Iter logici comprensibili e oscuri in materia di autorizzazione paesaggistica

07 Ott 2014
7 Ottobre 2014

Che l'iter logico seguito dalla Soprintendenza in materia di autorizzazione paesaggistica talvolta lasci a desiderare, riceve ora la conferma anche del Consiglio di Stato.

Si legge infatti nella sentenza n. 4870 del 2014: " Nella sentenza appellata si rileva, infatti, l’insufficiente motivazione dell’atto di annullamento di un’autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza, emesso nei seguenti termini: “Dall’esame della documentazione di progetto trasmessa si rileva che l’intervento proposto viene ad interessare un edificio ottocentesco, che presenta interesse storico e paesaggistico.

Viste le caratteristiche tipologiche del fabbricato oggetto di ristrutturazione, si ritengono le motivazioni, fornite nell’atto autorizzativo comunale, insufficienti a garantire il corretto inserimento degli interventi nel contesto paesaggistico vincolato.

L’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune di Vittorio Veneto, qualora attuata, comporterebbe l’alterazione dei tratti caratteristici della località protetta, che sono la ragione stessa per cui la località medesima è sottoposta al vncolo”.

In rapporto alla motivazione sopra riportata, nella medesima sentenza si ritiene censurabile l’omessa esplicazione “in concreto” degli “elementi che, in relazione al contesto paesaggistico vincolato, comporterebbero l’alterazione dei tratti caratteristici della località protetta”, peraltro senza considerare che, nell’autorizzazione comunale, erano espresse ragioni specifiche, per ravvisare un armonico inserimento dell’edificio ristrutturato nel contesto ambientale, grazie al tipo di copertura previsto nel progetto.

Vi  sarebbe stata, pertanto violazione sia dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, sia dell’art. 159, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, prescrittivo di motivazione per l’atto di controllo della Soprintendenza. 

Nell’impugnativa in esame le considerazioni anzidette vengono contestate, non sulla base di motivi di gravame singolarmente formalizzati, ma in quanto l’insufficienza della motivazione sarebbe dipesa dall’esclusivo riferimento comunale alla copertura a padiglione dell’edificio ed alla semplificazione delle finiture della facciata: elementi, quelli appena indicati, ritenuti parziali, ovvero tali da non evidenziare perché l’intero edificio – una volta ristrutturato nei termini previsti in progetto – potesse inserirsi armonicamente nel contesto tutelato, peraltro in assenza di descrizioni puntuali delle finiture, di cui si sottolineava soltanto la semplificazione.

 La sopraelevazione dell’ultimo piano con inserimento di volumi tecnici, inoltre, avrebbe “inciso sulla tipologia del fabbricato, rendendolo avulso dall’ambiente paesaggio circostante”, mentre la “variazione della forometria della facciata” avrebbe reso irriconoscibile la valenza storica dell’edificio, “strettamente collegato al contesto paesaggistico ottocentesco e novecentesco, che caratterizza il centro storico di Vittorio Veneto”.

La società appellata, resistendo all’accoglimento dell’impugnativa, sottolineava invece come il vincolo riguardasse non direttamente l’edificio da ristrutturare, ma il contesto in cui il medesimo era inserito, in zona B2 del PRG (“zone completamente edificate in epoca recente”), con riconosciuta possibilità di riassetto edilizio, urbanistico e funzionale, comprensivo di interventi di ristrutturazione.

Nel caso di specie, peraltro, la Commissione edilizia integrata comunale aveva, in un primo tempo, espresso parere non favorevole, sia poiché il progetto prevedeva “totale trasformazione della forometria e dell’orditura della facciata” (resa “più complessa rispetto a quella originaria”), sia perché risultava modificata la copertura a padiglione, tipica dell’architettura novecentesca locale (tale essendo l’epoca di costruzione del fabbricato di cui trattasi), di modo che il ripristino delle caratteristiche della copertura e la semplificazione della facciata, con conservazione della struttura essenziale di quella originaria, avrebbero pienamente giustificato il successivo parere favorevole: parere, viceversa, annullato dalla Soprintendenza senza esplicitazione di ragioni comprensibili.

Il Collegio condivide le argomentazioni da ultimo sintetizzate.

E’ vero infatti – come riconosciuto da ampia e consolidata giurisprudenza – che alla Soprintendenza è affidata una compiuta valutazione di legittimità, anche sotto il profilo del ponderato bilanciamento degli interessi tutelati, quale espressione di un potere non di mero controllo di legalità,ma di vera e propria attiva cogestione del vincolo, funzionale all’ “estrema difesa” dello stesso (Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151; 18 ottobre 1996, n. 341; 25 ottobre 2000, n. 437), con conseguente riferibilità dell’eventuale annullamento dell’autorizzazione paesaggistica a qualsiasi vizio di legittimità, ivi  compreso l’eccesso di potere in ogni figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta: cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9, nonché, fra le tante, Cons. Stato, VI, 25 marzo 2009, n. 1786 e 3557, 11 giugno 2012, n. 3401, 23 febbraio 2010, n. 1070, 21 settembre 2011, n. 5292; Cons. Stato, V, 3 dicembre 2010, n.8411).

E’ anche vero tuttavia che – tenuto conto del principio di leale collaborazione fra Stato e Regione (o ente sub-delegato) – la predetta cogestione del vincolo non può ritenersi correttamente esercitata quando, come nel caso di specie, risulti comprensibile – a seguito di specifico approfondimento e di varianti progettuali – l’iter logico seguito dall’Amministrazione comunale, restando invece oscuro quello della Soprintendenza, che – pur essendo abilitata a richiedere ogni necessario chiarimento in via interlocutoria (ove comunque alcune ragioni fossero risultate non chiare, o non confrontabili con il reale stato dei luoghi) – operi invece l’immediato annullamento dell’autorizzazione, senza esplicitare alcuna concreta ragione di contrasto dell’intervento edilizio da effettuare con i valori oggetto di tutela, con ciò stesso imponendo al Comune un onere motivazionale di oggetto incerto, con conseguente perplessità delle stessa ragioni giustificatrici dell’annullamento (non integrabili peraltro,  come riconosciuto da una pacifica giurisprudenza, con considerazioni contenute solo negli scritti difensivi)." 

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza CDS 4870 del 2014

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