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Le nuove direttive europee sugli appalti pubblici

29 Gen 2014
29 Gennaio 2014

Il Parlamento Europeo, nella seduta del 15 gennaio 2014, ha approvato i testi concernenti le tre nuove direttive sui contratti pubblici:

-        la Direttiva sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali (COM (2011) 895):

-        la Direttiva sugli appalti pubblici (COM (2011) 896);

-        la Direttiva sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (COM (2011) 897).

Le maggiori novità delle nuove direttive, che andranno a sostituire le precedenti 2004/17/CE e 2004/18/CE, sono così riassumibili:

  • semplificazione e maggiore flessibilità delle procedure d'appalto, attraverso il crescente ricorso all'autocertificazione ed una rivisitazione delle procedure;
  • promozione degli appalti elettronici in grado di favorire efficienza e risparmi di spese;
  • miglioramento dell'accesso al mercato delle piccole e medie imprese;
  • vigilanza della correttezza delle procedure, mediante le norme dedicate ai conflitti di interesse ed al comportamento illecito.

In materia di concessioni, invece, l'introduzione di una direttiva appositamente dedicata permette:

  • la definizione di un chiaro quadro giuridico della materia ed un maggior dettaglio della procedura di aggiudicazione;
  • l'applicazione della normativa per concessioni di servizi e di lavori con valore pari o superiore ad euro 5.000.000,00;
  • l'introduzione di una definizione più precisa di contratti di concessione con particolare riferimento al concetto di "rischio operativo sostanziale";
  • la precisazione dei casi in cui i contratti di concessione non sono soggetti all'applicazione delle norme sull'aggiudicazione delle concessioni, ovvero il c.d. "in house providing".

Dal momento della pubblicazione in gazzetta ufficiale, gli Stati membri avranno due anni di tempo per provvedere al recepimento.

dott. Matteo Acquasaliente

Direttiva Settori Ordinari

Direttiva Settori Speciali

Direttiva Concessioni

 

Obbligo POS: (purtroppo) pubblicato il decreto

29 Gen 2014
29 Gennaio 2014

Dopo le anticipazioni e le smentite arriva in Gazzetta Ufficiale il testo del Decreto Ministeriale che disciplina l’ambito di applicazione del nuovo obbligo relativo ai pagamenti mediante carte di debito. 

È stato infatti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.21 del 27.01.2014 il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, con il quale espressamente si stabilisce che l’obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applica a tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti a favore di “imprese” e “professionisti”, per l'acquisto di prodotti o la prestazione di servizi.

Il decreto entrerà in vigore decorsi 60 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, quindi per fine marzo.

Come già anticipato nei giorni scorsi, fino al 30 giugno 2014 l'obbligo riguarderà soltanto i soggetti il cui fatturato dell'anno precedente sia stato superiore a duecentomila euro
.

Sarà infatti necessario un successivo decreto, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in oggetto, per definire le modalità di adeguamento per i soggetti con fatturato inferiore a 200 mila euro inizialmente esclusi. Il decreto che verrà emanato potrà pertanto fissare nuove soglie minime di importo e nuovi limiti minimi di fatturato. 
Ma, cosa ancora più importante, con il futuro decreto potrà essere prevista l’estensione dell’obbligatorietà di pagamento agli strumenti di pagamento basati su tecnologie mobili 

Le finalità - Il provvedimento in oggetto è stato emanato in attuazione dell’art. 15 del decreto legge n. 179 del 2012 (il cosiddetto “Decreto Crescita 2.0”). 
Tuttavia, sebbene le finalità inizialmente previste erano quelle di favorire i consumatori nei pagamenti, ridurre l’uso del contante per accrescere tracciabilità e sicurezza delle transazioni, il nuovo obbligo aveva sin da subito destato moltissime perplessità, soprattutto tra i professionisti, i quali vedevano nel nuovo adempimento un ennesimo, inutile, costo. 

Piano casa: trovato un accordo tra il Governo e la Regione Veneto per modificare la legge e ridurre l’impugnazione a due questioni marginali

28 Gen 2014
28 Gennaio 2014

Il piano casa va avanti e resta applicabile.

Un comunicato di ieri sera del Governo informa che è stato trovato un accordo con la Regione Veneto, la quale si è impegnata a modificare la legge, per eliminare i punti contestati.

L'impugnazione davanti alla Corte Costituzionale rimane per due questioni marginali.

