Attualizzare o non attualizzare la fiscalizzazione, questo è il problema

03 Ago 2022
3 Agosto 2022

Come noto, l’art. 34, co. 2 del d.P.R. 380/2001 prevede che, in caso di parziale difformità dal titolo abilitativo dell’opera eseguita, qualora la demolizione dell’abuso non possa avvenire senza pregiudizio della parte conforme, il Comune applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla l. n. 392/1978, cd. legge sull’equo canone, della parte dell’opera realizzata in difformità dal PdC, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura dell’Agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale (cd. fiscalizzazione dell’abuso).

Null’altro afferma la norma di legge, senza specificare espressamente quindi se sia necessario o meno attualizzare ai fini ISTAT le somme così ottenute.

Si sono quindi sviluppati, in seno alla giurisprudenza amministrativa, due orientamenti: il primo, che esclude la necessità di attualizzare le somme (Cons. Stato, sent. n. 4463/2021; TAR Piemonte, sent. n. 598/2022); e un secondo, per il quale il costo di produzione dovrebbe essere oggetto di attualizzazione (Cons. Stato, sent. n. 347/2021; TAR Lombardia (MI), sent. n. 635/2022 di cui al post del 24.06.2022 su questo sito), in analogia con l’art. 33, co. 2 T.U. cit., riferito agli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di PdC o in totale difformità, ove la sanzione pecuniaria è calcolata “con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione”.

Peraltro, in nome del principio di legalità delle sanzioni amministrative, appare dubbio che la sanzione ex art. 34, co. 2 debba seguire le regole più sfavorevoli dell’art. 33, co. 2, dovendosi quindi propendere per il primo orientamento.

Si evidenzia, infatti, che le due diverse discipline sono state introdotte contemporaneamente: il legislatore era quindi consapevole, all’atto di scrittura dell’art. 34, che la somma potesse essere attualizzata secondo i criteri ISTAT, e ciononostante ha scelto volontariamente di non prevedere espressamente alcun riferimento alla rivalutazione.

Non bastasse, si sottolinea che una parziale difformità dal titolo costituisce illecito meno grave rispetto ad una totale difformità dal titolo o ad una sua mancanza tout court e, quindi, dovrebbe essere meritevole di una sanzione pecuniaria meno elevata rispetto all’altro illecito, in base al principio di proporzionalità.

Di recente, la Corte costituzionale ha sancito l’esistenza di un principio di gradualità delle obbligazioni pecuniarie previste per gli abusi edilizi, ragionevolmente correlate al concreto disvalore dell’illecito, evincibile dagli artt. 33, 34, 36 e 38 T.U. Edilizia: per l’effetto, la sanzione ex art. 34 deve necessariamente essere minore di quella dell’art. 33.

Peraltro, alla luce di quanto scritto e della divisione all’interno della giurisprudenza, si auspica un intervento di interpretazione autentica del legislatore, o quanto meno nomofilattico da parte dell’Adunanza Plenaria, volto a chiarire se la fiscalizzazione dell’abuso ex art. 34, co. 2 d.P.R. 380/2001 debba essere calcolata attualizzando o meno il costo di produzione della parte di immobile in parziale difformità dal titolo.

Post degli avv.ti Alessandra Piola e Alberto Antico

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