cui “il termine decennale di prescrizione dell'obbligazione sul pagamento degli oneri concessori decorre, nell'ipotesi di mancata esplicita definizione della domanda di condono, dalla formazione del silenzio assenso e questo, ai sensi dell'art. 35, l. 28 febbraio 1985 n. 47, si forma dopo il termine di ventiquattro mesi decorrente dalla data nella quale viene depositata la
documentazione completa a corredo della domanda di concessione.”(T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 17 novembre 2010 , n. 2600);”
”il contributo di concessione dovuto, in caso di condono edilizio, ai sensi dell'art. 37, l. 28 febbraio 1985 n. 47, è soggetto a prescrizione decennale, la quale decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.). Il termine stesso decorre dall'emanazione della concessione edilizia in sanatoria o, in alternativa, dalla scadenza del termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, decorso il quale quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio, formandosi così il silenzio — assenso.”(T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 09 dicembre 2010 , n. 234)".

Per quanto riguarda la rilevanza della documentazione richiesta dal Comune, scrive il Consiglio di Stato: "per costante quanto pacifica opzione ermeneutica (peraltro pienamente condivisa dal Collegio in quanto aderente alla lettera della legge e non collidente con la ratio che presiede alla formazione del titolo abilitativo per silentium) “posto che per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione il "dies a quo" decorre dal rilascio della concessione edilizia, e, quindi, da un momento in cui sono esattamente noti tutti gli elementi utili alla determinazione dell'entità del contributo, relativamente al conguaglio dell'oblazione dovuta in caso di condono edilizio, il "dies a quo" non può coincidere con la presentazione della domanda, sfornita della documentazione prescritta per la domanda di condono, richiesta ai fini della corretta e definitiva determinazione dell'entità dell'oblazione; sicché la decorrenza del termine di prescrizione presuppone - tanto in favore della pubblica amministrazione per l'eventuale conguaglio, quanto in favore del privato per l'eventuale rimborso - che la pratica di sanatoria edilizia sia definita in tutti i suoi aspetti e siano, per l'effetto, precisamente determinabili, alla stregua dei parametri stabiliti dalla legge, l'"an" ed il "quantum" dell'obbligazione gravante sul privato; ciò che riflette puntualmente la "ratio" sottesa all'art. 2935 c.c. secondo il quale, in generale, la prescrizione non può decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.”(T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 03 giugno 2010 , n. 8224)
Nel caso di specie il comune appellato, con la nota del 18 febbraio 1998 ( e quindi comunque ben prima che fosse maturata la prescrizione) chiese all’appellante l’inoltro di documentazione fotografica relativa all’opera abusiva e di piante esplicative dell’intervento, nonché di un atto notorio indicante la data dell’abuso.
L’appellante si è limitato a definire tale richiesta “inutile e vessatoria” ritenendo che la stessa dovesse considerarsi tamquam non fuisset e che, di conseguenza, doveva ritenersi che si fosse già formato il silenzio-assenso.
Senonchè non può concordarsi con la detta tesi, laddove si consideri che trattasi di documentazione senz’altro utile e congruente con l’oggetto del procedimento di sanatoria; che l’appellante non ha documentato né provato che egli aveva in passato provveduto all’inoltro della dette richiesta documentazione; che rientra nella discrezionalità dell’amministrazione procedente (nel caso di specie non irragionevolmente esercitata) richiedere al privato l’espletamento di incombenti istruttori indispensabili alla definizione della pratica e da questi in passato omessi; che il giudizio di inutilità e vessatorietà della richiesta è soltanto labialmente espresso, ma che collide all’evidenza con la natura della documentazione richiesta.
La sentenza gravata, pertanto, esattamente ha escluso che fosse maturata la prescrizione a cagione dell’avvenuta formazione del silenzio – assenso e, conseguentemente, che fosse necessario, in via di autotutela, l’annullamento del predetto titolo abilitativo formatosi per silentium, in quanto, in realtà, non poteva ritenersi che fosse intervenuto alcun condono.
Peraltro l’appellata amministrazione comunale in primo grado aveva anche fatto presente (e l’affermazione sul punto è rimasta incontestata) che la pratica di condono era incompleta in quanto mancava la certificazione dell’avvenuto deposito all’Ufficio del Genio civile della documentazione relativa alle opere eseguite (ovvero la apposita certificazione del tecnico abilitato che asseverasse la non necessità del deposito all’Ufficio del Genio civile della predetta documentazione) di guisa che anche per tal via la pratica non poteva dirsi “completa” (ai fini della formazione del silenzio-assenso)".

sentenza CDS 5201 del 2012

Come si fa a stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo, e perciò non impugnabile, o di conferma in senso proprio e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini

09 Ott 2012
9 Ottobre 2012

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n. 5196 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "vanno ribaditi, in via generale e preliminare, i principi elaborati dalla giurisprudenza sulla distinzione tra atto meramente confermativo e atto di conferma in senso proprio.
La giurisprudenza consolidata di questo Consiglio -il che esime dal fare citazioni particolari- ha statuito che allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo, e perciò non impugnabile, o di conferma in senso proprio e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini, occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione di interessi.
In particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto a un atto precedente l'atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dare luogo a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita a un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione. Ricorre, invece, l'atto meramente confermativo (di c.d. conferma impropria) quando l'Amministrazione, a fronte di una istanza di riesame, si limita a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione.
La giurisprudenza soggiunge che qualora l’atto successivo, adottato sulla base di una rinnovata istruttoria e di una nuova motivazione, abbia valore di atto di conferma in senso proprio, e non di atto meramente confermativo, dev’essere dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso diretto avverso il provvedimento che, in pendenza del giudizio, sia stato sostituito dal provvedimento di conferma innovativo e dotato di autonoma efficacia lesiva della sfera giuridica del suo destinatario, come tale idoneo a rendere priva di ogni utilità la pronuncia sul ricorso proposto avverso il precedente provvedimento.
Guardando ora più da vicino il caso in esame -che rientra nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, anche se l’impostazione della sentenza e degli atti processuali del giudizio odierno sembrano percorrere, a tratti, i binari della “giurisdizione di spettanza”, oltre, cioè, la logica dell’annullamento- , la questione sopra enunciata –esaminabile d’ufficio da questo giudice d’appello, tenuto conto delle conseguenze che ne discendono ai fini della soluzione della controversia, con conseguente superamento del rilievo di inammissibilità sollevato dalla difesa di Bioenergia- va risolta ponendo in risalto anzitutto il carattere non meramente confermativo, ma autonomo e di conferma in senso proprio, del d. d.
21.9.2011, dato che dall’esame del decreto medesimo (su cui si rinvia anche a quanto scritto sopra, al p. 1.) emerge chiaramente che la Provincia è pervenuta a confermare i contenuti del d. d. 13.5.2011 al termine del procedimento di autotutela iniziato nel luglio del 2011, “parallelo e coevo” al ricorso dinanzi al TAR, e a seguito di un riesame approfondito della situazione in fatto e in diritto.
Il decreto del 21.9.2011 è imperniato infatti su una nuova istruttoria (agli atti sono stati prodotti l’istanza di Bioenergia, le deduzioni e gli allegati) , su una base normativa differente e su una motivazione in parte diversa da quanto stabilito nel d. d. del 13.5.2011.
Viene, invero, sottoposta a disamina l’applicabilità del combinato disposto di cui agli articoli 2, comma 159, della l. n. 244/07 e 15 del d. lgs. n. 79/99.
E’ vero che “in prima battuta”-v. pag. 5 d. d. cit.- la Provincia ritiene che il campo d’azione della normativa speciale sia da limitare ai soggetti destinatari di incentivi pubblici, tra i quali non vi è Bioenergia.
(Questo aspetto è stato confutato dal TAR, secondo il quale il campo di applicazione della normativa speciale non è limitato ai soggetti che hanno ricevuto incentivi. Non risulta tuttavia esaminata l’argomentazione in diritto, a sostegno della interpretazione “restrittiva” della disposizione speciale, fondata sul d. m. 18.12.2008, di cui a pag. 5 d. d. cit. ) .
E’ vero anche però che a pag. 6 del decreto l’Amministrazione provinciale finisce per confermare la disposta decadenza considerando insussistenti i requisiti richiesti dal menzionato art. 15, e questo sull’evidente presupposto dell’applicabilità della “normativa speciale” al caso in esame .
A quest’ultimo riguardo, anche a voler “leggere” la sentenza impugnata in una prospettiva di verifica circa la sussistenza –o la insussistenza- dei requisiti richiesti dalla normativa speciale per considerare Bioenergia decaduta (o no) dall’autorizzazione del 2009, in nessun punto della sentenza il TAR ritiene che Bioenergia abbia positivamente comprovato il possesso dei requisiti richiesti dalla normativa speciale, né provvede a spiegare le ragioni per le quali Bioenergia non sarebbe decaduta dall’autorizzazione anche applicando l’art. 2, comma 159, e l’art. 15, comma 1, sopra citati. A differenza di quanto afferma la difesa di Bioenergia, sui presupposti di fatto posti a base del d. d. n. 1203 del 21.9.2011 il TAR non si è pronunciato, né, del resto, avrebbe potuto farlo avendo, la sentenza, come oggetto esclusivo il d. d. del 13.5.2011). Dall’esame della sentenza del TAR –anche a voler argomentare secondo una “logica di spettanza”- non si ricava la dimostrazione della spettanza, a Bioenergia, del bene della vita (la non-decadenza dell’autorizzazione).
E’ appena il caso di aggiungere che ci si sarebbe trovati di fronte a un atto meramente confermativo solo se l’Amministrazione provinciale, a fronte di una istanza di riesame, si fosse limitata a dichiarare l’esistenza del suo precedente del 13.5.2011, senza addurre argomentazioni ulteriori.
Così però non è stato".

sentenza CDS 5196 del 2012

Nella VIA è obbligatorio valutare anche l’opzione zero

08 Ott 2012
8 Ottobre 2012

Nella procedura di VIA è obbligatorio valutare anche le opzioni alternative, tra le quali rientra l'opzione zero.

Lo precisa il TAR Veneto nella sentenza n. 333 del 2012.

