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Legge regionale n. 11 del 14 giugno 2013 – Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto.‏

20 Giu 2013
20 Giugno 2013

Sul Bur n. 51 del 18 giugno 2013 è stata pubblicata la legge regionale n. 11 del 14 giugno 2013, recante "Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto".

Art. 50
Disposizioni finali e transitorie

 4. Restano confermate e conservano validità:

 a) le autorizzazioni all’esercizio di strutture ricettive alberghiere e di strutture ricettive all’aperto, già rilasciate o rinnovate prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

 b) le dichiarazioni o segnalazioni certificate di inizio attività relative a strutture ricettive extralberghiere presentate prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

c) autorizzazioni all’apertura di agenzie di viaggi, già rilasciate o rinnovate prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 38;

 d) l’elenco provinciale delle agenzie di viaggio e turismo e l’albo provinciale dei direttori tecnici, già disciplinati, rispettivamente, dagli articoli 74 e 78 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni;

 e) i provvedimenti di classificazione a residenza d’epoca, già rilasciati prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

 f) limitatamente all’esclusivo ambito della disciplina turistica, la destinazione d’uso edilizia, la capacità ricettiva ed i requisiti dimensionali e strutturali delle strutture ricettive già autorizzati prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

 g) limitatamente all’esclusivo ambito della disciplina turistica, la destinazione d’uso edilizia, i requisiti dimensionali e strutturali delle strutture ricettive con progetti di nuova costruzione o ristrutturazione edilizia presentati in comune prima della pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31;

 h) l’albo provinciale delle associazioni Pro Loco, già disciplinato dall’articolo 10 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33.

 5. Nel caso di progetti di nuova costruzione o ristrutturazione edilizia di strutture ricettive, presentati in comune a partire dalla data di pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31, i requisiti dimensionali e strutturali previsti dal provvedimento si applicano limitatamente ai nuovi volumi delle strutture ricettive.

 6. Le strutture ricettive già classificate alla data di entrata in vigore della presente legge e le sedi congressuali già esistenti alla stessa data, devono ottenere la nuova classificazione, su domanda, ai sensi della presente legge, entro il termine di dodici mesi, prorogabile di sei mesi con motivata richiesta, dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31; decorso inutilmente tale termine, il comune competente, su segnalazione della provincia, procede alla chiusura delle strutture ricettive o sedi congressuali non classificate ai sensi della presente legge.

 7. I bed & breakfast, le foresterie per turisti e le unità abitative ammobiliate ad uso turistico non classificate, già regolarmente esercitate prima dell’entrata in vigore della presente legge regionale, devono ottenere la classificazione, su domanda, ai sensi della presente legge, entro il termine di dodici mesi, prorogabile di sei mesi con motivata richiesta, dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31; decorso inutilmente tale termine, il comune competente, su segnalazione della provincia, procede alla chiusura della struttura non classificata.

 8. I rifugi escursionistici, già classificati in vigenza della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni, devono ottenere la denominazione e la corrispondente classificazione, su domanda, di rifugio alpino, ai sensi della presente legge, entro il termine di dodici mesi, prorogabile di sei mesi con motivata richiesta, dalla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui all’articolo 31; decorso inutilmente tale termine, il comune competente, su segnalazione della provincia, procede alla chiusura del rifugio escursionistico.

 9. Ai procedimenti amministrativi e di spesa in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e fino alla loro conclusione, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla legge regionale 4 novembre 2002, n. 33 e successive modificazioni".

E’ entrata in vigore la riforma del condominio

20 Giu 2013
20 Giugno 2013

Il giorno 18 giugno 2013 è entrata in vigore la legge 11 dicembre 2012, n. 22, recante "Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici".

Legge 220 del 2012

Il CdS ritiene non più ammessa dall’ordinamento la c.d. “sanatoria giurisprudenziale” edilizia (occorre la doppia conformità)

19 Giu 2013
19 Giugno 2013

Lo dice nella sentenza n. 3220 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "1.1. Infatti, è pur vero che il principio della cd. “doppia conformità” ex art. 13 1. n. 47 del 1985 può manifestarsi nelle forme, secondo un certo orientamento giurisprudenziale, definite “sanatoria giurisprudenziale”, e può essere riferibile all'ipotesi di specie, in modo da risultare conforme al principio di proporzionalità e ragionevolezza nel contemperamento dell'interesse pubblico e privato, poiché imporre per un unico intervento costruttivo, comunque attualmente conforme, una duplice attività edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria, lederebbe lo stesso interesse pubblico tutelato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 7 maggio 2009, n. 2835; sez. V, 29 maggio 2006, n. 3267).

