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Prime linee guida della Provincia di Vicenza sul PTCP: sistema delle ville venete e contesti figurativi

21 Dic 2012
21 Dicembre 2012

Sul sito della Provincia è stato pubblicato il primo documento di indirizzi per l'applicazione della disciplina del PTCP ovvero: PTCP - Linee guida - sistema delle ville venete, contesti figurativi.

Il link è il seguente:

http://www.provincia.vicenza.it/ente/la-struttura-della-provincia/servizi/urbanistica/ptcp-linee-guida



Il diritto di rivalsa dello Stato per le violazioni della CEDU commesse dagli enti locali: chi risponde? Spetta al G.O. la giurisdizione

21 Dic 2012
21 Dicembre 2012

Con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 20.9.2011 è stato ordinato al Comune di Spinea di versare, in favore dello Stato italiano, la somma di € 3.001.836,00 in attuazione di quanto stabilito dall'art. 16 bis, comma 9, della L. n. 11/2005, a titolo di diritto di rivalsa dello Stato nei confronti degli enti territoriali responsabili di violazioni delle disposizioni della CEDU (Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo).

Infatti con una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, divenuta definitiva il 24 ottobre 2007, lo Stato Italiano è stato condannato a pagare agli interessati la somma di € 3.001.836,00 a titolo di equa soddisfazione per la violazione dell’art. 1, protocollo addizionale 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. In particolare, la controversia atteneva alla procedura espropriativa per pubblica utilità posta in essere dal Comune di Spinea e riguardante alcuni terreni di proprietà degli interessati, che erano stati destinati ad edilizia economica e popolare nell’ambito di un P.E.E.P. Le trattative per la definizione dell’indennità di esproprio erano iniziate già nel 1981 senza portare ad acun esito definitivo, mentre la controversia giudiziaria aveva avuto inizio nel 1991, dinanzi al Tribunale civile di Venezia. Infine, nel 1998 gli interessati si erano rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale si era pronunciata con le suddette sentenze.

Il Comune contesta che lo Stato abbia il diritto di rivalsa, perchè il Comune si è limitato ad applicare le leggi dello Stato e, quindi, unico responsabile della condanna inflitta dalla Corte europea sarebbe lo stato stesso e non il Comune.

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 12 dicembre 2012 n. 1546, dichiara la giurisdizione del Giudice Ordinario in materia di diritto di rivalsa dello Stato nei confronti degli enti territoriali responsabili di violazioni delle disposizioni della CEDU, in base alla l. 4.02.2005 n. 11 “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, il cui art. 16 bis recita: “1. Al fine di prevenire l'instaurazione delle procedure d'infrazione di cui agli articoli 226 e seguenti del Trattato istitutivo della Comunità europea o per porre termine alle stesse, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa comunitaria. Essi sono in ogni caso tenuti a dare pronta esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze rese dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 1, del citato Trattato.

2. Lo Stato esercita nei confronti dei soggetti di cui al comma 1, che si rendano responsabili della violazione degli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria o che non diano tempestiva esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, i poteri sostitutivi necessari, secondo i princìpi e le procedure stabiliti dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e dall'articolo 11, comma 8, della presente legge.

3. Lo Stato ha diritto di rivalersi nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 indicati dalla Commissione europea nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e degli altri Fondi aventi finalità strutturali.

4. Lo Stato ha diritto di rivalersi sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi di cui al comma 1 degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia delle Comunità europee ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 2, del Trattato istitutivo della Comunità europea.

5. Lo Stato ha altresì diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, e dei relativi Protocolli addizionali, degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni.

6. Lo Stato esercita il diritto di rivalsa di cui ai commi 3, 4 e 5:

  • a) nei modi indicati al comma 7, qualora l'obbligato sia un ente territoriale;
  • b) mediante prelevamento diretto sulle contabilità speciali obbligatorie istituite presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 20 ottobre 1984, n. 720, per tutti gli enti e gli organismi pubblici, diversi da quelli indicati nella lettera a), assoggettati al sistema di tesoreria unica;
  • c) nelle vie ordinarie, qualora l'obbligato sia un soggetto equiparato ed in ogni altro caso non rientrante nelle previsioni di cui alle lettere a) e b).