Scrive il TAR: "Con il secondo motivo i Comuni ricorrenti lamentano la mancata considerazione, nell’ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale, delle opzioni alternative e della c.d. opzione zero al tipo di intervento richiesto.
La censura è condivisibile.
La procedura di impatto ambientale mira ad assicurare che siano fornite determinate informazioni essenziali al fine di valutare le ripercussioni sull’ambiente di un progetto.
La normativa vigente (cfr. l’art. 21, comma 2, lett. b, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152,  e l’art. 1, comma 1, lett. c, della legge regionale 26 marzo 1999, n. 10) pretende che siano identificate e valutate le possibili alternative al progetto, compresa la sua non realizzazione, con l’indicazione delle principali ragioni della scelta effettuata, al fine di rendere trasparente la scelta sotto il profilo dell'impatto ambientale, e allo scopo di evitare interventi che causino sacrifici ambientali superiori a quelli necessari al soddisfacimento dell'interesse sotteso all'iniziativa (cfr. Consiglio si Stato, Sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246). Nel caso in esame rispetto a quanto prescritto dalle norme citate il giudizio di compatibilità ambientale risulta incompleto.
Il parere infatti alle pagg. 39 e 40 afferma di avere valutato quali alternative al progetto la depurazione in situ del percolato, e l’allacciamento e scarico in fognatura, ma di averle scartate perché, benché possano portare ad una riduzione dei costi di gestione, non risolvono il problema dell’infiltrazione delle acque di pioggia e della conseguente produzione di percolato, che può essere affrontata solo intervenendo all’origine del problema.
Il parere prosegue dichiarando di non avere considerato l’opzione zero, consistente nel non effettuare alcun tipo di intervento, perché questa comporterebbe maggiori rischi ambientali connessi alla produzione di percolato.
Tali elementi di analisi, come dedotto dai Comuni ricorrenti, contraddicono la ratio delle norme citate.
Infatti, tenuto conto che la finalità principale del progetto dichiarata è quella di risolvere il problema dell’infiltrazione delle acque di pioggia, risulta
ingiustificatamente omessa la considerazione, come alternativa alla riattivazione della discarica o come opzione zero di questa specifica modalità di intervento, anche la riqualificazione del sito ottenibile dal semplice rifacimento della copertura, e manca quindi l’indicazione di un parametro essenziale ad evidenziare se le ripercussioni ambientali che derivano dalla riattivazione della nuova discarica siano proporzionate ed adeguate al raggiungimento degli obiettivi prefissi. La censura di cui al secondo motivo deve pertanto essere accolta".

T.A.R. Veneto, Venezia, 08.03.2012, n. 333

Il caos dei servizi pubblici locali: seminario organizzato dal Comune di Arzignano e da Venetoius – 26 ottobre 2012

05 Ott 2012
5 Ottobre 2012

Venetoius, in collaborazione col Comune di Arzignano e Agno Chiampo Ambiente organizza un seminario dal titolo "Il caos dei servizi pubblici locali e delle società pubbliche: dalla sentenza della Corte Costituzione n. 199 del 2012 alle norme dello “spending review” Cosa cambia nella gestione delle società?"

L'incontro sarà tenuto nella Villa Brusarosco di Arzignano nella mattina di venerdì 26 ottobre 2012.

La partecipazione è gratuita, ma è richiesta la preventiva iscrizione.

Relatori:  prof. avv. Giuseppe Piperata (Università IUAV), dott.ssa Silvia Rizzardi (ARPA Veneto), avv. Stefano Bigolaro (avvocato in Padova), cons. Tiziano Tessaro, (Corte dei Conti del Veneto).

E' stato chiesto il riconoscimento dei crediti formativi al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Vicenza.

Il caos dei servizi pubblici e delle societa pubbliche_locandina

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Disegno di legge di iniziativa della Giunta regionale: “Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto”‏

05 Ott 2012
5 Ottobre 2012
Si informa che la Giunta Regionale nella seduta del 2/10/2012 ha licenziato il Disegno di legge regionale:"Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto".
 
Tale proposta di Legge Regionale, se approvata, andrebbe a sostituire l'attuale legge regionale 15/2004.
 
Tra le novità più importanti della proposta si segnalano:
 
Art. 4 - Indirizzi regionali

1. Al fine di assicurare che lo sviluppo delle attività commerciali sia compatibile con il buon governo del territorio, con la tutela dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, la salvaguardia dei beni culturali e paesaggistici e la tutela del consumatore, la Giunta regionale, entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della presente legge, sentita la competente Commissione consiliare, adotta un regolamento ai sensi degli articoli 19, comma 2 e 54, comma 2 dello Statuto, contenente gli indirizzi per lo sviluppo del sistema commerciale in attuazione dei seguenti criteri:

a) garantire la sostenibilità economica, sociale, territoriale ed ambientale del sistema commerciale;

b) favorire la localizzazione degli interventi commerciali all’interno dei centri storici e urbani;

c) incentivare il risparmio di suolo, favorendo gli interventi di consolidamento dei poli commerciali esistenti, gli interventi di recupero e riqualificazione di aree o strutture dismesse e degradate, gli interventi che non comportano aumento della cubatura esistente in ambito comunale;

d) rafforzare il servizio di prossimità e il pluralismo delle forme distributive.

2. Il regolamento regionale di cui al comma 1:

a) detta i criteri per l’individuazione da parte degli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica delle aree idonee all’insediamento delle medie strutture con superficie di vendita superiore a 1500 metri quadrati e delle grandi strutture di vendita;

b) definisce le modalità per la valutazione integrata degli impatti e l’individuazione delle misure compensative e di mitigazione atte a rendere sostenibili gli insediamenti;

c) definisce gli ambiti territoriali di rilevanza regionale ai fini dell’applicazione dell’articolo 26, comma 1, lettera e);

d) definisce ogni altra disposizione di dettaglio per l’attuazione della presente legge.

