Un labirinto chiamato “stato legittimo”: agibilità, assenza del PdC, totale difformità e variazioni essenziali
Pubblichiamo oggi la terza scheda di commento di Italiaius alla riforma apportata dal cd. decreto Salva Casa (d.l. 69/2024) e dalla sua legge di conversione (l. 105/2024), esaminando l'agibilità, l'assenza del PdC, la totale difformità da esso e le variazioni essenziali.
Ricordiamo che il progetto è quello di revisionare e di integrare le schede e di ripubblicarle all'esito delle osservazioni dei lettori.
Scheda n. 3: agibilità, assenza di o totale difformità dal PdC, variazioni essenziali
Scheda dopo la prima revisione:
Scheda n. 3: agibilità, assenza di o totale difformità dal PdC, variazioni essenziali. Rev. 1
La seconda revisione della scheda n. 3 sarà pubblicata in un successivo post datato 17.09.2024
art. 32
Per definire la portata di questa innovazione, occorre considerare che l’art. 32, comma 1, del TUE, non modificato dalla riforma, stabilisce espressamente che spetta alle Regioni la definizione delle variazioni essenziali al progetto approvato e che, di conseguenza, l’innovazione appena descritta ha solo l’effetto di consolidare e ampliare l’autonomia regionale nella definizione e regolazione delle variazioni stesse.
art.24
Il requisito del tipo di intervento: “recupero edilizio” o “ristrutturazione”?
Quel che è certo è che la norma si può applicare solo all’esistente (e non alle nuove costruzioni) da sottoporre a intervento della lettera a) (recupero edilizio) o della lettera b) (ristrutturazione).
Possiamo dedurne che le nuove derogatorie misure igienico-sanitarie non si applicano ad interventi di rigenerazione urbana quando comportino sostituzioni immobiliari !
Anche limitandoci alla sola ristrutturazione “edilizia” i problemi però non mancano perché è ben noto che ha molte facce e (al netto del titolo edilizio dovuto) consente anche la demo-ricostruzione e incrementi volumetrici se previsti dai piani urbanistici.
Si chiama ancora una volta in soccorso interpretativo la finalità della norma: l’ammissibilità dei nuovi parametri derogatori è applicabile solo alle superfici/volumi di vani legittimi preesistenti (anche se ricostruiti ex novo in caso di obbligo di mantenimento delle “caratteristiche planovolumetriche”) escludendola invece per eventuali nuovi volumi aggiunti. E ciò indipendentemente dalla specifica sub-tipologia (conservativa e/o ricostruttiva).
il Recupero edilizio (cos’è?)
Ci imbattiamo qui in un altro dubbio interpretativo perché “recupero edilizio” e “ristrutturazione” non sono sinonimi e il fatto che il Legislatore abbia differenziato la tipologia di intervento nei due diversi e alternativi casi previsti dovrebbe voler significare che si tratti effettivamente di casistiche diverse.
La ristrutturazione è un tipo di intervento disciplinato per legge e come tale ben riconoscibile, il “recupero edilizio” è concetto ampio e dottrinario e meno definito tecnicamente.
Vero è che una definizione legislativa di “recupero edilizio” figurava nell’articolo 31 della legge n. 457/78, ma quell’articolo è stato di fatto abrogato e sostituito dall’articolo 3 del DPR 380/01 per cui non dobbiamo più ritenerlo vigente.
La genericità del contenuto tecnico della definizione di “recupero edilizio” si supera soltanto se la si interpreta alla luce delle condizioni finalistiche del recupero: “il miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie”.
Da quanto precede possiamo concludere che il “recupero edilizio” di cui qui si parla potrà spaziare dalla manutenzione straordinaria alla ristrutturazione edilizia.
Quindi le due opzioni di intervento della lett. a) e della lett. b) in parte si sovrappongono e per capire perché il Legislatore le abbia considerate alternative dobbiamo fare un ulteriore approfondimento sull’estensione dell’intervento.
Intervento sull’edificio o sulla sola unità immobiliare?
Leggendo partitamente la lettera a) e la lettera b) pare congruo dedurre che:
nella lettera a) il richiamo a “locali” siti “in edifici sottoposti” a recupero rende indubbio che l’intervento (pur nella diversità di tipologie di cui abbiamo detto) debba essere esteso a tutto l’edificio
nella lettera b) la ristrutturazione pare riferirsi anche al solo “alloggio” e quindi essere limitata anche ad un’unica unità immobiliare.
Si può così sintetizzare (cercando di essere rigorosi nel lessico giuridico) che – premessa e data per accertata l’“adattabilità”, l’applicabilità delle nuove norme in deroga si esercita solo:
ai locali esistenti con destinazione abitativa (permanenza di persone) già di altezza inferiore a 2,70 m legittimamente acquisita come tale all’epoca di realizzazione in quanto gli interventi cui saranno soggetti non consentono cambi di destinazione né legittimazione di eventuali abusi;
se c’è:
• o un intervento di recupero (dalla manutenzione straordinaria alla ristrutturazione) sull’intero edificio,
• oppure un intervento di ristrutturazione edilizia anche su un singolo alloggio;
se c’è una motivazione di miglioramento alternativo delle condizioni igienico-sanitarie.