Si possono leggere le modifiche che verranno apportate alla legge nel comunicato allegato.

www.governo.it_Presidenza_Comunicati

Nel caso di rilascio di una serie di titoli edilizi per il medesimo intervento è ammissibile l’impugnazione solo dell’ultimo?

28 Gen 2014
28 Gennaio 2014

Dalla lettura della sentenza del TAR Veneto n. 22 del 2014 si capisce che la risposta dipende dal contenuto dell'ultimo titolo.

Scrive infatti il TAR: "Per altro verso, anche volendo seguire l’interpretazione più favorevole che ritiene sufficiente la sola condizione di vicino per legittimare l’interesse alla proposizione del ricorso, non può essere ignorata l’ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dalle difese resistenti con riferimento alla mancata impugnazione, entro i termini di decadenza e comunque neppure con il gravame in oggetto, dei precedenti titoli rilasciati con riferimento al medesimo intervento di cui ora si discute. Al fine di superare detta eccezioni, la difesa ricorrente sostiene che il permesso di costruire impugnato non costituisce una variante dei  precedenti permessi rilasciati all’allora proprietario Sartori Antonio, bensì un titolo nuovo, più precisamente rinnovato in capo a soggetti diversi che, per effetto della donazione e successivo frazionamento dell’originario compendio, sono divenuti i nuovi titolari del permesso a realizzare il capannone. In realtà, i dati oggettivi non consentono di giungere a tale conclusione, bensì a quella opposta, così come sostenuta dai resistenti, circa la riconducibilità del provvedimento impugnato all’unica fattispecie traente origine dal permesso di costruire del 2006, successivamente integrato dalla variante del 2009 e quindi da quella del 2010, in applicazione della normativa sul Piano Casa. Non solo, infatti, entrambi i titoli rilasciati successivamente al primo riportano il medesimo numero di protocollo e sono riferiti al medesimo intervento, il cui progetto non risulta modificato se non entro i limiti che non ne consentono la qualificazione come variante essenziale, ma lo stesso provvedimento impugnato richiama a sua volta quello originario per confermarne e ribadirne le condizioni, affinché queste vengano rispettate anche in occasione dell’ulteriore ampliamento assentibile per effetto della normativa sul Piano Casa, senza stabilire un nuovo termine per l’avvio dei lavori, bensì stabilendo la proroga del termine per la loro conclusione, grazie proprio all’ulteriore variante assentita per l’ampliamento del progetto iniziale. E’ quindi condivisibile l’assunto di controparte che lamenta la mancata impugnazione dei precedenti titoli conseguiti dai contro interessati e che costituiscono i presupposti dell’intervento ora assentito ulteriormente, quale variante dei precedenti, seppure non essenziale, al fine di usufruire dei benefici della legge sul Piano Casa: la corretta qualificazione di tale ulteriore atto quale variante dei precedenti, con la sola diversa intestazione in capo ai soggetti divenuti titolari per effetto dei frazionamenti dell’originario unico compendio immobiliare, non consente quindi di prescindere dall’impugnazione, ovviamente  tempestiva, dei precedenti permessi di costruire rilasciati dall’amministrazione. Peraltro, anche nell’ipotesi in cui venisse annullato il provvedimento de quo, rimarrebbero efficaci a tutti gli effetti i precedenti permessi conseguiti nel 2006 e nel 2009, trattandosi di atti comunque non impugnati, benché conosciuti dal ricorrente, in tal modo evidenziandosi ancora una volata come l’ulteriore incremento di volumetria assentito si incardini pacificamente nell’unitario procedimento avente per oggetto la realizzazione del contestato capannone ad uso deposito attrezzi a prodotti agricoli.Per dette considerazioni, attesa la fondatezza delle eccezioni preliminari sollevate dalla difese resistenti, il ricorso risulta inammissibile".

sentenza TAR Veneto n. 22 del 2014

Il TAR Veneto ritorna sulla questione della “vicinitas”

28 Gen 2014
28 Gennaio 2014

Segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 22 del 2014 relativa alla questione se il vicino sia legittimato a impugnare i titoli edilizi del vicino.