3. Gli enti territoriali competenti adeguano gli strumenti urbanistici e territoriali al regolamento regionale di cui al comma 1 entro e non oltre centottanta giorni dalla data della sua pubblicazione. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 26, dalla data di entrata in vigore della presente legge e sino a tale adeguamento, non è consentita l’individuazione di nuove aree o l’ampliamento di aree esistenti con destinazione commerciale per grandi strutture di vendita e per medie strutture con superficie di vendita superiore a 1.500 metri quadrati e non può essere rilasciata l’autorizzazione commerciale in presenza di una variante approvata in violazione del presente divieto.

 Art. 21 - Requisiti urbanistici ed edilizi

1. Le medie strutture con superficie di vendita non superiore a 1.500 metri quadrati possono essere insediate in tutto il territorio comunale, purché non in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico comunale.

2. Per le medie strutture con superficie di vendita superiore a 1.500 metri quadrati e per le grandi strutture di vendita lo strumento urbanistico comunale localizza le aree idonee al loro insediamento sulla base delle previsioni del regolamento regionale di cui all’articolo 4.

3. In attesa dell’approvazione del regolamento regionale di cui all’articolo 4 e dell’adeguamento dello strumento urbanistico comunale alle previsioni del medesimo regolamento, il rilascio dell’autorizzazione commerciale per le medie strutture con superficie di vendita superiore a 1.500 metri quadrati è subordinato alla verifica da parte del comune dei seguenti criteri:

a) che l’area sia collocata all’interno del centro urbano;

b) per le aree al di fuori del centro urbano, a condizione che si tratti di un intervento di recupero e riqualificazione di aree o strutture dismesse o degradate.

4. In attesa dell’adeguamento dello strumento urbanistico comunale alle previsioni del regolamento regionale di cui all’articolo 4, il rilascio dell’autorizzazione commerciale per le grandi strutture di vendita è subordinato alla verifica, da parte della conferenza di servizi di cui all’articolo 19, comma 5, della compatibilità, con le previsioni contenute nel regolamento regionale, delle aree già classificate idonee per l’insediamento di grandi strutture di vendita o parchi commerciali dallo strumento urbanistico vigente alla data di entrata in vigore della presente legge.

5. In deroga a quanto previsto dal comma 2, le medie e grandi strutture di vendita possono essere insediate nei centri storici, nel rispetto dei vincoli previsti della vigente normativa, anche attraverso interventi di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale.

6. Ai fini dell’insediamento degli esercizi commerciali, le dotazioni di parcheggi pubblici o privati ad uso pubblico, anche in deroga alle previsioni di cui alla legge regionale 23 aprile 2004 n. 11:

a) per le medie e grandi strutture di vendita situate nei centri storici sono definite da apposita convenzione con il comune, anche con riferimento agli accessi ed ai percorsi veicolari e pedonali;

b) per le medie strutture di vendita fuori dai centri storici e per gli esercizi di vicinato sono definite dallo strumento urbanistico comunale;

c) per le grandi strutture di vendita fuori dai centri storici sono definite dallo strumento urbanistico comunale sulla base di quanto previsto dal regolamento regionale di cui all’articolo 4, tenuto conto altresì dei diversi settori merceologici e della tipologia dei prodotti posti in vendita.

 Titolo IV

Interventi di rilevanza regionale

Art. 26 - Disciplina delle strutture di vendita a rilevanza regionale

 1.Sono considerati di rilevanza regionale i seguenti interventi:

a)apertura di grandi strutture con superficie di vendita superiore a 15.000 metri quadrati in area classificata idonea all’insediamento di grandi strutture di vendita dallo strumento urbanistico comunale;

b)ampliamento, in misura superiore al 30% della superficie autorizzata, delle grandi strutture con superficie di vendita superiore a 15.000 metri quadrati o ampliamento che comporti il superamento della predetta soglia, in area classificata idonea all’insediamento di grandi strutture di vendita dallo strumento urbanistico comunale;

c)apertura di grandi strutture con superficie di vendita superiore a 8.000 metri quadrati qualora l’apertura richieda apposita variante urbanistica di localizzazione;

d)ampliamento, in misura superiore al 30% della superficie autorizzata, delle grandi strutture con superficie di vendita superiore a 8.000 metri quadrati o ampliamento che comporti il superamento della predetta soglia, qualora l’ampliamento richieda apposita variante urbanistica di localizzazione;

e)apertura di grandi strutture di vendita in aree ricadenti negli ambiti territoriali di rilevanza regionale, come definiti dal regolamento regionale di cui all’articolo 4, qualora l’apertura richieda apposita variante urbanistica di localizzazione.

2.Gli interventi di cui al comma 1 sono soggetti ad un accordo di programma promosso dalla Regione ai sensi dell’articolo 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, anche in variante urbanistica e ai piani territoriali e d’area, nel rispetto di quanto previsto dal regolamento regionale di cui all’articolo 4.

3. Al fine di addivenire alla conclusione dell’accordo di programma la Regione indice una conferenza di servizi alla quale partecipano necessariamente il comune competente per territorio, la provincia e le altre amministrazioni pubbliche interessate dall’intervento. La conferenza delibera a maggioranza di comune, provincia e Regione, con il parere favorevole del comune competente per territorio e della Regione. Per gli interventi di cui al comma 1, lettere a) e b) il parere della Regione è reso per il tramite della struttura regionale competente in materia di commercio, sentita la struttura regionale competente in materia di urbanistica e paesaggio. Per gli interventi di cui al comma 1, lettere c), d) ed e) il parere della Regione è reso per il tramite della struttura regionale competente in materia di urbanistica e paesaggio, acquisito il parere obbligatorio e vincolante della struttura regionale competente in materia di commercio.