Infatti, sulla base della succitata considerazione, è stato ammesso che la sanatoria edilizia possa intervenire anche a seguito di conformità sopraggiunta dell'intervento in un primo tempo illegittimamente assentito, divenuto cioè permissibile al momento della proposizione della nuova istanza dell'interessato, posto che questa si profila come del tutto autonoma rispetto all'originaria istanza che aveva condotto al permesso annullato in sede giurisdizionale, in quanto basata su nuovi presupposti normativi in materia edilizia; all’opposto, si è ritenuto irragionevole negare una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente concedibili al momento della nuova istanza.

Tale principio, tuttavia, è stato disatteso da un diverso e più consolidato orientamento, secondo cui la “sanatoria giurisprudenziale”, in quanto introduce un atipico atto con effetti provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione normativa, non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento, caratterizzato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, secondo il principio di nominatività, poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e pena l’invasione nelle sfere di attribuzioni riservate all’Amministrazione.

Alla luce di tali argomenti, è altresì evidente che l’eccezione di incostituzionalità della norma di cui all'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, così come dedotta dall’appellante, è manifestamente infondata, poiché sarebbe, semmai, l’eventuale istituto della sanatoria giurisprudenziale ad essere sospetto di compatibilità con il nostro sistema costituzionale.

Peraltro, la norma in esame, richiedente per la sanatoria delle opere realizzate senza concessione e delle varianti non autorizzate, che l'opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell'opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, è una disposizione la cui ratio è legata al contrasto all'inerzia dell'Amministrazione; ciò significa che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda; tale ratio della norma è del tutto comprensibile, quindi, e compatibile con i precetti costituzionali di cui all’art. 97 Cost.

Pertanto, in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, contenente l'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, l'Autorità amministrativa, che non è chiamata a compiere scelte discrezionali, deve esclusivamente accertare la c.d. doppia conformità dell'intervento realizzato alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti (generali e di attuazione), oltre che la sua non contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da strumenti urbanistici solo adottati (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 17 settembre 2007, n. 4838; sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126).

Peraltro, giova osservare che l’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 20012, n. 380 - Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, norma attualmente vigente sul medesimo tema, e non innovativa rispetto alla norma anteriormente vigente (l’art. 13 1. n. 47 del 1985), e che disciplina l’accertamento di conformità richiesto dalla ricorrente, recita: “In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire…il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda” (cfr. Consiglio di Stato, sez. I, parere 24 giugno 2011, n. 4162/09; sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2306).

Pertanto, è la stessa norma, che come si ribadisce non ha carattere innovativo, trattandosi di norma raccolta nel predetto T.U. ai fini del coordinamento normativo ex art. 7 Legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998 – Bassanini Quater), che attualmente conferma l’insussistenza dell’istituto sopra sunteggiato, denominato “sanatoria giurisprudenziale”.

Conclusivamente, dall’art. 13 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 non è ricavabile alcun diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l'autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria.

Nel caso di specie (come si evince dalla relazione depositata dal comune intimato in primo grado) risulta che le opere in assenza di concessione, ovvero la sopraelevazione di porzione di edificio fino a mt. 9.50, sono state realizzate nell’agosto 1999 mentre era vigente l’art. 33.3.4. delle N.T.A del P.R.G. che permetteva un’altezza massima di mt. 8.50; solo al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria il suddetto articolo, nel frattempo modificato, autorizzava un’altezza massima di mt. 10.50, così consentendo tale intervento, non però anche l’eventuale sanatoria, che richiedeva la doppia conformità e che è stata dunque legittimamente negata, mancando la conformità originaria dell’opera.

