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I terzi possono contestare DIA e SCIA “esclusivamente” nel modo previsto dall’art. 19, comma 6 ter, della l. 241/90

24 Gen 2013
24 Gennaio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 12 del 2013 contiene un interessante esame dei rimedi spettanti aim terzi che intendono contestare una DIA o una SCIA.

Scrive il TAR: "Ritiene il Collegio che nella specie debba trovare applicazione ratione temporis, in considerazione dell’epoca in cui i ricorrenti hanno presentato il ricorso (escludendosi così la riferibilità temporale al momento in cui la d.i.a. si è perfezionata), quale norma di contenuto processuale, la nuova disciplina di cui all’art. 19, comma 6 ter della l. 241/90.
Orbene, per effetto della disciplina così introdotta è stata definitivamente chiarita la natura della dichiarazione di inizio attività e con essa la disciplina del rimedio assegnato al terzo per la tutela della propria posizione nei confronti degli interventi eseguiti in conseguenza della d.i.a.: è stato quindi previsto che "la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31 commi 1, 2 e 3 D.L.vo 2 luglio 2010 n. 104".
L'utilizzo dell'avverbio "esclusivamente" ha escluso ogni dubbio circa la tipologia di azione esperibile.
Non è quindi accoglibile la ricostruzione di parte ricorrente, così come prospettata quale petitum principale, nel momento in cui si impugna il silenzio negativo (come se si fosse in presenza di un provvedimento tacito) e, nel contempo, propone un'azione di condanna (c.d. di adempimento) dell'Amministrazione all'esercizio del potere inibitorio.
La modifica legislativa sopra ricordata si è quindi discostata, almeno in parte, dall'impostazione dell'Ad. plen. n. 15 del 2011 e, ciò, nella parte in cui l'eventuale silenzio della stessa Amministrazione non può più configurare un'ipotesi di provvedimento tacito di diniego dell'adozione del provvedimento restrittivo.
Ne consegue che il soggetto, terzo ed eventualmente leso, non può impugnare un provvedimento che in realtà non è mai venuto materialmente in esistenza, essendo, com'è tutt'ora, obbligato a presentare un'apposita istanza finalizzata a sollecitare l'Amministrazione affinché questa stessa svolga un'ulteriore fase procedimentale e istruttoria.
Il controinteressato potrà quindi validamente attivare il proponimento di un'istanza di provvedere e di un successivo, ed eventuale, ricorso avverso l'inerzia amministrativa e, ciò, ai sensi di quanto previsto dall'art. 31 Cod. proc. amm.
L’art. 19, comma 6-ter, consente pertanto al terzo che si reputa leso dalla presentazione della DIA/SCIA una sola modalità di tutela (a tale proposito la parola <<esclusivamente>> è stata introdotta in sede di conversione del decreto
legge), vale a dire la sollecitazione all’esercizio delle verifiche spettanti all’Amministrazione e, in caso di inerzia di quest’ultima, la proposizione dell’azione prevista dall’art. 31 del D.Lgs. 104/2010, cioé l’azione contro il silenzio della Pubblica Amministrazione.
Ne consegue che, affinchè possa configurarsi il silenzio dell’amministrazione, suscettibile di dare avvio all’azione disciplinata dall’art. 31 c. p.a., il terzo deve aver “sollecitato” l’amministrazione ad esercitare i poteri di verifica ed eventualmente interdittivi.
Tale sollecitazione deve a sua volta risultare idonea a porre in capo alla P.A. l’obbligo di esercitare i propri poteri di verifica e correlativamente a configurare, in caso di inerzia della P.A. stessa, un silenzio inadempimento, giuridicamente rilevante, censurabile davanti al giudice amministrativo con l’azione di cui all’art. 31 del D.Lgs. 104/2010.