4. L’accordo di programma può contenere forme di perequazione urbanistica ai sensi dell’articolo 35 della legge regionale 23 aprile 2004, n.11 specificamente destinate alla riqualificazione del centro urbano.

5. L'accordo è approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale e sostituisce ad ogni effetto le intese, i pareri, le autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta previsti da leggi regionali. Esso comporta, per quanto occorra, la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, nonché l'urgenza e l'indifferibilità dei relativi lavori. L’accordo sostituisce l’autorizzazione commerciale qualora la documentazione presentata sia sufficientemente completa in relazione all’intervento da eseguire. In caso contrario l’autorizzazione commerciale è rilasciata secondo la procedura ordinaria di cui all’articolo 19, comma 5.

6. Gli accordi di programma aventi ad oggetto esclusivamente o in misura prevalente gli interventi commerciali di cui al comma 1 sono disciplinati dal presente articolo.

7. La Giunta regionale, entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della presente legge, detta le disposizioni attuative del presente articolo, prevedendo, in particolare, un termine per la conclusione del procedimento non superiore a centottanta giorni.

8. In sede di prima applicazione della presente legge, in attesa dell’approvazione del regolamento regionale di cui all’articolo 4 e del provvedimento di cui al comma 7, le disposizioni del presente articolo si applicano agli interventi di cui al comma 1 per le grandi strutture di vendita con superficie superiore a 8.000 metri quadrati, anche in variante urbanistica.

Il testo integrale della proposta è recuperabile al seguente link:

Ddl 21 28,63 kB   03 October 2012
Ddl 21 All A 124,48 kB   03 October 2012
Ddl 21 All B 131,77 kB   03 October 2012

Nel caso di intervento edilizio sulle parti comuni occorre il consenso dei condomini (che sono anche controinteressati)

04 Ott 2012
4 Ottobre 2012

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5128 del 2012 si occupa degli interventi edilizi in un condominio.

Nel caso in esame il Comune aveva respintola domanda di concessione edilizia presentata il 28 marzo 2006 (in reiterazione di precedente analoga istanza del 31 maggio 2005, respinta con motivazione sostanzialmente eguale), facendo proprio il parere negativo della commissione edilizia, basato sui rilievi della mancanza del consenso scritto del condominio (sul presupposto della natura di parte comune del tetto interessato dall’opera e dell’utilizzo di una parte della cubatura urbanistica residua dell’edificio condominiale).

Il T.r.g.a. accoglieva l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Amministrazione resistente sotto il profilo della mancata notificazione del ricorso introduttivo ad almeno uno dei condomini, da ritenersi controinteressati in senso formale e sostanziale per gli effetti di cui all’art. 21, comma 1, l. 6 dicembre 1971, n. 1034 (nel testo applicabile ratione temporis alla fase introduttiva del giudizio di primo grado).

Il Consiglio di Stato conferma il TAR, scrivendo che: "Secondo l’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato, condiviso da questo Collegio, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici (v., ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332; C.d.S., Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1654).
Segnatamente, deve affermarsi l’obbligo del comune di verificare se, a base dell’istanza edificatoria, sia riconoscibile l’effettiva disponibilità giuridica del bene oggetto dell’intervento edificatorio, limitando invero l’art. 70 l. prov. 11 agosto 1997, n. 13, la legittimazione attiva all’ottenimento della concessione edilizia a chi sia munito di titolo giuridico sostanziale per richiederlo (la citata disposizione normativa, emanata dalla Provincia autonoma di Bolzano nell’esercizio della potestà legislativa primaria in materia di urbanistica, corrisponde sostanzialmente alla previsione contenuta nell’art. 11 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380).
Nel caso di specie, l’opera in contestazione era destinata a incidere sulla parte comune costituita dal tetto dell’edificio condominiale (non solo in senso materiale ma, eventualmente, anche sotto il profilo del decoro architettonico). L’opera, contrariamente a quanto assunto dall’odierno appellante, deve qualificarsi come innovazione voluttuaria – e non necessaria – per rendere più comodo il godimento dell’immobile. La medesima, al contempo, deve ritenersi idonea ad imprimere alla cosa comune una destinazione anche ad uso esclusivo del suo appartamento.
L’Amministrazione comunale, a fronte dell’evidente incidenza su una parte comune dell’edificio condominiale, nonché paventando prudenzialmente l’eventualità dell’utilizzo di parte della volumetria residua dell’edificio condominiale, in esplicazione del menzionato potere/dovere di verifica del titolo di legittimazione ha consequenzialmente, e del tutto ragionevolmente, richiesto il consenso del condominio.
Orbene, tenuto conto dell’espressa contemplazione, nell’impugnato provvedimento di diniego, dell’esigenza di acquisire il consenso condominiale, vi risulta formalmente indicato l’ente di gestione che sarebbe stato leso nel caso di rilascio del permesso (il condominio, e per esso rispettivamente i condomini, agevolmente individuabili dall’appellante), la cui posizione è connotata dalla titolarità di un interesse giuridicamente qualificato (nella specie, del diritto di proprietà su parti comuni – tetto condominiale – dell’edificio interessato dai lavori), implicitamente contemplato dall’atto impugnato, a mantener fermi gli effetti scaturenti dal provvedimento di diniego.
I citati soggetti, quindi, nell’appellata sentenza sono stati correttamente qualificati come controinteressati in senso formale e sostanziale e ad almeno uno di essi pertanto andava notificato a pena di inammissibilità il ricorso originario a mente dell’art. 21, comma 1, l. n. 1034 del 1971 (v., in fattispecie analoga, C.d.S., Sez. VI, 29 maggio 2007, n. 2742)".