1.2. Anche la censura d’appello relativa all’illegittimità del diniego di sanatoria per omessa acquisizione del parere della commissione edilizia è infondata, atteso che, come detto, nell'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 13, l. 28 febbraio 1985, n. 47, l'Autorità amministrativa non è chiamata a compiere scelte discrezionali, bensì deve esclusivamente accertare la c.d. doppia conformità dell'intervento realizzato alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti (generali e di attuazione), oltre che la sua non contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da strumenti urbanistici solo adottati (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 17 settembre 2007, n. 4838; sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1126; sez. IV, 12 febbraio 2010, n. 772), rendendo pertanto irrilevante e superflua una fase istruttoria specificamente destinata all’esame di questioni che necessitano di valutazioni tecnico-discrezionali, quali caratterizzano l’attività delle commissioni edilizie".

sentenza CDS 3220 del 2013

La gestione dell’impianto sportivo comunale rappresenta una concessione di servizi

19 Giu 2013
19 Giugno 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 10 giugno 2013 n. 797, si occupa della gestione degli impianti sportivi comunali chiarendo che la loro gestione si sostanzia in una concessione di servizio pubblico e non in una concessione d’uso di un bene pubblico privo di rilevanza economica come affermato dalla parte ricorrente: “8.6. Ed invero, la fattispecie oggetto di scrutinio risulta senz’altro riconducibile alla concessione di servizio pubblico. Infatti, il bene affidato in gestione (impianto sportivo) rientra nella previsione dell’ultimo capoverso dell’art. 826 cod. civ., ossia in quella relativa ai beni di proprietà dei comuni destinati ad un pubblico servizio e perciò assoggettati al regime dei beni patrimoniali indisponibili, i quali, giusto il disposto dell’art. 828, non possono essere sottratti alla loro destinazione (cfr. CDS, sez. V, n. 2385 del 2013). La gestione degli impianti sportivi sottende senz’altro ad un’attività di interesse generale, come confermato dal fatto che l’ordinamento sportivo è connotato da un’organizzazione di stampo pubblicistico, con al vertice il CONI, ente pubblico, e quindi le federazioni sportive, qualificate dalla legge istitutiva di detto ente come organi dello stesso, soggetti incaricate di funzioni di interesse generale, consistenti nella promozione ed organizzazione dello sport (artt. 2, 3 e 5 legge n. 426/1942, istitutiva del CONI).

8.7. Peraltro, proprio il tenore letterale di alcune previsioni della “convenzione per la gestione ed uso impianto sportivo” allegata al bando di gara (cfr. doc. 3 del ricorrente) assoggetta il privato concessionario a vincoli gestionali puntuali, esorbitanti rispetto alla conduzione di un’attività di impresa: si allude a quelli concernenti la predisposizione di un programma di attività di valorizzazione degli impianti in relazione alle esigenze della collettività sportiva da redigere annualmente in accordo con il Comune di Venezia (art. 2), nonché gli obblighi di rendicontazione (art. 11) e soggezione ai poteri di controllo e verifica dell’amministrazione concedente (art. 15).

8.7.1. Tali finalità di “promozione di attività volte a favorire l’aggregazione e la solidarietà sociale” e di “massima diffusione dello sport a tutti i livelli” sono del resto ben specificate nel progetto gestionale presentato in sede di gara dal Raggruppamento Associazione Marzenego a.s.d. (cfr. doc. 7 del ricorrente).

8.8. Il concessionario è inoltre tenuto all’applicazione e alla riscossione delle tariffe d’uso stabilite dall’Amministrazione (art. 19), sicché deve ritenersi che l’operatore si assume, a differenza di quanto accade con l’appalto, i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione della tariffa (cfr. ex multis CDS, sez. VI, n. 4682 del 2012)”.

In considerazione di quanto esposto il T.A.R. giunge a ritenere che: “alla fattispecie oggetto di giudizio, non risulta invero applicabile il rito speciale di cui all’art. 120 c.p.a., trattandosi di concessione (non già di affidamento) di servizio pubblico, in quanto tale sottratta all’applicazione delle disposizioni del codice dei contratti (cfr. art. 30 del codice dei contratti) e non ricompresa nella specifica previsione di cui al combinato disposto degli artt. 119 e 120, comma 1, lettera a), del c.p.a.”.

Ma davvero una concessione di servizio pubblico non rientra nel concetto di “affidamentoex artt. 119 e 120 c.p.a.?

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 797 del 2013

Frazionamento artificioso degli appalti del verde pubblico per stare sotto i 20 mila euro: è turbativa d’asta

19 Giu 2013
19 Giugno 2013

Sull'Arena.it si legge che un funzionario comunale veronese è stato arrestato per avere frazionato gli appalti relativi alla gestione del verde pubblico in modo da stare sotto i 20 mila euro e procedere quindi con affidamento diretto.

