Author Archive for: SanVittore

In materia di abusi edilizi esistono due fasi, una di diffida e una di valutazione della possibilità di irrogare una sanzione pecuniaria?

04 Feb 2013
4 Febbraio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 45 del 2013 offre l'occasione per verificare alcuni concetti interessanti in  materia di repressione degli abusi edilizi.

Il caso esaminato è quello di una sopraelevazione abusiva che aveva portato all’edificazione di un ulteriore piano in aggiunta ai due in precedenza esistenti. Il Comune ne ha ordinato la demolizione ex art. 31 DPR 380/2001.

La parte ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 34 dpr 380/2001, ritenendo che il Comune non avrebbe applicato la disciplina contenuta in detta norma, facendo riferimento al solo art. 31 e, in tal modo, non verificando se la demolizione potesse essere di pregiudizio alla parte residua del manufatto.

Il TAR ritiene infondata la censura, con la seguente motivazione: "Deve infatti ricordarsi che in materia di abusivismo edilizio, l'ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico- ricognitivo dell'abuso commesso, mentre il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell'abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (disciplinato dall'art. 33 comma 2, e 34 comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 - T.U. Edilizia) può essere effettuato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l'organo competente emana l'ordine di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso. Come ha affermato una recente pronuncia “soltanto nella predetta seconda fase non può ritenersi legittima l'ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione intorno all'entità degli abusi commessi e alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, così come previsto dagli artt. 33 comma 2, e 34 comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001. Valutazione che deve essere effettuata mediante apposito accertamento da parte dell'Ufficio Tecnico Comunale, d'ufficio o su richiesta dell'interessato (T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 4 aprile 2012, n. 3105)”.

La sentenza del TAR Lazio n. 3105 del 2012, citata dal TAR Veneto, a sua volta citava la sentenza del TAR Campania di Napoli n. 14156 del 2010, il quale aveva detto che: "il Tribunale ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale (cfr. Cons. di Stato sez. VI, n° 1055 del 28.2.2000; Cons. di Stato sez. V, n° 841 del 29.12.1987; T.A.R. Basilicata n° 921 del 29.11.2008; T.A.R. Umbria n° 453 del 18.9.2006; T.A.R. Basilicata n° 779/2005; T.A.R. Lazio-Roma n° 3327 del 17.4.2007; T.A.R. Lombardia-Brescia n° 2213 del 9.12.2002; T.A.R. Campania-Napoli n° 4703 del 26.10.2001) secondo cui “nel sistema sanzionatorio introdotto con la L. 28 febbraio 1985 n. 47 (e oggi integralmente trasfuso nel D.P.R. 380/2001) il primo atto del procedimento per la repressione di abusi edilizi è costituito dalla diffida dell'autorità comunale al responsabile dell'opera, perché demolisca, adeguandosi spontaneamente all'ordine di ripristino della legalità edilizia, restando all'amministrazione la successiva scelta della sanzione pecuniaria o della demolizione, in ragione delle concrete esigenze della fattispecie.”; con la conseguenza che l’ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico-ricognitivo dell’abuso commesso, mentre il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (disciplinato dagli artt. 33 co. 2 e 34 co. 2 D.P.R. 380/2001) può essere effettuato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l’organo competente emana l’ordine (questa volta non indirizzato all’autore dell’abuso edilizio, ma agli uffici e relativi dipendenti dell’Amministrazione competenti e/o preposti in materia di sanzioni edilizie) di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso: pertanto, soltanto nella predetta seconda fase non può ritenersi legittima l’ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione intorno all’entità degli abusi commessi ed alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, così come previsto dagli artt. 33 co. 2 e 34 co. 2 D.P.R. 380/2001; valutazione che deve essere effettuata mediante apposito accertamento da parte dell’Ufficio Tecnico Comunale, d’ufficio o su richiesta dell’interessato. Nella situazione qui in esame, si versa nella descritta prima fase, per cui legittimamente l’Autorità Amministrativa ha disposto la demolizione di quanto abusivamente realizzato".

In verità, questa linea interpretativa seguita dal TAR Campania non sembra trovare riscontro nell'art. 31 del DPR 380 del 2001, il quale prevede semplicemente un solo ordine di demolizione, a pena di acquisizione dell'immobile al patrimonio del Comune, con la conseguenza che, una volta avvenuta l'acquisizione, il vecchio proprietario non ha più titolo per discutere se la demolizione  possa essere sostituita da una sanzione pecuniaria ex art 34 (perchè la demolizione della parte difforme arrecherebbe pregiudizio alla parte conforme). Del resto, in casi simili probabilmente non c'è alcuna parte conforme che possa essere salvata.

Ricordiamo, invece, che l'articolo 34 del DPR 380 del 2001 sanziona le opere eseguite in parziale difformità, senza prevedere l'acquisizione del bene al patrimonio del Comune, ma solo la demolizione, che può essere sostituita dalla sanzione pecuniaria.