7. La misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa, comunque non superiore complessivamente agli oneri finanziari di cui ai commi 3, 4 e 5, è stabilita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da adottare entro tre mesi dalla notifica, nei confronti degli obbligati, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati e reca la determinazione dell'entità del credito dello Stato nonché l'indicazione delle modalità e i termini del pagamento, anche rateizzato. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato.

8. I decreti ministeriali di cui al comma 7, qualora l'obbligato sia un ente territoriale, sono emanati previa intesa sulle modalità di recupero con gli enti obbligati. Il termine per il perfezionamento dell'intesa è di quattro mesi decorrenti dalla data della notifica, nei confronti dell'ente territoriale obbligato, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. L'intesa ha ad oggetto la determinazione dell'entità del credito dello Stato e l'indicazione delle modalità e dei termini del pagamento, anche rateizzato. Il contenuto dell'intesa è recepito, entro un mese dal perfezionamento, in un provvedimento del Ministero dell'economia e delle finanze che costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più provvedimenti del Ministero dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato, seguendo il procedimento disciplinato nel presente comma.

dott. Matteo Acquasliente

sentenza TAR Veneto 1546 del 2012

La Corte Costituzionale boccia il ricorso della Regione Veneto contro la liberalizzazione del commercio e le aperture domenicali

20 Dic 2012
20 Dicembre 2012

Oggi la Regione Veneto dovrebbe legiferare in materia di commercio: puntuale come un orologio arriva una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 299 del 2012) che costituisce una vera doccia gelata per le pretese legislative regionali in materia di commercio.

La Regione, dice la Corte, non può opporsi alle liberalizzazioni del commercio.

Vorrà la Regione tenerne conto o ne uscirà un'altra legge regionale veneta incostituzionale (il che non sarebbe poi la prima volta)?

Con un ricorso notificato il 21 febbraio 2012 e depositato il successivo 23 febbraio la Regione Veneto ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale , tra gli altri, l’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, nella parte in cui modifica la lettera d-bis) dell’art. 3 del d.l. n. 223 del 2006 introdotta dall’art. 35, comma 6, del d.l. n. 98, eliminando le parole «in via sperimentale» e «dell’esercizio ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte».
La Regione Veneto ritiene che la norma impugnata, eliminando in via generale ed assoluta i limiti e le prescrizioni relativi agli orari di apertura e chiusura, alla chiusura domenicale, festiva e infrasettimanale degli esercizi commerciali, inclusi quelli di somministrazione di alimenti e bevande, violi sia l’art. 117, primo e quarto comma, Cost. che riserva alla Regione la competenza legislativa nella materia del commercio, sia la potestà regionale connessa all’esercizio delle funzioni amministrative di cui all’art. 118, primo e secondo comma, Cost. La Regione afferma che l’eliminazione, in via generale ed assoluta, di ogni possibile limite relativo agli orari ed ai giorni di apertura e chiusura, sia per le attività commerciali in senso stretto che per le attività di somministrazione di alimenti e bevande, determina l’abrogazione della previgente disciplina statale degli orari di vendita, posta dagli artt. 11 e 12 del d.lgs. n. 114 del 1998, applicata nella Regione Veneto.
La nuova disposizione statale, secondo la ricorrente, travolgerebbe anche la legge regionale del Veneto 21 settembre 2007, n. 29 (Disciplina dell’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande), nella parte in cui disciplina gli orari di vendita.
L’introduzione di un divieto siffatto viene giustificata, come si evince dal comma l dell’art. 3 del decreto legislativo in esame, nel quale si incardina la novella, facendo riferimento alle «disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi» e al «fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione».
Ritiene la Regione Veneto che la modifica apportata all’art. 3, comma l, del citato decreto non costituisca né adeguamento dell’ordinamento interno al diritto dell’Unione europea né esercizio di competenza legislativa esclusiva dello Stato in relazione alla tutela della concorrenza e alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, lettere e) ed m), Cost.

