Contributo di costruzione e monetizzazione della dotazione di servizi per cambio di destinazione d’uso senza opere da industria a terziario

25 Set 2014
25 Settembre 2014

La questione decisa dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4757 del 2014 riguarda la sede del Corriere della Sera, in via Solferino a Milano.

Si consiglia la lettura integrale della sentenza, vista l'articolata motivazione.

sentenza CDS 4757 del 2014

 

Nuova emergenza per i Comuni: l’assalto dei cartelli pubblicitari

24 Set 2014
24 Settembre 2014

In queste settimane molti Comuni del Vicentino (e non solo) si trovano a dover rispondere a centinaia di richieste finalizzate ad ottenere l’installazione di cartelloni pubblicitari all’interno del perimetro comunale. Si segnala che, nella maggioranza dei casi, queste richieste provengono da un’unica ditta avente sede legale a Torino.

I Comuni, già oberati dalle normali attività dell’ente, si trovano così costretti a perdere una notevole quantità di tempo/energie e risorse per istruire e studiare della pratiche che, quasi sempre, devono essere rigettate per mancanza della documentazione necessaria.

Alla luce di ciò si segnale che alcuni Comuni hanno proposto e/o hanno intenzione di proporre un esposto alla Procura competente al fine di accertare la possibile esistenza di profili di illiceità penale nella condotta tenuta da questa ditta, che paralizza il lavoro degli uffici.

Chiarito ciò, per quanto riguarda il rispetto dei termini procedimentali si ricorda che, nonostante l’ordinario termine di conclusione del procedimento amministrativo previsto dalla L. n. 241/1990 (trenta giorni), nel caso di specie sembra applicarsi la disciplina “speciale” dettata dall’art. 53, c. 5 del D.P.R. n. 495/1992 (Regolamento Attuativo del Codice della Strada) secondo cui: “L'ufficio competente entro i sessanta giorni successivi, concede o nega l'autorizzazione. In caso di diniego, questo deve essere motivato”. Tale termine, talaltro, non sembra aver carattere perentorio: “Il Collegio ritiene, infatti, di non doversi discostare dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il termine per la definizione delle domande di installazione di cartelli pubblicitari, previsto dall’art. 53, comma 5, del d.p.r. n. 495/1992 non riveste carattere perentorio, non risultando espressamente qualificato dalla norma come tale, e secondo cui il decorso del termine medesimo non comporta il formarsi del silenzio assenso sulle predette domande (cfr. Cass. civ., sez. II, 27 novembre 2006, n. 25165; 1° marzo 2007, n. 4869; 10 giugno 2010, n. 13985; TAR Umbria, Perugia, 3 febbraio 2010, n. 50). A quest’ultimo riguardo, occorre, in particolare, rimarcare che l'istituto del silenzio assenso, contemplato dall’art. 20 della l. n. 241/1990 come regola generale nei procedimenti ad istanza di parte per l’adozione di provvedimenti amministrativi, non ha portata illimitata, ma include deroghe per atti e procedimenti indicati dal comma 4 dello stesso articolo, tra i quali figurano specificamente quelli inerenti alla pubblica sicurezza e all'incolumità pubblica.

Ebbene, a tale ambito derogatorio è senz’altro annoverabile il procedimento controverso, tenuto conto che l’art. 23 del d.lgs. n. 285/1992 espressamente stabilisce, per ragioni attinenti alla sicurezza della circolazione, che i cartelli pubblicitari, in ogni caso, non possono essere apposti lungo le strade senza la dovuta autorizzazione” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII; 18.06.2014, n. 3414).

Discussa invece è la possibilità, per l’ente, di prevedere dei termini maggiori.

Per quanto riguarda il silenzio-assenso, invece, lo stesso si ritiene non applicabile atteso che: “Infatti, secondo la più recente e prevalente giurisprudenza :

- l'installazione di impianti pubblicitari è indubbiamente soggetta ad un provvedimento autorizzatorio da parte del Comune (articolo 3, comma 3, del d.lgs. 507/1993 e articolo 23, comma 4, del d.lgs. 285/1992) e le richieste di autorizzazione alla collocazione di impianti e manufatti da utilizzare per l'affissione diretta di manifesti commerciali ed i conseguenti atti di diniego adottati dall'Amministrazione attengono all'esercizio di un potere (il duplice potere previsto dalle norme predette) ben diverso da quello inerente l'affissione diretta in spazi di propria pertinenza, ai sensi dell'articolo 28, quarto comma, del d.P.R. 639/1972; ne consegue che, poiché solo per il consenso di cui all'articolo 28, quarto comma, del d.P.R. 639/1972 si rende configurabile il silenzio-assenso previsto dall'articolo 20 della legge 241/1990, tale istituto non è applicabile ai procedimenti in esame, relativi alla installazione di cartelli pubblicitari e non all'affissione diretta di materiale pubblicitario sui cartelli medesimi (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, III, 17 aprile 2002, n. 1490 e 16 dicembre 2004, n. 6479; T.A.R. Piemonte, I, 14 novembre 2005, n. 3523; v. anche T.A.R. Sardegna, 23 gennaio 2002, n. 56 e T.A.R. Lombardia, Milano, III, 24 ottobre 2005, n. 3891);