Ma che cosa aveva detto il Consiglio di Stato nella decisione n. 1055 del 2000, al quale il TAR Campania dice di ispirarsi? In quel caso era stata impugnata l'ordinanza del Sindaco di Pesaro con la quale era stata disposta la demolizione delle opere edilizie consistenti nella sopraelevazione delle coperture di un fabbricato, in quanto realizzate in difformità del progetto preordinato alla parziale ristrutturazione e manutenzione straordinaria dell'immobile. Quale motivo principale di gravame le ricorrenti adducevano che il Sindaco, pur avendo ritenuto i lavori abusivi solo parzialmente difformi dall'atto concessorio, ha però applicato il procedimento sanzionatorio previsto per le opere eseguite in assenza o in totale difformità.

E' in questo contesto di opere solo parzialmente difformi dal titolo che il Consiglio di Stato aveva affermato che: "Anche nel sistema sanzionatorio introdotto dalla L. n. 47/1985 (art. 12), come già nella L. n. 10/1977 (art. 15). il primo atto della procedura per l'ipotesi di opere realizzate in parziale difformità dalla concessione edilizia è rappresentato dall'ordine di demolizione rivolto nei confronti del responsabile dell'opera (parzialmente) abusiva acciocché provveda spontaneamente alla eliminazione della situazione illegittima posta in essere nel termine prefissato nella ordinanza sindacale (che in ogni caso non può superare i 120 giorni). Tale atto, avente natura di diffida - come è stato già messo in evidenza dalla giurisprudenza formatasi sul citato art. 12 (v. TAR Campania - Salerno 25 Luglio 1995, n. 406; TAR Toscana Sez. III, 10 marzo 1993, n. 84; TAR Valle d'Aosta 14 giugno 1991, n. 98) - riveste un ruolo essenziale e indefettibile nell'economia della procedura sanzionatoria, in quanto mira a ripristinare l'ordine giuridico violato con l'adesione volontaria dell'autore dell'abuso e dunque con il minimo impiego dei mezzi disponibili; esso è altresì prodromico alle valutazioni e alle determinazioni che l'Amministrazione dovrà adottare nell'eventualità che il destinatario non ottemperi spontaneamente. Più precisamente alla stregua dell'art. 12 l..47 l'Amministrazione è chiamata ad operare la scelta tra sanzione demolitoria e sanzione pecuniaria valutando preventivamente se la demolizione possa avvenire "senza pregiudizio della parte eseguita in conformità". Deve pertanto ritenersi illegittimo il provvedimento impugnato dall'odierno appellante con il quale l'Amministrazione ha disposto direttamente la demolizione anticipando così la scelta tra detta misura e la sanzione pecuniaria, senza però valutare se la demolizione delle opere abusive potesse compromettere la restante struttura. Invero, anche a voler ammettere che lo stesso atto di diffida possa già contenere la scelta della sanzione demolitoria, resta fermo che quest'ultima presuppone - in caso di difformità parziale - la previa valutazione circa la possibilità di scorporare le parti non conformi alla concessione edilizia. Nella fattispecie in esame una valutazione siffatta non è stata però operata né dalla Amministrazione comunale né dalla Soprintendenza, che si è limitata ad esprimere il proprio parere favorevole alla demolizione per il danno arrecato al contesto ambientale".

In effetti il ragionamento bifasico esplicitato dal Consiglio di Stato riguardava solo l'articolo 12 della L. 47 del 1985 (oggi trafuso nell'art. 34 del DPR 380 del 2001), riferito alla parziale difformità e non alla totale difformità o alla mancanza del titolo. La distinzione tra le due fasi può forse avere una sua  logica solo con riferimento a tale articolo, il quale stabilisce che se l'interessato non esegue l'ordine di demolizione, non succede niente altro che il Comune deve eseguire d'ufficio la demolizione (o applicare una sanzione pecuniaria sostitutiva, sempre che la valutazione sul punto non sia già stata fatta): non essendo prevista l'acquisizione del bene al patrimonio del Comune, si può dire che l'ordine di demolizione vale come diffida.

Dario Meneguzzo

sentenza Tar Veneto 45 del 2013

sentenza cds 1055 del 2000

La Provincia di Vicenza su PAI, PAT e zone di attenzione

04 Feb 2013
4 Febbraio 2013

In data 31 gennaio 2013, la Provincia di Vicenza ha emanato una nota riguardante i riflessi della adozione del PAI (delibera 3 del 9 novembre 2012 del Comitato Istituzionale) sui PAT in itinere.

Il problema sorge in relazione all'articolo 5 delle NTA, che disciplina le "Zone di attenzione", stabilendo che:

"ART. 5

Zone di attenzione

1. Sono definite “zone di attenzione” le porzioni di territorio ove vi sono informazioni di possibili situazioni di dissesto a cui non è ancora stata associata alcuna classe di pericolosità e che sono individuate in cartografia con apposito tematismo. L’associazione delle classi di pericolosità avviene secondo le procedure di cui all’art. 6.

2. Sono considerate pericolose nei territori per i quali non è stata ancora perimetrata e riportata su cartografia la perimetrazione della pericolosità :

a. le aree soggette a dissesto idraulico e/o geologico e/o valanghivo risultanti da studi riconosciuti dai competenti organi statali o regionali, ovvero da specifiche previsioni contenute negli strumenti urbanistici vigenti;

b. in assenza di studi o specifiche previsioni urbanistiche, le aree che sono state storicamente interessate da fenomeni di dissesto idraulico e/o geologico e/o valanghivo.