A questo punto, prima di valutare l’idoneità della comunicazione presentata dai ricorrenti al fine di sollecitare il Comune ad intervenire in ordine ai lavori intrapresi dalla controinteressata, il Collegio deve esaminare l’eccezione di illegittimità costituzionale formulata dalla difesa istante con riguardo alla disciplina contenuta nell’art. 19, comma ter, eccezione che tuttavia non ritiene fondata, non rilevandosi i profili di contrasto con i principi contenuti nella Carta costituzionale ed in particolare con quelli di garanzia della difesa processuale delle parti.
Invero, va al riguardo osservato come da un lato, la nuova disciplina abbia inteso assicurare ai soggetti che effettuano la dichiarazione di inizio attività, nell’ottica della semplificazione amministrativa, una garanzia di affidamento, per cui, una volta decorsi i termini di legge dal momento della presentazione della d.i.a., la posizione del dichiarante si consolida, dando luogo alla legittimità dell’intervento denunciato in assenza dell’esercizio da parte dell’amministrazione del tempestivo
esercizio dei poteri interdittivi (salvo in ogni caso, entro le ipotesi previste normativamente, l’esercizio dei poteri di autotutela).
Nella composizione degli opposti interessi e con particolare riguardo alla posizione del terzo controinteressato, che si assume leso dall’esecuzione dell’intervento effettuato a seguito della d.i.a., non è ravvisabile una compromissione dei diritti di difesa, in quanto comunque è consentito al terzo l’avvio del procedimento per sollecitare l’intervento verificatorio da parte dell’amministrazione ed eventualmente repressivo, benché mediante il solo strumento del silenzio.
Non appare quindi pregiudicata in modo sostanziale e in termini di contrasto con i principi costituzionali la posizione del terzo, da cui l’infondatezza dell’eccezione pregiudiziale sollevata dalla difesa istante.
Passando quindi ad esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dalla difesa resistente, in considerazione dell’inidoneità delle comunicazioni effettuate dai ricorrenti a sollecitare l’esercizio dei poteri di verificazione della natura degli interventi in corso di esecuzione per effetto della d.i.a. presentata dalla controinteressata ed eventualmente dei poteri repressivi degli abusi accertati, ritiene il Collegio che l’eccezione sia infondata e quindi il ricorso sia da considerarsi ammissibile.
Invero, dal tenore delle due comunicazioni, effettuate rispettivamente in data 18 e 22 novembre 2011, se è possibile ritenere che in occasione della prima, gli interessati abbiano in principal modo interso richiedere all’amministrazione l’espletamento di un sopralluogo, al fine di verificare la conformità delle opere alla dichiarazione n. 299/11 (con riguardo al rispetto della distanza delle scala dai confini e la larghezza della scala stessa), appare invece inequivocabile la volontà di sollecitare l’esercizio dei poteri di verifica ed eventuale interdizione dei lavori in corso di esecuzione come emergente dalla comunicazione risalente al 22 novembre, ove è stata fatta espressa richiesta di interruzione dei lavori, rilevando l’incidenza delle opere su parti condominali e che gli interventi erano stati avviati senza il necessario consenso dei condòmini.
Il tenore di tale comunicazione appare quindi esplicito e quindi idoneo a costituire la sollecitazione di cui all’art. 19 comma 6-ter citato".