Scrive il TAR: "Conformemente all’orientamento più volte seguito dalla Sezione, difetta nella specie l’interesse e la legittimazione alla proposizione del ricorso da parte dell’odierno istante, in quanto non risulta dal medesimo comprovato il reale pregiudizio derivante dal provvedimento impugnato. Il profilo attiene ancora una volta all’idoneità del mero requisito della vicinitas ossia la condizione di soggetto confinante o comunque proprietario di terreni posti nelle vicinanze di quelli interessati dagli interventi contestati, quale elemento di per sé solo sufficiente a legittimare la proposizione del ricorso. Come più volte ritenuto al riguardo, il Collegio condivide la rilevanza del requisito della vicinitas, quale elemento sicuramente qualificante la posizione processuale e sostanziale del ricorrente, a fronte di un titolo edilizio che consente al confinante di realizzare un intervento in qualche misura pregiudizievole della proprietà altrui. Tuttavia, proprio in considerazione del fatto che detto pregiudizio deve comunque sussistere e non deve tradursi in una mera ipotesi, solo prospettata dalla parte ricorrente, si è giunti in più occasioni a ritenere, anche con l’avallo del giudice d’appello, che il requisito della vicinitas debba essere integrato dalla esternazione del pregiudizio che deriverebbe al ricorrente per effetto della realizzazione degli interventi edilizi assentiti dai provvedimenti impugnati. Se è indubbiamente corretto ritenere che la vicinitas può costituire l’elemento principale, che anche da solo può giustificare l’interesse ad agire, è tuttavia evidente che tale ipotesi è ravvisabile tutte le volte in cui sia palesemente evidente che la vicinanza della nuova costruzione costituisce oggettiva fonte di pregiudizio per le ragioni del confinante. Tuttavia, al di là di tali evidenti situazioni di fatto, il solo dato oggettivo della vicinitas non sempre costituisce sicuro elemento di individuazione dell’interesse e della legittimazione ad agire, dovendosi comprovare il reale pregiudizio che potrebbe derivare dalla realizzazione dell’intervento assentito alle ragioni del confinante.  Una diversa interpretazione, che non tenga conto di una più attenta  disamina della situazione di fatto, al di là della mera rappresentazione formulata dal ricorrente, finirebbe per assicurare, come già osservato in fattispecie analoghe, una sorta di azione popolare nei confronti dell’operato dell’amministrazione, per conseguire l’annullamento di ogni provvedimento che consenta interventi non graditi da parte dei vicini. Proprio per evitare simili evenienze, appare coretto ricondurre la disamina dei presupposti dell’azione entro binari più rigorosi che, senza ignorare il principale elemento che, lo si ribadisce, è la vicinitas, debbono contribuire a qualificare anche sotto il profilo del reale pregiudizio (in termini di diminuzione del valore economico del bene o della sua fruibilità) la posizione del soggetto ricorrente. Ciò premesso, nel caso di specie, l’interesse fatto valere dall’odierno istante è pacificamente basato sulla sola vicinitas, essendosi il ricorrente limitato a paventare un possibile e non comprovato futuro utilizzo del campanone per finalità diverse da quelle dichiarate nella richiesta del rilascio del permesso di costruire. In realtà trattasi, allo stato, di mere presupposizioni, che non trovano dati oggettivi di riscontro, se non nel fatto che i due mappali sui quali insiste l’edificio sono ora di proprietà di un soggetto, S. S., che non è imprenditore agricolo. Tuttavia, le controdeduzioni svolte al riguardo dalla difesa istante – che ha precisato come sui mappali in esame sarebbe proseguita l’attività agricola del signor S. A., giusto assenso del figlio S. – non consentono di condividere i timori di parte ricorrente e quindi di configurare l’interesse alla proposizione del gravame.  Da ultimo, va ulteriormente sottolineato, come anche il possibile pregiudizio che parte ricorrente potrebbe lamentare dalla realizzazione dell’intervento contestato e consistente nella compromissione della preesistente servitù di passaggio, oggetto già di giudizio possessorio instaurato davanti al giudice civile, risulta superato per effetto dell’atto di conciliazione e transazione del 11.7.2012, che ha risolto anche tale profilo, a comprova dell’insussistenza di ogni residuo interesse all’annullamento del provvedimento impugnato proprio con riferimento all’esistenza di un qualche pregiudizio derivante a carico del ricorrente per la libera fruizione del proprio bene".

sentenza TAR Veneto n. 22 del 2014

Il nuovo ISEE

28 Gen 2014
28 Gennaio 2014

Sulla GU Serie Generale n.19 del 24-1-2014 è stato pubblicato il DPCM 5 dicembre 2013, n. 159, recante il Regolamento concernente la revisione delle modalita' di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE). (14G00009)

Nuovo ISEE

La previsione a “verde sportivo” è un vincolo espropriativo o conformativo?