La Procura ritiene che si tratti di turbativa d'asta.

L'Arena.it

Video convegno del 31 maggio 2013 su PAI e altre complicazioni

18 Giu 2013
18 Giugno 2013

Pubblichiamo le registrazioni video delle relazioni del convegno del 31 maggio 2013 sul PAI (dott. geologo Rimsky Valvassori); terre e rocce da scavo (avv. Vincenzo Pellegrini); profili penalistici (avv. Novelio Furin); legge sulle pubblicazioni obbligatorie (avv. Stefano Bigolaro); conclusioni (prof. avv. Alessandro Calegari).

Quando si apre la pagina su YouTube, c'è un tempo di attesa di circa 1 minuto prima che il video parta in automatico.

Dott. Valvassori

Avv. Vincenzo Pellegrini

Avv. Novelio Furin

Avv. Stefano Bigolaro

Prof. Avv. Alessandro Calegari

Per la Commissione europea l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria sottosoglia è salva

18 Giu 2013
18 Giugno 2013

Articolo tratto da:

http://fainotizia.delta.radioradicale.it/contributo/04-06-2013/testo/opere-di-urbanizzazione-commissione-europea--Decreto-SalvaItalia-Governo-Monti%20

"...La Commissione ha deciso di non dare seguito ad un reclamo presentato in merito all’articolo 16 comma 2bis del DPR 380/2001 introdotto nell’ordinamento con il Decreto SalvaItalia del Governo Monti.

Per la Commissione affidare l’esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria sotto la soglia comunitaria (5 milioni di euro), senza l’obbligo di applicare il Codice dei Contratti, non è contrasto con il diritto comunitario in materia di appalti, a condizione che venga comunque rispettato l’art. 29 del Codice dei Contratti per il calcolo dell’importo dei lavori da aggiudicare, e che non si proceda all’affidamento diretto, senza trasparenza, di appalti qualora vi sia un interesse transfrontaliero certo.

Per la Commissione la formulazione del comma 2bis non è chiara. 

COSA PREVEDE IL COMMA 2BIS DELL’ART.16 DPR 380/2001

Con una norma inserita nel cosiddetto Decreto SalvaItalia, il Governo Monti ha modificato, alla fine del 2011, la disciplina relativa all’esecuzione delle opere di urbanizzazione correlate e funzionali agli interventi di trasformazione del territorio.

Nel nostro ordinamento, il titolare del permesso di costruire deve assicurare la presenza delle opere di urbanizzazione (strade, fognature, attrezzature, verde pubblico, etc.), e dotare gli edifici privati che realizza delle attrezzature e dei servizi necessari, nel rispetto delle grandezze urbanistiche minime (standard) stabilite dalla normativa statale e dalla strumentazione urbanistica comunale. L'operatore può assolvere a questo obbligo, versando i contributi necessari alla loro realizzazione (il cosiddetto contributo per il rilascio del permesso di costruire articolo 16 D.P.R. 380/2001, gli oneri concessori della cosiddetta legge Bucalossi), oppure facendosi carico della loro esecuzione, attraverso la stipula di un'apposita convenzione urbanistica con il Comune, detraendone il valore economico dalle somme che l'operatore è comunque tenuto a versare nelle casse comunali, in base al citato articolo 16, a titolo di contributo per l'urbanizzazione.

Per effetto della progressiva affermazione dell’orientamento comunitario, questa disposizione è stata progressivamente modificata preservando la facoltà, per il titolare del permesso di costruire, di assumere l’onere di eseguire le opere oggetto di convenzionamento con l’Amministrazione, ma assoggettando lo stesso titolare del permesso all’obbligo di procedere, al pari di una amministrazione aggiudicatrice, nel rispetto delle disposizioni del Codice dei Contratti.

L’equilibrio normativo sancito con le modifiche al Codice dei Contratti approvate con il Decreto Legislativo 152/2008 (il cosiddetto terzo decreto correttivo) - in base al quale sono stati individuati due distinti sistemi di aggiudicazione: uno per le opere di urbanizzazione eseguite dal titolare del permesso di costruire di importo sopra la soglia comunitaria e uno per quelle di importo inferiore – è stato però modificato, per opera del Governo Monti, che ha introdotto all’articolo 16 del Testo Unico sull’Edilizia il comma 2bis.