La Corte Cosituzionale con la sentenza n. 299 del 2012, depositata il 19 dicembre 2012, ha dichiarato infondata le questioni sollevate dalla Regione Veneto: "La giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che la nozione di concorrenza di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost. riflette quella operante in ambito comunitario e comprende: a) sia gli interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali: le misure legislative di tutela in senso proprio, che contrastano gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e che ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione; b) sia le misure legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, rimuovendo, cioè, in generale, i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche (ex multis, sentenze n. 270 e n. 45 del 2010, n. 160 del 2009, n. 430 e n. 401 del 2007).
In questa seconda accezione, attraverso la «tutela della concorrenza», vengono perseguite finalità di ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi (sentenza n. 401 del 2007).
Come questa Corte ha più volte osservato, «Si tratta dell’aspetto più precisamente di promozione della concorrenza, che costituisce una delle leve della politica economica statale e, pertanto, non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali» (sentenze n. 80 del 2006, n. 242 e n. 175 del 2005, n. 272 e n. 14 del 2004).
Si è già precisato che la materia «tutela della concorrenza», dato il suo carattere «finalistico», non è una «materia di estensione certa» o delimitata, ma è configurabile come «trasversale», corrispondente ai mercati di riferimento delle attività economiche incise dall’intervento e in grado di influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle regioni (sentenze n. 80 del 2006, n. 175 del 2005, n. 272 e n. 14 del 2004).
Pertanto, in questa accezione «dinamica» della materia «tutela della concorrenza», – ricomprendente le misure dirette a promuovere l’apertura di mercati o ad instaurare assetti concorrenziali, mediante la riduzione o l’eliminazione dei vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e alle modalità di esercizio delle attività economiche –, è consentito al legislatore statale intervenire anche nella disciplina degli orari degli esercizi commerciali che, per ciò che riguarda la configurazione «statica», rientra nella materia commercio attribuita alla competenza legislativa residuale delle Regioni (sentenze n. 288 e n. 247 del 2010, ordinanza n. 199 del 2006).
In particolare, con riferimento alle misure di liberalizzazione, questa Corte ha avuto modo di affermare che «la liberalizzazione da intendersi come razionalizzazione della regolazione, costituisce uno degli strumenti di promozione della concorrenza capace di produrre effetti virtuosi per il circuito economico. Una politica di “ri-regolazione” tende ad aumentare il livello di concorrenzialità dei mercati e permette ad un maggior numero di operatori economici di competere, valorizzando le proprie risorse e competenze. D’altra parte, l’efficienza e la competitività del sistema economico risentono della qualità della regolazione, la quale condiziona l’agire degli operatori sul mercato: una regolazione delle attività economiche ingiustificatamente intrusiva – cioè non necessaria e sproporzionata rispetto alla tutela di beni costituzionalmente protetti (sentenze n. 247 e n. 152 del 2010, n. 167 del 2009) – genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a detrimento degli interessi degli operatori economici, dei consumatori e degli stessi lavoratori e, dunque, in definitiva reca danno alla stessa utilità sociale. L’eliminazione degli inutili oneri regolamentari, mantenendo però quelli necessari alla tutela di superiori beni costituzionali, è funzionale alla tutela della concorrenza e rientra a questo titolo nelle competenze del legislatore statale» (sentenza n. 200 del 2012).
Compito della Corte è, quindi, quello di valutare se le misure sottoposte al suo vaglio, che disciplinano o ridisciplinano importanti aspetti di regolazione del mercato, stabilendo nuovi criteri per il suo funzionamento, possiedano i requisiti per essere qualificate come normative che favoriscono la concorrenza.
Nel caso in questione, l’intervento del legislatore statale non incorre nella denunciata illegittimità. La norma in esame, infatti, attua un principio di liberalizzazione, rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio delle attività economiche.
