Esercizi di somministrazione di alimenti e bevande: autorizzazione, scia e silenzio-assenso

13 Feb 2013
13 Febbraio 2013

La sentenza della terza sezione del T.A.R. Veneto n. 134 del 5 febbraio 2013 è già stata oggetto di segnalazione in questo sito, in relazione alla tematica della programmazione comunale dell’apertura di esercizi di somministrazione di alimenti e bevande (rif. art. 64 del D.Lgs. 59/2010)

La stessa merita attenzione anche in relazione alla tematica del regime autorizzatorio applicabile all’apertura di pubblici esercizi.

In un precedente post del blog venetoius, intitolato “All’apertura degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande si applica ancora il regime dell’autorizzazione espressa o si applica la scia?”, si era già affrontata la questione della necessità o meno dell’autorizzazione espressa, in conseguenza della introduzione della scia ad opera della legge 30 luglio 2010, n. 122.

Si segnalava, in proposito, la Circolare del Ministero dello Sviluppo economico n. 3637/C del 10 agosto 2010, la quale offriva la seguente indicazione, sulla scorta della lettura combinata del nuovo art. 19 della L. 241/1990 e dell’art. 64, cc. 1 e 3 del D.Lgs. 59/2010: occorre l’autorizzazione espressa (e non si può fare ricorso alla scia) se, ai fini dell’avvio di un’attività, la disciplina di settore disponga la necessità di strumenti di programmazione, come nel caso previsto dall’art. 64 c. 3 per l’apertura di nuovi esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.

Questa conclusione è coerente con quanto affermato dagli arrt. 14 e ss. del D.Lgs. 59/2010, i quali, nei servizi c.d. liberalizzati, prevedono il mantenimento di regimi autorizzatori, ed in particolare l’adozione di un provvedimento autorizzatorio espresso (cfr. art. 17), soltanto “qualora sussista un motivo imperativo di interesse generale”. Abbiamo già rilevato, commentando l’art. 64 del medesimo decreto legislativo, che il fatto che sussista una programmazione delle aperture di esercizi di somministrazione presuppone l’esistenza di motivi imperativi di interesse generale.

Ritorna, quindi, anche per quanto riguarda la tematica del regime autorizzatorio delle aperture di pubblici esercizi, il concetto, sfumato e di difficile applicazione pratica, di “motivi imperativi di interesse generale”.

Questo concetto è dunque in grado di incidere sull’esercizio della libertà d’impresa sotto un duplice profilo:

-         può essere invocato in sede di programmazione per limitare le nuove aperture;

-     dilata i tempi per l’avvio dell’attività, dal momento che non consente di fare ricorso alla scia, ma richiede una autorizzazione espressa.

Sotto quest’ultimo profilo dei tempi dell’avvio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, la sentenza in esame disquisisce su quale sia il termine per la formazione del silenzio-assenso. I ricorrenti invocavano l’applicazione del termine generale di trenta giorni, stabilito per la conclusione del procedimento amministrativo dall’art. 2, comma 2 della L. 241/1990. Il TAR Veneto ha indicato, invece, il diverso termine di 60 giorni, rinvenuto al punto 49, della tabella C, di cui all’allegato 3, del DPR 26 aprile 1992, n. 300, come sostituito dall’allegato 1 del DPR 9 maggio 1994, n. 407 (“Elenco delle attività sottoposte alla disciplina dell'art. 20 della legge n. 241 del 1990 con indicazione del termine entro cui la relativa domanda si considera accolta”).

Preso atto che esiste un particolare termine per la conclusione di questa tipologia di procedimenti autorizzatori, ci si interroga se sia corretto dare per scontato, come fa il TAR, che si applichi ad essi l’istituto del silenzio-assenso, soprattutto alla luce del comma 4 dell’art. 20 della L. 241/1990, che ne esclude l’applicabilità “agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali …”.

Se si raffronta questa elencazione di procedimenti esclusi con l’elencazione (esemplificativa) dei motivi imperativi di interesse generale che giustificano una programmazione delle aperture ai sensi all’art. 64 del D.Lgs. 59/2010 (“ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi dì controllo in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità. ( … ) finalità di tutela e salvaguardia delle zone di pregio artistico, storico, architettonico e ambientale”), ci rende conto che questo tipo di procedimenti autorizzatori potrebbero involgere aspetti riguardanti “il patrimonio culturale e paesaggistico”, “l'ambiente”, “la pubblica sicurezza”, “la salute” e “la pubblica incolumità” e, quindi, potrebbero essere esclusi dall’applicazione del silenzio-assenso. Si deve anche considerare che i citati artt. 14 e ss. del D.Lgs. 59/2010 impongono, in applicazione delle corrispondenti disposizioni della direttiva 2006/123/CE, “l'adozione di provvedimenti amministrativi formali” nel caso in cui vengano in rilievo motivi imperativi di interesse generale, cosicchè, anche per questa via, potrebbe escludersi l’applicabilità del silenzio-assenso ex art. 20, c. 4 della L. 241/1990.

La tematica, per il vero, era già stata affrontata dal TAR per il Veneto nella sentenza n. 1799 del 18 giugno 2008, la quale, si sottolinea, aveva tuttavia come riferimento la disciplina nazionale e regionale sull’esercizio della somministrazione e non anche la nuova disciplina di cui al D.Lgs. 59/2010, comprensiva del concetto di “motivi imperativi di interesse generale”, con tutto il suo portato. Si riporta un passo della sentenza citata. “L'art. 20, comma 4, della l. n. 241 del 1990 stabilisce che la disciplina sul silenzio - assenso non si applica agli atti e ai procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i ministri competenti. I procedimenti che riguardano le autorizzazioni all'insediamento di pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande non rientrano in nessuna delle materie appena indicate. Neppure risulta che il Presidente del Consiglio dei ministri, con uno o più decreti, abbia stabilito che ai procedimenti suddetti non si applicano le disposizioni del citato art. 20. Il fatto che nel caso in esame si faccia questione di provvedimenti assoggettati a "contingentamento" o a "parametri numerici" o a "criteri di programmazione" non preclude certo l'applicazione della disciplina relativa al silenzio - assenso : sul piano letterale, perché l'art. 20 si riferisce ai "procedimenti a istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi; con un richiamo quindi alla macro categoria dei provvedimenti amministrativi che appare comprensivo di tutti gli atti di natura autorizzatoria (ad eccezione delle materie di cui all'art. 20, comma 4, e fatto salvo, ovviamente, il campo d'intervento dell'art. 19 sulla attività private sottoposte a regime di liberalizzazione); sul piano logico, perché non si spiegherebbe come mai l'art. 19 della l. n. 241 del 1990 consideri anche casi nei quali per il rilascio di un atto ampliativo della sfera giuridica del privato sono previsti limiti o contingenti complessivi, o specifici strumenti di programmazione settoriale, allo scopo di escludere esplicitamente detti casi dall'ambito di applicazione della disciplina in tema di d.i.a., e viceversa all'art. 20 il legislatore, ove intenzionato, a negare l'applicazione dell'istituto del silenzio assenso ai procedimenti soggetti a contingentamento, non abbia ritenuto di introdurre una previsione analoga menzionandola: il fatto è che se si raffrontano le formulazioni degli art. 19 e 20 della l. n. 241 del 1990, su questo aspetto specifico, non sembrano esservi ragioni per concludere che ai casi soggetti a contingentamento non si applica non solo la d.i.a. ma neppure il silenzio – assenso”.

avv. Marta Bassanese

sentenza 134_20013

sentenza tar ve 1799 _ 2008

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