Con questa norma, il titolare del permesso di costruire può realizzare ovvero affidare direttamente l’esecuzione dei lavori per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria che hanno un importo fino a 5 milioni di euro, e non ha l’obbligo di rispettare le norme del Codice dei Contratti.

Ciò significa che - per utilizzare le parole usate nella Deliberazione n. 43/2012 (punto 4 dei “Ritenuto in diritto”) dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici - è consentito “all’operatore privato di gestire contratti fino ad un valore di 5 milioni di euro, senza tracciabilità degli eventuali, e consistenti, ribassi d’asta, subappalti, qualificazione delle imprese esecutrici dei lavori stessi, vigilanza dell’Autorità, per opere di urbanizzazione di pubblica utilità che saranno acquisite al patrimonio comunale”

LA COMMISSIONE EUROPEA SALVA LA NORMA

Per chiedere alla Commissione Europea di pronunciarsi sulla compatibilità della norma in questione con il diritto europeo degli appalti pubblici è stato presentato un formale reclamo nel mese di agosto del 2012. Gli Uffici della Commissione hanno deciso di non dare seguito al reclamo salvando il comma 2bis dell'articolo 16 del Testo Unico sull'Edilizia approvato con il Decreto Salva Italia del Governo Monti.

Per gli appalti sotto la soglia comunitaria le direttive non sono vincolanti - Nella prima nota di riscontro al reclamo, la Commissione motiva la scelta di non dare seguito alla segnalazione affermando - in parziale contraddizione con la posizione assunta dalla stessa Commissione nel giudizio contro l’art.2 c.5 della legge Merloni conclusosi con la sentenza della Corte di Giustizia UE del 21 febbraio 2008- che l’obbligo, a carico degli Stati membri, di applicare le Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE vale soltanto per gli appalti di importo uguale o superiore alle soglie fissate dalle medesime direttive, e non per quelli di importo inferiore quali quelli disciplinati dall’art.16 comma 2bis del D.P.R. 380/2001.

Nessun rischio di frazionamento artificioso delle opere oggetto della Convenzione - Nella stessa nota del febbraio scorso, gli Uffici della Commissione hanno chiarito che l’ordinamento italiano, anche dopo l’introduzione del comma 2bis, non è stato riportato nella situazione giuridica - oggetto della ricordata condanna da parte della Corte di Giustizia UE - in base alla quale è possibile procedere all’aggiudicazione del complesso di opere di urbanizzazione, oggetto del convenzionamento con il Comune, per lotti di importo inferiore alla soglia comunitaria, con il solo scopo di eludere gli obblighi stabiliti dalle direttive comunitarie.

Come si legge nella nota, secondo la Commissione non è possibile ricorrere al frazionamento artificioso delle opere convenzionate dal momento che l'art. 29. comma 7 lettera a) del Codice dei contratti pubblici prevede che quando un'opera prevista possa dare luogo ad appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti distinti, il valore da considerare è quello complessivo stimato della totalità di tali lotti.

LE CONCLUSIONI DELLA COMMISSIONE

In merito alla prima obiezione, nella nota del 22 maggio con la quale è stato deciso, a titolo definitivo, di non dare seguito al reclamo, la Commissione ha scritto che l’articolo 29 del Codice dei Contratti, in quanto norma strumentale, si deve applicare a tutti gli appalti pubblici e che - indipendentemente da quanto scritto nell’art.16 c.2bis DPR 380/2001 - il metodo di calcolo fissato da questo articolo del Codice deve essere applicato comunque per individuare gli appalti rispetto ai quali trova applicazione il regime derogatorio del citato comma 2bis, e quelli rispetto ai quali continuerà a trovare applicazione, integralmente, il Codice dei Contratti.

In merito all’applicabilità degli artt. 43 CE e 49 dei Trattati, la Commissione ha precisato – o più precisamente ha avvisato le amministrazioni aggiudicatrici italiane - che “qualora vi sia un interesse trans-frontaliero certo” nell’esecuzione di opere di urbanizzazione primaria, un affidamento diretto dei lavori - in conformità con l’articolo 16 comma 2bis – “senza alcuna trasparenza ad un soggetto appartenente allo Stato membro” si può configurare come una violazione dei principi del Trattato.

PER LA COMMISSIONE LA NORMA È SALVA MA NON È CHIARA

La nota del 22 maggio non contiene soltanto le segnalazioni e avvisi per addetti ai lavori, ma anche un giudizio complessivo sulla norma e sulla sua formulazione molto incerta.