sentenza tar Veneto 12 del 2013

Corte Costituzionale: le Regioni non possono derogare in via generale alle distanze previste dal D.M. 1444 del 1968

24 Gen 2013
24 Gennaio 2013

Lo ribadisce la sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 23 gennaio 2013.

Scrive la Corte: "....Come ricorda correttamente l’ordinanza di rimessione, questa Corte ha già affermato che la regolazione delle distanze tra i fabbricati deve essere inquadrata nella materia «ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 114 del 2012, n. 173 del 2011, n. 232 del 2005). Infatti, tale disciplina attiene in via primaria e diretta ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi e ha la sua collocazione innanzitutto nel codice civile. La regolazione delle distanze è poi precisata in ulteriori interventi normativi, tra cui rileva, in particolare, il citato d.m. n. 1444 del 1968. Tuttavia, la giurisprudenza costituzionale ha altresì chiarito che, poiché «i fabbricati insistono su di un territorio che può avere rispetto ad altri – per ragioni naturali e storiche – specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda – ed in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso – esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici» (sentenza n. 232 del 2005), la cui cura è stata affidata alle Regioni, in base alla competenza concorrente in materia di «governo del territorio», ex art. 117, terzo comma, Cost.

Per queste ragioni, in linea di principio la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella materia dell’ordinamento civile e, quindi, attiene alla competenza legislativa statale; alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio. Dunque, se da un lato non può essere del tutto esclusa una competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici, dall’altro essa, interferendo con l’ordinamento civile, è rigorosamente circoscritta dal suo scopo – il governo del territorio – che ne detta anche le modalità di esercizio. Pertanto, la legislazione regionale che interviene in tale ambito è legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di carattere urbanistico, rimettendo l’operatività dei suoi precetti a «strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 232 del 2005).

Le norme regionali che, disciplinando le distanze tra edifici, esulino da tali finalità, ricadono illegittimamente nella materia «ordinamento civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Il punto di equilibrio tra la competenza legislativa statale in materia di «ordinamento civile» e quella regionale in materia di «governo del territorio», come identificato dalla Corte costituzionale, trova una sintesi normativa nell’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che la Corte costituzionale ha più volte ritenuto dotato di «efficacia precettiva e inderogabile, secondo un principio giurisprudenziale consolidato» (sentenza n. 114 del 2012; ordinanza n. 173 del 2011; sentenza n. 232 del 2005). Quest’ultima disposizione consente che siano fissate distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche». Le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono, dunque, consentite nei limiti ora indicati, se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio.

La norma regionale censurata infrange i principi sopra ricordati, in quanto consente espressamente ai Comuni di derogare alle distanze minime fissate nel d.m. n. 1444 del 1968, senza rispettare le condizioni stabilite dall’art. 9, ultimo comma, del medesimo decreto ministeriale, che, come si è detto, esige che le deroghe siano inserite in appositi strumenti urbanistici, a garanzia dell’interesse pubblico relativo al governo del territorio. La disposizione regionale impugnata, al contrario, autorizza i Comuni ad «individuare gli edifici» dispensati dal rispetto delle distanze minime. La deroga non risulta, dunque, ancorata all’esigenza di realizzare la conformazione omogenea dell’assetto urbanistico di una determinata zona, ma può riguardare singole costruzioni, anche individualmente considerate...".

Sentenza Corte Costituzionale 6 del 2013

 

Seminario di Confindustria Vicenza sul MEPA

23 Gen 2013
23 Gennaio 2013

Il decreto legge 7 maggio 2012, n. 52, “disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica”, ha esteso a tutte le amministrazioni pubbliche l'obbligo di utilizzare il Mercato Elettronico, istituito ai sensi dell’articolo 328 del D.P.R. n. 207 del 2010 (www.acquistinretepa.it), ovvero altri mercati elettronici, per effettuare acquisti di beni o forniture di servizi di valore inferiore alla soglia di rilievo comunitario.

L'impatto della norma sulle procedure poste in essere dalle amministrazioni pubbliche è rilevante: cambiano le modalità di effettuare indagini di mercato, indagini dei prezzi, richieste di offerta, valutazioni e aggiudicazioni. Da ultimo, cambiano anche i possibili fornitori rispetto a quelli normalmente individuati mediante l’albo curato da ciascuna amministrazione.

Confindustria Vicenza organizza un seminario sul tema martedì 12 febbraio 2013 (ore 9-13).

L’incontro si propone, in modo concreto e operativo, di fare il punto sullo stato dell’arte, mostrando le modalità di utilizzo del Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione messo a disposizione da CONSIP Spa.

L’incontro sarà tenuto dall’ing. Francesco Porzio, già dirigente CONSIP nella Direzione Acquisti in Rete della Pubblica Amministrazione, esperto di appalti e riduzione della spesa pubblica.

Pubblichiamo al locandina e il modulo di adesione.

Seminario MEPA_pa

Aggiornamento del Piano Regionale di Tutela e Risanamento dell’Atmosfera

23 Gen 2013
23 Gennaio 2013

Sul BUR n. 9 del 22 gennaio 2012 è stata pubblicata la deliberazione della Giunta Regionale n. 2872 del 28.12.2012, recante "Aggiornamento del Piano Regionale di Tutela e Risanamento dell'Atmosfera. Adozione del Documento di Piano, del Rapporto ambientale, del Rapporto ambientale - sintesi non tecnica. D.Lgs. n. 152/2006 s.m.i, D.Lgs 155/2010"

DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N. 2872 del 28/12/2012

Quali attivitĂ  commerciali si possono fare all’interno delle stazioni di servizio (a proposito di legislatore insipiente)