sentenza CDS 5128 del 2012

Dopo l’abrogazione del DPR 191/1979 e del DPR 268/1987 è ancora ammesso il rimborso delle spese legali al dipendente dell’ente locale?

03 Ott 2012
3 Ottobre 2012

La disciplina riguardante il rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente pubblico di un ente locale deriva dal combinato disposto dell’art. 16 del D.P.R. 191/1979 secondo cui “L'ente, nella tutela dei propri diritti ed interessi, assicura l'assistenza in sede processuale ai dipendenti che si trovino implicati, in conseguenza di fatti ed atti connessi all'espletamento del servizio ed all'adempimento dei compiti d'ufficio, in procedimenti di responsabilità civile o penale, in ogni stato e grado del giudizio, purché non ci sia conflitto di interesse con l'ente” e dall’art. 67, comma 1 e 2, del D.P.R. 268/1987 secondo cui “1. L'ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l'apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti d'ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall'apertura del procedimento facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento. 2. In caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o con colpa grave, l'ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni grado di giudizio”.

Alla luce di ciò il rimborso delle spese legali è legittimo allorquando ricorrano a due condizioni:

               I) l’assoluzione piena del dipendente pubblico che si trova implicato, in conseguenza di atti o fatti connessi all’espletamento del servizio o all’adempimento dei compiti d’ufficio, in un procedimento civile e/o penale;

               II) la mancanza di un conflitto d’interesse con l’ente.

Quanto detto è confermato anche dal parere della Corte dei Conti, sez. reg. di controllo per il Veneto nella deliberazione n. 184/2012/PAR depositata in segreteria il 12.03.2012 concernente le condizioni ed i limiti per il rimborso delle spese legali sostenute da un dirigente comunale sottoposto a giudizio penale e poi assolto con formula piena (perché il fatto non sussiste). Nello specifico la Corte ritiene che “le spese sostenute da amministratori e dipendenti di enti locali per la difesa nell’ambito di un giudizio penale, escluso ogni automatismo nell’accollo delle spese da parte dell’ente, deve risultare - ai fini di una trasparente, efficace ed efficiente amministrazione delle risorse economiche pubbliche” – subordinato ai seguenti presupposti:

a)      l’assenza di dolo e colpa grave in capo al dipendente sottoposto a giudizio;

b)      il giudizio deve riguardare atti o fatti strettamente connessi all’espletamento dell’attività istituzionale del dipendente;

c)       l’assenza di conflitti di interesse tra il dipendente e l’ente di appartenenza;

d)      che, in caso di proscioglimento con formule diverse da quelle escludenti la materialità dei fatti (il fatto non sussiste e l’imputato non lo ha commesso), non debba sussistere in concreto alcun conflitto di interessi con l’ente;

e)      che, se il rimborso sia chiesto ex post, la spesa deve rispondere a parametri di obiettiva congruità e non deve esservi conflitto d’interessi con l’ente.

Inoltre, la deliberazione n. 245/2012/PAR del 05.04.2012 della Corte dei Conti, sez. reg. di controllo per il Veneto si sofferma sul momento in cui l’ente deve valutare l’assenza del conflitto di interessi tra il dipendente pubblico e l’ente affermando che “l’amministrazione di appartenenza dovrà verificare, all’esito del procedimento (in questo senso “ex post”), che non sussista un conflitto di interessi tra l’attività istituzionale dell’ente e la condotta del lavoratore”.

La verifica, quindi, viene fatta ex post alla conclusione del procedimento civile e/o penale al quale il dipendente ha partecipato ed indipendentemente dall’esito del procedimento civile/penale, come conferma anche la Cassazione laddove stabilisce che l’accertamento del conflitto di interessi deve avvenire valutando il “fatto addebitato” complessivamente e nella sua intrinseca realtà, “a prescindere dalla sussistenza o meno della responsabilità penale” (Cass. civile, sez. lavoro, 12 febbraio 2004, n. 2747).

Con riferimento alla natura di tale rimborso, la Corte dei conti, sez. reg. di controllo per il Veneto, con deliberazione n. 184/2012/PAR che riprende il contenuto della circolare del Ministero dell’Interno del 30.05.2003 – 16.59 chiarisce che il rimborso del dipendente pubblico ha natura indennitaria e non risarcitoria. Questo comporta “l’obbligo di reintegrare il patrimonio del dipendente mediante una prestazione equivalente e non già di eseguire una prestazione pecuniaria nel suo ammontare ab origine” nonché la possibilità che il ristoro economico non corrisponda “ad un rimborso pieno della parcella, specie quando la stessa contenga importi superiori rispetto a quelli previsti dalle tabelle professionali. Infatti la partecipazione dell’ente alla scelta del legale, avrebbe potuto indirizzare la stessa verso un professionista che avesse assunto l’impegno di mantenersi nei limiti di dette tabelle. Si ritiene, pertanto, che l’amministrazione, in assenza della preventiva intesa, possa ridurre il rimborso alla parte della spesa che la stessa avrebbe assunto ove la scelta fosse stata concordata”.