3. In sede di attuazione delle previsioni e degli interventi degli strumenti urbanistici vigenti, le amministrazioni comunali provvedono a verificare che gli interventi siano compatibili con la specifica natura o tipologia di dissesto individuata, in conformità a quanto riportato nell’art. 8.

4. In sede di redazione degli strumenti urbanistici devono essere valutate le condizioni di dissesto evidenziate e la relativa compatibilità delle previsioni urbanistiche. La verifica è preventivamente trasmessa alla Regione che, ove ritenga ne sussista la necessità, provvede all’avvio della procedura di cui all’art. 6 per l’attribuzione della classe di pericolosità."

La Provincia segnala che i PAt non ancora approvati dovranno essere integrati e, per quanto riguarda le zone di attenzione,  invita a prendere contati con l'Ufficio Difesa del Suolo della Regione Veneto.

Il rischio è che tale ufficio si intasi.

PAI_Provincia_31_gen_2013

L’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti ricorre alla Corte Europea dei diritti dell’uomo contro il contributo unificato

04 Feb 2013
4 Febbraio 2013

L’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti ha valutato con grande preoccupazione le recenti norme della legge di stabilità sul contributo unificato.
In particolare, il co. 25 dell’art. 1 di tale legge stabilisce che nel contenzioso in tema di affidamento di lavori servizi e forniture “il contributo dovuto è di euro 2.000 quando il valore della controversia è pari o inferiore ad euro 200.000; per quelle di importo compreso tra euro 200.000 e 1.000.000 il contributo dovuto è di euro 4.000 mentre per quelle di valore superiore a 1.000.000 di euro è pari ad euro 6.000».
Inoltre il co. 27 dell’art. 1 della legge 228/2012 stabilisce che anche nel giudizio amministrativo il contributo è aumentato della metà per i giudizi di impugnazione.
Ad aleggiare, rimane infine la disposizione di cui al nuovo comma 1 quater dell’art. 13 del DPR 115/2002 secondo cui “quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis”.
Se a ciò si aggiunge che il contributo unificato deve essere corrisposto anche per ogni ricorso per motivi aggiunti (la cui proposizione è spesso necessaria per non pregiudicare l’impugnazione già proposta) e per il ricorso incidentale (fondamentale strumento di difesa nel giudizio in tema di appalti), ogni commento pare superfluo.
Un’ampia fascia di appalti pubblici (quelli piccoli e medi) rischia di essere sottratta a possibili contestazioni giudiziarie.
La diminuzione dei ricorsi – specie in tema di appalti – è già oggettiva e sarà ulteriormente accelerata.
Peraltro, mentre per il CNF – ai fini delle parcelle dei legali - il valore delle cause in tema di appalti è (al più) pari al 10% dell’importo dell’appalto (come nel recente parere del CNF inviato all’Ordine di Padova), il legislatore invece si preoccupa di specificare – al co. 26 dell’art. 1 l. 228 – che il valore è l’importo a base d’asta: due pesi e due misure.
L’ Associazione ha dunque ritenuto di agire avanti alla Corte di Strasburgo per far constare la surrettizia (ma incontrovertibile) violazione del diritto a un ricorso effettivo combinata con la violazione di fatto del diritto di accesso a un tribunale (si tratta degli articoli 6 e 13 della Convenzione).
Altrettanto rilevante è poi la violazione della convenzione di Strasburgo del 1999 sulla lotta alla corruzione, perché viene compromessa la possibilità di un ricorso effettivo in grado di far valere le ragioni di chi sia leso da gare pubbliche in ipotesi artefatte.
Il ricorso alla Corte Europea, accompagnato dalla richiesta di misure cautelari, è stato proposto dall’Associazione con il patrocinio degli avvocati Ivone Cacciavillani e Giuseppe Carraro.

Pubblichiamo una nota che evidenzia gli effetti incongrui della nuova disciplina del contributo unificato.

Esempio effetti incongrui nuova disciplina contributo unificato

Pubblichiamo una copia del ricorso (che è stato redatto in lingua francese).

Ricorso Corte Europea

Le violazioni di lieve entità del regolamento edilizio non rendono illegittimo il titolo edilizio?

01 Feb 2013
1 Febbraio 2013

Lo afferma il TAR Veneto nella sentenza n. 44 del 2013.

Scrive il TAR: "Analogamente deve essere rigettato anche il terzo motivo. Anche qui parte ricorrente si limita ad affermare, senza apportare alcun elemento di prova a conforto, la violazione dell’art. 66 del Regolamento Edilizio laddove si sanciscono dei precisi limiti in materia di lunghezza e larghezza dei “poggioli”. Deve inoltre essere rilevato come dette variazioni in relazione al progetto presentato, in considerazione della lieve entità, anche laddove fossero dimostrate, non sarebbero suscettibili di determinare l’illegittimità della concessione impugnata, ma integrerebbero una violazione di prescrizioni e modalità, in quanto tale, suscettibile di essere autonomamente sanzionata".