23 Gen 2013
23 Gennaio 2013

 Il D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, contenente “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012 n. 27, all’art. 1 prevede che: “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in attuazione del principio di libertà di iniziativa economica sancito dall'articolo 41 della Costituzione e del principio di concorrenza sancita dal Trattato dell'Unione europea, sono abrogate, dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 3 del presente articolo e secondo le previsioni del presente articolo:

    a) le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell'amministrazione comunque denominati per l'avvio di un’attività economica non giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario nel rispetto del principio di proporzionalità;

    b) le norme che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite, nonché' le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l'avvio di nuove attività economiche o l'ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi, ovvero impediscono, limitano o condizionano l'offerta di prodotti e servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalità, ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici oppure limitano o condizionano le tutele dei consumatori nei loro confronti.

  2. Le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all'accesso ed all'esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale, con l'ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica”.

 

Nonostante l’asserita abrogazione delle normative che prevedono dei limiti numerici/quantitativi alle attività economico-commerciali, all’art. 17, c. 4, del medesimo Decreto Legge si prevede che: “All'articolo 28 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sono apportate le seguenti modificazioni:

    a) il comma 8 è sostituito dal seguente:

      "8. Al fine di incrementare la concorrenzialità, l'efficienza del mercato e la qualità dei servizi nel settore degli impianti di distribuzione dei carburanti, è sempre consentito in tali impianti:

      a) l'esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b), della legge 25 agosto 1991, n. 287, fermo restando il rispetto delle prescrizioni di cui all'articolo 64, commi 5 e 6, e il possesso dei requisiti di onorabilità e professionali di cui all'articolo 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59;

      b) l'esercizio dell’attività di un punto di vendita non esclusivo di quotidiani e periodici senza limiti di ampiezza  della superficie dell'impianto e l'esercizio della rivendita di tabacchi, nel rispetto delle norme e delle prescrizioni tecniche che disciplinano lo svolgimento delle attività di cui alla presente lettera, presso gli impianti di distribuzione carburanti con una superficie minima di 500 mq;

      c) la vendita di ogni bene e servizio, nel  rispetto della vigente normativa relativa al bene e al servizio posto in vendita, a condizione che l'ente proprietario o gestore della strada verifichi il rispetto delle condizioni di sicurezza stradale”.

Dunque, in base ad una interpretazione strettamente letterale, all’interno delle stazioni di servizio sono ammesse solamente le attività commerciali previste dall’art. 5, c. 1, lett. b), l. 25.08.1991 n. 287, ossia gli “esercizi per la somministrazione di bevande, comprese quelle alcooliche di qualsiasi gradazione, nonché' di latte, di dolciumi, compresi i generi di pasticceria e gelateria, e di prodotti di gastronomia (bar, caffè, gelaterie, pasticcerie ed esercizi similari)”, con le limitazioni previste dagli artt. 64 e 71 del D. Lgs. 59/2010 in tema di sorvegliabilità, di rispetto della normativa urbanistico-edilizia, igienico-sanitaria e di sicurezza nei luoghi di lavoro e dei requisiti professionali e di onorabilità

Al contrario, per altre attività similari o comunque strettamente connesse a quelle testé citate - tra cui quelle previste dall’art. 5, c. 1, lett. a), l 25.08.1991, n. 287 aventi ad oggetto gli “esercizi di ristorazione, per la somministrazione di pasti e di bevande, comprese quelle aventi un contenuto alcoolico superiore al 21 per cento del volume, e di latte (ristoranti, trattorie, tavole calde, pizzerie, birrerie ed esercizi similari)”- la possibilità di realizzarle all’interno delle aree di servizio è subordinata al rispetto dei limiti quantitativi e dimensionali previsti dalla l.r. Veneto 21 settembre 2007, n. 29 concernete la “Disciplina dell’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande”.

Quanto esposto è confermato dalla Deliberazione della Giunta Regionale n. 1010 del 05 giugno 2012, pubblicata nel BUR n. 49 del 26.06.2012.