- in ogni caso, ai sensi del citato articolo 3 del d.lgs. 507/1993, il Comune è tenuto ad adottare apposito regolamento per l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità, con il quale deve disciplinare "le modalità di effettuazione della pubblicità e può stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse" (comma 2) e "in ogni caso determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per l'installazione ..." (comma 3) e anche i criteri per la realizzazione del piano generale degli impianti. L'installazione di impianti pubblicitari, pertanto, è attività "contingentata"” (T.A.R. Umbria, Perugia, sez. I, 03.02.2010, n. 50) ed ancora: “Passando all'esame della seconda censura il Collegio ritiene di doversi discostare dalla precedente giurisprudenza anche di questo TAR che si è pronunciata per la applicabilità della normativa ex art. 14 comma 4 septies del d.l. 318 del 1986 convertito nella legge 488 del 1986, secondo la quale si poteva ritenere che sulla domanda della ricorrente si fosse ormai formato il silenzio assenso, poiché la stessa giurisprudenza non ha comunque mai affrontato il problema della sopravvenuta normativa di riforma del codice della strada.

È infatti da ritenersi che dopo l'entrata in vigore della nuova normativa e, in particolare del D.P.R. 495/92 che, all'art. 53, comma 5^ prevede il termine di 60 giorni per la concessione delle autorizzazioni in parola e quindi regolamenta in maniera completa ed esaustiva la fattispecie dei cartelli pubblicitari senza contemplare il silenzio assenso, non possa più applicarsi la precedente normativa ex art. 14 comma 4 septies l. 488/1986 che, in quanto contenuta in un corpo normativo diretto a dettare disposizioni relative alla finanza locale, ha carattere dichiaratamente fiscale e non può ritenersi norma speciale destinata a prevalere sulla totale rivisitazione della fattispecie riguardante le modalità per la collocazione dei mezzi di pubblicità in ambito stradale ai fini della sicurezza stradale. Infatti il D.Lv. 30 aprile 1992 n. 285 "Nuovo codice della Strada" all'art. 23 disciplina compiutamente la materia e, se è vero che, come ricorda parte ricorrente, al comma 5^ viene fatta salva la autorizzazione alla collocazione dei mezzi pubblicitari sulle sedi ferroviarie da parte dell'Ente Ferrovie, pur sempre "previo nulla osta dell'ente proprietario della strada", è anche vero che il successivo comma sesto stabilisce che "Il regolamento stabilisce le norme per le dimensioni, le caratteristiche, l'ubicazione dei mezzi pubblicitari lungo le strade...." Il nuovo codice della strada, in altre parole, ha chiaramente rivisitato ex novo l'intera materia per quanto attiene all'impatto della pubblicità sulla sicurezza stradale ed è evidente che quanto delle precedenti norme non collimi con la nuova normativa e con la normativa regolamentare da questa espressamente prevista deve intendersi tacitamente abrogato, tanto più che il successivo nono comma addirittura prevede che "Per l'adattamento alle presenti norme delle forme di pubblicità attuate all'atto dell'entrata in vigore del presente codice provvede il regolamento di esecuzione" .

È quindi evidente che, non contemplando il nuovo codice né il suo regolamento, alcuna forma di silenzio tacito per il rilascio delle varie forme di autorizzazioni e/o nulla osta previste in siffatta materia da parte degli enti proprietari delle strade - e quindi da parte dei soggetti tenuti a verificare il rispetto delle norme codicistiche relative alla sicurezza stradale - non può più ritenersi in vigore la previsione al riguardo dettata dall'art.14 comma 4-septies della l. 488/86” (T.A.R. Friuli Venezia-Giulia, Trieste, 13.03.2001, n. 136).

 dott. Matteo Acquasaliente

TAR Campania n. 3414 del 2014

TAR Umbria n. 50 del 2010

TAR Friuli Venezia-Giulia n. 136 2001

La vicinitas è sufficiente a radicare la legittimazione del confinante a impugnare il titolo edilizio

24 Set 2014
24 Settembre 2014

La sentenza del Consiglio di Stato n. 4764 del 2014 è significativa perchè segna un ritorno all'antico in materia di legittimazione del confinante a impugnare il titolo edilizio del vicino. In questo sito abbiamo più volte pubblicato le sentenze del TAR che affermavano che per essere legittimati a impugnare il titolo edilizio del vicino non bastava la "vicinitas", ma occorreva uno specifico interesse.

