Cassazione e CDS hanno opinioni divergenti sulla natura giuridica del ricorso straordinario

06 Feb 2013
6 Febbraio 2013

Il Consiglio di Stato, sez. VI, con l’ordinanza del 1° febbraio 2013 n. 637, rimette all’Adunanza Plenaria la questione sulla natura giuridica della pronuncia emessa in esito al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

Accertata l’esistenza di un duplice orientamento giurisprudenziale, poiché: “con sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3513 del 10.6.2011, infatti, è stata sostanzialmente affermata la piena giurisdizionalizzazione, anche ai fini dell’ottemperanza, del ricorso straordinario alla Presidenza della Repubblica, tenuto conto dell’evoluzione di tale rimedio giustiziale e della disciplina legislativa al riguardo intervenuta, al fine di assicurare "un grado di tutela non inferiore a quello conseguibile agendo giudizialmente"”, mentre: “nell’ordinanza del medesimo Consiglio, sez. III, n. 4666 del 4.8.2011, invece – pur ribadendosi l’esperibilità del giudizio di ottemperanza, per la piena esecuzione del "decisum" conseguente a ricorso straordinario (in conformità alla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 2065/2011) – si esprimeva un diverso avviso, anche rispetto al citato pronunciamento della Suprema Corte, per quanto riguarda l’individuazione del giudice dell’esecuzione competente, a norma dell’art. 113 c.p.a., con conclusiva riconduzione della decisione sul ricorso straordinario all’art. 112, comma 1, lettera d) c.p.a. (che sancisce la proponibilità del giudizio di ottemperanza non solo per le sentenze passate in giudicato, ma anche per "gli altri provvedimenti ad esse equiparati, per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione"). Nella citata ordinanza si sottolineava come – pur dopo le significative novità introdotte dalla legge n. 69/2009 (natura vincolante del parere del Consiglio di Stato e possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale) – l’attività consultiva del medesimo Consiglio di Stato conservasse "significativi profili" di differenza rispetto a quella giurisdizionale, organizzata "secondo i canoni più rigorosi del giusto processo (v. art. 2 c.p.a.)", senza possibilità di integrale equiparazione del ricorso straordinario a quello giurisdizionale, tenuto conto, in particolare, della "specificità e perfettibilità del rito del ricorso straordinario….con riferimento ai nodi essenziali del contraddittorio, dell’istruzione probatoria e del doppio grado di giudizio”, il Consiglio di Stato, con l’ordinanza de qua, è propenso ad escludere che la decisione del ricorso straordinario abbia carattere giurisdizionale atteso che: “a) appare innegabile che – per i pareri emessi dal Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario, dopo l’emanazione della legge n. 69/2009 – sia configurabile un’accezione nuova e non meramente provvedimentale dell’atto, conformemente emesso in forma di decreto presidenziale;

b) la piena assimilazione di tale atto ad una sentenza risulta, d’altra parte, da escludere, per i delicati interrogativi che dovrebbero porsi, in caso contrario, in rapporto all’art. 111 della Costituzione e all’art. 6 CEDU;

c) appare ragionevole ritenere che – in considerazione della natura giustiziale del predetto ricorso straordinario e dell’autorevolezza del parere, emesso in posizione neutra e a garanzia oggettiva dell’ordinamento dal Consiglio di Stato – la presa d’atto, ormai vincolata, proveniente dall’Amministrazione e formalmente espressa dal Capo dello Stato sia da considerare non "provvedimento esecutivo del giudice amministrativo", ma provvedimento equiparato a sentenza ai fini dell’esecuzione (nei limiti delle statuizioni nel parere stesso contenute), con conseguente riconducibilità della fattispecie all’art. 112, comma 2, lettera d) c.p.a..

Nell’ottica di cui al precedente punto c), le decisioni rese in esito a ricorso straordinario non perderebbero il formale carattere di provvedimento amministrativo, ma risulterebbero rafforzate sul piano dell’esecutorietà (in via ordinaria – ovvero per la generalità dei provvedimenti – rimessa all’Autorità amministrativa, ma nel caso di specie affidata al Plesso giurisdizionale di riferimento, risultando già effettuata dall’Organo di vertice di quest’ultimo la richiesta valutazione di legittimità, benchè senza le integrali garanzie del processo per la valutazione della fattispecie concreta). A sostegno della tesi anzidetta si pongono considerazioni, che attengono alla natura del giudicato, ai limiti di competenza interna delle sezioni del Consiglio di Stato e al principio generale del doppio grado di giurisdizione.

Sotto il primo profilo, infatti, suscita perplessità la piena equiparazione, che si volesse ritenere introdotta fra pronuncia – emessa in esito a ricorso straordinario – e sentenza conclusiva del processo, con anomalo riconoscimento di un "doppio binario" giurisdizionale, nell’ambito del quale potrebbero acquisire la forza propria del giudicato (indiscutibile per principio risalente al diritto romano: "facit de albo nigrum, aequat quadrata rotundis….") anche pronunce non assistite dalle previe garanzie del "giusto processo", così come oggi scolpite nell’art. 111 della Costituzione. Quanto sopra con conseguenze che – per i limiti istruttori sottolineati nel citato parere n. 2131/2012 – implicherebbero un giudizio di esecuzione vincolato non solo dai principi di diritto, espressi nel parere del Consiglio di Stato, ma anche dai presupposti di fatto, nel medesimo parere talvolta non compiutamente accertati. Ove, inoltre, il pronunciamento emesso a seguito di ricorso straordinario avesse la medesima natura giuridica di una sentenza, non si vede perché – a livello di competenza interna – detto ricorso non potrebbe essere esaminato (anche) dalle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, così come risulta anomalo che – per l’ottemperanza al medesimo – venga chiamata a pronunciarsi una sezione giurisdizionale, anziché la sezione consultiva che abbia emesso il parere; in altri termini, la possibile configurazione del parere in questione come "ius dicere", non distinguibile dalla pronuncia giurisdizionale, porrebbe evidenti problemi di rilevanza costituzionale e comunitaria, ove le scarne indicazioni, contenute nell’art. 112 c.p.a., fossero da considerare introduttive di una totale equiparazione fra attività consultiva di tipo giustiziale e attività giudicante in senso proprio (riconducibili, rispettivamente, agli articoli 100 e 103 della Costituzione).

Ugualmente ardua appare la riconducibilità alle medesime indicazioni codicistiche della soppressione del doppio grado di giurisdizione, pacificamente riconosciuto anche per le sentenze emesse in sede di ottemperanza quando il gravame non investa mere questioni esecutive, con effetto devolutivo pieno in relazione alla regolarità del rito instaurato, alle condizioni soggettive ed oggettive dell’azione ed alla fondatezza della pretesa azionata (cfr. in tal senso per il principio, Cons. St., sez. V, 8.7.2002, n. 3789; Cons. St., sez. VI, 27.1.2012, n. 385); quanto sopra, oltre tutto, per una decisione che non perderebbe la propria natura di provvedimento amministrativo, continuandosi a ritenere ammissibile al riguardo anche l’ordinario ricorso giurisdizionale (cfr. in tal senso il citato parere n. 2131/2012)”.

Tale pronuncia, tuttavia, sembra essere in contrasto la recente sentenza delle Corte di Cassazione, sez. Unite, 19 dicembre 2012, n. 23464, commentata nel post dell’8 gennaio 2013, ove si afferma la natura giurisdizionale del decreto emesso in sede di ricorso straordinario.

Vedremo l’Adunanza Plenaria quale orientamento seguirà.

dott. Matteo Acquasaliente

ordinanza CdS n. 637 del 2013

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