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La Corte Costituzionale respinge le eccezioni sul piano casa della Sardegna: considerazioni estensibili anche al Veneto?

17 Mar 2014
17 Marzo 2014

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 46 del 2014, ha respinto le questioni di costituzionalità riguardanti la legge sarda sul piano casa.

I principi affermati possono valere anche per il Veneto? Probabilmente si, ma bisogna valutare la questione con un po' di attenzione, perchè la Regione Sardegna è a statuto speciale e ha competenza esclusiva in materia urbanistica (a differenza della Regione Veneto, che ha una competenza solo concorrente con quella statale). 

Ma cosa ha detto la Corte?

Per quanto riguarda la lamentata lesione dei poteri dei comuni e lo svuotamento della pianificazione: ".....deve escludersi che la norma censurata violi gli artt. 117 Cost. e 3, primo comma, dello Statuto speciale della Regione Sardegna, in ragione del suo asserito contrasto con il «sistema della pianificazione», che assegna in modo preminente ai Comuni, quali enti locali più vicini al territorio, la valutazione generale degli interessi coinvolti nell’attività urbanistica ed edilizia.

L’art. 117 Cost. – il cui terzo comma attribuisce alle Regioni potestà legislativa concorrente in materia di «governo del territorio» – è parametro, per questo verso, inconferente alla luce della “clausola di maggior favore” dettata dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). L’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto riconosce, infatti, alla Regione Sardegna una autonomia più ampia di quella risultante dalla norma costituzionale generale, attribuendole potestà legislativa primaria, ossia piena, nella materia dell’«edilizia ed urbanistica», entro la quale si colloca la norma censurata.

Quanto, poi, al parametro statutario, anche riconoscendo che il «sistema della pianificazione» – evocato, peraltro, dal rimettente in modo del tutto generico, senza alcun riferimento alle relative fonti normative – assurga a «principio dell’ordinamento giuridico della Repubblica» e ad espressione degli «interessi nazionali», limitando perciò l’esplicazione della competenza legislativa regionale di cui discute, è dirimente il rilievo che il principio in questione non potrebbe ritenersi così assoluto e stringente da impedire alla legge regionale – che è fonte normativa primaria, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali – di prevedere interventi in deroga quantitativamente, qualitativamente e temporalmente circoscritti, come quelli di cui si discute.

Al riguardo, deve infatti escludersi che la norma censurata assuma una vera e propria valenza “eversiva” del «sistema di pianificazione», così come sostiene il rimettente. Gli incrementi volumetrici, in deroga agli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici, sono infatti da essa consentiti – in via straordinaria e temporanea e con modalità specifiche, diverse a seconda delle tipologie di fabbricati – solo su edifici già esistenti e che si presuppongono conformi alle predette previsioni urbanistiche (essendo espressamente esclusi, come detto, gli edifici abusivi), nonché alla condizione – verificabile dai competenti organi comunali ai fini dell’eventuale esercizio del potere inibitorio delle opere dopo la presentazione della DIA – che gli incrementi stessi «si inseriscano in modo organico e coerente con i caratteri architettonici del fabbricato esistente» e costituiscano «strumento per la riqualificazione dello stesso in relazione alla tipologia edilizia interessata».

Specifiche ipotesi di interventi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici sono state e sono, del resto, previste da numerose norme regionali – tanto di Regioni ordinarie che a statuto speciale – anche per finalità diverse dall’attuazione dell’intesa sul «piano casa» (quali, ad esempio, il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti o il sostegno a soggetti portatori di handicap): norme che questa Corte ha ritenuto censurabili non in assoluto, ma ove la deroga investa profili evocativi di specifici titoli di competenza legislativa esclusiva dello Stato, quale, in particolare, la disciplina delle distanze tra i fabbricati posta dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, rientrante nella materia dell’«ordinamento civile» (al riguardo, ordinanza n. 173 del 2011). Ipotesi, questa, non riscontrabile – né dedotta – nel caso in esame.