L’eliminazione dei limiti agli orari e ai giorni di apertura al pubblico degli esercizi commerciali favorisce, a beneficio dei consumatori, la creazione di un mercato più dinamico e più aperto all’ingresso di nuovi operatori e amplia la possibilità di scelta del consumatore.
Si tratta, dunque, di misure coerenti con l’obiettivo di promuovere la concorrenza, risultando proporzionate allo scopo di garantire l’assetto concorrenziale nel mercato di riferimento relativo alla distribuzione commerciale.
Del resto questa Corte, di recente, è stata chiamata a giudicare della legittimità costituzionale di alcune normative regionali che disciplinavano la materia degli orari degli esercizi commerciali e dell’obbligo di chiusura domenicale e festiva, ma prima dell’approvazione della norma impugnata, quando cioè il quadro normativo di riferimento della legislazione statale era rappresentato dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio).
In tali occasioni si è ritenuto legittimo l’esercizio della competenza in materia di commercio da parte del legislatore regionale solo nel caso in cui le norme introdotte non determinassero un vulnus alla «tutela della concorrenza» (sentenze n. 150 del 2011 e n. 288 del 2010).
Pertanto, nei casi in cui le stesse avevano introdotto una disciplina più favorevole rispetto a quella statale del 1998, nel senso della liberalizzazione Corte costituzionale della Repubblica italiana degli orari e delle giornate di chiusura obbligatoria, esse sono state ritenute legittime (sentenza n. 288 del 2010); viceversa, allorché si è riscontrata una disciplina di segno contrario, ne è seguita una pronuncia di illegittimità costituzionale (sentenza n. 150 del 2011).
Infine, deve anche evidenziarsi che la norma oggetto del presente giudizio inserisce la lettera d-bis) nell’articolo 3, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006 che è già stato scrutinato da questa Corte sotto il medesimo profilo della violazione della competenza residuale delle regioni in materia di commercio di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost. (sentenza n. 430 del 2007).
In tale occasione si è ritenuto che l’art. 3, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006 dettasse le condizioni ritenute essenziali ed imprescindibili per garantire l’assetto concorrenziale nel mercato della distribuzione commerciale, rimuovendo i residui profili di contrasto della disciplina di settore con il principio della libera concorrenza (sentenza n. 430 del 2007).
Tutte le prescrizioni recate dal citato comma 1 dell’art. 3 sono state ritenute strumentali rispetto a questo scopo, in quanto dirette a rimuovere limiti all’accesso al mercato, sia se riferite all’iscrizione in registri abilitanti o a requisiti professionali soggettivi (comma 1, lettera a), sia se riferite alla astratta predeterminazione del numero degli esercizi (comma 1, lettera b), sia se concernenti le modalità di esercizio dell’attività, nella parte influente sulla competitività delle imprese (comma 1, lettere c, d, e, ed f, e comma 2), anche allo scopo di ampliare la tipologia di esercizi in concorrenza.
In conclusione, per gli stessi motivi, anche la nuova lettera d-bis) del comma 1 dell’art. 3 del d.l. n. 223 del 2006 deve essere inquadrata nell’ambito della materia «tutela della concorrenza» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Le censure svolte dalle Regioni ad autonomia speciale in relazione alla dedotta violazione della propria competenza legislativa primaria nella  materia del commercio, come attribuita dagli statuti, non sono fondate.
Al riguardo, va rilevato che dalla natura “trasversale” della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza deriva che il titolo competenziale delle Regioni a statuto speciale in materia di commercio non è idoneo ad impedire il pieno esercizio della suddetta competenza statale e che la disciplina statale della concorrenza costituisce un limite alla disciplina che le medesime Regioni possono adottare in altre materie di loro competenza. In senso analogo, del resto, si è già espressa questa Corte a proposito del rapporto tra le competenze previste dagli statuti speciali e quella esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (sentenze n. 12 del 2009; n. 104 del 2008; n. 380 del 2007)".