27 Gen 2014
27 Gennaio 2014

La questione è stata esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 20 del 2014, in relazione ad alcune previsioni del PRG di Rovigo. Secondo le previsioni dettate dall’art. 67 delle N.T.A., l’area di interesse del ricorrente risulta ora destinata all’insediamento di attrezzature sportive e per il tempo libero. Di conseguenza, risultano dettate le seguenti prescrizioni: “In questa zona possono sorgere anche eventuali attrezzature di servizio degli impianti (locali di ristoro e sedi di attrezzature sportive), attrezzature ricettive per gli atleti. E’ vietata la costruzione di edifici residenziali, ad eccezione di quelli strettamente necessari per i custodi.   L’attuazione delle opere sopra descritte compete ai soli Enti Pubblici (Amministrazione Comunale, Amministrazione Provinciale, Federazione e Associazioni sportive del CONI). Con delibera del Consiglio Comunale, il Sindaco, su parere conforme della Commissione Edilizia, può utilizzare interventi di privati in attuazione totale o parziale delle opere previste”. Ritenendo che dette prescrizioni abbiano imposto sull’area un vincolo preordinato all’espropriazione - attesa la sostanziale riserva alle pubbliche amministrazioni dell’attuazione della destinazione di zona, risultando del tutto eccezionale l’eventualità che anche soggetti privati possano dare esecuzione alle previsioni, previa in ogni caso l’approvazione del progetto da parte dell’amministrazione - il ricorrente ha evidenziato come detto vincolo fosse ormai decaduto per decorso del quinquennio dalla sua introduzione con la Variante Generale, per cui, invocando l’applicazione del combinato disposto di cui all’art. 2 della legge n. 1187/68 ed all’art. 76 della L.r. 61/85, ha formulato istanza per il rilascio della concessione edilizia per la costruzione di un capannone adibito a magazzino per l’attività artigianale in atto. L’intervento sarebbe quindi divenuto assentibile sulla base della disciplina transitoria, propria della cc.dd. “zone bianche”, nell’attesa della nuova previsione pianificatoria, che consente la realizzazione di un edificio a destinazione produttiva entro il limite del 10% dell’area disponibile. La richiesta veniva, tuttavia, respinta dall’amministrazione con il provvedimento dirigenziale del 29.3.2001, con il quale è stata ritenuta l’insussistenza di un vincolo preordinato all’espropriazione gravante  sull’area di proprietà del ricorrente, in quanto la destinazione a verde sportivo dettata dalle N.T.A. non ha precluso la possibilità di intervento da parte dei privati, pur nel rispetto della destinazione impressa dalle previsioni di piano, senza così svuotare del tutto il contenuto del diritto ad edificare.

