Il TAR Liguria dichiara legittimo (almeno per ora) il Registro delle unioni civili

16 Apr 2014
16 Aprile 2014

Il T.A.R, Liguria, Genova, sez. I, nella sentenza del 04 aprile 2014 n. 518 dichiara legittima la delibera del Consiglio comunale di Genova n. 31/2013 che approva il Regolamento di istituzione del Registro amministrativo delle unioni civili delle persone che, indipendentemente dal sesso, sono legate da vincoli affettivi e di reciproca solidarietà, sono conviventi e hanno lo loro dimora abituale nel Comune di Genova. Questo registro, in sostanza, equipara le coppie sposate alle coppie conviventi soltanto nei rapporti tra i cittadini ed il Comune.

Nello specifico il T.A.R. Liguria dichiara inammissibile il ricorso proposta dall’Associazione Essere Famiglia e da due persone fisiche che agiscono “in riferimento al proprio stato familiare, ritenuto leso dal regolamento impugnato e dalla prevista equiparazione” perché, essendosi impugnato un atto regolamentare a carattere generale ed astratto, non vi sarebbe stata alcuna attuale lesione: “In primo luogo, trattandosi di atto regolamentare, nel caso di specie non sussistono i limitati ed eccezionali presupposti per l’impugnativa di tale tipologia di atto normativo.

In proposito, costituisce jus receptum il principio a mente del quale il regolamento non è di per sé impugnabile, in quanto esso è privo di disposizioni immediatamente lesive, proprio per il suo contenuto normativo, astratto e programmatico, a nulla rilevando che le dette disposizioni possano prefigurare un’incisione futura sulla sfera giuridica di chi ne risulterà in concreto destinatario. Conseguentemente, esso potrà formare oggetto di impugnazione solo insieme agli atti applicativi, perché è attraverso tali atti che si realizza il pregiudizio della sfera soggettiva degli effettivi destinatari e, quindi, si attualizza l’interesse a ricorrere. Soltanto se il regolamento contenga anche disposizioni immediatamente lesive, incidendo direttamente e unilateralmente sulla sfera giuridica di uno o più soggetti individuati, esso sarà immediatamente impugnabile, emergendo allora un contenuto provvedimentale.

Invero, la costante giurisprudenza amministrativa (condivisa dal Collegio) ha sempre escluso, di norma, l'impugnabilità diretta dei regolamenti, le cui prescrizioni sono caratterizzate da generalità ed astrattezza (cfr., ad es.: C.d.S., sez. VI, 12 febbraio 2001 n. 663; sez. IV, 12 febbraio 2012 n. 812; id., 18 novembre 2013, n. 5451, Tar Trento, sez. I 16 dicembre 2013 n. 408).

Le relative previsioni regolamentari, riguardano, di solito (ed all’evidenza anche nella specie), una pluralità indistinta e non determinabile di destinatari (neppure potendosi, nel caso de quo rispetto ad altri, circoscrivere alcune categorie di esse), il che ne determina, appunto, la "generalità".

Inoltre, tali previsioni si caratterizzano per la loro ripetibilità, in quanto applicabili ad un numero indefinito di casi concreti, il che ne determina l'astrattezza.

Quanto al regime di impugnazione, per tradizionale affermazione giurisprudenziale - fondata proprio sulle anzidette caratteristiche dell'atto - il regolamento non è di per sé impugnabile, in quanto, come detto, privo di disposizioni immediatamente lesive, proprio per il suo contenuto normativo, astratto e programmatico, a nulla rilevando che le dette disposizioni possano prefigurare una incisione futura sulla sfera giuridica di chi ne risulterà in concreto destinatario

Nella specie non vi è alcuna disposizione immediatamente lesiva di situazioni giuridiche ma solo affermazioni di principio e generali, la cui condivisibilità ed opinabilità costituisce questione latu sensu politica e di valore, tale da oltrepassare ampiamente i limiti propri del giudizio di legittimità, come si avrà modo di evidenziare anche oltre”.

 Alla luce di ciò il T.A.R. conclude affermando che: “In proposito, curiosamente, deve evidenziarsi come i fini indicati nelle premesse del regolamento coincidano con quelli dell’associazione: lo sviluppo della persona. Ciò conferma come si tratti di visioni generali, politiche e di valori, indipendenti quindi da scelte di legittimità amministrativa rispetto alle quali la problematica si porrà, eventualmente, in sede applicativa e gestionale. Anche di atti amministrativi generali, ma pur sempre di carattere latu sensu gestionale, non normativo e libero nei fini come nella specie, in cui ci si trova dinanzi a scelte normative, più o meno opinabili o condivisibili che siano” ed ancora che: “Non vi è un interesse diretto, mancando un riflesso diretto sulla sfera giuridica del ricorrente; infatti, la norma contestata (in quanto previsione generale ed astratta) allo stato non ha effetto diretto su tale sfera nè, conseguentemente, può averne il relativo annullamento. Non vi è un interesse attuale, essendo il paventato vantaggio unicamente prospettico, in relazione alle future (e allo stato non individuabili, anche a cagione della genericità ed astrattezza delle previsioni regolamentari in contestazione) applicazioni in sede amministrativa.