In merito a ciò la Commissione scrive letteralmente “l’interpretazione della norma non è univoca. In particolare non è chiaro se l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria «a carico» del titolare del permesso di costruire sia complementare o alternativa all’obbligo previsto dal comma 1 dello stesso articolo, e in particolare se anche in tal caso sia prevista la possibilità di scomputo totale o parziale della quota relativa agli oneri di urbanizzazione”

In altri termini la Commissione afferma che la norma non stabilisce chiaramente se l’esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria sotto la soglia comunitaria, con le modalità “derogatorie” previste dal dell’articolo 16 comma 2bis del DPR 380/2001, sia una prestazione complementare – e dunque che si vada ad aggiungere - all’obbligo di corrispondere il contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione (art. 16 comma 1), oppure se vada considerata come una prestazione sostitutiva di quest’ultimo obbligo.

Il punto sul quale la Commissione afferma che la norma non è chiara è piuttosto delicato, dal momento che, ove si intenda che l’esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria in base all’art.16 comma 2bis DPR 380/2001 sia “complementare” all’obbligo di cui al comma 1 dello stesso articolo, per il titolare del permesso di costruire, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 16 comma 2 - e a quanto continuerebbe ad accadere per le opere sopra la soglia comunitaria – non sarebbe possibile portare in detrazione il valore economico delle opere di urbanizzazione primaria eseguite in base al comma 2bis, dai contributi dovuti...".

Parere Comm_Europea opere primarie sottosoglia_22.05.13

Piano Casa: il TAR Veneto conferma che deroga alle distanze dai confini previste dai Piani Urbanistici

18 Giu 2013
18 Giugno 2013

Lo dice la sentenza n. 835 del 2013.

Scrive il TAR: "Premesso, nel merito, che l’intervento in questione risulta progettato ai sensi e per gli effetti della L.r. n. 14/09, come modificata dalla successiva L.r. n. 13/2011;

- che il Comune di Gruaro ha negato il permesso di costruire richiamando il comma 5 dell’art. 11 delle n.t.a. del p.r.g., che prevede che l’edificazione in aderenza al confine di proprietà, nel caso in cui il lotto sia inedificato, deve essere, mediante specifico atto, preventivamente consentita dal confinante; atto di consenso mancante nel caso di specie;

- che, in particolare, il Comune di Gruaro, nel motivare il diniego, ha ritenuto che la valenza derogatoria della normativa sul Piano Casa nei confronti delle disposizioni locali in materia urbanistico - edilizia, sia limitata alle disposizioni in materia di distanze e non alle altre norme contenute nel regolamento comunale e nelle n.t.a.;

Considerato che, ai sensi dell’art. 2 comma 1, la L.r. n. 14/09 opera “in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali, comunali, provinciali e regionali”;

Ritenuto che l’ampia locuzione usata dal legislatore include tutti i contenuti territoriali, urbanistici ed edilizi degli atti di pianificazione di ogni livello, con la sola esclusione, in quanto estranei al campo applicativo della L.r. n. 14/2009, dei contenuti ambientali o paesaggistici;

- che la legge citata, dunque, consente di derogare, non solo alle norme sulle distanze (diverse da quelle di fonte statale), ma anche a tutte le altre previsioni poste da fonti locali in materia urbanistico-edilizia, ivi comprese, quindi, le previsioni, come quella di specie, che subordinano la facoltà di costruire sul confine al previo consenso del vicino;

Considerato, infine, che non è in questione il rispetto delle distanze tra fabbricati di cui all’art. 873 c.c. e al D.M. 1444/68, in quanto, nel caso di specie, il fondo confinante è inedificato;

- che, di conseguenza, il diniego impugnato, nella parte in cui condiziona il rilascio del titolo abilitativo alla produzione di un atto di consenso del proprietario confinante, sulla base del comma 5 dell’art. 11 delle n.t.a. del p.r.g., risulta illegittimo per contrasto con la speciale disciplina derogatoria introdotta dalla normativa sul “Piano Casa”;

per detti motivi il ricorso va accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato".