Il TAR ha ritenuto il vincolo conformativo, scrivendo che: "La controversia sottoposta all’esame del Collegio investe l’interpretazione data alle prescrizioni contenute nell’art. 67 delle N.T.A.  del P.R.G. di Rovigo, in base alle quali, per quanto riguarda specificatamente l’area di interesse di parte ricorrente, la destinazione impressa dallo strumento urbanistico è quella di “verde sportivo”. Secondo l’interpretazione seguita dall’Amministrazione e posta a fondamento del diniego impugnato, tenuto conto della natura della destinazione assegnata e della possibilità comunque prevista per i soggetti privati di dare attuazione alle prescrizioni, eseguendo interventi rispettosi della suddetta destinazione (salva l’approvazione da parte del Comune), si tratterebbe di un vincolo conformativo. In quanto tale, detto vincolo non risulta soggetto a decadenza, ma impone che gli interventi da eseguire sull’area de qua siano rispettosi della destinazione urbanistica ad essa impressa. Diversamente opinando, parte istante ritiene che la reale portata della previsione urbanistica di cui all’art. 67 N.T.A., dia luogo ad un vincolo preordinato all’espropriazione, che svuota del tutto ogni possibilità di sfruttamento edificatorio dell’area, come tale soggetto ai termini di decadenza, salvo la necessaria reiterazione del vincolo da parte del’amministrazione, previa corresponsione dell’indennità prevista dalla legge n. 1187/68. Ritiene il Collegio, esaminate le opposte conclusioni rese dalle difese di parte, che il ricorso sia infondato. Invero, atteso il contenuto e la portata prescrittiva delle disposizioni dettate dall’art. 67 delle N.T.A, non sono rinvenibili i caratteri del vincolo preordinato all’espropriazione e quindi non sono desumibili nella specie le conseguenze prospettate dalla difesa istante circa la decadenza del vincolo asseritamente imposto e la conseguente  applicabilità della speciale disciplina delle cd “zone bianche”, che come tale avrebbe consentito, entro i limiti stabiliti (10% dell’area), la realizzazione di interventi a destinazione produttiva. Come è stato affermato dalla Corte Costituzionale nella nota pronuncia n. 179/99 e, quindi, ribadito sulla base di tale insegnamento dalla successiva giurisprudenza, non è configurabile un vincolo preordinato all’espropriazione ogni qual volta l’amministrazione imponga con gli strumenti urbanistici vincoli di inedificabilità in aree destinate a verde attrezzato o per la realizzazione di un parco o più in generale per la destinazione di zone a verde pubblico o, come nel caso in esame, quale “verde sportivo”. In queste ipotesi è stata ritenuta la natura conformativa delle previsioni  urbanistiche, trattandosi di previsioni che interessano categorie generali di beni, strettamente connesse alla pianificazione urbanistica, senza implicare alcun effetto ablatorio o limitativo, sino a privarne di contenuto, del diritto di proprietà. La previsione a verde pubblico o, più specificatamente, per quel che interessa nel caso in esame, a verde sportivo, non esaurisce, svuotandolo, il diritto di proprietà, non elide totalmente la possibilità di sfruttamento economico della proprietà, ma orienta l’intervento, anche del privato, entro i limiti derivanti dalla programmazione pianificatoria del Comune. Sebbene, quindi, in quell’area ogni intervento deve rimanere circoscritto entro i limiti di rispetto della destinazione urbanistica assegnata alla zona, ciò non esautora completamente, con valenza sostanzialmente  espropriativa, il privato proprietario delle possibilità di sfruttamento economico dell’area. La stessa disposizione contenuta nell’art. 67 delle N.T.A. ammette, seppure invia residuale, che gli interventi ammessi siano realizzati anche dai privati, seppure previa autorizzazione da parte dell’amministrazione, che con delibera del Consiglio Comunale dovrà valutare la corrispondenza del progetto alla destinazione di zona, con ciò concretando proprio una di quelle ipotesi in presenza delle quali la stessa Corte Costituzionale, nella richiamata pronuncia, ha ritenuto non sussistere il vincolo preordinato all’esproprio. E’ quindi possibile ricondurre il caso in esame ad ipotesi analoghe, per le quali è stato affermato che :”Sono conformativi e al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo dell’area de qua (non comportano indennizzo, non decadono al quinquennio e quindi non sussiste un dovere di ritipizzazione) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di ablazione del bene”(cfr. C.d.S., IV, n. 3797/2011). La previsione, quindi, in alternativa o in via derogatoria rispetto all’intervento pubblico, di progetti che attuino la destinazione impressa all’area quale verde sportivo anche da parte di soggetti privati, esclude il temuto svuotamento del contenuto del diritto di proprietà, permanendo in capo ai privati la possibilità di presentare un progetto che,  soddisfacendo le previsioni di zona, assicuri comunque il godimento economico del bene. Non si deve, invero, confondere la limitazione derivante dalla destinazione di zona impressa dallo strumento urbanistico, espressione della potestà pianificatoria comunale che ben può assicurare ad un determinato ambito una specifica destinazione, dall’imposizione di un vincolo, preordinato all’esproprio, che privi del tutto il privato di ogni possibilità di utilizzo e sfruttamento dell’area. Ciò ritenuto ed escluso quindi che nella fattispecie sussistesse un vincolo preordinato all’esproprio, decaduto per decorrenza quinquennale, non sono ravvisabili i vizi di legittimità denunciati in ricorso, non potendosi ammettere un intervento, quale quello progettato dal ricorrente, che chiaramente contrasta con le previsioni di zona. Per detti motivi, ritenuta la legittimità del provvedimento impugnato, il ricorso va respinto".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 20 del 2014

Gli oneri specifici devono essere indicati a pena di esclusione un giorno si e uno no

27 Gen 2014
27 Gennaio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. III, nella sentenza del 23 gennaio 2014 n. 348, afferma che sia gli oneri di sicurezza da rischio specifici o aziendale sia gli oneri di sicurezza da interferenza devono essere indicati a pena di esclusione atteso che: “Nel merito, ritiene il Collegio che la mancata indicazione dei costi di sicurezza nelle offerte delle prime due graduate costituisca causa di esclusione delle relative offerte.

Tale omissione determina l’esclusione sia in forza delle plurime concordanti disposizioni di gara contenute nel Bando, nei Chiarimenti, nel Capitolato e nel DUVRI, sia in quanto le norme in materia di oneri per la sicurezza hanno valore cogente ed immediatamente precettivo.