8.– Considerazioni analoghe valgono anche ad escludere la configurabilità della denunciata violazione degli artt. 117, sesto comma, ultimo periodo, e 118 Cost., per avere la norma censurata «esautorato» i Comuni delle loro competenze in tema di pianificazione urbanistica: materia qualificabile, in assunto, come «funzione fondamentale» dei Comuni stessi e, in quanto tale, oggetto di legislazione esclusiva dello Stato (ai sensi della lettera p dell’art. 117, secondo comma, Cost.).

A prescindere da ogni altro rilievo – e, in particolare, dalla circostanza, trascurata dal rimettente, che lo statuto di autonomia riconosce alla Regione Sardegna potestà legislativa primaria, non solo in materia di «edilizia ed urbanistica», ma anche di «ordinamento degli enti locali» (art. 3, lettera b) e stabilisce, altresì, il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative (art. 6) – non si può comunque addebitare alla norma denunciata, così come ritiene il giudice a quo, di aver “svuotato” le funzioni comunali in tema di pianificazione urbanistica, posto che essa si limita a consentire ampliamenti volumetrici di edifici esistenti ad una certa data in deroga agli indici massimi di fabbricabilità, collegati a specifici presupposti e circoscritti in limiti ben determinati".

Per quanto riguarda la Vas: "9.– Insussistente è anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., connessa, secondo il rimettente, al fatto che la norma denunciata consentirebbe deroghe alla pianificazione comunale anche in assenza della valutazione ambientale strategica (VAS), richiesta dalla direttiva n. 2001/42/CE, recepita con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

Analogamente a quanto già rilevato da questa Corte in ipotesi similari, si deve in effetti escludere che la disposizione censurata eluda la disciplina considerata. Essa regola, infatti, soltanto i profili urbanistici degli interventi di ampliamento, senza recare alcuna clausola di esclusione dell’applicabilità della normativa sulla VAS: normativa che, d’altra parte, essendo di portata generale, trova applicazione nei casi da essa previsti senza necessità di uno specifico richiamo (sentenza n. 168 del 2010, con riferimento alla valutazione di impatto ambientale; con riguardo alla VAS, sentenza n. 251 del 2013)". 

geom. Daniele Iselle

sentenza Corte Costituzionale n. 46 del 2014

Le slides di Travaglini per il convegno del 14 marzo

17 Mar 2014
17 Marzo 2014

Pubblichiamo le slides del dott. Roberto Travaglini di Confindustria Vicenza, illustrate durante il convegno di Vicenza per i geometri del 14 marzo 2014 su perequazione e titoli edilizi, ringraziando sentitamente l'autore

emozioni

Perequazione_Geometri_14.03.2014

Perequazione_Geometri_14.03.2014

07 Promenade

La_vetrina_dei_titoli_edili_14.03.2014

La_vetrina_dei_titoli_edili_14.03.2014

A proposito di pompeiane e di pertinenze

17 Mar 2014
17 Marzo 2014

Il Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza del 31.10.2013 n. 5265, si sofferma sulla definizione di pompeiana chiarendo che la tettoia è un’opera edilizia ben diversa dalle pompeiane: “Dal punto di vista tecnico-giuridico la pompeiana, a prescindere dai materiali usati e dalle concrete categorie applicative (porticato, pergolato, gazebo, berceau, dehor), è caratterizzata dal dover essere una struttura costruttiva leggera e aperta, la cui copertura (teli, rampicanti, assi distanziate) deve consentire di fare filtrare l’aria e la luce, assolvendo a finalità di ombreggiamento e di protezione nel passaggio o nella sosta delle persone, in soluzione di continuità con lo spazio circostante e senza creare interruzione dimensionale dell’ambiente in cui è installata.

L’aspetto tipico di essa, in sintesi, risiede nella mancanza di pareti e di una copertura integrale assimilabile ad un tetto o solaio, che si viene invece a concretizzare con una copertura impermeabile in polietilene o tegole e quant’altro che la faccia configurare come volume edilizio”.

Inoltre, per quanto il concetto di pertinenza urbanistica evidenzia che: “La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato - preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non indurre un ulteriore carico urbanistico e da non avere una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede (Cass. Pen., sez. III, 24 marzo 2010, n. 24241; Cons. Stato, sez. V, 18 aprile 2001, n. 2325; sez. VI, 8 marzo 2000, n. 1174).