Il discrimine tra la lettera a) e la lettera b) pare dunque fondato solo sull’estensione dell’intervento: all’intero edificio o al singolo alloggio.
art. 24-
Oltre al requisito di adattabilità, il comma 5-ter dispone che l’asseverazione della conformità del progetto alle norme igienico-sanitarie possa essere resa se si soddisfa “almeno una” delle seguenti condizioni:
-i locali siano situati in edifici sottoposti a interventi di recupero edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie;
-sia contestualmente presentato un progetto di ristrutturazione con soluzioni alternative atte a garantire, in relazione al numero degli occupanti, idonee condizioni igienico-sanitarie dell’alloggio, ottenibili prevedendo una maggiore superficie dell’alloggio e dei vani abitabili ovvero la possibilità di un’adeguata ventilazione naturale favorita dalla dimensione e tipologia delle finestre, dai riscontri d’aria trasversali e dall’impiego di mezzi di ventilazione naturale ausiliari.
Relativamente al primo punto, l’art. 31 della Legge n. 457/1978 inserisce tra gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente i seguenti:
manutenzione ordinaria;
manutenzione straordinaria;
restauro e di risanamento conservativo;
ristrutturazione edilizia;
ristrutturazione urbanistica.
Tali interventi dovranno essere finalizzati oltre che al recupero anche al miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie. Si dovrà chiarire se tale deroga, non essendo applicabile alle nuove costruzioni, possa riguardare gli interventi di demolizione e ricostruzione che rientrano nella definizione di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380/2001 (possibilità non chiarissima e sulla quale esistono posizioni differenti).
Come anche se si possa applicare all’art. 7 della legge regionale n. 14/2019.
art. 31 – – siamo nella quarta fase che riguarda la gestione del bene entrato a far parte del patrimonio comunale . La scelta fondamentale del legislatore statale di fronte a illeciti urbanistici gravi è quella di procedere alla demolizione; la Corte costituzionale con la sentenza n. 140 del 2018 ha, infatti, affermato che rientra tra i principi fondamentali in materia di “governo del territorio” la regola della demolizione dei beni abusivi acquisiti al patrimonio comunale; in coerenza con tale assetto normativo e giurisprudenziale, la Corte di cassazione afferma che “l’esito finale ordinario dell’abuso edilizio è costituito dalla demolizione del manufatto abusivo” (Cfr. Cass. pe., III, 4.9.2023, n.36579), salvo il caso eccezionale in cui l’amministrazione ritenga di evitare la demolizione dell’immobile ormai entrato nel suo patrimonio per soddisfare interessi pubblici.
La novella normativa riguarda proprio questa parte eventuale ed eccezionale del procedimento sanzionatorio, che vede come protagonista il consiglio comunale.
In pratica, il legislatore emergenziale, da un lato, inserisce tra gli interessi da ponderare al fine di poter ritenere prevalente quello al mantenimento del bene abusivo anche gli interessi culturali e paesaggistici, in coerenza con il novellato testo dell’art. 9 della Costituzione che ha rimarcato la specificità dell’interesse ambientale (che ha acquisito una valenza antropocentrica, nell’ottica della tutela della salute) rispetto ai beni culturali e al paesaggio, così aggravando l’onere motivazionale in capo al consiglio comunale nell’esercizio dell’eccezionale potere in esame; dall’altro, codifica l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale in presenza di vincoli, il parere deve essere richiesto preventivamente all’esercizio del potere, richiamando il silenzio assenso orizzontale.
Ad una prima lettura la norma appare conforme alla giurisprudenza costituzionale la quale, rimarcando la natura di principio fondamentale in materia di governo del territorio dell’obbligo di demolizione dell’immobile abusivo, ha dichiarato l’incostituzionalità di una legge regionale che prevedeva la possibilità di non demolire i beni abusivi acquisiti al patrimonio comunale, destinandoli alla locazione o alla alienazione anche a favore degli occupanti responsabili dell’abuso.
Il rischio è che il già complesso procedimento di demolizione degli immobili abusivi, nell’ambito del quale si moltiplicano le posizioni giustiziabili e si annidano difficoltà e complessità operative che ne inficiano l’efficienza (6), possa ulteriormente avvitarsi su adempimenti burocratici che, anche a prescindere dalle intenzioni degli operatori, favoriscano – a causa della povertà della regulatory quality che insidia la rule of law- la corruzione oggettiva, cioè il fenomeno del pervasive red tape, la burocrazia ingombrante le cui decisioni risultano maggiormente esposte al rischio di condizionamenti e pressioni, a tutto discapito dall’interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica e della tutela dell’ambiente, del paesaggio e dei beni culturali.
Nell ultima parte della scheda, forse si voleva dire:stesso regime delle variazioni essenziali su immobili non vincolati
Considerazione: la totale difformità è tipicizzata solo all art 32c.3, del TU, nel mentre all art 31 c.1, sono elencati una serie di difformità totali, in maniera non molto precisa..era il caso di specificare meglio queste difformità, il rischio è che venga presentata una pratica in comune, e viene contestata una totale difformità, al posto di una variazione essenziale. Ante salva casa, il problema non si poneva, era tutto art.36…doppia conformità.
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