Premessa la distinzione tra oneri di sicurezza per le cc.dd. “interferenze” (che sono predeterminati dalla stazione appaltante e riguardano rischi relativi alla presenza nell’ambiente della stessa di soggetti estranei chiamati ad eseguire il contratto) ed oneri di sicurezza da rischio “specifico” o “aziendale” (la cui quantificazione spetta a ciascuno dei concorrenti e varia in rapporto alla qualità ed entità della sua offerta), va chiarito che secondo il Collegio l’omessa indicazione specifica sia dell’una che dell’altra categoria di oneri comporta la sanzione espulsiva, ingenerando incertezza ed indeterminatezza dell’offerta e venendo, quindi, a mancare un elemento essenziale, ex art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici.

La giurisprudenza di questo Consiglio si è già pronunciata nel senso di riconoscere ai costi per la sicurezza da c.d. “rischio specifico” la valenza di un elemento essenziale, sulla scorta del dato normativo di cui agli artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, del Codice dei contratti, nonché dell'art. 26, comma 6, del d.lgs. 81/2008, “sul fondamentale rilievo del carattere immediatamente precettivo delle norme di legge che prescrivono di indicare tali costi distintamente, norme idonee come tali ad eterointegrare le regole della singola gara, ai sensi dell'art. 1374 c.c., e ad imporre, in caso di loro inosservanza, l'esclusione dalla procedura” (v. C.d.S., III, 19/1/2012, n. 212, 29 febbraio 2012 n. 1172, 28/08/2012, n. 4622, 3 ottobre 2011, n. 542; V, 8 febbraio 2011, n. 846 e 23 luglio 2010, n. 4849).

Sotto tale profilo, l’offerta dell’aggiudicataria Siemens andava esclusa, essendo pacificamente ammesso tra le parti che la ditta non ha incluso i costi inerenti la sicurezza aziendale nella sua offerta.

2.4. – Secondo il Collegio, poi, cui pure l’omessa specificazione dei costi per la sicurezza c.d. “da interferenza” è causa di esclusione dalla gara, sebbene essi vadano indicati nell’esatto ammontare predeterminato dalla stazione appaltante.

Beckam in proposito non contesta la circostanza dell’omissione, ma si difende sostenendo che, essendo i costi “da interferenza” valutati a monte dalla stazione appaltante, si tratterebbe di costi “identificabili” e “scorporabili” ed, inoltre, essendo essi immodificabili, non vi sarebbe obbligo di evidenziarli nell’offerta; essa si è, pertanto, limitata ad indicare espressamente solo i costi aziendali, per un ammontare di euro 1.855,00 annui.

Osserva il Collegio, invece, che la loro mancata indicazione è causa di indeterminatezza dell’offerta al pari della mancata specificazione dei costi cc.dd. “aziendali”.

Ai sensi dell’art. 86, comma 3 bis, del D. Lgs. n. 163/2006 (ma v. anche il già citato art. 26, comma 6, del D. Lgs. n. 281/2008 ), l’offerta deve essere rispettosa del costo relativo alla sicurezza, senza alcuna distinzione; e tale costo nel suo complesso deve risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche della fornitura, in ragione degli interessi di ordine pubblico sottesi a tale previsione, posta a presidio di diritti fondamentali dei lavoratori e della stessa sicurezza pubblica.

Peraltro, l’art. 87, comma 4, sopra citato dispone a sua volta che "nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture".

Se gli oneri da interferenza non vengono dunque espressamente indicati, non è possibile dimostrare che tali costi siano stati presi in considerazione ed effettivamente calcolati in sede di predisposizione dell’offerta, né è possibile dedurre la necessaria consapevole formulazione dell’offerta stessa con riguardo ad un aspetto essenziale d’essa.

L’indicazione di tutti i costi di sicurezza, sia da interferenza che specifici, è rilevante ai fini della valutazione di anomalia dell’offerta e non può ipotizzarsi un potere di soccorso della stazione appaltante dopo l’apertura delle offerte economiche, in sede di verifica dell’anomalia, perché si determinerebbe una lesione della par condicio tra i concorrenti se si consentisse l’integrazione postuma di un’offerta originariamente incompleta; peraltro, l'omessa specificazione degli oneri di sicurezza in questione configura un'ipotesi di "mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice", idoneo a determinare "incertezza assoluta sul contenuto dell'offerta" per difetto di un elemento essenziale di quest'ultima.

La sanzione per l’omessa indicazione degli oneri stessi – sia aziendali che da interferenza – è, dunque, l’esclusione dell’offerta dalla procedura perché incompleta e/o indeterminata; in caso contrario si giungerebbe alla conseguenza della vanificazione delle disposizioni del codice dei contratti sopra citate, che ne impongono la specifica indicazione”.