Dario Meneguzzo

Corte costituzionale della Repubblica italiana_sent_299-2012

Ulteriori indirizzi della provincia di Vicenza per il SUAP

20 Dic 2012
20 Dicembre 2012

La Provincia di Vicenza, con una nota del 18 dicembre 2012, ha emanato ulteriori indirizzi riguardanti il SUAP (in particolare le procedure di formazione della variante urbanistica in contrasto allo strumento urbanistico generale).

I primi indirizzi sono stati pubblicati in questo sito in data 10 dicembre 2012.

SuapIndirizzi

Testo aggiornato del decreto-legge 18 ottobre 2012 , n. 179

20 Dic 2012
20 Dicembre 2012

Pubblichiamo il testo del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (pubblicato nel supplemento ordinario n. 194/L alla Gazzetta Ufficiale 19 ottobre 2012, n. 245), coordinato con la legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221, recante: «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese.».

 L'articolo 4 riconosce ad ogni cittadino la facoltà di indicare alla pubblica amministrazione un proprio indirizzo di posta elettronica certificata (PEC), da eleggere come domicilio digitale, cui le pubbliche amministrazioni e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad inviare le comunicazioni dal 1° gennaio 2013, e consente alle amministrazioni di predisporre le comunicazioni ai cittadini, in mancanza di domicilio digitale, come documenti informatici sottoscritti con firma digitale o elettronica avanzata, da inviare per posta in copia analogica.

L’articolo 5 estende alle imprese individuali l’obbligo, già previsto per le società, di depositare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) presso il registro delle imprese o l'albo delle imprese artigiane. Viene inoltre istituito il pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero per lo sviluppo economico.

L'articolo 3 rimette ad un regolamento di delegificazione il riordino del Sistema statistico nazionale, e quindi, dell'ISTAT (comma 4); prevede altresì l’introduzione del cd. censimento permanente, ossia di un censimento della popolazione e delle abitazioni continuo, a cadenza annuale e le modalità definizione dei contenuti dell’Archivio nazionale delle strade e dei numeri civici (ANNCSU) (commi 1-3); istituisce nuovamente la Commissione per la garanzia della qualità dell’informazione statistica (comma 6).

Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese

La mancata presentazione della cauzione provvisoria determina l’esclusione dalla gara

20 Dic 2012
20 Dicembre 2012

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 18 dicembre 2012 n. 1547, conferma che la mancata presentazione della cauzione provvisoria, ex art. 75 D. Lgs. 163/2006, determina l’esclusione dalla gara della concorrente considerando che: “l’art. 46, I comma bis stabilisce che “la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e….per difetto di….elementi essenziali…”;

che il successivo art. 75, I comma statuisce che “l’offerta è corredata da una garanzia….sotto forma di cauzione o di fideiussione”;

che, dunque, tale garanzia, oltre a costituire evidente “prescrizione” del codice, si configura come elemento “essenziale” per la partecipazione alla gara, in quanto assicura la serietà dell’offerta (relativamente a tale, ultimo aspetto, cfr. la determinazione AVCP 10.10.2012 n. 4);

che, comunque, ai sensi dell'art. 46, I comma del DLgs n. 163/2006 alla stazione appaltante è precluso di sopperire, con l'integrazione, alla totale mancanza di un documento, in quanto, di norma, i criteri esposti ai fini dell'integrazione documentale riguardano semplici chiarimenti di un documento incompleto;

che, pertanto, l'omessa allegazione di un documento o di una dichiarazione non può considerarsi alla stregua di un'irregolarità sanabile e, quindi, non ne è permessa l'integrazione o la regolarizzazione postuma, non trattandosi di rimediare a vizi puramente formali (purché non sussistano incertezze generate dall'ambiguità di clausole della legge di gara: in tale contesto è appena il caso di osservare che l’asserita equivocità del contenuto dell’art. 9 del capitolato è affatto inconferente, in quanto certamente non precludeva la prestazione della cauzione provvisoria);

che, dunque, la richiesta di regolarizzazione non può essere formulata per permettere l'integrazione di documenti che, in base a previsioni univoche del bando - in presenza di una prescrizione chiara un'ammissione alla regolarizzazione costituirebbe violazione della par condicio fra i concorrenti -, avrebbero dovuto essere prodotti a pena di esclusione (CdS, V, 6.8.2012 n. 4518)”.

