Author Archive for: SanVittore

La natura ibrida del Piano degli Interventi

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella sentenza n. 283/2014 il Collegio chiarisce che il P.I. ha la natura mista di atto provvedimentale e normativo: “Costituisce espressione di un principio consolidato (Cons. di Stato sez. IV 19 Febbraio 2010 n. 1004) quello in base al quale lo strumento urbanistico ha natura giuridica di atto complesso, con un contenuto misto di atto normativo e, al tempo stesso, di provvedimento amministrativo.

E’, allora, evidente che in conseguenza di detta natura provvedimentale risultava integrata la fattispecie di cui all’art. 15 sopra citato legittimando l’acquisizione del parere della Commissione Territorio”. 

Il P.I. meramente attuativo è escluso dalla V.A.S.

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella stessa sentenza n. 283/2014 il T.A.R. Veneto stabilisce che il Piano degli Interventi (P.I.) non deve essere soggetto a Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) se non approva sostanziali modifiche al Piano di assetto del Territorio (P.A.T.), ovvero se è un piano meramente attuativo.

 Chiarito che “lo svolgimento della procedura VAS sia strettamente correlata ad un’attività di programmazione e, ciò, in considerazione delle caratteristiche di detto procedimento di valutazione, circostanza quest’ultima che fa apparire incompatibile detta valutazione con le caratteristiche attuative del PI.

18.8 La valutazione ambientale strategica è volta, infatti, a garantire che gli effetti sull'ambiente di determinati piani e programmi siano effettivamente ponderati nel corso dell’attività di predisposizione degli stessi piani, così da anticipare nella fase di pianificazione e programmazione quella valutazione di compatibilità ambientale che, se effettuata (come avviene per la valutazione di impatto ambientale) sulle singole realizzazioni progettuali, non consentirebbe di compiere un'effettiva valutazione comparativa, mancando in concreto la possibilità di disporre di soluzioni alternative per la localizzazione degli insediamenti e, in generale, per stabilire, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, le modalità di utilizzazione del territorio”, il Collegio afferma che: “18. Per quanto concerne la violazione della disciplina comunitaria in materia di VAS va ricordato, preliminarmente, come il Piano di Assetto del Territorio del Comune di Vicenza sia stato sottoposto a VAS nella parte in cui ha rilevato la compatibilità ambientale delle previsioni riferite alla zona industriale di cui si tratta.

18.1 Ciò premesso risulta evidente l’infondatezza della censura proposta, risultando dirimente constatare come il PI, nulla abbiamo modificato per quanto concerne la classificazione delle aree rispetto alle definizioni del PAT, essendosi limitato a prevedere indici volumetrici e di superficie, senza per questo approvare specifici progetti.

18.2 Ne consegue come deve considerarsi legittimo il comportamento dell’Amministrazione comunale che ha ritenuto di non sottoporre alla valutazione di screening VAS il Piano di Interventi, constatando sul punto come ai sensi di quanto previsto dall’art. 4 comma 2 della L. reg. 11/2004, detto strumento non fosse incluso tra quelli sottoposti a detto procedimento di valutazione ambientale.

18.3 E’ altrettanto corretta l’interpretazione contenuta nella delibera della Giunta Regionale n. 1717 del 03 Ottobre 2013, conseguente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 58/2013, laddove si è precisata la non necessità della procedura di verifica di assoggettabilità a Vas di un Piano degli Interventi che fosse meramente attuativo.

18.4 Dette conclusioni sono, peraltro, state fatte proprie da un costante orientamento giurisprudenziale, laddove si è precisato che la rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale è necessaria quando le varianti progettuali determinino la costruzione di un intervento significativamente diverso da quello già esaminato (in termini, Cons. Stato, VI, n.2694 del 2006, principio conforme a Corte giust. Comm. eu. 4 maggio 2006, C-290/2003; Consiglio di Stato sez. IV, 7 luglio 2011, n. 4072)”.

dott. Matteo Acquasaliente

L’esclusione dalla V.A.S. del P.I. è pienamente conforme alla Costituzione

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella sentenza del TAR Veneto n. 28372014, i Giudici asseriscono che l’esclusione dalla V.A.S. del P.I. è costituzionalmente legittima poiché: “19. E’ infondata anche l’eccezione di costituzionalità dell’art. 4 comma 2 della L. reg. 11/2004 nella parte in cui non sottopone a VAS i piani degli interventi per presunta violazione dell’art. 117 secondo comma lett.s) della Costituzione.