Alla luce della normativa adottata nasce spontaneo un quesito: l’intenzione del legislatore non era di favorire la libertà di iniziativa economica sancita dalla Costituzione e dalle normative comunitarie abolendo ogni tipologia di restrizione alla libera concorrenza?

dott. Matteo Acquasaliente

DGRV n. 1010 del 2011

L’A.P. sul soggetto competente alla verifica dell’anomalia dell’offerta in una gara con l’offerta economicamente piĂą vantaggiosa

23 Gen 2013
23 Gennaio 2013

Le procedure di affidamento degli appalti pubblici di lavori servizi e forniture, si articolano in una serie di fasi finalizzate all’aggiudicazione a favore del soggetto miglior offerente, selezionato sulla base di criteri legislativamente stabiliti negli articoli 81 e 84 del D.Lgs n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) che sono il criterio del prezzo più basso e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa indicati nella delibera a contrarre e nel bando o lettera di invito.

Nella dinamica procedimentale volta all’aggiudicazione può accadere che l’offerta presentata dal partecipante alla gara appaia anormalmente bassa rispetto all’entità delle prestazioni richieste nel bando e cioè apparentemente troppo gravosa per l’offerente e molto conveniente per la P.A..

Ciò potrebbe suscitare il sospetto della scarsa serietà dell’offerta o di una non corretta esecuzione della prestazione contrattuale, laddove, l’offerta anomala, non consente di assicurare il conseguimento di un profitto anche se, occorre dirlo, non sempre un’offerta che consente un maggiore risparmio per la P.A. corrisponde ad una non esatta esecuzione della commessa pubblica.

Per superare le diffidenze che la presentazione di offerte a primo impatto anomale impone, il Codice dei contratti pubblici prevede la verifica di congruità dell’offerta volta a verificare la sostenibilità, l’attendibilità e reale convenienza.

L’obbiettivo di fondo è contemperare  due opposte esigenze: da un lato la convenienza della P.A. ad affidare l’appalto al prezzo più basso e dall’altro evitare l’esecuzione della prestazione al di sotto di un limite dettato dalle leggi del mercato a discapito di una corretta prestazione contrattuale con effetti distorsivi, tra l’altro anche sulla concorrenza.

Ma nell’ambito di una gara di appalto da aggiudicare, poniamo, col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, dopo la presentazione delle offerte e l’apertura delle buste chi procede ad individuare la cosiddetta soglia di anomalia?

A tal proposito gli operatori del diritto, prima dell’intervento chiarificatore dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, davano due risposte differenti.

Un primo filone individuava in capo alla commissione aggiudicatrice, costituita ex art. 84 del D.Lgs n. 163/2006, la competenza esclusiva ad effettuare ogni attività (tecnico – discrezionale) di carattere valutativo.

Un secondo filone riteneva che il responsabile unico del procedimento (R.U.P.) potesse verificare l’anomalia personalmente ovvero delegare a ciò la commissione aggiudicatrice.

Questa seconda risposta è stata condivisa dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 36/2012 che ha statuito come nelle gare d’appalto, da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sia legittima la verifica di anomalia dell’offerta eseguita, anziché dalla commissione aggiudicatrice, direttamente dal responsabile unico del procedimento avvalendosi degli uffici e organismi tecnici della stazione appaltante.

Infatti, anche nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’art. 121 del d.P.R. n. 207/2010 è attribuita al responsabile del procedimento la facoltà di scegliere, a seconda delle specifiche esigenze di approfondimento richieste dalla verifica, se procede personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione aggiudicatrice.

Con tale decisione la Plenaria ha respinto l’appello di una associazione temporanea di imprese altoatesina e confermato la sentenza di primo grado n. 193/2010 del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione autonoma di Bolzano, che aveva abbracciato il secondo filone interpretativo maggiormente aperto a valorizzare il ruolo del R.U.P. nella funzione di verifica e supervisione sull’operato della commissione.

Rocco Giacobbe Vaccari – Avvocato del Foro di Padova

adunanza plenaria 36 del 2012

Convegno organizzato da Venetoius sulla nuova legge regionale 50/2012 in materia di Commercio

22 Gen 2013
22 Gennaio 2013

Venetoius organizza per  venerdì 15 febbraio 2013 un convegno sulla nuova legge regionale in materia di commercio, con il patrocinio dei Comuni di Torri di Quartesolo e di Arzignano, come da locandina allegata.

Relatori saranno il prof. Giuseppe Piperata, il prof. Bruno Barel, l'avv. Guido Zago, il dott. Antonio Casella e l'arch. Fernando Lucato.