Il Consiglio di Stato, invece, afferma che basta la vicinitas: "Se, in linea generale, l’interesse a ricorrere nel processo amministrativo è caratterizzato dagli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui al citato art. 100 c.p.c., in materia edilizia la giurisprudenza più recente (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013 n. 361; Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 settembre 2012 n. 4926; Consiglio di Stato, sez. IV, 29 agosto 2012 n. 4643; Consiglio di Stato, sez. IV, 10 luglio 2012 n. 4088; C.G.A. della Regione Siciliana Sent. 4 giugno 2013 n. 553) ha da tempo specificato che:

-- la c.d. “vicinitas”, cioè la una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, è sufficiente a radicare la legittimazione del confinante;
-- non è necessario accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o no un effettivo pregiudizio per il soggetto che
propone l'impugnazione in quanto la realizzazione di interventi che comportano un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio che è pregiudizievole “in re ipsa” in quanto consegue necessariamente dalla maggiore tropizzazione (traffico, rumore), dalla  minore qualità panoramica, ambientale, paesaggistica; e dalla possibile diminuzione di valore dell’immobile;

-- ciò esime, di norma, il Giudice da qualsiasi necessità di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o non un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione. Nella fattispecie in esame, se deve peraltro prescindersi dalla dedotta ubicazione, frontista o limitrofa che sia, del terreno di proprietà degli uni e dell’altro, dagli atti versati risulta peraltro evidente il collegamento sussistente fra la proprietà degli odierni appellati e le opere contestate dagli stessi, ed il nocumento collegabile alla riduzione del cono visivo causata dall’edificazione del fabbricato di proprietà dell’appellante. Non vi sono quindi dubbi sull’interesse a ricorrere degli odierni appellati".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 4764 del 2014

L’impugnazione del PRG non si estende in automatico al P.I. che ne recepisce i contenuti

24 Set 2014
24 Settembre 2014

Ringraziando l'arch. Emanuela Volta per la segnalazione, pubblichiamo la sentenza del Consiglio di Stato n. 2569 del 2014.

A proposito della questione indicata nel titolo, nella sentenza si legge che: "3.1. Il primo nodo da sciogliere attiene alla statuizione con il quale il Giudice di prime cure ha dichiarato improcedibile la domanda di annullamento della variante 305, in ragione della sopravvenuta approvazione del Piano degli interventi che ne ha recepito i contenuti, escludendo, in assenza dell’impugnazione di quest’ultimo atto, un’efficacia caducante automatica. Il principio è corretto in diritto. Il Piano degli Interventi è un atto di pianificazione che ha recepito (tra l’altro) i contenuti della precedenti varianti, confermandone la validità e l’attualità, in forza di un rinnovato esercizio del potere pianificatorio. E’ da escludersi pertanto un legame di presupposizione tale da giustificare un effetto caducante automatico.

3.2. Nel caso di specie, gli appellanti precisano che alcuni dell’originario gruppo hanno esteso l’impugnazione anche al Piano degli Interventi. La circostanza non è contestata, per cui è evidente che la statuizione di improcedibilità deve ritenersi limitata esclusivamente a coloro che non hanno impugnato il Piano predetto.

4.1 Ulteriore e più complessa questione è quella dell’efficacia viziante, sul Piano degli Interventi, dell’eventuali illegittimità procedimentali che hanno caratterizzato la variante recepita. Il Giudice di prime cure ha dichiarato “improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, anche le censure svolte nei confronti della specifica procedura di adozione della variante in esso recepita, poiché attinenti alla fonte di essa, allo stato non più rilevante in quanto totalmente sostituita dall’esercizio del nuovo potere pianificatorio”. Gli appellanti in proposito sostengono che il PI si sarebbe limitato a recepire acriticamente la variante 305 senza compiere apposita istruttoria e senza fornire indicazioni (ad es. sui vincoli preordinati all’esproprio) che non fossero meramente evincibili dalla variante recepita, in guisa che, se quest’ultima non è stata approvata in osservanza delle norme procedimentali, non potrebbe essere validamente incorporata dal PI: l’invalidità dell’atto recepito determinerebbe in parte qua quello dell’atto incorporante. L’argomentazione non può essere condivisa.