A parere della ricorrente l’incostituzionalità di detta norma sarebbe da ricollegare alla circostanza in base alla quale la disposizione regionale sopra citata non avrebbe ricompreso il Piano degli Interventi tra i piani da assoggettare a VAS e, ciò, in violazione della legislazione comunitaria e nazionale.

19.1 E’ noto che in materia di tutela dell’Ambiente, materia di competenza esclusiva dello Stato, sussiste il potere delle Regioni di introdurre disposizioni più restrittive rispetto a quanto disposto dalla legislazione nazionale di cui all’art. 6 del D.Lgs. 152/06.

19.2 A conferma di detto principio l'art. 3-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 consente alle Regioni di “adottare forme di tutela giuridica dell'ambiente più restrittive, qualora lo richiedano situazioni particolari del loro territorio, purché ciò non comporti un'arbitraria discriminazione, anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali”.

19.3 Si consideri, altresì, che nella sentenza n.58/2013 la Corte Costituzionale ha rilevato che “quand'anche avesse l'effetto di introdurre una nuova ipotesi di valutazione strategica ambientale per una fattispecie in cui non è contemplata dalla legge statale, si risolverebbe in una previsione a vantaggio dell'ambiente e disposta nell'ambito della competenza legislativa concorrente della Regione in materia di governo del territorio, ben potendo il legislatore regionale incrementare gli standard di tutela dell'ambiente, nell'ambito delle materia di propria competenza legislativa e senza compromettere il punto di equilibrio tra esigenze contrapposte individuato da norme dello Stato”.

19.4 Nel caso di specie deve ritenersi che la disposizione della legge regionale sopra citata non solo rispecchi pienamente il disposto della legge nazionale, ma nel contempo integri rispetto a quest’ultima una fattispecie più stringente e, ciò, nella parte in cui obbliga la sottoposizione a VAS tutti i progetti di Piani Territoriali e i PAT comunali, indipendentemente dal loro specifico contenuto o dalla preventiva valutazione dell’incidenza ambientale.

19.5 Va evidenziato che l’analisi dell’art. 17 della L. reg. n.11/2004 consente di rilevare come il Piano degli Interventi si configuri come un documento anche programmatico, nella parte in cui è diretto a definire gli indirizzi pianificatori sanciti dal PAT e, quindi, a dare attuazione agli stessi in un ambito temporale definito.

19.6 Ne consegue come il Piano degli Interventi non integra la fattispecie di un piano attuativo, non è diretto a consentire la realizzazione di specifici progetti, ma per i suoi caratteri costituisce una diretta applicazione delle previsioni del PAT, imponendo una programmazione dei tempi di attuazione delle previsioni e delle risorse finanziarie indispensabili.

19.7 Ciò premesso deve ritenersi infondata l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 4 della L. Reg. n.11/2004, disposizione quest’ultima che è in linea con quanto previsto dalla disciplina nazionale in materia di valutazione di compatibilità ambientale dell’attività di pianificazione del territorio e, ciò, nella parte in cui si prevede la sottoposizione a Valutazione ambientale sia dell’attività di pianificazione sia, nel contempo, della realizzazione di specifici progetti”.

 dott. Matteo Acquasaliente

Il divieto di ultrapetizione opera anche nel processo amministrativo

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella sentenza n. 283/2014 i Giudici ribadiscono che il c.d. principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato si applica anche nel processo amministrativo: “Ne consegue come il divieto di ultra petizione di cui all’art. 112 del codice del processo civile impedisce a questo Giudice di esaminare i vizi non contenuti nell’atto di ricorso con conseguente inammissibilità dei motivi ulteriori proposti dalle parti costituite e, ciò, considerando quanto affermato dal quel tradizionale principio (per tutti si veda Cons. Stato Sez. IV, 03-03-2009, n. 1227) nella parte in cui ha rilevato che “nel processo amministrativo l'oggetto del giudizio si configura strettamente limitato alle questioni di legittimità dell'atto in relazione ai soli motivi denunciati con il ricorso, è rinvenibile il vizio di ultra od extra petizione qualora il Giudice si sia pronunciato su un aspetto non censurato dalla parte”

dott. Matteo Acquasaliente

L’attività commerciale è compatibile con la zona industriale?

11 Mar 2014
11 Marzo 2014

Nella sentenza n. 283/2014 il T.A.R. Veneto conferma chela localizzazione di un esercizio commerciale in zona industriale è pienamente legittima e che il giudice amministrativo può sindacare questa scelta solo se manifestamente priva di razionalità o logicità: “Sul punto risulta dirimente constatare come la scelta di prevedere nella zona industriale anche insediamenti commerciali costituisce espressione di una discrezionalità amministrativa, nell’ambito della quale sussiste un consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude il sindacato di questo Tribunale (per tutti si veda Consiglio di Stato sez. IV n. 3663/11 del 16/06/2011).