 Anche il T.A.R. Toscana, Firenze, nella sentenza del 20 gennaio 2014 n. 106, giunge alle medesime conclusioni: “- questa Sezione ha più volte avuto modo di ritenere l’assoggettamento ai principi di cui all’art. 30 d.lgs. n. 163/2006 della tipologia di gare quale quella per cui è causa (T.A.R. Toscana, sez. II, 21 ottobre 2013, n. 1424; 6 luglio 2010, n. 2313; nello stesso senso, Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2011, n. 3019);

- quanto alla doglianza esaminata con priorità, il Collegio ritiene non vi siano motivi per discostarsi dal recente specifico precedente della Sezione secondo cui “l’indicazione degli oneri per la sicurezza costituisce un requisito ineliminabile, quanto meno per gli appalti di forniture e di servizi, e comporta in caso di omissione, anche a prescindere dalla mancata indicazione nel bando, l’esclusione dalla gara”, vertendosi in “uno dei casi di eterointegrazione del bando con le norme di legge” (T.A.R. Toscana, sez. II, 26 novembre 2013, n. 1630);

- “l'indicazione in sede di offerta degli oneri aziendali di sicurezza, non soggetti a ribasso, costituisce - sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture - un adempimento imposto dagli artt. 86, co. 3 bis, e 87, co. 4, del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 ss.mm.ii. all'evidente scopo di consentire alla stazione appaltante di adempiere al suo onere di verificare il rispetto di norme inderogabili a tutela dei fondamentali interessi dei lavoratori in relazione all'entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura da affidare” ( Cons. Stato, sez. III, 3 luglio 2013 nr. 3565);

- pertanto, l’offerta dell’aggiudicataria, per le ragioni esposte avrebbe dovuto essere esclusa”.

Per completezza si evidenzia che, con riferimento alle gare pubbliche relative a servizi di carattere intellettivo-culturale, il Consiglio di Stato, nella sentenza del 22 gennaio 2014 n. 330, giunge a conclusioni diametralmente opposte: “Ritenuto che è pacifico nel caso di specie che la legge di gara non prevedesse alcunché in ordine alla sussistenza ed alla quantificazione degli oneri per la sicurezza, né chiedesse comunque una specificazione circa la loro entità;

Considerato che la prestazione posta in gara concerneva la realizzazione del Servizio di Mediazione Culturale, quindi una prestazione la cui formazione aveva natura prettamente intellettuale e nessuna attività era richiesta al di fuori della sede di lavoro della aggiudicataria o comunque presso le sedi della stazione appaltante;

Ritenuto che il Consiglio di Stato ha già affermato che la “sicura assenza, nell’ambito delle lavorazioni oggetto della gara, di profili di interesse in tema di salute e sicurezza sul lavoro, rendeva inessenziale l’inserimento di una clausola della lex specialis la quale comminava la più grave sanzione (quella espulsiva) a fronte di una violazione meramente formale (quella di dichiarare oneri per la sicurezza, per giunta nella consapevolezza che l’importo dichiarato non poteva essere pari a zero” (Sez. VI, 19 ottobre 2012 n. 5389);

Considerato che nel caso di specie non è dimostrata la presenza di fattori che imponessero la previsione specifica di profili di sicurezza connessi alle prestazioni in gara e vista la riconosciuta illegittimità di clausole che obbligano i concorrenti a specificare nella propria offerta la consistenza degli oneri per la sicurezza in assenza conclamata di rischi, appare assolutamente meccanicistico e del tutto non pertinente con gli interessi sostanziali dell’Amministrazione l’applicazione di una norma basilare nel presidio di situazione giuridiche massimamente rilevanti, ma che anch’essa, anche per la sua natura centrale, va rispettata nei casi in cui sussistano quelle ragioni che è chiamata a presidiare”. 

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 330 del 2014

TAR Toscana n. 106 del 2014

CdS n. 348 del 2014

Si deve produrre l’autocertificazione antimafia con riferimento ai componenti dei collegi sindacale e dei revisori?