4.2. E’ certo che il PI abbia recepito i contenuti della variante 305. Il PI tuttavia non è frutto composito della pregresse varianti, ma autonoma pianificazione, libera (ovviamente nei limiti della discrezionalità) di confermare o modificare scelte compiute in precedenza. Anche ove l’opzione sia stata quella di confermare, ciò non toglie che essa sia manifestazione di discrezionalità, atteso che sebbene si tratti sempre del medesimo potere pianificatorio, il decorso del tempo e la sua riedizione, ne fanno, di per sé soli, un diverso episodio governato da proprie regole procedimentali. Non v’è pertanto ragione di vagliare il rispetto delle regole di una pianificazione riconducibile all’episodio precedente, proprio perché i contenuti sono stati confermati dalla successiva pianificazione.

5. La sentenza non merita riforma nemmeno laddove afferma, sia pur incidenter tantum, che i vincoli preordinati all’esproprio promanano in via originaria dal PI. La circostanza che il PI abbia confermato la variante 305, recependola, non significa tuttavia, come sostenuto dagli appellanti, che sia stata artificiosamente prolungata la durata massima dei vincoli, comunque fissata in cinque anni dall’art. 9 del dPR 327/2001, salva motivata reiterazione a seguito della decadenza.  Questo spiega anche il perché il PI non ha riportato l’analitico elenco delle aree interessate dai vincoli, limitandosi a richiamare quello di cui alla variante previgente".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CdS n. 2569 del 2014

La VIA non deve essere già acquisita ai fini dell’approvazione del progetto “preliminare”

24 Set 2014
24 Settembre 2014

Lo precisa il Consiglio di Stato nella sentenza n. 2569 del 2014.

Si legge nella sentenza: "7.1 Anche le censure riguardanti la VIA sono infondate. Secondo gli appellanti, la VIA avrebbe dovuto essere già acquisita ai fini dell’approvazione del progetto “preliminare”. Invero gli stessi riconoscono che la disciplina normativa non lascia dubbi in ordine al modus procedendi, e tuttavia sostengono che l’art. 23 comma 1 del dlgs 152/2006, e l’art. 93 comma 4 del dlgs 163/2006, che riferiscono la VIA e lo studio di impatto ambientale, al progetto “definitivo”, sarebbero costituzionalmente illegittimi per violazione degli artt. 3, 9 e 97 cost.  In particolare, lo stadio avanzato della progettazione non lascerebbe spazio alla cd opzione zero, ed in ogni caso quest’ultima determinerebbe uno spreco di attività e denaro, oltre che l’ingiustificata apposizioni di vincoli preordinati all’esproprio.

7.2. Il Collegio è di diverso avviso. La progettazione preliminare, soprattutto quando provenga da privati, è attività destinata ad essere superata dagli ulteriori sviluppi legati al confronto con l’amministrazione. E’ solo con il progetto definitivo che l’opera è compiutamente rappresentata e sono individuate le caratteristiche dei materiali prescelti e dell'inserimento delle opere sul territorio. Non v’è dunque irragionevolezza nella scelta compiuta dal legislatore. Né v’è compromissione dell’ambiente, atteso che il preliminare non autorizza alcuna modifica del territorio, nelle more dello studio ambientale e dell’approvazione del definitivo.

7.3. Quanto all’asserita violazione del principio di uguaglianza nella disciplina della fattispecie similare costituita dalla progettazione preliminare delle opere cd “strategiche” e per gli insediamenti produttivi, è agevole osservare che, in via generale e per tutte le fattispecie, il legislatore ha legato l’acquisizione della VIA, da un lato, al grado di precisazione e dettaglio dei lavori da eseguire (in modo che non rimangano aspetti e profili che possano sfuggirvi), e dall’altro, alla ragionevole probabilità che la progettazione definitiva introduca sensibili modifiche a quella preliminare. Tanto premesso sui criteri generali, la diversità delle opzioni normative che caratterizzano le opere strategiche è giustificata dalle peculiarità contestualmente introdotte in punto di progettazione preliminare: innanzitutto, dalla citata disciplina emerge che la fase preliminare dell’attività progettuale di dette opere è caratterizzata da maggior approfondimento e dettaglio (art. 165 comma 3 dlgs 163/2006); poi la stessa disciplina prevede che per le eventuali modifiche apportate  dalla progettazione definitiva, la VIA debba essere comunque acquisita in sede di definitivo. Nelle procedure “ordinarie” il legislatore, ha per contro ritenuto che le modifiche al preliminare siano circostanza fisiologica e così statisticamente probabile da ritenere opportuno il raggiungimento di uno stadio progettuale definitivo prima di valutare l’impatto ambientale. Quanto detto vale ancor per di più per il project financing in cui la progettazione preliminare è redatta dal privato promotore.