E' utile, infatti, ricordare come sul punto sia applicabile quel costante orientamento giurisprudenziale (da ultimo di veda T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, 06-03-2013, n. 483) nella parte in cui ha sancito che... "le prescrizioni urbanistiche impartite nell'esercizio della potestà pianificatoria sono espressione di ampia discrezionalità nel definire la tipologia delle utilizzazioni delle singole parti del territorio e le scelte effettuate, e che riguardando il merito dell'azione amministrativa, non sono sindacabili, salvo che risultino incoerenti con l'impostazione di fondo dell'intervento pianificatorio o manifestamente incompatibili con le caratteristiche oggettive del territorio ovvero ancora affette da vizi macroscopici di logicità e razionalità riconducibili all'alveo dell'eccesso di potere"”. 

dott. Matteo Acquasaliente

Un immobile condonato non è, per ciò solo, anche agibile

10 Mar 2014
10 Marzo 2014

Lo ribadisce la sentenza del Tar Veneto n. 284 del 5/3/2014, avente ad oggetto, tra le altre cose, più provvedimenti di diniego di agibilità relativi ad immobili condonati a residenza ai sensi della legge n. 326/2003 (il terzo condono).

I dinieghi del Comune si fondavano essenzialmente sulla mancanza delle condizioni di salubrità ed igiene necessarie ai fini della agibilità, commisurate anche a quanto disposto dal DM del Ministero della Sanità del 1975 di attuazione del R.D. n. 1265 del 1934.

La questione sorge essenzialmente alla luce della previsione dell’art. 35 comma 20 della L. 47/1985 (sul primo condono), secondo cui: “A seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, …”.

La sentenza è di interesse perchè conferma in modo inequivocabile la lettura costituzionalmente orientata secondo cui il D.M. del 1975 pur rivestendo la veste formale di fonte secondaria, deve qualificarsi come “integrativa” di fonte di rango primario in virtù del rinvio disposto dall'art. 218 del R.D. del 1934, e di conseguenza inderogabile anche in relazione ad immobili oggetto di condono.

 “2.3 Nel caso di specie l’Amministrazione aveva rilevato che le caratteristiche dei locali poste al piano interrato non consentono la permanenza ai fini abitativi di persone in quanto non possiedono le caratteristiche minime previste dal TULS e dal DM 05/07/1975.

[…].

2.4 E’ da rigettare anche il secondo motivo, laddove si sostiene che il DM del 05/07/1975 non possa essere considerato una disposizione di rango primario, in quanto le prescrizioni relative all’illuminazione e all’aerazione dei locali sarebbero di competenza di appositi regolamenti comunali.

2,5 Sul punto si ritiene che parte ricorrente non abbia dimostrato l’esistenza dei presupposti per discostarsi da quel tradizionale e consolidato orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda Consiglio di Stato n. 3034/2013) nella parte in cui si è stabilito che “ai sensi dell'art. 35 comma 20, l. 28 febbraio 1985, n. 47 il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato conseguente al condono edilizio può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti le condizioni di salubrità richieste da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere eccezionale e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale”.

2.6 Ne consegue che in caso di istanza di condono edilizio, il rilascio del certificato di agibilità può avvenire in deroga soltanto alle norme di tipo secondario e/o regolamentare, ma non anche in deroga alle disposizioni normative di fonte primaria e o di legge.

2.7 L’esistenza di detto principio è stato confermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 256/1996 nella parte in cui si è evidenziato che il Comune nel rilasciare il certificato di agibilità deve verificare, non solo che siano rispettate le disposizioni di cui al Testo Unico delle leggi sanitarie, ma ancora deve accertare la sussistenza dei presupposti previsti da altre disposizioni di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali.

2.8 Questo Collegio ritiene, pertanto, di confermare l’orientamento sopra citato nella parte in cui sancisce che le disposizioni di cui al D.M.5 luglio 1975 integrino una normativa di rango primario, in virtù del rinvio disposto dall'art. 218 del r.d. 27 luglio 1934 n. 1265”.

Sulla questione si veda anche la sentenza dello stesso TAR n.  201/2014, pubblicata su questo sito in data 3 marzo 2014.

 Avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 284 del 2014

Nella licenza di agibilità affinché scatti il silenzio assenso è necessario che sussistano effettivamente tutti i presupposti previsti dalla legge

10 Mar 2014
10 Marzo 2014

Questo principio viene opportunamente  puntualizzato nella sentenza del Tar Veneto n. 284 del 5/3/2014.

Va aggiunto che a maggior ragione ciò vale alla luce dell’introduzione, ad opera dell’art. 30, comma 1, lett. h) Decreto del Fare (D.L. 69/2013, convertito nella L. 98/2013), di un procedimento di “autocertificazione” dell’agibilità, che ora si trova disciplinato nell’art. 5 bis dell’art. 25 del D.P.R. 380/2011.

 “1.1 E’, in particolare, infondato il primo motivo del ricorso, mediante il quale si sostiene l’avvenuta formazione del silenzio assenso, ai sensi di quanto previsto dall’art. 25 del Dpr 380/2001, con riferimento all’istanza di rilascio di certificato di agibilità.

1.2 Sul punto risulta dirimente constatare come l’Amministrazione comunale avesse inoltrato alla ricorrente una richiesta di documentazione integrativa che, come è possibile evincere dal contenuto del preavviso di rigetto del 18/11/2011, non era stata compiutamente ottemperata.

1.3 Nemmeno è possibile convenire con l’argomentazione in base alla quale si sostiene che si trattava di documentazione facilmente reperibile dall’Amministrazione o, ancora, del tutto irrilevante per l’accoglimento dell’istanza di agibilità di cui si tratta.

1.4 L’Amministrazione aveva, infatti, richiesto un chiarimento circa l’incongruenza tra la dichiarazione di regolare allacciamento fognario e la dichiarazione di ultimazione delle opere oggetto di condono e, nel contempo, la documentazione relativa al rispetto della prevenzione incendi, quest’ultima - è lecito desumere - particolarmente rilevante nell’ipotesi di locali interrati come sono quelli in esame.

2. Ciò premesso è possibile ritenere che il termine per la formazione del silenzio assenso sia stato interrotto dalla richiesta di integrazione sopra citata, ritenendo sul punto applicabile quanto previsto dall’art.

25 del Dpr 380/2001.

2.1 E’, inoltre, necessario rilevare che per un costante orientamento giurisprudenziale la fattispecie del silenzio assenso, in materia di agibilità, trova il suo fondamento nell’effettiva sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla legge per il rilascio della licenza.

 Avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 284 del 2014

Il conflitto di interessi nella votazione dei piani va autodichiarato o ricercato dalla P.A.?

10 Mar 2014
10 Marzo 2014

Nella medesima sentenza n. 283/2014 il T.A.R. Veneto chiarisce che, in presenza di possibili conflitti di interesse, l’Amministrazione deve solo prendere atto delle dichiarazioni effettuate dai singoli consiglieri, non competendo alla stessa alcun ulteriore onere istruttorio: “4.1 L’esame dell’art. 78 sopra citato contraddice le tesi di parte ricorrente.

Detta disposizione, infatti, non può non essere interpretata nel senso di prevedere che sia lo stesso consigliere a dichiarare l’esistenza del conflitto di interessi potenziale, con l’obbligo di quest’ultimo dal partecipare alle deliberazioni.

4.2 Una volta adempiuto a detto obbligo nessun ulteriore onere è possibile evincere dal testo della disposizione sopra citata nei confronti dell’Amministrazione che, evidentemente, non può essere chiamata a verificare l’esistenza di situazioni di incompatibilità non espressamente dichiarate”. 

dott. Matteo Acquasaliente

Come funziona l’astensione dei consiglieri comunali nella votazione dei piani urbanistici

10 Mar 2014
10 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza n. 283 del 05 marzo 2014, si occupa di numerose questioni legate al Piano degli Interventi del Comune di Vicenza, le quali verranno analizzate nei seguenti post.

Per quanto concerne le possibili ipotesi di conflitto di interesse dei consiglieri comunali, il Collegio ritiene che sia l’art. 78 del D. Lgs. n. 267/200 sia l’art. 41 dello Statuto comunale di Vicenza impongono ai consiglieri di astenersi nelle singole c.d. votazioni “parziali” o “frazionate”, ma non nella votazione finale: “2.1 Le argomentazioni di parte ricorrente sono smentite da numerose pronunce giurisprudenziali (per tutti si veda Cons. Stato Sez. IV, Sent., 16-06-2011, n. 3663) nella parte in cui hanno sancito l’ammissibilità di votazioni separate in caso di situazioni di incompatibilità dei Consiglieri chiamati a votare lo strumento urbanistico.

2.2 Detta giurisprudenza ha sancito, in sostanza, come sia sufficiente l’astensione dei consiglieri nella votazione frazionata e, ancora, la legittimità di un’ approvazione dello strumento urbanistico per parti separate, con l'astensione per ciascuna di esse di coloro che in concreto si trovino in una situazione di incompatibilità, purché a ciò segua una votazione finale dello strumento nella sua interezza.

In detta ultima votazione deve ritenersi che non si applichino le cause di astensione, dal momento che sui punti specifici oggetto del conflitto di interesse, si è già votato senza la partecipazione dell'amministratore in conflitto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2004, nr. 4429 e Consiglio di Stato sez. IV del 16/06/2011 n. 3663).

2.3 Sempre con riferimento al primo motivo va rilevato come non si ritiene che sussista la violazione dell’art. 41 comma 5 dello Statuto del Comune di Vicenza.

2.4 L’esame di detta norma, unitamente al disposto di cui all’art. 78 sopra citato, consente di ritenere come lo Statuto del Comune di Vicenza, nell’ipotesi in cui disciplina il regime delle astensioni nelle votazioni, non possa che riferirsi ad un ambito di applicazione analogo a quello del Testo Unico degli Enti Locali sopra citato e, quindi, diretto ad escludere l’obbligo di astensione di cui si tratta nelle ipotesi di approvazione di provvedimenti normativi o di carattere generale”.

 dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 283 del 2014

Consiglio di Stato: differenza tra atto di rettifica e variante ad uno strumento urbanistico approvato

07 Mar 2014
7 Marzo 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 1036 del 2014.

Scrive il Consiglio di Stato: "...ai fini dell’inquadramento di un atto amministrativo non assume rilievo dirimente l’autoqualificazione datane dall’amministrazione emanante, dovendosi invece aver riguardo al suo contenuto sostanziale ed alla funzione da esso perseguita, si osserva che l’istituto della rettifica consiste nella eliminazione di errori ostativi o di errori materiali in cui l’amministrazione sia incappata, di natura non invalidante ma che diano luogo a mere irregolarità. Affinché ricorra un’ipotesi di errore materiale in senso tecnico-giuridico, occorre che esso sia il frutto di una svista che determini una discrasia tra manifestazione della volontà esternata nell’atto e volontà sostanziale dell’autorità emanante, obiettivamente rilevabile dall’atto medesimo e riconoscibile come errore palese secondo un criterio di normalità, senza necessità di ricorrere ad un particolare sforzo valutativo e/o interpretativo, valendo il requisito della riconoscibilità ad escludere l’insorgenza di un affidamento incolpevole del soggetto destinatario dell’atto in ordine alla corrispondenza di quanto dichiarato nell’atto a ciò che risulti effettivamente voluto. Né alla rettifica si può far luogo oltre un congruo limite temporale, onde non pregiudicare la certezza dei rapporti, specie in caso di incidenza pregiudizievole sulla situazione giuridica del destinatario dell’atto.

Con particolare riguardo alla materia urbanistica, una rettifica delle previsioni del piano urbanistico comunale adottato/approvato è ammissibile solo in presenza di un errore materiale nel senso sopra chiarito, il quale abbia inciso nella fase di redazione e/o assemblaggio dei diversi atti che formano lo strumento urbanistico, senza che lo stesso abbia influito sulla scelta urbanistica sottostante, dovendo la divergenza esistente tra previsioni solo apparentemente diverse dello strumento pianificatorio essere risolvibile per mezzo dell’individuazione, sulla base di un vincolato procedimento logico, di una soluzione univoca che s’imponga in modo manifesto ed immediato dalla lettura della documentazione del piano, senza dover ricorrere ad alcuna attività di interpretazione della volontà dell’amministrazione deliberante.

Si aggiunga che, per consolidato orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio di Stato, il provvedimento di rettifica è espressione di una funzione amministrativa di contenuto identico, seppure di segno opposto, a quella esplicata in precedenza. Tale funzione deve, dunque, articolarsi secondo gli stessi moduli già adottati, senza i quali rischia di risultare monca o, comunque, difettosa rispetto all’identica causa del potere, sicché l’amministrazione è tenuta a porre in essere un procedimento omologo, anche per quel che concerne le formalità pubblicitarie, di quello a suo tempo seguito per l’adozione dell’atto modificato, richiedendosi una speculare, quanto pedissequa, identità dello svolgimento procedimentale (v. in tal senso, per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2306)...".

geom. Daniele Iselle

sentenza CDS 1036 del 2014

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