27 Gen 2014
27 Gennaio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 22.01.2014 n. 89 ritiene che la mancata allegazione della dichiarazione antimafia nel caso in esame non possa determinare l’esclusione dalla gara della ditta perché: “l’esclusione della ricorrente dalla procedura concorsuale – disposta dal concessionario per mancata allegazione della dichiarazione antimafia da parte del sindaco unico effettivo con funzioni di revisore legale dell’impresa capogruppo Minotti srl - è illegittima per violazione dell’art. 46, comma I e I-bis del codice, applicabile , come si è detto , in virtù del richiamo contenuto nel successivo art. 142, IV comma. Se è vero, infatti, che – pur in disparte la non inequivoca formulazione usata dal bando (punto IV.2.1) e dal disciplinare (artt. 2, lett. “b” e 7.1.A.7) che richiedevano, genericamente, di allegare la “dichiarazione sostitutiva antimafia redatta secondo le vigenti disposizioni di legge” - le dichiarazioni rese dal costituendo raggruppamento ricorrente sono incomplete alla stregua delle prescrizioni contenute nell’art. 85 del DLgs n. 159/2011 (con riferimento ai commi 2-bis e 3), è altresì vero che le dichiarazioni stesse non sono mancanti: è orientamento giurisprudenziale consolidato che nelle gare pubbliche di appalto l'art. 46 DLgs n. 163/06, nel disporre che le amministrazioni invitano, se necessario, le ditte partecipanti a fornire chiarimenti e ad integrare la carente documentazione presentata, non ha inteso assegnare alle amministrazioni una mera facoltà o un potere eventuale, ma ha inteso codificare un ordinario modo di procedere volto a fare valere, entro certi limiti, la sostanza sulla forma, orientando l'azione amministrativa sulla concreta verifica dei requisiti di partecipazione, senza che l'esercizio di tale facoltà possa configurare una violazione della par condicio dei concorrenti rispetto ai quali, al contrario, assume rilievo l'effettività del possesso del requisito (cfr., ex pluribus, TAR Veneto, I, 20.11.2012 n. 1422). Nel caso di specie, dunque, sarebbe stato corretto e ragionevole il ricorso del concessionario al potere di integrazione documentale di cui all'art. 46 cit., atteso che le dichiarazioni antimafia rese dalle imprese partecipanti al costituendo raggruppamento erano non già del tutto mancanti ma, piuttosto, incomplete e, quindi, suscettibili di essere completate. Ma la disposta esclusione dalla gara viola anche l’art. 46, comma I-bis del codice, che stabilisce che “la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti….; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”: nessuna norma del codice dei contratti e del connesso regolamento, del codice antimafia o di altra legge impone, infatti, ai concorrenti di una gara di appalto di produrre l’autocertificazione antimafia con riferimento ai componenti dei collegi sindacale e dei revisori”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 89 del 2014

I concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici sono tenuti a rispettare il codice degli appalti?

27 Gen 2014
27 Gennaio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 22.01.2014 n. 89 precisa che anche i concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici sono tenuti ad osservare gran parte delle norme del Codice Appalti atteso che: “sussiste la giurisdizione esclusiva dell’intestato Tribunale atteso che, ogni qual volta i concessionari di lavori pubblici che non siano amministrazioni aggiudicatrici – così si è qualificata la “Scuola della Misericordia di Venezia spa” e, comunque, tale qualificazione non è oggetto di contestazione – affidano a terzi l’appalto dei lavori oggetto della concessione (è irrilevante, a tal proposito – stante la chiara enunciazione della norma e la mancanza di ulteriori precisazioni - che l’affidamento a terzi sia discrezionale o imposto ai sensi dell’art. 146 del DLgs n. 163/2006), sono tenuti, ai sensi dell’art. 142, IV comma del codice dei contratti, all'osservanza della sezione IV del capo II del medesimo codice, nonchè, in quanto compatibili, delle disposizioni della parte I (sui principi), parte IV (sul contenzioso), parte V (norme di coordinamento, finali e transitorie) e della parte II, titolo I e titolo II limitatamente a pubblicità dei bandi, termini delle procedure, requisiti generali e qualificazione degli operatori economici, subappalto, progettazione, collaudo e piani di sicurezza: in conclusione, dunque, mentre il concessionario che sia amministrazione aggiudicatrice/organismo di diritto pubblico è sempre tenuto al rispetto delle procedure di evidenza pubblica nell’individuazione dell’aggiudicatario dei lavori, il concessionario che, invece, non sia amministrazione aggiudicatrice è tenuto al rispetto delle procedure di evidenza pubblica solo nei limiti della quota entro cui sia obbligato (ex art. 146), ovvero decida autonomamente, ad esternalizzare i lavori, con affidamento a terzi. Ne consegue che le relative controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, I comma, lett. e) del DLgs n. 104/2010”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 89 del 2014

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