7.4. In tal senso non possono considerarsi fattori ostativi, né il possibile spreco di risorse economiche, né l’imposizione di vincoli espropriativi che derivano dalle previsioni di recepimento in sede urbanistica della progettazione preliminare. Il primo è un ordinario fattore di rischio, comunque mitigato dalle considerazioni preliminari di carattere ambientale che il soggetto proponente deve fare sin dall’esordio della progettazione, il secondo è invece strumento di garanzia che consente ai privati interessati dal vincolo, di partecipare attivamente al procedimento di approvazione del definitivo, fornendo eventuali suggerimenti localizzativi. In ogni caso, la legge individua una durata massima del vincolo, sicchè dal punto di vista dei proprietari non v’è ragione di duolersi che esso trovi il suo dies a quo nella progettazione preliminare (rectius negli atti urbanistici che la recepiscono) piuttosto che in quelle definitiva".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CdS n. 2569 del 2014

A che cosa e quando servono la VAS e la VIA

24 Set 2014
24 Settembre 2014

La sentenza del Consiglio di Stato n. 2569 del 2014 contiene anche una interessante disamina della VAS e della VIA e dei rapporti tra le due figure.

Si legge nella sentenza: "Può dunque passarsi all’esame delle censure sulla mancata VAS e VIA, questioni controverse che, attenendo ai contenuti della variante recepita e non già alla procedura per la sua approvazione, continuano a conservare rilevanza.

6.1. Quanto alla VAS, gli appellanti ne stigmatizzando la mancata acquisizione, fondando essenzialmente le loro conclusioni sulla genericità ed incompletezza della previsione dell’opera viaria già oggetto di valutazione del rapporto ambientale in occasione dell’approvazione del PAT. La progettazione preliminare dell’opera, elaborata dal promotore, e poi recepita nella strumentazione urbanistica a mezzo di apposita variante (non già al PAT, ma al vecchio PRG che in forza della legge regionale assume, per le parti non incompatibili, la valenza di Piano degli Interventi, nelle more dell’approvazione di quest’ultimo) avrebbe precisato, modificato e integrato il percorso viario con l’aggiunta di opere accessorie (parcheggi, edifici) non contemplati dalle previsioni programmatorie, necessariamente generiche, del PAT.

6.2. Le argomentazioni a supporto della censura non convincono. Sul punto giova preliminarmente sintetizzare le linee portanti della disciplina generale dettata dallo Stato. La valutazione ambientale di piani e programmi (VAS), e la valutazione di progetti (VIA), hanno entrambe la finalità di assicurare che l'attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile (art. 4 comma 3 codice ambiente).
Più in particolare:
a) la valutazione ambientale di piani e programmi ha la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente, contribuendo all'integrazione delle  relative previsioni, con considerazioni specificatamente ambientali, che siano tali da guidare l’amministrazione nell’effettuazione nelle scelte discrezionali, tipiche, per l’appunto, dei piani e dei programmi, così consentendole di dare prioritaria considerazione gli interessi alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale, come del resto deve essere alla luce del principio di sviluppo sostenibile (in proposito, art. 3 quater, comma 2). Ne discende che nel rapporto ambientale (ossia l’atto che contiene i risultati dell’esame condotto dall’autorità procedente) debbono essere individuati, descritti e valutati gli impatti significativi che l'attuazione del piano o del programma proposto, potrebbe avere sull'ambiente e sul patrimonio culturale, nonche' le ragionevoli alternative che possono adottarsi in considerazione degli obiettivi e dell'ambito territoriale del piano o del programma stesso (art. 13 c. 4).

b) la valutazione di singoli progetti avviene invece sulla base della progettazione preliminare ed ha l’obiettivo di verificare l’impatto sull’ambiente dell’opera progettata. Lo studio di impatto ambientale (ossia l’atto che contiene i risultati dell’esame condotto dal soggetto proponente) contiene una descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame dal proponente, ivi compresa la cosiddetta opzione zero, con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell'impatto ambientale. Il provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale, se favorevole, sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l'esercizio dell'opera o dell'impianto.