La prospettiva è interessante, ma bisognerebbe capire meglio come si distinguano le violazioni di lieve entità dalle altre e come può il Comune sanzionarle, se esse sono "coperte" da un titolo edilizio non illegittimo (e, quindi, non annullabile).

In alternativa, non si potrebbe pensare a una illegittimità parziale (limitata ai poggioli) e non dell'intero titolo edilizio?

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 44 del 2013

La comunicazione di avviso di avvio del procedimento (art. 7 della L. n.241/90) è un atto endoprocedimentale non autonomamente impugnabile

01 Feb 2013
1 Febbraio 2013

Lo ribadisce il TAR Veneto con la sentenza n. 43 del 2013.

Scrive il TAR: "deve evidenziarsi, anche ai fini delle determinazione delle spese di giudizio, come parte ricorrente abbia impugnato una comunicazione di avviso di avvio del procedimento emanata ai sensi dell’art. 7 della L. n.241/90. L’esame del contenuto dell’atto impugnato, pur comprensivo dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, evidenzia il carattere endoprocedimentale – non autonomamente impugnabile - della nota in questione, finalizzata, com’è, ad attuare la partecipazione di parte ricorrente al procedimento così iniziato. Come insegna un costante orientamento giurisprudenziale “la comunicazione di avvio del procedimento, avente natura di atto endoprocedimentale, si colloca nella fase predecisoria con la quale la P.A. instaura una necessaria fase in contraddittorio con il privato. E così, con tale atto l'Amministrazione rende noto il proprio intendimento, peraltro provvisorio, di determinarsi con un riesame in autotutela consentendo alla parte titolare di una posizione giuridica evidentemente qualificata, di poter interloquire con l'Amministrazione stessa, rappresentando fatti e  prospettando osservazioni e valutazioni finalizzate alla migliore individuazione dell'interesse pubblico, concreto e attuale - alla cui unica cura deve essere indirizzata l'azione amministrativa - e ad un'adeguata ponderazione dello stesso con quello privato, onde far mutare eventualmente avviso all'Amministrazione medesima (T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, 29 aprile 2011, n. 3698)”.

In considerazione di questo, il TAR ha condannato il ricorrente a pagare le spese del giudizio, anche se tecnicamente il ricorso è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

sentenza 43 del 2013

Regole tecniche relative agli impianti condominiali centralizzati d’antenna riceventi del servizio di radiodiffusione

01 Feb 2013
1 Febbraio 2013

Sulla GU n.25 del 30-1-2013 è stato pubblicato il Decreto 22 gennaio 2013 del Ministero dello Sviluppo economico, recante "Regole tecniche relative agli impianti condominiali centralizzati  d'antenna riceventi del servizio di radiodiffusione. (13A00733)".

Ricordiamo che il comma 1 dell'art. 209  del DECRETO LEGISLATIVO 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche) stabilisce che: "I proprietari di immobili o di porzioni di immobili non possono opporsi alla installazione sulla loro proprieta' di antenne appartenenti agli abitanti dell'immobile stesso destinate alla ricezione dei servizi di radiodiffusione e per la fruizione dei servizi radioamatoriali". Il successivo comma 4 aggiunge che: " Gli impianti devono essere realizzati secondo le norme tecniche emanate dal Ministero".

L'articolo 11 del decreto stabilisce che: "E' abrogato il decreto ministeriale 11 novembre 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 271 del 21 novembre 2005".

Decreto 22 gennaio 2013

Informazioni logistiche aggiornate per il convegno del 15 febbraio 2013 sulla LR 50

31 Gen 2013
31 Gennaio 2013

1) SEDE: in conseguenza dell'elevato numero di adesioni già pervenute, la sede del convegno è stata spostata presso una sala del cinema The Space, in via Brescia 13 (centro commerciale Le Piramidi);

2) CREDITI FORMATIVI: il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Vicenza riconosce 4 crediti formativi;

3) QUESITI: sempre in considerazione del numero di partecipanti, è preferibile inviare eventuali quesiti in via anticipata, almeno 4 giorni prima del convegno, via e-mail, indicando il relatore a cui sono indirizzati;

4) PERCORSO STRADALE:  l’uscita autostradale più comoda è quella di Vicenza Est; davanti al casello, si percorre tutta la rotatoria verso sinistra, imboccando la tangenziale in direzione di Torri di Quartesolo, e si esce al centro Commerciale Piramidi; uscendo dal casello, quindi, non si devono seguire le indicazioni stradali che mandano a destra, verso Torri di Quartesolo, ma bisogna percorrere la rotatoria, fino a ritornare all'altezza del casello, seguendo le indicazioni per Padova - Tangenziale - Torri di Quartesolo; il cinema The Space è davanti all'Euro Brico, all'uscita Centro Commerciale (a circa 2 km dal casello);

5) ORARIO INIZIO: si invitano i partecipanti ad arrivare per tempo, intendendosi iniziare i lavori puntualmente alle 9.15.