Il convegno si terrĂ  a Torri di Quatesolo, presso l'Hotel Piramidi, sala Cheope, via Brescia, 20.

La partecipazione è gratuita, ma, per ragioni organizzative è obbligatoriamente richiesta una preventiva adesione tramite e-mail al seguente indirizzo:

venetoius@hotmail.it

Pubblichiamo la locandina dell'evento

locandina convegno commercio TQ


 

La realizzazione di un vano scale coperto esterno non costituisce un volume tecnico

22 Gen 2013
22 Gennaio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 11 del 2013 si occupa di un caso nel quale il ricorrente, avendo realizzato due scalette esterne per accedere alla sottostante cantina, aveva realizzato abusivamente a copertura degli accessi due strutture prefabbricate in coppi, munite di apertura laterale mediante serramenti in alluminio e il quale aveva respinto una domanda di sanatoria per esubero della volumetria assentibile.

Scrive il TAR: "Va in primo luogo esclusa la pretesa riconducibilitĂ  degli interventi eseguiti dal ricorrente ai cd. volumi tecnici, come tali esenti da titolo autorizzatorio.
Invero, sono comunemente identificati quali volumi tecnici unicamente i manufatti che sono strettamente necessari a contenere gli impianti tecnici al servizio dell’edificio (impianto idrico, termico, televisivo, di parafulmini, di ventilazione), i quali, proprio per la suddetta funzione, non possono essere compresi, per esigenze funzionali, all’interno del corpo dell’edificio cui inseriscono: orbene, secondo un costante orientamento, i vani scale non costituiscono volumi tecnici, bensì volumi complementari a quelli dell’immobile adibito ad abitazione, né nel caso di specie è stata dimostrata la diversa funzione di contenimento di impianti tecnici; inoltre, va sottolineato come trattasi della copertura esterna, emergente dal terreno, dell’accesso alle scale.
Ne consegue che detto volume doveva essere considerato ai fini urbanistico-edilizi e quindi ai fini del computo della volumetria ammissibile all’interno dell’ambito di proprietà.
Ed è proprio con riguardo a tale profilo, evidenziato nel provvedimento impugnato, che la sanatoria non è stata concessa in ragione dell’accertato eccesso di volumetria, in osservanza del dettato di cui al’art. 39 n.t.a..
A tale riguardo va osservato come l’istruttoria compiuta dall’amministrazione sia stata eseguita in modo adeguato, essendo stata rilevata la dimensione e la funzione dei manufatti abusivamente realizzati in esubero rispetto alla volumetria già realizzata dal ricorrente.
In proposito va infatti evidenziato quanto rilevato nella scheda istruttoria (doc. 4 Comune), ove sono state esaurientemente descritte le caratteristiche strutturali e dimensionali dei due manufatti, posti a copertura dei due vani scale, nonché l’avvenuto superamento dei limiti di volumetria ammissibili per effetto di altre costruzioni realizzate nell’ambito di proprietà.
In merito ed a confutazione dell’obiezione della difesa ricorrente, che ha rilevato come sia stata citata da parte dell’amministrazione comunale documentazione attinente ad altra pratica edilizia (prot. n. 3456/1999, doc. n. 8 Comune), va osservato come tale documento n. 8 di parte resistente, sebbene riferito ad altra pratica, sia stato prodotto proprio a conferma dell’avvenuto superamento del volume consentito con riguardo ad altri precedenti interventi eseguiti nel medesimo ambito".

sentenza tar Veneto 11 del 2013

La risposta di cortesia può essere un atto non impugnabile

22 Gen 2013
22 Gennaio 2013

Le c.d. “risposte di cortesia” della Pubblica Amministrazione possono essere non suscettibili  di impugnazione, in primo luogo se sono meramente confermative di circostanze passate, non comprendono alcun elemento innovativo e si limitano ad esporre quale sia lo stato giuridico del rapporto; in secondo luogo se dalle stesse non ne scaturisce nemmeno una rinnovata istruttoria o una riponderazione degli interessi.