Il caso di specie riguarda la totale mancanza della cauzione provvisoria: laddove essa sia incompleta o carente è invece ammessa la sua integrazione in corso di causa come confermano le sentenze del T.A.R. Veneto, sez. I, n. 1376/2012 e del Consiglio di Stato, sez. III, n. 493/2012 commentate nel post del 15 novembre.

Nella medesima sentenza il T.A.R. Veneto afferma che, laddove un partecipante alla procedura ad evidenza pubblica ritenga contrario alla legge la fideiussione prevista dal bando, esso ha l’obbligo di impugnare immediatamente l’atto, come già stabilito dal Consiglio di Stato, sez. IV, 07.11.2012, n. 5671 secondo cui è necessario procedere all’impugnativa immediata degli atti di indizione della gara quando le clausole impediscano - indistintamente a tutti i concorrenti - una corretta e consapevole elaborazione della propria proposta economica: in tali casi, infatti, si pregiudica il corretto esercizio della gara, in violazione dei cardini procedimentali della concorrenza e della par condicio tra tutti i partecipanti alla gara. Ciò avviene in particolare quando ricorrono:

- regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (così proprio la A.P. n. 3 cit.).

- disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24/2/2003, n. 980);

- condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V 21 novembre 2011 n. 6135);

- imposizione di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all'intero importo dell'appalto: Cons. Stato, Sez. II, 19/2/2003, n.2222/01);

- gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta (come ad es. quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall'aggiudicatario), ovvero sia presenti formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di “0” pt.);

- atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III 03 ottobre 2011 n. 5421)”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 1574 del 2012

Cds n. 5671 del 2012

Il progetto della nuova legge regionale veneta in materia di commercio

19 Dic 2012
19 Dicembre 2012

Il testo allegato è stato licenziato dalla commissione competente il 12 dicembre e sarà votato dal Consiglio Regionale del Veneto nella seduta del 20 dicembre 2012.

testo_licenziato_dalla_2^ commissione

Il “circolo privato fittizio” richiede il parere della Commissione provinciale di vigilanza dei locali di pubblico spettacolo

19 Dic 2012
19 Dicembre 2012

Il T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, con la sentenza del 10 dicembre 2012 n. 1933, dichiara legittimo il provvedimento del Comune di Orio Al Serio di diffidare un “circolo privato fittizio” con oltre 100 soci a non consentire l’accesso a più di 100 persone contemporaneamente all’interno dei locali, nonché a subordinare la concessione dell’autorizzazione per lo svolgimento di attività di spettacolo ed intrattenimento, all’acquisizione del parere della Commissione provinciale di vigilanza dei locali di pubblico spettacolo previsto dall’art. 80 DPR 773/1931 secondo cui “L'autorità di pubblica sicurezza non può concedere la licenza per l'apertura di un teatro o di un luogo di pubblico spettacolo, prima di aver fatto verificare da una commissione tecnica la solidità e la sicurezza dell'edificio e l'esistenza di uscite pienamente adatte a sgombrarlo prontamente nel caso di incendio. Le spese dell'ispezione e quelle per i servizi di prevenzione contro gli incendi sono a carico di chi domanda la licenza”.