6.3. Da questa prima ricognizione si ricava che la VAS concerne la pianificazione e la programmazione alle quali l’amministrazione è obbligata, ed è concomitante alla stessa così da favorire l’emersione e l’evidenziazione dell’interesse ambientale di modo che esso venga in via prioritaria considerato dall’amministrazione; la VIA concerne i singoli progetti ed è necessaria ai fini della verifica dell’entità  dell’impatto ambientale dell’opera proposta, in guisa da stimolare soluzioni mitigative da valutare secondo il principio dello sviluppo sostenibile, sino all’opzione “zero”, qualora l’impatto non sia evitabile neanche con l’adozione di cautele. L’interferenza fra i due strumenti valutativi è all’evidenza costituito dai progetti inseriti nei Piani operativi, poiché essi sono destinati ad essere valutati una prima volta nell’ambito del generale contesto pianificatorio, ed una seconda volta in fase preliminare alla realizzazione.

6.4. Il codice dell’ambiente, al fine di evitare duplicazioni, ridondanze o incoerenze ha cercato di coordinare le due valutazioni, ed in particolare ha previsto che: 
1) quando il progetto sia conforme alla localizzazione prevista dal Piano già oggetto di VAS, “nella redazione dello studio di impatto ambientale… possono essere utilizzate le informazioni e le analisi contenute nel rapporto ambientale” così come, nella fase di valutazione dei progetti “debbono essere tenute in considerazione la documentazione e le conclusioni della VAS” (art. 10). Ciò significa che il progetto non dovrebbe, in linea di massima, essere inibito in ragione della sua già vagliata localizzazione. Ha altresì previsto in relazione al più delicato caso del progetto dell’opera che importi variante localizzativa al Piano, che “ferma restando l'applicazione della disciplina in materia di VIA, la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la localizzazione delle singole opere” (art. 6 comma 12, introdotto dal D.Lgs. 29-6-2010 n. 128).
In sostanza, in quest’ultimo caso, il legislatore ha ritenuto che quando la modifica al Piano, derivante dal progetto, sia di carattere esclusivamente localizzativo, la VIA è sufficiente a garantire il principio di sviluppo sostenibile, non essendo necessaria una preliminare fase strategica che evidenzi altre opzioni localizzative. Logico corollario è che qualora la localizzazione proposta dovesse essere, secondo la VIA, pregiudizievole per l’ambiente nonostante ogni cautela, il progetto andrà incontro ad una mera inibizione. 

6.5. Si tratta di una soluzione normativa che, avendo principalmente ad oggetto il progetto (e non il Piano da variare), è caratterizzata da un approccio “non”  preventivo, ossia non finalizzato alla ricerca di opzioni localizzative alternative (com’è tipico dell’approccio concomitante e collaborativo della VAS), ma focalizzato esclusivamente alla valutazione dell’impatto ai fini di un’alternativa si/no. La soluzione è corretta e non confligge con il principio di massima tutela ambientale al quale è votata la VIA. Sacrifica piuttosto l’interesse allo sviluppo urbanistico ed economico nella misura in cui l’opera potrebbe prestarsi ad essere realizzata in luoghi diversi da quelli proposti, ma ciò è frutto di una scelta del legislatore che punta sulla centralità ed importanza di una corretta e preventiva pianificazione. Nel caso di specie, l’opera è stata oggetto di una progettazione preliminare eseguita dal promotore nell’ambito di una procedura di project financing, che ha indotto la modifica dello strumento urbanistico di secondo livello (PRG ), per adeguarlo al Piano sovraordinato che già tale opera pur in via indicativa prevedeva. Così facendo ha apportato modifiche localizzative e specificazioni realizzative che ferma restando la VIA giusto quanto sopra chiarito, non necessitano di VAS".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CdS n. 2569 del 2014

R.T.I. e requisiti generali

24 Set 2014
24 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 16 settembre 2014 n. 1216 affronta alcune questioni relative applicazione dell’art. 38 del D. Lgs. n. 163/2006 con precipuo riferimento al R.T.I..

Per quanto concerne il socio di maggioranza di società con meno di quattro soci, si legge che: “Al riguardo, è sufficiente rilevare che per consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, l’obbligo dichiarativo posto dall’art. 38 a carico del socio di maggioranza di società con meno di quattro soci deve ritenersi circoscritto ai soli soci persone fisiche e non anche, come invece dedotto dalla stazione appaltante, al socio di maggioranza persona giuridica (ex multis, Cons. St., sez. V, 8.04.2014, n. 1648); sarebbe, infatti, “del tutto illogico limitare l’accertamento de quo alla sola persona fisica nel caso di socio unico ed estendere, invece, l’accertamento alle persone giuridiche nel caso di società con due o tre soci, ove il potere di maggioranza nella compagine sociale, è sicuramente minore rispetto a quello detenuto da socio unico” (cfr., in tal senso, T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 28.11.2013, n. 1598)”.