L’interesse morale, invocato da parte ricorrente nei propri scritti difensivi, risulta peraltro riferito ai ben distinti casi in cui si pone la questione della permanenza di un interesse alla decisione in relazione al sopravvenire di eventi successivi alla instaurazione del giudizio, dovendo in tali casi essere esclusa l'utilità dell'atto impugnato, ancorché meramente strumentale o morale, ovvero che sia chiara e certa l'inutilità di una pronuncia di annullamento dell'atto impugnato (cfr. da ultimo Consiglio di Stato sent. n. 70\2014).

Nel caso de quo l’interesse morale – vantato per l’instaurazione al giudizio - assume connotati in senso lato politici e di valore che, pur laddove reputati condivisibili, fuoriescono all’evidenza dagli ambiti propri del giudizio di legittimità amministrativa. Il concetto di morale viene in questo caso forzato e, in termini giuridici di interesse al ricorso, stravolto: nel senso che è reputato morale il sostenere un’idea di famiglia e di sviluppo della persona – fondata sul matrimonio - a scapito di una visione diversa e più ampia (quale quella che sarebbe sottesa alla scelta politica del Consiglio comunale), che quindi assumerebbe i connotati dell’amoralità o comunque della non moralità, del contrasto con l’interesse morale sussistente in capo ai ricorrenti; orbene, pur nel comprendere le ragioni portate a sostegno della nozione di famiglia nucleare fondata sul matrimonio, il concetto di moralità nei termini assolutisti proposti da parte ricorrente non alberga nel giudizio di legittimità, così come inteso dalla costante giurisprudenza invocata, laddove l’invocato interesse morale ad avere comunque la decisione di un ricorso (inizialmente sorretto da un interesse diretto concreto ed attuale) concerne il distinto caso dell’ottenimento del riconoscimento dell’originaria fondatezza delle ragioni addotte a sostegno del gravame proposto”.

 Particolarmente interessante è anche l’excursus giurisprudenziale affrontato dal Collegio in materia di famiglia: “La stessa giurisprudenza invocata da parte ricorrente (Tar Veneto 2786\2007) evidenzia l’ampiezza del concetto di famiglia nell’ordinamento, in cui a quello di famiglia nucleare o civile si accompagna quello di famiglia anagrafica (per la quale i requisiti sono individuati dalla presenza fra i membri di un vincolo familiare o affettivo e la coabitazione o dimora abituale nella stessa abitazione. Analogamente, altra condivisibile giurisprudenza (Tar Toscana 1041\2001) evidenzia come la stessa Costituzione non escluda la sussistenza di altre formazioni sociali, espressamente tutelate dall’art. 2 Cost., tanto che la giurisprudenza della Corte costituzionale ( cfr. ad es. sentenze nn. 237/86, 281/94, 8/96. 138/2010) ha riconosciuto l'ambito di operatività dell'art.2 Cost., ai sensi del quale anche un consolidato rapporto di fatto può essere tutelato come espressione del principio solidaristico del quale è permeato l'ordinamento giuridico, e il principio di eguaglianza espresso nell'art. 3 Cost. impone a tutti i soggetti istituzionali della "Repubblica", e quindi anche ai Comuni (arg. ex art. 5 Cost.), di eliminare qualsiasi ostacolo che si frapponga al rispetto della persona umana da tutelare anche nella sua diversità. E lo statuto dell’associazione pare proprio muoversi nell’ottica dello sviluppo della persona, in ogni ambito familiare e sociale; in termini quindi tanto condivisibili quanto ben più ampi e non coincidenti con quelli ben più ristretti azionati in ricorso.

Incidentalmente, merita un espresso richiamo quanto evidenziato dalla Consulta nella sentenza del 2010: “L'art. 2 Cost. dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Orbene, per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone - nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge - il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. Si deve escludere, tuttavia, che l'aspirazione a tale riconoscimento - che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia - possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio”. Ciò quindi non esclude che le cc.dd. unioni civili possano assumere rilievo in termini generali di famiglia, come confermato dal concetto di famiglia anagrafica”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Liguria n. 518 del 2014

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