In particolare il T.A.R. Lombardia ritiene che la disciplina derogatoria dettata dall’art. 2, c. 2, lett. e), DPR 235/2001 non possa essere applicato al caso di specie precisando che: “la lett. e) del comma 2 dell’art. 2 del DPR 4 aprile 2001, n. 235 – norma che, in un’ottica di semplificazione, subordina l’esercizio della sola attività di somministrazione di alimenti e bevande a favore degli associati di associazioni e circoli di cui all’art. 11, comma 3 del T.U. delle Imposte sui redditi alla presentazione al Comune di una denuncia di inizio attività – prevede espressamente che il legale rappresentante debba dichiarare, a tal fine, “che il locale, ove è esercitata la somministrazione, è conforme alle norme e prescrizioni in materia edilizia, igienico-sanitaria e ai criteri di sicurezza stabiliti dal Ministero dell'interno ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge e, in particolare, di essere in possesso delle prescritte autorizzazioni in materia”;

- che la norma non prevede alcuna diversa semplificazione per i circoli, con specifico riferimento all’attività di intrattenimento e spettacolo;

- che da tale silenzio si ritiene debba essere fatta discendere la necessità che le disposizioni dettate al fine di garantire la solidità e sicurezza dell’edificio adibito a luogo di pubblico spettacolo debbano trovare applicazione anche in relazione al caso in cui la fruizione sia garantita ai soli associati;

- che la necessità dell’applicazione di tale normativa appare ulteriormente suffragata dalla circostanza di fatto per cui l’attività risulta essere svolta con modalità tali da far ritenere puramente fittizia la qualificazione come “circolo privato”, il che esclude, per costante giurisprudenza, l’applicazione della normativa derogatoria di cui al citato DPR 235/2001 (in senso conforme, da ultimo, T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 14-05-2010, n. 1773);

- che, dunque, l’obbligo di garantire la sicurezza si estenda anche al legale rappresentante di un circolo privato, così come si può dedurre dall’orientamento della giurisprudenza ben esemplificato nella sentenza della Cassazione, sezione penale n. 2196 del 29-02-1996, nella quale si legge che: “Il precetto di cui all'art. 681 cod. pen. non è rivolto esclusivamente a chi gestisce, in via permanente e professionale, luoghi di pubblico spettacolo, trattenimento o ritrovo, ma a "chiunque" apre o tiene aperti detti luoghi, senza aver osservato le prescrizioni dell'autorità a tutela dell'incolumità pubblica. Conseguentemente, la norma incriminatrice va applicata anche nei confronti di chi, occasionalmente e sia pure per una sola volta, abbia aperto un luogo di pubblico spettacolo".

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Brescia, 1933 del 2012

L’avallimento riguardante il requisito di iscrizione all’albo professionale

19 Dic 2012
19 Dicembre 2012

L’art. 49, c. 1, D. Lgs. 163/2006 rubricato “Avallimento” recita: “1. Il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato ai sensi dell'articolo 34, in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell'attestazione SOA di altro soggetto”.

Risulta possibile ricorre all’avvalimento ex art. 49 D. Lgs 163/2006 per attestare la qualifica dell’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali?

A riguardo è utile riportare il parere dell’AVCP n. 106 del 27.06.2012 che, dopo aver esaminato la natura dell’avvalimento e le sue caratteristiche, afferma che: “questa Autorità è incline a considerare nello specifico l’idoneità dell’avvalimento a corrispondere al possesso del requisito dell’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali di cui all’art. 212 del D.lgs n. 152 del 2006, rifuggendo da astratte qualificazioni tese a ritenere che tale requisito, avendo natura prevalentemente soggettiva, non possa – per ciò stesso – essere oggetto di avvalimento (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 22 dicembre 2011, n. 10080).

