Quando può essere usato il rito del silenzio per sollecitare la ritipizzazione delle c.d. “zone bianche”
Il TAR Veneto, pur ribadendo che, in via generale, non è esperibile il rimedio processuale del rito avverso il silenzio – inadempimento nei casi in cui l’amministrazione deve provvedere mediante l’adozione di atti di natura generale (quali sono gli atti di pianificazione, sussistendo unicamente un interesse diffuso ad una corretta ed esaustiva disciplina del territorio e non ravvisandosi una posizione qualificata che generi in capo all’amministrazione l’obbligo di assumere un determinato provvedimento), ritiene tale rimedio ammissibile nel caso delle c.d. "zone bianche". Nel caso specifico, peraltro, il ricorso è stato respinto, perchè nel frattempo era stato approvato il PAT (ma non ancora il P.I.).
Si legge nella sentenza n. 1286 del 2014: "Se, infatti, è condivisibile e va confermato anche in questa sede il principio per cui non è esperibile il particolare rimedio processuale avverso il silenzio – inadempimento nei casi in cui l’amministrazione deve provvedere mediante l’adozione di atti di natura generale, quali sono gli atti di pianificazione, sussistendo unicamente un interesse diffuso ad una corretta ed esaustiva disciplina del territorio e non ravvisandosi una posizione qualificata che generi in capo all’amministrazione l’obbligo di assumere un determinato provvedimento; è tuttavia pacificamente riconosciuto, nella specifica ipotesi delle cd. “zone bianche”, ossia delle aree per le quali, una volta decaduto il vincolo, non è possibile la reviviscenza della precedente destinazione urbanistica ed è necessario provvedere nuovamente in merito ad esse, che gravi in capo all’amministrazione un vero e proprio obbligo di provvedere in tal senso, onde non protrarre oltre un tempo ragionevole la situazione di limitato sfruttamento edificatorio dell’area da parte della proprietà, così come puntualmente circoscritto dai limiti
dettati dall’art. 9 del D.P.R. 380/01.
Il regime dettato dall’art.9 - che consente per un insediamento produttivo in zona bianca e fuori dal perimetro del centro abitato, l’edificabilità entro il doppio limite previsto dalla citata disposizione, riferito sia alla soglia di cubatura consentita, sia alla misura massima della superficie coperta realizzabile (cfr. Sez. IV 5 febbraio 2009 n. 679; 26 settembre 2008 n. 4661; 19 giugno 2006 n. 3658, in questa Rassegna 2009, I, 165; 2008, I, 1275; 2006, I, 940) – ha invero carattere transitorio e natura di mera salvaguardia in attesa della futura pianificazione, risultando privo del carattere di regolazione urbanistica in quanto solo l'attività pianificatoria può plasmare l'assetto complessivo del territorio: esso dà vita, pertanto, a una situazione peculiare in cui l'immodificabilità parziale dello stato dei luoghi assume la funzione - interinale e cautelare come ogni misura di salvaguardia - di consentire agli Enti locali di riesaminare, senza il pregiudizio del fatto compiuto, tutti gli interessi (dei quali sono i portatori istituzionali nella veste di Enti esponenziali delle comunità rappresentate), convergenti sul territorio.
La natura eccezionale e transeunte del regime di edificabilità divisato dall'art. 9 cit., esalta il potere dovere delle Amministrazioni competenti di procedere tempestivamente alla pianificazione anche dietro diffida del privato interessato; la limitata edificabilità accordata dalla norma, infatti, non esime gli Enti preposti dall'obbligo giuridico di colmare la lacuna pianificatoria che determina anche l'applicazione delle norme stesse; anzi, la sfasatura dei procedimenti di rilascio dei titoli edilizi e di quelli pianificatori fa si che, a tutela della proprietà e del diritto di impresa, sia possibile esercitare alternativamente sia la richiesta di sfruttamento delle limitate capacità edificatorie dei lotti, sia quella di nuova pianificazione delle aree interessate.
Ne consegue che, nello specifico caso delle zone bianche, ossia nelle ipotesi in cui sia decaduto il vincolo sulle stesse in precedenza imposto, sussiste un obbligo in capo alle amministrazioni di provvedere alla nuova pianificazione dell’area, di tal chè la richiesta in tal senso avanzata dalla proprietà risulta qualificata e facente capo ad una posizione differenziata.
Tuttavia, affinchè possa affermarsi l’illegittimità dell’inerzia in ordine all’assolvimento di tale obbligo, è necessario accertare se effettivamente un’inerzia colpevole vi sia stata o se, diversamente, l’amministrazione si sia attivata, avviando le necessarie procedure.
Orbene, nel caso in esame non può ritenersi che l’amministrazione comunale sia rimasta inerte, lasciando l’area priva di destinazione urbanistica.
Diversamente, come acclarato dalla difesa del Comune, è stato avviato il procedimento che ha apportato all’approvazione del PAT, procedimento nell’ambito del quale lo stesso ricorrente ha avuto modo di formulare le proprie osservazioni, contestando le previsioni valevoli anche per l’area di proprietà.
Dette nuove previsioni, che comunque limitano l’edificabilità in tale ambito, salvo rimandare alla disciplina operativa del PI una maggiore definizione, anche mediante la previsione di forme di compensazione o di perequazione urbanistica, consentono di escludere che nella fattispecie si sia in presenza di una illegittima inerzia del Comune di Venezia.
Se, quindi, il rito del silenzio, sia pure con certi limiti, può essere azionato per sollecitare la ritipizzazione di singole aree per le quali sono scaduti i vincoli (cfr. Cons. Stato Sez. IV 13 giugno 2011 n. 3591: Cons. Stato, Sez. IV, 29 maggio 2008 n. 2572 e Cass. civ., Sez. I, 31 maggio 2008 n. 8384), una volta che l’Amministrazione si sia attivata provvedendo ad adottare gli strumenti urbanistici generali o le varianti generali, deve escludersi che si possa comunque configurare un silenzio inadempimento.
Considerato che, come confermato agli atti dalla difesa del Comune, è stato avviato il relativo procedimento, nell’ambito dell’iter per l’approvazione del PAT e poi del PI in termini generali e quindi anche per la zona nella quale è sita l’area di proprietà del ricorrente, tanto da consentire allo stesso di conoscerne i contenuti e di presentare osservazioni al riguardo, se ne deduce che nella fattispecie non è ravvisabile alcune illegittima inerzia".
Dario Meneguzzo - avvocato
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