Piani di lottizzazione: standards urbanistici e monetizzazione
Segnaliamo la sentenza del Consiglio di Stato n. 1820 del 2014, che ricostruisce il quadro normativo di riferimento della monetizzazione degli standars.
Si legge nella sentenza: "la disposizione regionale costituisce svolgimento della vicenda normativa relativa agli standards urbanistici come definiti dalla disposizione statale dell'art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, come introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (in relazione alla quale è stato poi emanato il d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, a seguito del trasferimento alle regioni delle relative competenze ex art. con l’art. 1 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 e dei successivi artt. 79 e 80 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, attuativi della previsione dell'art. 118 Cost. relativo all'attribuzione alle regioni delle funzioni amministrative nelle materie di legislazione concorrente ex art. 117 (all'origine con riferimento alla "urbanistica", a seguito della novella di cui all'art.. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 in relazione al "governo del territorio"). Peraltro assume rilievo anche l'art. 28 della legge n. 1150/1942, a sua volta modificato dall'art. 8 della legge 765/1967, che individua il contenuto minimo essenziale delle convenzioni di lottizzazione, tra cui la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e della quota parte delle aree per le opere di urbanizzazione secondaria. In linea generale, è evidente che la regola è costituita dalla cessione gratuita delle aree, che consente di reperire le aree a standards in loco e quindi di assicurare uno sviluppo urbanistico equilibrato, costituendo la c.d. monetizzazione una eccezione e non risolvendosi la medesima in "...una vicenda di carattere unicamente patrimoniale e rilevante solo sul piano dei rapporti tra l’ente pubblico e il privato che realizzerà l’opera...", poiché non può ammettersi separazione tra "...i commoda (sotto forma di entrata patrimoniale per il Comune) dagli incommoda (il peggioramento della qualità di vita (dei residenti della zona)...", ciò che fonda il riconoscimento della legittimazione processuale di questi ultimi a dolersi della violazione della misura degli standards (in tal senso, tra le più recenti vedi Cons. Stato, Sez. IV, 4 febbraio 2013, n. 644). Peraltro, laddove la legislazione regionale autorizzi la monetizzazione è del tutto evidente che il vantaggio patrimoniale riveniente al privato -consistente nell'utilizzazione edilizia di aree altrimenti da cedere gratuitamente, con incremento dei volumi realizzabili e quindi anche dei valori economici ritraibili-, possa trovare, proprio sul piano della corrispettività, un punto di equilibrio nella loro commisurazione al valore di mercato delle aree aggiuntive così rese edificabili, che in sostanza sono per dir così "cedute" (in termini planovolumetrici di diritti edificatori, altrimenti preclusi dall'obbligo di cessione) dalla comunità locale. Come è stato già chiarito da questa Sezione è affatto logico che "...il riferimento sia costituito dal valore delle aree che si sarebbero dovute cedere e che non sono state cedute, ed è ragionevole che le somme giungano ad importi anche molto consistenti, avuto riguardo all’elevato valore che le aree avrebbero in una libera contrattazione di mercato, del resto pari a quelle che il promotore lucrerà grazie allo sfruttamento edilizio ed alla commercializzazione degli immobili edificati sulle aree non cedute" (cfr. Sez. IV, 22 febbraio 2013, n. 1106, in fattispecie relativa all'art. 32 della legge regionale veneta 23 aprile 2004, n. 11, peraltro ben più generica della disposizione dell'art. 46 della legge regionale lombarda in esame, perché contenente mero riferimento generico alla "monetizzazione"). Né può sostenersi che la monetizzazione possa essere arbitrariamente imposta al privato -che invece preferisca cedere le aree a standards, e in disparte la circostanza che nel caso di specie essa è stata richiesta e consentita-, senza alcun limite posto che l'art. 46 precisa in modo del tutto chiaro i suoi presupposti, dovendo essa trovare giustificazione obiettiva, ovvero dovendo l'Amministrazione dar conto delle sue ragioni (nel senso che essa non risulti possibile -ad esempio per penuria degli spazi fisici- o non sia ritenuta opportuna dal comune in relazione alla loro estensione, conformazione o localizzazione, ovvero in relazione ai programmi comunali di intervento), a cospetto delle quali l'interessato potrà tutelarsi in sede giurisdizionale, contestandole. In altri termini, nel caso di specie, né può sostenersi che l'istituto in se considerato, e/o anche in relazione al criterio della "commisurazione" ivi enunciato costituisca prestazione patrimoniale di natura tributaria e/o paratributaria imposta, in violazione degli artt. 23 e 53 Cost., né essa può ritenersi contrastante con gli altri parametri costituzionali invocati (art. 3 e 97 Cost., art. 117 Cost., art. 41 e 42 Cost.), non risolvendosi nell'attribuzione alle Amministrazioni comunali di poteri discrezionali irragionevoli, arbitrari e/o non delimitati, né in alcuna forma di "espropriazione" senza indennizzo o di limitazione arbitraria all'iniziativa economica privata, e non esulando affatto la disposizione dall'ambito dei poteri legislativi regionali, né ponendosi in contrasto con principi fondamentali rivenienti dalla legislazione statale (che non esclude affatto la c.d. monetizzazione)".
Dario Meneguzzo - avvocato
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