sentenza TAR_Veneto 835 del 2013

Progetto di riforma della legge regionale in materia di aree protette e parchi

18 Giu 2013
18 Giugno 2013

La normativa regionale in vigore è la L. R. 16 agosto 1984, n. 40 (BUR n. 38/1984) intitolata “nuove norme per la istituzione di parchi e riserve naturali regionali”. All’art. 1 si legge “Nell’assolvimento delle proprie funzioni di tutela dell’ambiente naturale e al fine di assicurare la conservazione e la valorizzazione dell’ambiente naturale nelle zone di particolare interesse paesaggistico, naturalistico ed ecologico, nonchè allo scopo di promuoverne lo studio scientifico, di rendere possibile l’uso sociale dei beni e di creare, specie nelle zone rurali e montane, migliori condizioni di vita per le collettività locali, la Regione Veneto istituisce parchi e riserve naturali regionali, assicurandone il funzionamento con adeguate misure finanziarie e favorisce l’istituzione di parchi e riserve naturali regionali di interesse locale da parte di Province, Comuni, Comunità montane e relativi Consorzi, nonchè da parte delle Comunioni familiari montane, anche associate fra loro”.

Sull’argomento sono stati presentanti 3 progetti di legge, attualmente all’esame del Consiglio Regionale e relativi alla nuova normativa in materia di aree protette, che intendono aggiornare l’attuale normativa in vigore. Il primo è stato presentato dalla Giunta Regionale, il secondo da alcuni consiglieri regionali del PD ed il terzo è di iniziativa dei Consiglieri comunali di Arquà Petrarca, Cervarese S. Croce, Cinto Euganeo e Baone d'Este.

La proposta della Giunta regionale mira alla razionalizzazione degli Enti nella logica della spending review, ovvero semplificazione ed alla razionalizzazione della gestione, nonché al controllo della spesa pubblica, unificando l'attuale disciplina delle singole leggi istitutive dei parchi regionali, stabilendo la composizione degli organi e il numero dei componenti degli stessi in modo univoco. Tal progetto di legge non prevede più il Consiglio dell'Ente, organo politico assembleare, mentre il Consiglio Direttivo sarà costituito dal presidente dell'Ente e da 4 componenti; è altresì prevista la Comunità del Parco, i cui componenti parteciperanno a titolo gratuito, con funzioni consultive.

La proposta del Partito Democratico, invece, si pone l'obiettivo di pensare soprattutto ad una valorizzazione dei parchi coniugando lo sviluppo locale con la biodiversità delle aree protette. Il progetto di legge nasce da premesse opposte a quelle della Giunta, ovvero che la tutela e la valorizzazione del territorio siano un investimento, puntando sul valore paesaggistico del piano del parco e l'introduzione delle missioni di scopo e delle aree contigue.

La proposta dei Consiglieri Comunali mira a salvaguardare le competenze di autogoverno delle comunità locali, valorizzare la democrazia partecipativa all'interno del Parco e fare dell'ente regionale un motore di sviluppo e di rilancio turistico di un'area di singolare pregio ambientale. L'iniziativa degli Ammnistratori Locali nasce in alternativa al disegno di legge della Giunta regionale, che mira a semplificare il sistema di governo dei cinque parchi regionali riconducendoli ad un'unica direzione regionale.

dott.sa Giada Scuccato

Progetto di legge nr. 286 pervenuto in commissione il 17/07/2012 ed illustrato il 12/09/2012, denominato “Norme per la tutela della rete ecologica regionale” di iniziativa della Giunta regionale

http://www.consiglioveneto.it/crvportal/pdf/pratiche/9/pdl/PDL_0286/1000_5Ftesto_20presentato.pdf

Progetto di legge nr. 335 pervenuto in II commissione il 22/03/2013 ed illustrato il 03/04/2013, denominato “Disposizioni di riordino e di semplificazione normativa in materia di aree naturali protette, modifiche alla legge regionale 10 ottobre 1989, n. 38 “Norme per l’istituzione del Parco regionale dei Colli Euganei” di iniziativa delle Amministrazioni comunali di Arquà Petrarca, Cervarese S.Croce, Cinto Euganeo, Baone ed Este.

http://www.consiglioveneto.it/crvportal/pdf/pratiche/9/pdl/PDL_0335/1000_5Ftesto_20presentato.pdf