Pubblichiamo la locandina aggiornata

locandina convegno commercio TQ aggiornata

Vincolo monumentale “diretto” su edifici e “indiretto” sull’area agricola di pertinenza

31 Gen 2013
31 Gennaio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 34 del 2013 decide l'impugnazione del decreto del 22.11.2011, con il quale il Direttore della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto ha dichiarato di interesse culturale particolarmente importante, ai sensi dell'art. 10, comma 3, lettera a) del d.lgs. 42/2004, il complesso immobiliare denominato "Corte San Francesco" in località San Francesco del Comune di Bussolengo e del contestuale decreto del 22.11.2011, con il quale il medesimo Direttore della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto ha imposto la tutela monumentale indiretta di cui all'art. 45 del d.lgs. 42/2004 sull'area di pertinenza del predetto complesso immobiliare "Corte San Francesco".

La sentenza esamina varie questioni relative a tali vincoli.

Scrive il TAR: "Prima di addentrarsi nell’esame del contenuto dei decreti definitivi di apposizione dei vincoli, è necessario premettere che, per un tradizionale orientamento giurisprudenziale (al quale questo Collegio ritiene di non discostarsi), la dichiarazione del valore storico, storico, artistico o etnoantropologico di un bene presuppone un giudizio di discrezionalità tecnica non sindacabile in sede di giudizio di legittimità, se non per vizi di eccesso di potere per errore nei presupposti o per manifesta illogicità (per tutti Consiglio di Stato Sez. VI, 22 Maggio 2008 n. 2430 e TAR Sardegna Cagliari Sez. II, 12 maggio 2011, n. 489).
2.1 Ne consegue che di fronte all’esercizio di un tale potere di merito, ampiamente discrezionale nei contenuti - e di esclusiva prerogativa dell'Amministrazione -, il sindacato esperibile in sede di giurisdizione risulta circoscritto alla verifica circa il  venire in essere di profili di incongruità ed illogicità che, in quanto tali, siano suscettibili di far emergere l'inattendibilità della valutazione tecnica-discrezionale compiuta.
2.2 E’, altresì, necessario premettere che l’art.10 del D.Lgs. 42/2004 distingue i beni culturali che possono essere oggetto del vincolo in due differenti categorie, riconducibili ai beni appartenenti allo Stato, alle Regioni o agli altri enti territoriali e, ancora, nei beni appartenenti ai privati. La stessa norma (al comma 3°) precisa come in relazione ai beni appartenenti ai privati il vincolo può essere imposto su cose immobili e mobili che presentano
interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico “particolarmente importante”, rinviando seppur implicitamente alla necessità di una specifica e motivata valutazione che dia conto dell’interesse a fondamento dell’apposizione di detto vincolo.
2.3 Il Comma 4 della lettera l) prevede, poi, che tra i beni elencati nel comma 3 lett.a), idonei ad assumere la qualificazione di beni culturali, rientrano anche le architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell’economia rurale e tradizionale.
Detti principi vanno applicati al caso di specie e con riferimento sia al vincolo indiretto (che è comunque strumentale e successivo) sia, ancora, al vincolo diretto che insiste su un manufatto ritenuto di interesse storico, archeologico e etnoantropologico.
3. Per quanto attiene l’apposizione del vincolo diretto, l’esame della relazione storico artistica della Soprintendenza permette di evidenziare la legittimità del provvedimento impugnato e, ciò, in considerazione dell’esistenza, e del rispetto, dei presupposti richiesti dalla disciplina sopra ricordata. La lettura della relazione a supporto del vincolo diretto, consente di desumere come siamo in presenza di una “Corte” di interesse storico, in quanto la stessa, ha origini settecentesche e nel suo interno esiste un oratorio dedicato a San Francesco d’Assisi di cui sarebbe stata autorizzata l’edificazione nel 1728. Sempre la relazione contiene la descrizione dei manufatti che, si compongono, tra l’altro, di un “campanile che si caratterizza per un’inconsueta pianta triangolare”. L’intero complesso per la Soprintendenza costituisce “un significativo esempio di insediamento agricolo storico…in grado di rappresentare le condizioni abitative, le attività quotidiane e le metodologie produttive di una civiltà contadina intimamente legata al territorio della pianura veronese, costituendo nell’insieme, un rilevante complesso architettonico di residenza edilizia di tipo rurale”.
E’ del tutto evidente come le argomentazioni sopra evidenziate consentono di evidenziare l’interesse storico e etnoantropologico dei manufatti. Si consideri ancora come detto valore storico deve ritenersi, seppur indirettamente, confermato dalle prescrizioni contenute nell’art. 17 del Piano d’area Quadrante Europa che, nel tutelare alcuni complessi storico architettonici, ricomprende anche l’antica Corte di San Francesco di cui si tratta.
Ne consegue che gli stessi manufatti, nel loro complesso, integrano il rispetto di quanto contenuto nell’art. 10 comma 4 lett.l), e, ciò, sulla base di quanto affermato dal contenuto della relazione tecnica, laddove quest’ultima precisa come la Corte San Francesco costituisca una “testimonianza dell’architettura tradizionale dell’economia rurale che ha caratterizzato le campagne veronesi in epoca preindustriale”.
