Per sanare un abuso nei centri storici è necessario il parere della Soprintendenza?
Il Consiglio di Stato risponde di no nella sentenza n. 855 del 2014.
Scrive il Consiglio di Stato: "Con l’unico articolato motivo d’appello, il Ministero per i beni e le attività culturali censura la lettura interpretativa data dal giudice di primo grado alle disposizioni di cui agli artt. 33, comma 4, e 37, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 secondo cui il parere della Soprintendenza per i beni storici, artistici e paesaggistici sarebbe richiesto solo ai fini della determinazione della sanzione ( reale o pecuniaria) da applicare in caso di abusi edilizi commessi su immobili, anche se non vincolati, collocati nei centri storici.
Nella prospettazione della amministrazione appellante, da nessuna disposizione normativa si ricaverebbe che il suddetto parere sia richiesto solo in relazione alle opere non sanabili ( e quindi ai soli fini della determinazione della sanzione da applicare) e che invece, per le opere suscettibili di sanatoria (come appunto nel caso di specie), pur se riferite ad immobili posti nei centri storici, il suddetto parere non sarebbe richiesto. Deduce l’appellante amministrazione come, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, per tutti gli interventi nei centri storici sia necessario il coinvolgimento dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, tenuto conto anche della nozione di centro storico rinvenibile nel decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444 e della disciplina recata dall’art. 2 per le zone omogenee di cui alla lettera “A”, e cioè per le parti di territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico artistico o di particolare pregio ambientale.
Inoltre, a parere dell’appellante, a ritenere coerente con le regole di sistema, e quindi dovuto, l’intervento dell’autorità soprintendentizia nel procedimento di sanatoria di immobili posti nel centro storico cittadino, soccorrerebbe la stessa ratio e l’interpretazione sistematica delle richiamate disposizioni ( in particolare, artt. 33, comma 4 e 37, comma 3, cit.) del Testo unico dell’edilizia, che escluderebbero la correttezza del distinguo tra opere sanabili e opere non sanabili, fatto proprio erroneamente dal Tar, ai fini dell’individuazione del titolo di intervento dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
3.- Rileva il Collegio che l’articolata censura non merita condivisione.
4.- Giova premettere che i centri storici ( e, per quel che qui rileva, il centro storico di Lucera) non rientrano tra le aree tutelate per legge ai sensi dell’art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio ( introdotto dal d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42).
Lo si ricava dal secondo comma dello stesso art. 142, ove si legge che le disposizioni sulle aree tutelate ex lege, di cui al comma 1 della disposizione, non si applicano alle aree che alla data del 6 settembre 1985 erano delimitate negli strumenti urbanistici come zone territoriali omogenee A e B. Le zone territoriali di tipo A sono, in base al d.m. n. 1444 del 1968, le parti di territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico artistico o di particolare pregio ambientale (id est, i centri storici).
I centri storici rientrano invece tra gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico, come descritti all’art. 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Tuttavia, affinchè tali beni vengano attratti al particolare regime di tutela previsto dalla legge, è sempre necessaria la dichiarazione di notevole interesse pubblico.
In assenza di vincolo specifico che abbia ad oggetto il centro storico cittadino, quale bene culturale d’insieme ai sensi del richiamato art. 136 del d.lgs 22 gennaio 2004 n.42, non è pertanto ipotizzabile l’applicazione delle disposizioni del Codice dei beni culturali sul particolare procedimento autorizzatorio degli interventi edilizi che abbiano oggetto immobili ivi collocati, salvo che il vincolo abbia fondamento in una previsione di piano paesaggistico ovvero in altro provvedimento puntuale che abbia dichiarato l’immobile di interesse culturale in ragione del suo pregio storico-artistico.
5.- Nella impugnata sentenza, il Tar ha accertato, peraltro dopo specifica attività istruttoria, che nel centro storico di Lucera non sussistono provvedimenti di vincolo rivenienti da atti dell’autorità statale o regionale. Inoltre, è stata accertata la inesistenza di vincoli specifici di natura storico-artistica sull’immobile dell’appellato Zolli.
Tali conclusioni non hanno formato oggetto di contestazione e devono pertanto ritenersi definitivamente acclarate.
In tale stato di cose, correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto insussistente il potere stesso della Soprintendenza ad esprimere il suo parere nell’ambito del procedimento finalizzato all’accertamento di conformità di alcuni abusi edilizi posti in essere sull’immobile in titolarità del signor Massimo Zolli.
Al parere negativo espresso dalla Soprintendenza, in carenza del presupposto giuridico per la sua adozione, non può riconnettersi pertanto, come a ragione rilevato dal Tar, la sua usuale forza conformativa vincolante.
Per conseguenza, il provvedimento di rigetto della istanza di accertamento di conformità, in quanto avente a presupposto il suddetto parere negativo, risulta illegittimo, e del pari illegittima va ritenuta, come condivisibilmente rilevato dal giudice di prime cure, la pedissequa ordinanza di demolizione e riduzione in pristino dello stato dei luoghi.
6.- Non convince l’argomento difensivo della Amministrazione appellante che pretende derivare da altre disposizioni del Testo unico in materia edilizia il potere dell’autorità soprintendentizia di adottare il parere nel procedimento di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R n. 380 del 2001.
In particolare, non appare qui pertinente il richiamo agli artt. 33, comma 4 e 37 comma 3 del d.P.R. n. 380 che prevedono il parere del Soprintendente ai limitati fini della individuazione della sanzione applicabile in caso di opere eseguite su immobili, anche non vincolati, posti nei centri storici, rispettivamente in assenza o in difformità del permesso di costruire o della denuncia di inizio di attività.
Ed invero, in mancanza di uno specifico regime vincolistico sul bene, l’intervento della Soprintendenza per i beni storici e paesaggistici non potrebbe ammettersi se non nei casi e nei limiti previsti dalla legge.
Appare pertanto evidente che le disposizioni dianzi richiamate non trovano applicazione nella fattispecie in esame, in cui soltanto l’Autorità comunale, investita della domanda di accertamento di conformità degli interventi, avrebbe dovuto pronunciarsi sull’assentibilità dell’intervento
7.- D’altra parte non sarebbe rispondente al principio di coerenza del sistema e di simmetria delle forme del procedimento che, mentre in fase di rilascio del titolo edilizio in via ordinaria, l’autorità preposta alla tutela del vincolo non sia coinvolta nel procedimento abilitativo (proprio in ragione dell’insussistenza di un regime vincolistico sull’area), mentre lo sarebbe in caso di rilascio del titolo in sanatoria, pur essendo in ogni caso il titolo ablitativo condizionato, nell’un caso e nell’altro, al rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia del territorio.
Da ultimo, non è secondario rilevare, anche sul piano della interpretazione letterale, come nel procedimento di accertamento di conformità ( art. 37, comma 4, d.P.R. cit.) non sia prevista, per gli immobili non vincolati posti nei centri storici, l’adozione del parere della Soprintendenza, il che è argomento ulteriore a riprova del carattere eccezionale del coinvolgimento dell’autorità paesaggistica nella individuazione della corretta sanzione da applicare in relazione agli immobili siti nei centri storici, anche non vincolati, e della non consentita estensione del principio oltre i casi previsti espressamente dalla legge".
avv. Dario Meneguzzo
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