Si evidenzia come, incidendo negativamente sul bilancio dell’ente locale, la determinazione del rimborso effettuata dall’ente dovrà osservare i necessari criteri di ragionevolezza, congruità ed adeguatezza in relazione all’importanza dell’attività svolta ed anche alla luce delle valutazioni da effettuarsi a cura dell’Ordine degli Avvocati.

Attualmente, però, il Decreto Legge 09 febbraio 2012 n. 5 (c.d. Semplifica Italia) convertito con modificazioni dalla legge 04 aprile 2012 n. 35 ha abrogato sia il D.P.R. 1 giugno 1979 n. 191 che il D.P.R. 13 maggio 1987 n. 268.

Qual è la disciplina normativa che ora regola il rimborso delle spese legale sostenute da un dipendente pubblico di un ente locale che ha partecipato ad un procedimento civile/penale?

Una possibile soluzione è applicare l’art. 28 del C.C.N.L. per il personale del comparto delle Regioni e delle Autonomie locali del 14.09.2000 il quale prevede che “l’ente, anche a tutela dei propri diritti e interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento.

In caso di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o colpa grave, l’ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni stato e grado di giudizio.

La disciplina del presente articolo non si applica ai dipendenti assicurati ai sensi dell’art. 43, comma 1”.

Oppure i giudici interpreteranno estensivamente quanto previsto dall’art. 18, comma 1, del D.L. 25 marzo 1997 n. 67 convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 1997 n. 135 per i dipendenti pubblici statali: “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l'Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”?

dott. Matteo Acquasaliente

Corte Conti, sez. reg. controllo Veneto PAR 184 2012

Corte Conti, sez. reg. controllo Veneto, PAR 245 2012

L’aumento di superfici utili o di volumi che esclude la sanatoria paesaggistica si configura anche nel caso di opere interrate o che non aumentano il carico urbanistico

02 Ott 2012
2 Ottobre 2012

La precisazione è contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato n. 5066 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "Quanto all’ambito di applicazione del richiamato art. 167, commi 4 e 5, la Sezione ritiene di dover ribadire quanto già affermato con la propria sentenza 20 giugno 2012 n. 3578, la quale ha osservato che:
- l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, delle opere (art. 146, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004), al di fuori dai casi tassativamente previsti dall’art. 167, commi 4 e 5;
- con tale scelta il legislatore ha inteso presidiare ulteriormente il regime delle opere incidenti su beni paesaggistici, escludendo in radice che l’esame di compatibilità paesistica possa essere postergato all’intervento realizzato (sine titulo o in difformità
dal titolo rilasciato) e ciò al fine di escludere che possa riconnettersi al fatto compiuto qualsivoglia forma di legittimazione giuridica;
- in altri termini, il richiamato art. 167 del codice n. 42 del 2004, evidentemente in considerazione delle prassi applicative delle leggi succedutesi in materia di condoni e sanatorie (caratterizzate di regola dall’esercizio di poteri discrezionali delle autorità preposte alla tutela del vincolo paesaggistico), ha inteso tutelare più rigorosamente i beni sottoposti al medesimo vincolo, precludendo in radice ogni valutazione di compatibilità ex post delle opere abusive (tranne quelle tassativamente indicate nello stesso art. 167);
- ove le opere risultino diverse da quelle sanabili ed indicate nell’art. 167, le competenti autorità non possono che emanare un atto dal contenuto vincolato e cioè esprimersi nel senso della reiezione dell’istanza di sanatoria;
- l’unica eccezione a tale rigida prescrizione riguarda il caso in cui i lavori, pur se realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
- tenuto conto del testo e della ratio dell’art. 167, nella prospettiva della tutela del paesaggio non è rilevante la classificazione dei volumi edilizi che si suole fare al fine di evidenziare la loro neutralità, sul piano del carico urbanistico, poiché le qualificazioni giuridiche rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio non hanno rilievo, quando si tratti di qualificare le opere sotto il profilo paesaggistico, sia quando si tratti della percezione visiva di volumi, a prescindere dalla loro destinazione d’uso, sia quando comunque si tratti di modificare un terreno o un edificio o il relativo sottosuolo".

Nel caso specifico si trattava di un garage interrato e di una centrale termica: "Il parere negativo emesso dalla Soprintendenza risulta, poi, congruamente motivato ed in linea con l’art. 167, comma 4, d.lgs. n. 42/2004; la lettura della relazione allegata al progetto di sanatoria evidenzia, infatti, chiaramente come fossero state realizzate opere (ampliamento del garage interrato e di una centrale termica) integranti quell’aumento “di superfici utili o volumi” ostativo, ai sensi dell’art. 167, comma 4, codice dei beni culturali e del paesaggio, al rilascio della licenza a sanatoria, nessuna rilevanza potendo assumere - come si evince da quanto sopra esposto sui c.d. volumi tecmici - il richiamo all’orientamento giurisprudenziale (cfr. C.S., sez. V, sent. 1° luglio 2002 n. 3589) escludente rilevanza alle opere interrate: orientamento affermatosi in rapporto alla valutazione del parametro concernente la volumetria della costruzione (onde l’irrilevanza delle costruzioni interrate che, in quanto non utilizzabili al pari di quelle costruite al di sopra del piano di campagna, non aumentino il carico urbanistico) e non applicabile alle ipotesi in cui, al contrario, sia contestata la stessa possibilità di procedere all’edificazione (come nel caso di specie, per la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica e non in considerazione della volumetria realizzata)".