Nella specie, l’intervento innovativo contestato dal Comune, non semplicemente conservativo e manutentivo della pompeiana in asserita pertinenza con la villa, viene invece a realizzare una diversa connessione fisica e una mutata strumentalità funzionale, che deve ricondursi non alla nozione di servizio ma a quella di integrazione della diversa attività d’uso cui accede, in quanto tale implicante il previo rilascio del permesso di costruire finalizzato alla nuova essenza configurata dell’immobile (Cons. St., sez. IV, 25 maggio 2011, n. 3134; sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5515).

Deriva da ciò, come sostenuto dal Comune, la trasformazione urbanistica ed edilizia della pompeiana in una struttura (chiosco) permanentemente fissa e coperta a servizio della pizzeria-ristorante, necessitante, alla stregua di pacifica giurisprudenza, del permesso di costruire per le ragioni incrementative prima precisate dell’assetto del territorio” e che: “Nella specie, per stessa ammissione, parte dell’area a verde e del piazzale destinati urbanisticamente a servizio durevole e ornamento dell’edificio principale (tipo villa), è stata trasformata con l’espediente della pompeiana tamponata e coperta da PVC e in un “...chiosco...punto di somministrazione esterno di bevande utilizzato nell’ambito dell’attività...”.

Orbene, una siffatta struttura costituisce opera del tutto nuova per consistenza e funzione ad integrazione della pizzeria-ristorante, la quale ne viene per l’effetto ampliata sia dal punto di vista della volumetria utile, sia della superficie commerciale (Cons. Stato, sez. I, 6 maggio 2013, n. 1193)”. 

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 5265 del 2013

Il Consiglio di Stato va per la sua strada sugli oneri specifici

17 Mar 2014
17 Marzo 2014

Se il T.A.R. Veneto con le sentenze n. 299/2014 e n. 301/2014, commentate nel post del 13 marzo 2014, riteneva di aver chiarito in modo definitivo l’obbligatorietà di indicare i costi da rischio specifico nelle gare pubbliche, il Consiglio di Stato, sez. III, nella sentenza del 04 marzo 2014 n. 1030, sembra pensarla diversamente.

Il Massimo organo della Giustizia Amministrativa, peraltro, non appare particolarmente limpido: all’inizio esclude che vi sia l’obbligo di indicare questi costi per i servizi ricompresi nell’allegato IIB del Codice Appalti mentre, nella parte finale della motivazione, sembra estendere questa regola a tutti gli appalti su servizi e/o forniture: “Sotto un primo profilo va osservato che l’offerta è stata redatta in conformità ad un modello all’uopo predisposto dalla stazione appaltante ed allegato al bando al fine di agevolare ed uniformare la compilazione, da utilizzarsi con carattere di doverosità e non recante, pur nella sua articolazione, alcuno spazio destinato allo scorporo indicazione della voce di spesa in argomento.

Inoltre, come dato atto dal T.A.R. con statuizione non oggetto di contestazione, la procedura concorsuale riguarda un servizio compreso fra quelli elencati all’ allegato II B del d.lgs. n. 163 del 2006 per i quali, ai sensi dell’art. 20 del d.lgs. medesimo, trovano applicazione gli artt. 65, 68 e 225 del d.lgs. in questione. Ciò esclude che la disciplina di gara possa ricevere, indipendentemente da specifico richiamo in essa, immediata integrazione con le previsioni dettate dall’art. 86 sulla specificazione dei costi di sicurezza afferenti alla prestazione dedotta in rapporto.

La disciplina di gara, non oggetto di impugnazione, ha invero rimesso alla scelta facoltativa della ditta partecipante di predisporre in sede di offerta economica una relazione recante le giustificazioni delle diverse voci di prezzo, comprensive anche del rispetto delle norme vigenti in materia di sicurezza e condizioni di lavori ed, in tale sede, ha fatto richiamo agli artt. 86 ed 87 del d.lgs. n. 163 del 2006 sui poteri di verifica dell’affidabilità e congruità dell’offerta.