4. L’esistenza di dette circostanze, il percorso motivazionale seguito, l’elenco delle caratteristiche sopra ricordate, permettono di individuare, altresì, l’interesse pubblico alla tutela dei manufatti e, quindi, di considerare legittimo l’esercizio del potere di discrezionalità tecnica sopra precisato che, come ricordato, prescinde da un’analisi, nel merito, delle caratteristiche del manufatto di cui si tratta per limitarsi al rispetto dell’impianto motivazionale e alla ragionevolezza e alla logicità dell’esercizio del potere. Il provvedimento di apposizione del vincolo diretto deve, pertanto considerarsi legittimo.
5. Le stesse conclusioni non possono, tuttavia, essere estese all’istruttoria e al percorso motivazionale seguito dall’Amministrazione nell’apposizione del vincolo “indiretto” che, in quanto disciplinato dall'art. 45 del d.lgs. n. 42/2004, si basa sull'esigenza che il bene oggetto del vincolo diretto (la Corte San Francesco) sia valorizzato, per il tramite delle aree oggetto del vincolo indiretto, nella sua complessiva prospettiva e cornice ambientale.
Secondo la relazione che accompagna il provvedimento, l’apposizione del vincolo indiretto sarebbe giustificata dal fatto che “il contesto agrario che testimonia il rapporto funzionale ed estetico esistente tra il complesso monumentale e le aree allo stesso più prossime, identifica altresì la cornice storica e tradizionale, il tramite visivo e prospettico alla percezione del bene culturale, ampiamente fruibile dalle principali direttrici e coni visuali imperniati sulle arterie stradali che definiscono i confini del fondo”.
5.1 Dette affermazioni devono ritenersi non solo generiche, ma ancor di più appaiono contrastanti con il territorio nel quale si inseriscono. Esse, infatti, ricomprendono aree dove sono presenti impianti industriali e commerciali di considerevoli dimensioni (e ciò per tre dei quattro confini propri della Corte) e, ancora, su un territorio che è lontano dalle strade più importanti e che, pertanto, non permetterebbe comunque il rispetto della fruibilità della percezione visiva del bene culturale di cui si tratta.
5.2 Altrettanto ingiustificata e gravosa è l’imposizione di estendere l’immodificabilità dell’area a tutti i 63 ettari, senza nessuna limitazione di sorta,
apponendo così un vincolo generalizzato su un’area comprensiva di diversi fondi e terreni agricoli. Sancire una prescrizione così ampia, così pregiudizievole per i diritti del proprietario, avrebbe richiesto una motivazione più articolata, idonea a specificare le ragioni a fondamento delle quali si ritenga indispensabile sottoporre a vincolo un’area così vasta e, ciò, introducendo un’opportuna differenzazione tra le aree circostanti alla Corte che, in quanto tali, hanno il solo aspetto in comune di appartenere allo stesso proprietario e di essere pertinenziali alla Corte San Francesco.
5.3 La stessa motivazione avrebbe richiesto una comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato, che consentisse di far comprendere le ragioni per l’imposizione di un vincolo, argomentazioni e ponderazioni che, al contrario, non sono presenti nel provvedimento impugnato né tantomeno nella relazione di accompagnamento. La stessa motivazione avrebbe richiesto l’indicazione delle ragioni che ritengono indispensabili ricomprendere tutti i fondi di cui si tratta,  precisando i motivi in base ai quali l’Amministrazioni ritiene che i coni visivi e le direttrici prospettiche non siano già state compromesse dai successivi interventi, rendendo del tutto inutile l’apposizione di un vincolo generalizzato, e di inedificabilità, su un’area già così modificata. Sul punto va, inoltre, rilevato che l'art. 45 (Prescrizioni di tutela indiretta) del Codice dei beni culturali e del paesaggio (che ripete la fattispecie sostanziale dell'art. 21 L. 1 giugno 1939, n. 1089 e poi dell'art. 49 D.Lgs. 29 ottobre 1999, n.  490) non stabilisce altra delimitazione spaziale che quella intrinsecamente funzionale alla sua causa tipica, che è di "prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro".
5.4 Dette considerazioni sono confermate da quell’orientamento giurisprudenziale che nel considerare ammissibile l’estensione del vincolo ad intere aree ha affermato che “è necessario, però, in tal caso, che i ruderi stessi costituiscano un complesso unitario ed inscindibile, tale da rendere indispensabile il sacrificio totale degli interessi dei proprietari e senza possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi, in ogni caso, che l'imposizione della limitazione sia sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse cui è preordinata (T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 29-05-2006, n. 6209)". E’ pertanto evidente che il provvedimento di imposizione del vincolo “indiretto” non solo deve indicare con precisione il bene oggetto del vincolo, ma altresì, il rapporto di complementarietà fra le misure limitative ed il fine pubblico perseguito, nonché le ragioni di adozione della misura limitativa, al fine di evitare che la compressione del diritto di proprietà che ne deriva si possa tradurre in un'inutile limitazione dello stesso (T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, 24 gennaio 2011, n. 93). Gli arresti dei giudici di merito sopra ricordati sono conformi con alcune pronunce
