Cosa succede se il Comune, o altra P.A., rimane inadempiente ad una convenzione urbanistica?
Il Consiglio di Stato ha affermato che la convenzione stipulata tra privato e P.A. volta a disciplinare le modalità di realizzazione di opere di urbanizzazione deve assimilarsi a un accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo ex art. 11 l. 241/1990, al quale si applicano, ove non diversamente previsto, i principi civilistici in materia di inadempimento delle obbligazioni. Pertanto, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della dimostrazione del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, o dall’eccezione d’inadempimento del creditore ex art. 1460 c.c.
Il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento degli obblighi assunti da una P.A. con una convenzione urbanistica (nella specie, per mancata esecuzione di opere di urbanizzazione alle quali era subordinata la vendita di un suolo edificabile con destinazione commerciale) va commisurato, quanto al danno emergente, alle spese documentate direttamente imputabili, anche pro quota, alla attuazione della convenzione, a meno che non si tratti di spese che, per la loro natura indivisibile, il privato avrebbe comunque dovuto sostenere e che pertanto non risultano sine causa, nell’an o nel quantum, in conseguenza del venir meno in parte qua della convenzione urbanistica. Il risarcimento non può ricomprendere, quanto al danno emergente, le spese relative al regime di tassazione dell’immobile rimasto invenduto in quanto indice di capacità contributiva, cui si correlano peraltro anche vantaggi in termini di solvibilità , ampiezza della garanzia patrimoniale e possibilità di ottenere finanziamenti. Difatti, non si tratta di un pregiudizio patrimoniale suscettibile di ristoro, ma dell’insieme di diritti e di obblighi legali connessi in via ordinaria alla titolarità del bene.
Quanto al lucro cessante per perdita di chance, il risarcimento va commisurato all’utile presuntivamente ritraibile dall’operazione, sul quale poi va calcolata la percentuale corrispondente alla concreta possibilità di conseguimento della utilità finale attesa, che deve tener conto di specifiche circostanze (nella specie, presenza di una o più proposte di acquisto, eventuali condizioni disincentivanti all’acquisto, assoggettamento della convenzione edilizia al potere di recesso della P.A., scelta processuale dell’operatore di chiedere la risoluzione della convenzione senza ricercare ulteriori chance di vendita). In materia di risarcimento del lucro cessante, va accolta la tesi ontologica del danno da perdita di chance, qualificando la chance alla stregua di una posta attiva del patrimonio del danneggiato assistita da una consistenza probabilistica adeguata circa il conseguimento dell’utilità finale attesa e, in ordine alla quantificazione, può farsi applicazione del criterio del principio della liquidazione in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c.
Post di Daniele Iselle
Questo contenuto è accessibile solo agli abbonati. Se sei abbonato, procedi con il login. Se vuoi abbonarti, clicca su "Come registrarsi" sulla colonna azzurra a destra
Leave a Reply
Want to join the discussion?Feel free to contribute!