A stabilire ciò è il Consiglio di Stato, sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 24 che ritorna sull’argomento già affrontato nella sentenza Cons. Stato, sez. VI, 27 febbraio 2006, n. 826, ove si precisò che “Poiché la nota del presidente dell'A.R.S.S.A. con la quale è stata respinta la domanda del dipendente, di inquadramento nell'VIII qualifica funzionale, si risolve in una risposta di cortesia, volta a ribadire ad un soggetto dotato di specifica professionalità, su invito di quest'ultimo, le ragioni del diniego di reinquadramento già chiarite, nella loro essenza, all'interessato, tale atto, non avendo valenza autonomamente lesiva, non può considerarsi idoneo a riaprire il termine di legge, per l'impugnazione, ormai consumato.”. Nella motivazione della detta decisione, cui si fa rinvio, si ha cura di precisare, tra l’altro, che “Il diniego in realtà, non risulta conseguente ad alcuna rinnovata istruttoria, per la quale, del resto, neppure sussistevano i presupposti, dal momento che l'atto di diffida si era limitato a riprodurre, pedissequamente, l'elencazione delle mansioni già contenuta nella prima istanza, senza sottoporre alla valutazione dell'Amministrazione alcun elemento nuovo.”

dott.sa Giada Scuccato

sentenza cds 24 del 2013

Il potere sanzionatorio previsto dall’art. 27 d.P.R. n. 380 del 2001 ha portata generale

21 Gen 2013
21 Gennaio 2013

Il comma 2 dell'articolo 27 del D.P.R. 380 del 2001 stabilisce che: "Il dirigente o il responsabile, quando accerti l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilita', o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonche' in tutti i casi di difformita' dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi".

Tale disposizione, il cui coordinamento con gli articoli 31 e seguenti, è ancora tutto da chiarire, ha una evidente portata generale, che supera l'antica divisione tra abusi maggiori, soggetti a demolizione, e abusi minori (un tempo riferiti alle opere soggette ad autorizzazione edilizia), soggetti al pagamento di una sanzione pecuniaria.

Per esempio, il TAR, nella sentenza n. 22 del 2013, giĂ  allegata al post che precede, ha ritenuto tale articolo applicabile al caso di un caminetto che viola le prescrizioni del regolamento comunale.

Scrive il TAR: "Sul punto deve ritenersi applicabile quanto sancito dall’art. 27 d.P.R. n. 380 del 2001 laddove riconosce all'Amministrazione Comunale un generale potere di vigilanza e controllo su tutte le attività urbanistico-edilizie del territorio, ivi comprese quelle riguardanti immobili sottoposti a vincolo storico-artistico e impone l'obbligo, per il dirigente competente, di adottare immediatamente provvedimenti definitivi, al fine di ripristinare la legalità violata dall'intervento edilizio realizzato, mediante l'esercizio di un potere-dovere del tutto vincolato dell'organo comunale, senza margini di discrezionalità, diretto a reprimere gli abusi edilizi accertati (T.A.R. Campania Napoli Sez. III, 05-04-2012, n. 1647)
3.1 Se, infatti, la presentazione di un’istanza, attiva un interesse pretensivo in relazione al quale sussiste discrezionalità dell’Amministrazione nel concludere o meno il procedimento, una volta che nel corso degli accertamenti posti in essere, emergano difformità o abusi, il disposto di cui all’ artt. 27 e seguenti del D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia), impegna l'amministrazione competente ad avviare il procedimento di verifica della regolarità dei titoli abilitativi e/o della conformità dei manufatti realizzati ai progetti assentiti, e di conseguenza, ad adottare gli atti inibitori conseguenti all’esercizio di un’attività vincolata.
Solo nell’ipotesi in cui non emergano anomalie l’Amministrazione, non è tenuta ad adottare uno specifico atto o, al contrario, ad emanare un provvedimento di archiviazione (T.A.R. Marche Ancona Sez. I, 13 settembre 2012, n. 577 e T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 24 gennaio 2011, n. 693).
Nel caso di specie era stata proprio la Polizia Municipale di Padova che, nel corso del sopralluogo del 16/05/2009, aveva accertato la presenza “sul tetto di un comignolo in muratura a servizio di un caminetto a legna installato all’interno dell’appartamento della Sig.ra Caliceti. La distanza del comignolo dalla parete finestrata del sottotetto dell’esponente, oggetto di condono n. 7966/2004, risulta inferiore ai 10 metri previsti dal regolamento edilizio”.

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