Con riferimento al giovane professionista integrato nel gruppo dei progettisti deputato alla progettazione delle opere, invece, si asserisce che: “Osserva, infatti, il Collegio, che l’obbligo di dimostrare il possesso dei requisiti di ordine generale di cui al citato art. 38 del Codice dei contratti pubblici, incombente sui soggetti concretamente incaricati delle attività di progettazione, ancorché non rivestenti, dal punto di vista formale, la qualifica di concorrente, trova la sua ratio nella necessità di assicurare che chiunque entri in contatto con la stazione appaltante sia affidabile dal punto di vista professionale e morale, specie nel caso in cui, come quello in esame, il giovane professionista sia anche progettista in quanto necessariamente coinvolto nella redazione del progetto ai sensi della richiamata disposizione regolamentare di cui all’art. 253, comma 5, del d.P.R. n. 207/2010”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1216 del 2014

Come incide il decorso del tempo sulla concessione di accesso alla pubblica via?

23 Set 2014
23 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 16 settembre 2014 n. 1215 chiarisce che i provvedimenti in materia di diniego della concessione di accesso ad una pubblica via devono essere motivati in modo preciso e puntuale ove il decorso del tempo abbia ingenerato un legittimo affidamento in capo al privato: “Il ricorso è fondato.

Il diniego espresso da ANAS al rinnovo della concessione si è manifestato, in buona sostanza, nella convinzione della contrarietà del riferito accesso stradale all’art. 60 del regolamento per l’esecuzione del codice della strada che vieta che le pertinenze stradali possano essere ubicate in prossimità di intersezioni.

Ora, come sopra ricordato, la situazione fattuale oggetto di negativa valutazione da parte di Anas, si è protratta, senza soluzione di continuità, per oltre 43 anni.

Ebbene, non consta dagli atti che, durante il riferito periodo di utilizzo dei riferiti ingressi, ANAS abbia mai opposto alcuna obiezione circa la violazione normativa solo ora rilevata.

Tale evenienza, pertanto, ha inciso una radicata situazione soggettiva che, consolidata negli anni, ha indotto l’attuale sub concessionario a ritenere, in perfetta buona fede, del tutto legittimi gli accessi all’area alberghiera, così da impegnare, nell’impresa, ingenti risorse economiche, anche perché la stessa ANAS aveva consentito, nel 1969 e nel 1993, l’utilizzazione di tali ingressi a mezzo di concessione.

Allora, il mutato e oltremodo tardivo ripensamento svolto da ANAS circa la legittimità dei riferiti accessi, in disparte il sospetto per la reale finalità del provvedimento contestato, deve essere manifestata, necessariamente, in modo obiettivo e documentato, spiegando le ragioni per cui tali ingressi, immutati nella loro consistenza topografica e ritenuti conformi all’art. 60 cit., già allora vigente, sono stati, dopo quarantatre anni, considerati violativi, come detto, della prescrizione che vieta pertinenze in prossimità degli incroci e in che modo l’accesso attraverso la grande rotatoria di Mestre connota quest’ultima, solo ora, come intersezione.

Pertanto, la sintetica ed insufficiente esposizione motiva, in uno con la carenza istruttoria volta proprio a rappresentare, giustificare e confortare tale antitetico ed innovativo orientamento tecnico-giuridico da parte di ANAS, comporta il vizio del provvedimento impugnato ed il suo conseguente annullamento”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1215 del 2014

La funzione dei chiarimenti in sede di gara

23 Set 2014
23 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 16 settembre 2014 n. 1218 si occupa della natura e della funzione dei chiarimenti che la stazione appaltante può fornire in sede di gara statuendo che: “E’ insegnamento giurisprudenziale consolidato che :” …i chiarimenti non potrebbero aggiungere e/o modificare le previsioni della lex specialis di gara, ma solo fornirne un'interpretazione, di modo che, se invece le modificassero, non potrebbero vincolare i concorrenti. D'altro canto, in caso di ambiguità nella formulazione della lex specialis, dovrebbe darsi prevalenza all'interpretazione che garantisce la più ampia partecipazione alla gara, secondo il principio di favor partecipationis.

Perciò i chiarimenti non potrebbero introdurre adempimenti più stringenti rispetto a quelli prescritti dalla lex specialis, ma potrebbero, tuttavia, assicurare un'interpretazione più favorevole del regime di accesso alla gara, sempre nella prospettiva del favor partecipationis…” ( Tar Lazio, sez. 1 ter, 21 luglio 2014, n. 7796)”.

