Questione di legittimità costituzionale dichiarata inammissibile dalla Consulta e rilevanza nel giudizio amministrativo a quo
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che la decisione processuale di inammissibilità, ancorché di natura decisoria, impiegata dalla Corte costituzionale per rilevare l’assenza delle condizioni previste dalla legge per la legittima instaurazione del giudizio in via incidentale, non spiega una rilevanza diretta sul giudizio principale (come invece la pronuncia di accoglimento o di rigetto, vertente sulla questione di costituzionalità) e, pertanto, non preclude al giudice rimettente, che non condivida l’assunto della Corte, di decidere comunque nel merito la causa principale, dovendo però in questo caso fare applicazione della norma censurata.
Questo in ragione della sostanziale e strutturale autonomia che connota la relazione tra il giudizio principale ed il giudizio di costituzionalità, i quali, ancorché avvinti da un rapporto di pregiudizialità, sono distinti nella funzione e nell’oggetto: nel giudizio a quo si fanno valere posizioni soggettive, la cui tutela è dipesa dalla verifica di costituzionalità della legge da applicare; nel giudizio costituzionale, l’interesse perseguito dall’ordinamento è quello di ripristinare la legalità costituzionale.
La verifica della Corte su presupposti e condizioni del giudizio a quo consiste, pertanto, in un sindacato esterno, che si esaurisce nella verifica che gli stessi non risultino manifestamente ed incontrovertibilmente carenti.
Ne discende che, all’interno delle decisioni di inammissibilità, si distinguono quelle dotate di un effetto preclusivo nei confronti del giudice a quo e quelle prive di tale effetto.
L’elemento scriminante è la redimibilità del vizio.
Post di Alberto Antico – avvocato
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