del Consiglio di Stato, laddove si è affermato il principio come sia "..illegittima l'imposizione di un vincolo posto a distanza notevole dal complesso archeologico, essendo in tale caso necessaria un'apposita congrua motivazione, autonoma rispetto a quella che sorregge l'imposizione del vincolo diretto, con riferimento all'ampiezza della fascia di rispetto, ai valori ed interessi secondari tutelati ed alla giustificazione del sacrificio del diritto del proprietario (Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2003, n. 6344)”.
Deve, inoltre, rilevarsi che una recente pronuncia del Consiglio di Stato (n. 3893/2012), pur confermando la legittimità di un provvedimento di apposizione del vincolo indiretto – e rigettando l’impugnativa proposta - ha comunque precisato che “la proporzionalità … rappresenta la congruenza della misura adottata in rapporto all'oggetto principale da proteggere: per cui l'azione di tutela indiretta va contenuta nei termini di quanto risulta essere concretamente necessario per il raggiungimento degli obiettivi di tutela diretta. Va cioè posta in rapporto all'esigenza conservativa che ha causato il vincolo diretto e dunque alle caratteristiche dell'oggetto materiale di quello. È connessa alla ragionevolezza, e
questa si specifica nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta e sufficiente funzionalità dell'esercizio del potere di vincolo”. E’ sempre la pronuncia sopra citata ad affermare che “l'estensione eccede in concreto dalla corretta cura dell'interesse quando viene dimostrato …..che riguarda terreni non necessari a contrastare il rischio per l'integrità di beni culturali (cioè  a garantirne la conservazione materiale), ovvero il danneggiamento della loro prospettiva o luce (cioè a garantirne la visibilità complessiva), ovvero l'alterazione delle loro condizioni di ambiente e di decoro (cioè a preservarli da contrasti con lo stile e il significato storico-artistico e a garantire la continuità storica e stilistica tra il monumento e la situazione ambientale in con è contestualizzato (ad es., Cons. Stato, VI, 23 maggio 2006, n. 3078, ha respinto l'impugnazione di un'imposizione di vincolo indiretto per un raggio di tre chilometri intorno ad un castello; cfr. anche Cons. Stato, VI, 9 marzo 2011, n. 1474.).
6. L’esame dei principi sopra ricordati permette di affermare come anche nella materia di apposizione del vincolo indiretto, connotata anch’essa da un’ampia discrezionalità dell’Amministrazione procedente, è comunque necessario che il potere sia esercitato in modo che lo stesso sia effettivamente congruo, rapportato allo scopo perseguito e alla concreta finalità di tutela dei manufatti in relazione ai quali essi è previsto.
7. Ne consegue che se è vero che l’imposizione del vincolo “indiretto” costituisce una conseguenza dell’imposizione del vincolo “diretto” è, altrettanto, condivisibile l’affermazione in base alla quale una volta che è accertata questa corrispondenza, la latitudine spaziale dovrà essere espressamente contemperata e valutata in funzione dell’effettivo interesse che si intende tutelare, contemperando il sacrificio del privato, ed eventualmente attenuandolo e mitigandolo anche mediante l’adozione di specifiche prescrizioni, eventualmente diversificate in ragione della vicinanza (e/o della lontananza) dal bene che si intende proteggere e delle esigenze di tutela, proprie dello stesso manufatto oggetto del vincolo diretto. E’ evidente, pertanto, come in detta attività un momento fondamentale è costituito dalla determinazione delle specifiche prescrizioni nell’atto di imposizione del
vincolo di cui si tratta che, in quanto tali, impegnano l’Amministrazione in un’attenta comparazione degli interessi coinvolti, strettamente correlati alle opere che si intende preservare con le prescrizioni così assunte.8. Ne consegue, allora, che l'ampiezza della zona da preservare in via indiretta non può essere determinata aprioristicamente, ma dipende in concreto dalla natura e dalla conformazione del bene direttamente tutelato, dallo stato dei luoghi che lo circondano e dalle prescrizioni poste a tutela del bene (o dei beni) di cui si tratta.
9. Alla luce delle considerarsi sopra esposte deve affermarsi che nel caso di specie non sono stati rispettati i principi di adeguatezza, congruenza, ragionevolezza e proporzionalità nell’apposizione del vincolo indiretto e nella determinazione delle prescrizioni ad esso relative ( Cons. Stato, VI, 6 ottobre 1986, n. 758) e, ciò, anche considerando come l’altezza massima del parco fotovoltaico fosse originariamente prevista in 2,27 metri (a fronte di un’altezza delle costruzioni della Corte che oscillano tra i sei e i nove metri) e, ancora, come l’ampiezza dell’area sottoposta a vincolo risultasse pari a 63 ettari e, quindi, corrispondesse alla pressocchè totalità delle aree di proprietà del ricorrente e, ciò, senza che sia presente nessuna distinzione tra i vari terreni che compongono un’area così vasta. In considerando di quanto sopra espresso il ricorso può essere allora accolto, seppur parzialmente, annullando il solo provvedimento di apposizione del vincolo indiretto così come sopra specificato".