Progetto di Legge nr. 337 pervenuto in  II commissione il 25/03/2013 ed illustrato il 03/04/2013, denominato “Sistema delle aree protette della Regione del Veneto: organizzazione, tutela e valorizzazione” di iniziativa dei Consiglieri Azzalin, Berlato Sella, Bonfante, Bortoli, Fasoli, Fracasso, Pigozzo, Puppato, Reolon, Ruzzante, Sinigaglia e Tiozzo

http://www.consiglioveneto.it/crvportal/pdf/pratiche/9/pdl/PDL_0337/1000_5Ftesto_20presentato.pdf

La Corte Costituzionale “impallina” la legge regionale che esenta da titolo edilizio e autorizzazione paesaggistica i “casoti da cacia”

17 Giu 2013
17 Giugno 2013

Con la sentenza n. 139 del 2013 la Corte Costituzionale :

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3, della legge della Regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”), nella parte in cui esenta dall’assoggettamento al regime dell’autorizzazione paesaggistica gli appostamenti per la caccia al colombaccio;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, della legge della Regione Veneto n. 25 del 2012, nella parte in cui esenta dall’assoggettamento al regime del titolo abilitativo edilizio e dell’autorizzazione paesaggistica gli appostamenti fissi per la caccia.

La legge era stata impugnata dal Consiglio dei Ministri. E' interessante ricordare le motivazioni dell'impugnazione:

"1.− Con ricorso notificato il 10 settembre 2012 e depositato il successivo 17 settembre (reg. ric. n. 122 del 2012) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 3, e 2, comma 1, della legge della Regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”), in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione.

Le disposizioni impugnate modificano la legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio).

In particolare, l’art. 1, comma 3, aggiungendo un comma 3-bis all’art. 20-bis di quest’ultimo testo normativo, stabilisce che «gli appostamenti per la caccia al colombaccio di cui al presente articolo sono soggetti alla comunicazione al comune e non richiedono titolo abitativo edilizio ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia” e successive modificazioni e si configurano quali interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica, ove siano correttamente mimetizzati e siano realizzati, secondo gli usi e le consuetudini locali, in legno e metallo, di altezza non superiore il limite frondoso degli alberi e siano privi di allacciamenti e di opere di urbanizzazione e comunque non siano provvisti di attrezzature permanenti per il riscaldamento».

Il ricorrente ritiene lesiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.) la previsione che esclude gli appostamenti per la caccia al colombaccio, indicati dalla norma impugnata, dall’autorizzazione paesaggistica, dato che essa deve ritenersi richiesta ai sensi degli artt. 146 e 149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Tali interventi, infatti, non potrebbero avere carattere di lieve entità e non ricadrebbero, quindi, nel regime dell’“autorizzazione semplificata” di cui all’art. 1 del d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni).

La seconda disposizione impugnata, cioè l’art. 2, comma 1, aggiunge una previsione all’art. 9, comma 2, lettera h), della legge regionale n. 50 del 1993, stabilendo che «tutte le tipologie di appostamento di cui all’articolo 20 della presente legge e all’articolo 12, comma 5 della legge n. 157 del 1992, realizzate secondo gli usi e le consuetudini locali, sono soggette a comunicazione al comune e non richiedono titolo abitativo edilizio ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia” e successive modificazioni e si configurano quali interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica; per gli appostamenti che vengono rimossi a fine giornata di caccia non è previsto l’obbligo della comunicazione al comune territorialmente competente».

Il ricorrente in primo luogo formula la medesima censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. avanzata nei confronti dell’art. 3, comma 1, per la sottrazione di tutti gli appostamenti all’autorizzazione paesaggistica.

In secondo luogo, per l’esclusione della necessità del titolo abilitativo edilizio, il ricorrente denuncia la violazione del principio fondamentale in materia di governo del territorio (art. 117, terzo comma, Cost.) recato dall’art. 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A).

A parere del ricorrente, in base a questa disposizione restano soggetti a permesso di costruire interventi edilizi privi del carattere della precarietà funzionale, per la tipologia dei materiali impiegati e l’uso non temporaneo.

Gli appostamenti per la caccia rientrerebbero in tale fattispecie, avendo carattere fisso, sicché neppure in forza dell’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001, che pure consente alla Regione di estendere il regime dell’attività edilizia libera, il legislatore regionale avrebbe potuto derogare all’obbligo del permesso di costruire".

sentenza Corte Costituzionale 139 del 2013

                                                                            "secondo me i casoti sono tanto brutti...

                                                                               dal punto di vista  paesaggistico"

                                                                                                                      " ""  ""

                                                                                                                         "  "

                                                                                                                           "

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