sentenza CDS 5066 del 2012

Il costo per il potenziamento della rete idrica non è classificabile quale contributo per opere di urbanizzazione primaria e la giurisdizione non spetta al TAR

01 Ott 2012
1 Ottobre 2012

Il ricorrente ha presentato ricorso al TAR per chiedere l’accertamento del diritto di ripetere la somma di € 28.008,79 pagata all’Azienda Generale Servizi Municipalizzati di Verona per opere di potenziamento della rete idrica comunale e per la conseguente condanna al pagamento in proprio favore della predetta somma.

In occasione di alcuni lavori edilizi, il ricorrente aveva richiesto all’Azienda Generale Servizi Municipali di Verona (di seguito AGSM) il preventivo per la fornitura di acqua e gas per le utenze domestiche dei blocchi C1 e C2 e per l’allacciamento fognario.  A seguito della suddetta richiesta, l’AGSM forniva per i blocchi C1 e C2 tre preventivi di cui uno per l’allacciamento e i contatori per usi domestici (prev. n. 864853), uno per l’uso dell’acqua antincendio (prev. n. 872043) e uno per il potenziamento della rete idrica da realizzare  pari a € 25.462,54 (prev. n. 872813), con la precisazione che il contestuale pagamento di tutti e tre i preventivi sarebbe stata condizione imprescindibile per l’inizio dei lavori di allacciamento.

Secondo il ricorrente, la richiesta dell’AGSM di incamerare la somma di € 25.462,54 (più IVA) per il potenziamento della rete idrica comunale (cfr. prev. n. 872813), peraltro adempiuta con riserva di ripetere quanto versato, sarebbe illegittima perché riguardante lavori pubblici di esclusivo interesse della collettività che avrebbero dovuto essere realizzati a spese dell’ente locale.

Il TAR, con la sentenza n. 1220 del 2012, ha ritenuto di non avere giurisdizione in materia: "Osserva, ai fini del decidere, il Collegio, che con Conferenza di Servizi intercorsa tra il Comune di Verona e l’AGSM in data 14.01.2003, è stato appurato che la somma di cui parte ricorrente chiede la restituzione non è classificabile quale contributo per opere di urbanizzazione primaria le cui controversie, in ordine al quantum, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo.
11.3. Dal verbale della conferenza risulta, infatti, che il potenziamento della rete idrica, in ragione del quale la predetta Azienda municipalizzata ha chiesto alla ricorrente il pagamento della somma di € 25.462,54, più IVA, (cfr. prev. n. 872813), “si è reso necessario per l’allacciamento dell’immobile della Victoria Costruzioni s.p.a. (SK n. 2977/99), per le esigenze specifiche della Società stessa (es. bocca antincendio) e non per l’interesse della collettività”.
11.4. Conseguentemente, deve ritenersi corretta la valutazione operata dal Comune di Verona il quale, con nota datata 19.02.2003, prot. n. 23467, ha rappresentato alla ricorrente l’impossibilità di restituire la predetta somma, a scomputo di quanto pagato a titolo di contributo di concessione, anche in considerazione del fatto che non era stato preventivamente richiesto l’assenso all’Amministrazione comunale in relazione alle opere realizzate dall’AGSM.
11.5. In conclusione, non essendo la somma richiesta dalla ricorrente classificabile quale contributo di urbanizzazione e risultando, invero, i lavori effettuati dall’AGSM parte integrante dell’allacciamento concernente le bocche antincendio degli immobili oggetto d’intervento, il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione".

sentenza TAR Veneto 1220 del 2012

Il procuratore speciale di una società può presentare offerte tanto quanto il legale rappresentante di cui all’art. 2384 c.c.

01 Ott 2012
1 Ottobre 2012

La sentenza del TAR Veneto n. 1222 del 2012 si occupa, tra l'altro, dei poteri del procuratore speciale di una società di presentare offerte, dicendo che: "Privo di pregio appare, infine, la dedotta carenza di rappresentanza legale in capo al predetto procuratore speciale avendo la giurisprudenza, in proposito, definitivamente chiarito che non vi è “alcuna valida ragione per considerare, sul piano delle garanzie procedimentali, meno affidabile o meno impegnativa una dichiarazione proveniente da un procuratore rispetto a quella proveniente dal rappresentante legale di cui all’art. 2384 c.c.. Né, in senso contrario, è decisivo affermare che la maggiore stabilità della figura del rappresentante legale, sui cui poteri può incidersi solamente con delibera assembleare, comporti una migliore tutela dell’interesse sostanziale della P.A. alla certezza dell’identità dei suoi interlocutori, essendo la complessiva disciplina di gara idonea di per sé a garantire sufficientemente, nelle articolazioni
dell’evidenza pubblica, l’interesse dell’Amministrazione alla certezza dell’identità degli interlocutori” (cfr. Cons. St., sez. V, 31 ottobre 2001, n. 5691)."

sentenza TAR Veneto 1222 del 2012

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