La questione è stata, in effetti, affrontata dalla giurisprudenza, ma con tesi diverse: prevale su tutte, però, la tesi che sposa una posizione sostanzialistica (Cons. St., Sez. III, 18 aprile 2011, n. 2344) ritenendo necessaria una effettiva corrispondenza tra fase della qualificazione e fase dell’esecuzione. La stessa giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. V, 8 ottobre 2011 n. 5496), inoltre, ritiene che “l’istituto dell’avvalimento – di derivazione comunitaria – ha portata generale”. Ne consegue, continua detta ultima decisione che, in ogni caso, ed a prescindere da espressa disposizione del bando, alle imprese che intendono concorrere ad una gara di appalto e che sono carenti dei requisiti necessari per la partecipazione, è consentito ricorrere all’istituto dell’avvalimento” (...) “Così come è consentito l’avvalimento per il requisito dell’attestazione della certificazione SOA, deve ritenersi, quindi, consentito effettuare l’avvalimento anche per l’iscrizione all’Albo di che trattasi. La sola condizione è quella di permettere all’amministrazione di verificare che il candidato offerente disponga delle capacità richieste per l’esecuzione dell’appalto”.

D’altronde la stessa AVCP, con i pareri del 21.05.2008 n. 165 e del 09.02.2012 n. 22 aveva già confermato tale orientamento.

Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza del 8.10.2011 n. 5496, concordemente afferma che: “va precisato che l'istituto dell'avvalimento - istituto di derivazione comunitaria - disciplinato dall'ordinamento italiano dall'art. 49 del d. lgv. n. 163 del 2006, ha portata generale. Esso è finalizzato a consentire alle imprese singole, consorziate o riunite, che intendono partecipare ad una gara di poter soddisfare i requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA, avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell'attestazione SOA di altro soggetto ed è applicabile, ai sensi del successivo articolo 50, ai sistemi legali vigenti di attestazione o di qualificazione nei servizi e forniture. Ne consegue, che in ogni caso, ed a prescindere da espressa disposizione del bando, alle imprese che intendono concorrere ad una gara di appalto e sono carenti dei requisiti, è consentito di soddisfare tali requisiti con l'ausilio dell'avvalimento. Il carattere generale dell'istituto è evidente, ove si consideri che le limitazioni originariamente previste dall'art. 49 del d. lgv. n. 163 del 2006 sono state ritenute in contrasto con le direttive comunitarie in materia di appalti e sono state eliminate (era stata, infatti, avviata procedura di infrazione ai sensi dell'art. 226 del Trattato, perché tali limitazioni rimesse ai bandi di gara si ponevano in contrasto con le disposizioni delle direttive comunitarie che riconoscono agli operatori economici il diritto di avvalersi delle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei loro legami e senza alcuna limitazione)” (...) “La portata generale dell'istituto dell'avvalimento è, dunque, circostanza ormai acquisita nell'ordinamento italiano nel rispetto della normativa comunitaria. La facoltà di avvalersi di tale istituto è stata riconosciuta ammissibile anche per integrare requisiti economico - finanziari o tecnici o organizzativi per l'iscrizione agli albi professionali (in tal senso si è espressa in fase precontenziosa l'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici relativamente all'iscrizione all'albo nazionale dei gestori ambientali)”.

dott. Matteo Acquasaliente

AVC parere 106 2012

CdS n. 5496 del 2011

 

Il PAT e il PI individuano rispettivamente i criteri e i siti ove localizzare gli impianti di telefonia

18 Dic 2012
18 Dicembre 2012

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1552 del 2012.

Scrive il TAR: "considerato che le prescrizioni urbanistiche comunali, in osservanza della L.r. n. 11/2004, hanno, dapprima, con il PAT individuato i criteri di localizzazione e quindi con il PI e successive varianti hanno concretamente individuato i siti ove localizzare gli impianti;...considerato che le prescrizioni urbanistiche, poste alla base del provvedimento del Comune, appaiono rispettose della disciplina normativa regionale in materia di organizzazione del territorio, in rapporto alla dislocazione degli impianti della specie in oggetto, tenendo conto anche delle oggettive ed indiscutibili implicazioni sulla salute dei cittadini per effetto delle esposizioni alle onde elettromagnetiche;
che, invero, è stata pacificamente riconosciuta la legittimazione delle amministrazioni comunali ad assumere adeguate previsioni di localizzazione degli impianti che, nell’obiettivo di assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale, consentano anche di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici".

sentenza TAR Veneto 1552 del 2012

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