Siffatta scelta non è elusiva dalla regola di separazione dei costi di sicurezza da quelli che concorrono nell’offerta economica, ma ne ha solo posticipato la verifica nel procedimento di accertamento della congruità dell’offerta nel suo complesso

Le offerte delle imprese prima e seconda classificata per il lotto 1 sono state redatte conformemente alla regolamentazione di gara e non presentano incertezze nel contenuto quale richiesto dalla disciplina stessa, né violano una previsione del d.lgs. n. 163 del 2006 immediatamente cogente, ove si consideri che la regola di specificazione o separata indicazione dei costi di sicurezza, ai sensi dell’art. 86 del citato d.lgs., opera in via primaria nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici in sede di predisposizione delle gare di appalto e di valutazione dell’anomalia, con la conseguenza che l’assenza di scorporo nel quantum fin dalla fase di presentazione dell’offerta non può risolversi in causa di esclusione dalla gara, anche alla luce dei criteri di tassatività della cause espulsive previsti dall’art. 46, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163 del 2006.

Va quindi confermato l’indirizzo della Sezione in base al quale nel caso di appalti non aventi ad oggetto l'esecuzione di lavori pubblici — nei cui confronti si applica la norma dettata ad hoc dall'art. 131 d.lgs. n 163 del 2006 — ed il cui bando di gara non contenga una comminatoria espressa, l'omessa indicazione nell'offerta dello scorporo matematico degli oneri di sicurezza per rischio specifico non comporta di per sé l'esclusione dalla gara, ma rileva ai soli fini dell'anomalia del prezzo offerto, nel senso che, per scelta della stazione appaltante, il momento di valutazione dei suddetti oneri non è eliso, ma è posticipato al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta nel suo complesso (Cons. St., sez. III, n. 4070 del 18 ottobre 2013)” (n.d.r. in realtà si tratta della sentenza n. 5070 del 18.10.2013 commentata nel post del 24.10.2013). 

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3010 del 2014

Costi da rischio specifico: neanche il pensiero del T.A.R. Napoli concorda con quello del TAR Veneto

17 Mar 2014
17 Marzo 2014

Il T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, nella sentenza del 12 marzo 2014 n. 1492, conferma quell’orientamento giurisprudenziale che, seppur non condiviso dal T.A.R. Veneto e da parte del Consiglio di Stato, ritiene che la stazione appaltante non possa legittimamente escludere dalla gara la ditta che non abbia indicato gli oneri di sicurezza aziendale, se sono proprio gli atti di gara a non prevederli: “6. Ritenuto che, conformemente a condivisibile precedente giurisprudenziale, nell'ipotesi in cui la lex specialis nulla abbia specificato in ordine all'onere d'indicare, a pena di esclusione, i costi di sicurezza aziendale, l'esclusione della ditta che abbia omesso tale indicazione verrebbe a colpire, in contrasto con i principi di certezza del diritto, di tutela dell'affidamento e del favor partecipationis, i concorrenti che hanno presentato un'offerta perfettamente conforme alle prescrizioni stabilite dal bando e dall'allegato modulo d'offerta, per cui la stazione appaltante, in osservanza del suddetto principio del favor partecipationis, deve ammettere a partecipare alla procedura di evidenza pubblica la medesima ditta (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. I, 22 novembre 2013, n. 1254);

7. Infatti, seppure l’articolo 86, comma 3 bis del decreto legislativo 163 del 2006 obbliga gli enti aggiudicatori a predisporre le gare d’appalto e a valutare l’anomalia delle offerte tenendo conto della congruità e sufficienza, tra l’altro, dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere espressamente indicati nelle offerte, la disposizione normativa individua espressamente come sue destinatarie le stazioni appaltanti che sono pertanto obbligate, innanzitutto, a prevedere, nel disciplinare di gara, che le offerte economiche rechino la espressa indicazione dei costi della sicurezza aziendale; quindi, nell’ambito del procedimento di valutazione della anomalia delle offerte, le stazioni appaltanti dovranno verificare la congruità e l’adeguatezza degli oneri per la sicurezza; la disposizione, peraltro, analogamente alla norma recata dall’articolo 87, comma 4 del medesimo codice, non contempla espressamente l’omessa indicazione, nell’offerta economica, dei costi della sicurezza aziendale tra le cause di esclusione automatiche dalle procedure di affidamento;

8. Ne deriva che, indubbiamente, la mancanza di esplicita previsione nella lettera di invito e nel disciplinare di gara dell’obbligo di indicazione, nell’offerta economica, dei costi per la sicurezza, costituisca violazione degli articoli 86 e 87 del decreto legislativo 163 del 2006 da parte, innanzitutto, della stazione appaltante, responsabile della redazione del bando e del disciplinare di gara;

tale illegittimità, peraltro, non può pregiudicare le ragioni dell’impresa che abbia riposto legittimo affidamento nella regolamentazione della gara disposta dalla stazione appaltante, redigendo un’offerta economica perfettamente conforme a quanto richiesto;

9. L’esclusione di tale impresa, oltre che in violazione del principio del legittimo affidamento, non tiene conto della norma di cui all’articolo 46 comma 1 bis del codice dei contratti pubblici, laddove sono indicate le cause tassative di esclusione;

tra le cause di esclusione, l’articolo 46 comma 1 bis contempla il mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal regolamento o da altre disposizioni di legge vigenti;

sebbene una interpretazione estremamente rigorosa, condivisa anche da una parte della giurisprudenza, ritenga che la mancata indicazione dei costi della sicurezza aziendale possa ricadere tra le cause di esclusione tassativamente previste, con implicita integrazione in tal senso del bando, ricorrendo inadempimento alle richiamate prescrizioni del codice, con particolare riferimento agli articoli 86 e 87, a giudizio del Collegio tale interpretazione non può essere condivisa, dovendosi ritenere che il principio della tassatività delle cause di esclusione imponga alle stazioni appaltanti, quantomeno, di indicare espressamente e chiaramente tali cause di esclusione, soprattutto qualora, come nella fattispecie, la causa di esclusione applicata non sia chiaramente e esplicitamente prescritta dalla legge o dal regolamento, ma sia ricavabile, in via interpretativa, da una norma disciplinante la diversa questione della verifica delle anomalie, nell’ambito di una disposizione che individua come destinataria di essa non già l’impresa offerente, bensì la stazione appaltante;

10. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, verificato altresì che, nel caso concreto, l’interpretazione della norma sostenuta dalla commissione di gara ha comportato l’esclusione dalla procedura della quasi totalità delle imprese partecipanti, deve ritenersi che il provvedimento impugnato sia stato adottato in violazione dei principi del legittimo affidamento e della certezza del diritto”.  

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Napoli n. 1492 del 2014

L’origine del motto “No taxation without representation”

14 Mar 2014
14 Marzo 2014

L’art. 12 della Magna Charta Libertatum, ovvero  del provvedimento che il re d’Inghilterra Giovanni Plantageneto (noto come Giovanni Senzaterra) fu costretto a concedere ai baroni del Regno, il 15 giugno 1215, per quanto ivi interessa, recitava: “No scutage not aid shall be imposed on our kingdom, unless by common counsel of our kingdom”, ovvero nessuna imposta può essere applicata dal Re se non è stata approvata dal concilio del Regno.

Questo principio è stato poi trasfuso nel principio americano “no taxation without representation

Quando gli Stati Uniti d’America erano ancora un insieme di tredici piccole colonie inglesi situate nella parte nord-orientale del continente americano, infatti, l’Inghilterra, dissanguata economicamente dalla ‘Guerra dei sette anni,’ impose ai sudditi americani una serie di tasse per rimpinguare le casse statali.

Intrise di cultura illuministica e consapevoli che il consenso dei contribuenti nella determinazione delle imposte era uno dei cardini tradizionali della libertà inglese fin dai tempi della Magna Charta, le tredici colonie rifiutarono il pagamento delle tasse e posero l’alternativa di inviare i propri rappresentanti al Parlamento di Londra o di essere esonerati da ogni tassa non approvata dai loro rappresentanti.

Il principio era uno: “No taxation without representation”, nessuna tassa senza rappresentanza.

Questo principio ha dato poi il via alla guerra d’indipendenza che culminò, il 4 luglio del 1776, nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America.

Da allora questo principio ha permesso la nascita dapprima dello Stato liberale e poi di quello democratico e sociale.

Nel nostro Stato questo principio è stato codificato nell’art. 23 della Costituzione italiana secondo cui: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. 

dott. Matteo Acquasaliente

Nei reati urbanistici possono eventualmente concorrere anche i dirigenti dell’area tecnica comunale

14 Mar 2014
14 Marzo 2014

L’art. 44, lett. a), del d.P.R. n. 380/2001 prevede una fattispecie contravvenzionale di mera condotta a forma libera, che mira a sanzionare con l'ammenda fino a 10329 euro, “l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalita' esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonche' dai  regolamenti  edilizi,  dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire”.

L'art. 27 del d.P.R. n. 380/2001, a sua volta, prevede l'obbligo di vigilanza ed individua una posizione di controllo; non costituendo, però, fattispecie autonoma di reato né determinando responsabilità a titolo di concorso; tale norma, inoltre, non determina un obbligo giuridico di impedire l'evento descritto nella lettera a) dell'art. 44 del d.P.R. n. 380/2001.

La Corte di Cassazione Penale con la sentenza n. 7765 del 19 febbraio 2014, ha affermato che: “Nei reati urbanistici possono eventualmente concorrere anche gli organi pubblici deputati al controllo sugli interventi di trasformazione del suolo posti in essere da privati (vedi già — con riferimento al previgente art. 6 delle legge n. 47/1985 — Cass., sez. III: 23.2.1987, Pezzoli e 21.9.1988, Maglione) e l'ipotesi più frequente di concorso con i soggetti che si trovino in possesso delle particolari qualità soggettive indicate dall'art. 29 del T.U. dell'edilizia è quella del rilascio di un atto amministrativo illegittimo per contrasto con disposizioni di legge o di regolamento ovvero con le previsioni degli strumenti urbanistici.

La responsabilità penale a titolo di concorso nel reato edilizio [essendo stata ritenuta la possibilità di ravvisare contestualmente anche il delitto di abuso di ufficio ex art. 323 cod. pen.] può configurarsi non soltanto a carico del soggetto che rilascia l'atto abilitativo illegittimo ma anche nei confronti di funzionari pubblici che svolgano in modo dolosamente infedele attività di carattere istruttorio nel procedimento amministrativo finalizzato al rilascio del titolo (vedi: Cass., sez. V, 18.12.1991, Morroni e, con riferimento ad un'ipotesi di lottizzazione abusiva, Cass., sez. III, 14.6.2002, Drago). L'ipotesi più frequente di concorso del funzionario pubblico nel reato edilizio è caratterizzata dalla presenza di un comportamento infedele per dolo, ma non può escludersi la possibile corresponsabilità del funzionario anche in relazione a condotte meramente colpose e questa Corte ha già ritenuto possibile configurare una illegittimità parziale di una concessione edilizia (limitata alle sole opere contrastanti con il regolamento edilizio) come fonte di responsabilità penale degli operatori pubblici che abbiano contribuito a darvi causa per inosservanza della norma regolamentare, ex art. 17, lett. a), della legge n. 10/1977 (vedi Cass., sez. III, 10.1.1984, Tortorella).

L'esistenza di una "posizione di garanzia che trova il proprio fondamento normativo nell'art. 40 cod. pen." è stata inoltre ravvisata, nei confronti del dirigente dell'area tecnica comunale che abbia rilasciato una concessione edilizia illegittima”.

Dott.ssa Giada Scuccato

Linee guida per l’applicazione dell’indennizzo da ritardo nella conclusione dei procedimenti ad istanza di parte

14 Mar 2014
14 Marzo 2014

Sulla GU n.59 del 12-3-2014 è stata pubblicata la DIRETTIVA 9 gennaio 2014 del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, recante "Linee guida per l'applicazione «dell'indennizzo da ritardo nella conclusione dei procedimenti ad istanza di parte». (14A01976)".

Linee guida indennizzo da ritardo

La natura tecnico-discrezionale della valutazioni di anomalia dell’offerta

14 Mar 2014
14 Marzo 2014

Infine, nella sentenza n. 293/2014, il T.A.R. chiarisce che le valutazioni effettuate dalla stazione appaltante nel procedimento di valutazione dell’anomalia delle offerte sono valutazioni tecnico-discrezionali sindacali in sede giurisdizionale soltanto per vizi manifesti di logicità e ragionevolezza: “Osserva, infatti, il Collegio che, per giurisprudenza consolidata, le valutazioni compiute dalla stazione appaltante, nell’ambito del sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta vincitrice di una gara pubblica, comportano l’esercizio di un potere tecnico-discrezionale di per sé insindacabile in sede giurisdizionale, eccetto che nei casi di manifesta illogicità, irragionevolezza o travisamento dei fatti, i quali, tuttavia, non sono rinvenibili nella fattispecie in esame, non potendo le singole voci di scostamento, rilevate dalla società ricorrente, inficiare la validità del giudizio compiuto dalla commissione giudicatrice che, come noto, ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme, essendo finalizzato ad accertare se l’offerta nel suo complesso sia attendibile e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto.

A ritenere diversamente, ogni eventuale discostamento dai parametri di riferimento comporterebbe una sorta di automatismo nella valutazione dell’anomalia, la quale, invece, si fonda sulla verifica, di natura tecnico-discrezionale e insindacabile in sede giurisdizionale se non nei descritti limiti, dell’attendibilità delle giustificazioni prodotte che diano conto della complessiva serietà dell’offerta”. 

dott. Matteo Acquasaliente

Nell’A.T.I. verticale ogni impresa deve dimostrare solo la qualificazione tecnico-professionale delle prestazione che svolge

14 Mar 2014
14 Marzo 2014

Nella stessa sentenza n. 293/2014 i Giudici affermano che, in presenza di un’A.T.I. verticale, per le società mandanti è sufficiente possedere i requisiti di capacità di qualificazione tecnico-professionale collegate con le attività con le attività che le stesse svolgeranno in concreto: “Con il quarto mezzo di gravame, l’impresa ricorrente asserisce che il R.T.I. controinteressato sarebbe dovuto essere escluso dalla procedura di gara, perché le mandanti Skill s.c.a.r.l. e S.T. s.r.l. non risulterebbero in possesso del requisito di capacità tecnica e professionale di cui al paragrafo 7.4, punto D.1.1, del disciplinare.

Il motivo è privo di fondamento.

Osserva, infatti, il Collegio che, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, la succitata disposizione della lex specialis ha espressamente disposto che il tale requisito di capacità - il quale, è bene rilevare, afferisce la gestione, conduzione e manutenzione degli edifici - debba essere posseduto, nelle percentuali ivi indicate, dalle sole imprese del controinteressato R.T.I. che hanno assunto l’impegno di svolgere le attività di cui al richiamato punto D.1.1 del disciplinare.

Nel caso di specie non risulta che le due società mandanti del costituendo R.T.I. siano coinvolte nell’esecuzione di tali attività (essendo la società Skill s.c.a.r.l. incaricata del solo servizio di pulizia, mentre la S.T. s.r.l. delle attività afferenti le reti di fonia/dati e gli impianti telefonici e fotovoltaici) e, pertanto, non erano obbligate a dover comprovare, a pena d’esclusione dalla procedura di gara, il possesso di tale requisito di qualificazione.

Sotto altro aspetto, occorre nondimeno rilevare che l’assenza in capo alle società Skill s.c.a.r.l. e S.T. s.r.l. del requisito in esame appare coerente con la struttura verticale del raggruppamento d’imprese di cui esse fanno parte, nel quale è sufficiente che ciascuna impresa dimostri il possesso dei requisiti di qualificazione concernenti le sole prestazioni assunte”. 

dott. Matteo Acquasaliente

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