Nella stessa sentenza il Collegio chiarisce, all’interno di un Raggruppamento Temporaneo d’Imprese (R.T.I.), i rapporti tra la mandante e la mandataria: “Le censure sollevate nel terzo e nel quarto motivo di ricorso, invero, ripetono i medesimi rilievi già sollevati, in sede giurisdizionale, dalla terza graduata nella gara di cui è causa.

Il conseguente ricorso, in cui è stata evocata anche l’attuale ricorrente, è stato definito con la sentenza breve di questo Tribunale n. 917/2013 che non è stata impugnata e, pertanto, risulta passata in giudicato.

Nel merito il giudice, nella citata sentenza breve, ha statuito :” la necessità che la mandataria debba “assumere” i requisiti in misura percentuale superiore alla mandante significa non già che la mandataria debba “possedere” i requisiti in misura preponderante rispetto alla mandante, ma soltanto che li “spenda” in misura maggioritaria rispetto a quest’ultima, con riferimento, ovviamente, anche alla quota di partecipazione al raggruppamento ed alla quota di esecuzione dell’appalto (cfr. CdS, V, 28.9.2012 n. 5120; 11.12.2007 n. 6363)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1218 del 2014

Il bando e l’aggiudicazione sono atti autonomi

23 Set 2014
23 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 16 settembre 2014 n. 1205 conferma l’onere di impugnare, oltre il bando di gara, anche l’aggiudicazione, stante l’autonomia di questi due atti: “Ritiene il Collegio che i rilievi attinenti la legge di gara in grado di produrre derivate conseguenze caducanti anche nei confronti degli atti conseguenti riguardano e si esauriscono nelle sole evenienze escludenti del concorrente, proprio perché la originaria esclusione, se illegittima, comporta la necessità di riammissione del candidato alla gara, per cui se questa, per qualche motivo, si è già conclusa, lo stesso deve essere posto in grado di recuperare la situazione soggettiva illegittimamente sacrificata, salva, in ogni caso, l’opposizione di terzo.

Nel caso di specie, invece, i rilievi espressi dalla ricorrente hanno, se così si può dire, natura funzionale, senza che ciò abbia impedito alla stessa di partecipare alla competizione.

In tale evenienza, pertanto, la questione sollevata si inserisce nella nota tematica dei vizi dell’atto presupposto con effetti vizianti o caducanti.

Le pregresse oscillazioni giurisprudenziali al riguardo risultano ormai composte attraverso l’individuazione dell’effetto caducante dell’atto consequenziale nella sussistenza del rapporto di presupposizione consequenziale diretta, immediata e necessaria tra i due atti ( cfr. Cons. di Stato, sez. VI, 23 ottobre 2007, n.5559 e sez. V 10 maggio 2010, n.2766).

Tale relazione non si rinviene tra il bando e la conseguente aggiudicazione proprio per le evidenti ragioni di autonomia di quest’ultimo.

Infatti, anche in tema di appalti, la giurisprudenza ha ribadito che l’impugnazione di atti lesivi contenuti nel bando non esclude l’onere di impugnare l’atto finale del procedimento proprio per la sua natura di atto autoritativo, i cui effetti possono essere eliminato soltanto con un contrario atto in autotutela ovvero con una sentenza ( cfr. Cons. di Stato, sez. V, 11 febbraio 2002, n. 785; Cons. Stato, sez.V, 4 maggio 2005 n. 2168).

La circostanza che l’atto finale sia affetto da invalidità derivata dai vizi dell’atto presupposto, non esclude, pertanto, che tale invalidità debba essere oggetto di autonoma impugnazione attraverso i rimedi tipici del processo impugnatorio, per cui, in mancanza, l’atto finale si consolida e non è più impugnabile (cfr Cons. st., sez.V, n. 2168 del 2005 cit.)

Conformemente all’indicato insegnamento, il Collegio ritiene che la mancata impugnazione dell’atto finale della procedura di gara non possa essere superata dalla sola contestazione del bando proprio perché, se il primo, in disparte l’autonoma natura autoritativa, costituisce, in tesi, espressione e derivazione delle previsioni del bando, lo stesso non assume un connotato di consequenzialità necessaria di quest’ultimo potendo, tra l’altro, la relativa procedura essere affetta da vizi autonomi ed ulteriori rispetto a quelli, asseritamente, propri della legge di gara, mentre i vizi del bando, come detto, assumono una mera funzione viziante del provvedimento finale.

Né assume giuridico significato la generica censura al riguardo proposta nel ricorso, la quale, all’evidenza, rappresenta una mera clausola di stile, generica e priva di una formale esternazione dei motivi di ricorso”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1205 del 2014

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