Il rispetto della destinazione urbanistica e dell’agibilità è imposto anche ai luoghi di culto
Il Consiglio di Stato ha affermato che la libertà di culto non può essere invocata per sottrarsi al rispetto della cornice normativa di rango primario e secondario e dei vincoli cui le attività umane di rilevanza pubblica sono astrette a salvaguardia della convivenza civile tra i consociati (subditi legum sumus, ut liberi esse possimus) e, in particolare, per giustificare una destinazione urbanistica di un immobile diversa da quella impressa dai pubblici poteri – con provvedimento non impugnato – nell’esercizio dell’attività conformativa in materia urbanistico-edilizia.
La stabile destinazione di un edificio a luogo di culto – in cui praticare liberamente i riti religiosi espressione della libertà di culto ex art. 19 Cost. – presentando un impatto sull’ordinato sviluppo dell’abitato, deve avvenire nel rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia, in cui trovano composizione i vari interessi pubblici e privati che si rivolgono al territorio quale terminale delle attività umane.
L’attuale istituto dell’agibilità non è più volto solamente a verificare – come la precedente abitabilità – la mera sussistenza di quei requisiti, essenzialmente di natura igienico-sanitaria, per “abitare” in un edificio (e dunque di occuparlo stabilmente e per periodi anche lunghi), ma è preordinato ad assicurare il rispetto di una serie più ampia d’interessi pubblici, come la sicurezza, anche in termini di salvaguardia dell’incolumità pubblica, e il risparmio energetico correlato alla tutela dell’ambiente, ora assurta, a seguito della modifica dell’art. 9 Cost., tra i principi costituzionali fondamentali alla luce dei quali la proprietà viene conformata onde garantirne la funzione sociale ex art. 42 Cost.
Il requisito dell’agibilità deve riguardare tutti gli edifici, compresi quelli destinati al culto, nonché le relative aree pertinenziali, ove riconducibili all’ambito dell’art. 24, co. 2 d.P.R. 380/2001.
Post di Alberto Antico – avvocato
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