TAR Veneto n. 34 del 2013

Esame dello stato di consistenza delle offerte tecniche

31 Gen 2013
31 Gennaio 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 95 del 2013, già citata nel post che precede, si occupa anche delle offerte tecniche.

Il Collegio precisa che, in sede (pubblica) di valutazione delle offerte tecniche, non sia sufficiente “una generica constatazione dell’integrità delle buste” e “una altrettanto generica constatazione dell’esistenza di un contenuto di cui però non si dà alcuna specificazione”, essendo indispensabile che in tale occasione avvenga anche l’esame del c.d. stato di consistenza delle medesime, ossia un controllo “in ordine al tipo e al numero dei documenti recanti le offerte tecniche”, poiché: “la fase di valutazione del pregio tecnico dell'offerta debba svolgersi in seduta riservata, ma che, come ha avuto modo di chiarire l’Adunanza Plenaria, le operazioni preliminari da svolgere in seduta pubblica, anche con riguardo alle offerte tecniche, non possano esaurirsi nella semplice constatazione dell’esistenza dei plichi recanti le stesse e del fatto che non vi siano manomissioni o alterazioni. 7.5. Tale verifica assolve, invero, soprattutto con riguardo alle gare in cui il contratto venga affidato con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa (come quella in esame), alla funzione di garantire che il materiale contenuto nei plichi trovi correttamente ingresso nella procedura di gara, giacché la pubblicità delle sedute risponde all'esigenza di tutela non solo della parità di trattamento dei concorrenti, ai quali deve essere permesso di effettuare gli opportuni riscontri sulla regolarità formale degli atti prodotti e di avere così la garanzia che non siano successivamente intervenute indebite alterazioni, ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi, in mancanza di un riscontro immediato (cfr. Cons. Stato ad. plen, n. 13 del 2011 Cons. Stato, sez. V, 17 settembre 2010, n. 6939; 10 novembre 2010, n. 8006; 4 marzo 2008, n. 901; sez. VI, 22 aprile 2008, n. 1856; sez. V, 3 dicembre 2008, n. 5943; sez. IV, 11 ottobre 2007, n. 5354; sez. V, 18 marzo 2004, n. 1427). 7.6. Pertanto, la garanzia di trasparenza richiesta in questa fase si considera assicurata quando la commissione, aperta la busta dell’offerta tecnica del singolo concorrente, abbia proceduto ad un esame della documentazione leggendo il solo titolo degli atti rinvenuti, e dandone atto nel verbale della seduta”.

dott. Matteo Acquasaliente

Mancata corrispondenza del cronoprogramma all’offerta economica

31 Gen 2013
31 Gennaio 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 28 gennaio 2013 n.95, si occupa della possibile discrasia tra il termine di ultimazione dei lavori contenuto nell’offerta economica (60 giorni) e quello previsto dal cronoprogramma allegato all’offerta medesima (90 giorni).

Premesso che il cronoprogramma attiene “direttamente all’offerta del concorrente la quale deve indicare alla stazione appaltante «in modo completo e dettagliato le caratteristiche e le modalità di esecuzione dei lavori oggetto di appalto» e che, pertanto, esso deve essere «congruente con il tempo di esecuzione offerto, con sequenza logica dei tempi e dei costi»” e che: “il cronoprogramma, come indicato dalla stessa legge di gara, costituirebbe infatti un documento essenziale dell’offerta, tanto che la sua omissione è presidiata dalla stessa legge di gara con la sanzione dell’esclusione, per cui dalla sua rilevata incongruenza deriverebbe un’indeterminatezza dell’offerta, tale da impedire alcuna aggiudicazione così come attribuzione di punteggio”, il T.A.R. Veneto non ritiene il suo contrasto con l’offerta economica una mera irregolarità formale sanabile nel corso della procedura concorsuale - in applicazione del principio comunitario di massima partecipazione e di prevalenza della sostanza sulla forma -, ma una “indeterminatezza dell’offerta” insanabile, comportante l’esclusione dalla gara ex art. 46, c. 1-bis D. Lgs. 163/2006, poiché: “la mancata corrispondenza del cronoprogramma all’offerta economica incide irrimediabilmente, rendendolo contraddittorio, su un elemento essenziale dell’offerta medesima (tempo di esecuzione dei lavori) che, proprio per tale natura, non è suscettibile di interventi manipolativi e di adattamento ex post, nel corso della procedura selettiva, volti alla ricerca della effettiva volontà contrattuale, risultando altrimenti violati la "par condicio" dei concorrenti, l'affidamento da essi posto nelle regole di gara per modulare l'offerta economica e le esigenze di trasparenza e certezza (con conseguente necessità di prevenire possibili controversie sull'effettiva volontà dell'offerente) delle gare pubbliche, a fronte delle quali risulta evidentemente recessivo il principio della conservazione delle offerte e della massima partecipazione alla gara (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 22 agosto 2012, n. 4592)”.

dott. Matteo Acquasaliente

 TAR Veneto 95 del 2013

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC