Author Archive for: SanVittore

Nuove norme per l’edilizia residenziale sociale

02 Apr 2014
2 Aprile 2014

Pubblichiamo il Decreto Legge  28 marzo 2014 n. 47 avente ad oggetto le "Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015" (G.U. Serie Gnerale n. 73 del 28 marzo 2014) che è entrato in vigore il 29 marzo 2014: particolarmente interessante è l'art. 10 che introduce delle novità in materia di edilizia residenziale sociale.

Misure urgenti per l'emergenza abitativa

 

La sanzione per omessa D.I.A./S.C.I.A. deve essere calcolata con riferimento all’area effettivamente occupata dall’abuso

01 Apr 2014
1 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 05 marzo 2014 n. 286 chiarisce che la sanzione applicabile ex artt. 22 e 37 del D.P.R. n. 380/2001 alle opere abusive di manutenzione straordinaria, ex art. 3, c. 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001, deve essere commisurata all’area effettivamente interessata dagli abusi edilizi che necessitavano della previa D.I.A./S.C.I.A. e non alla superficie dell’intero fabbricato: “3.1 Sul punto va, infatti, preliminarmente evidenziato come il provvedimento impugnato deve ritenersi corretto nella parte in cui sottopone gli abusi realizzati, alla fattispecie di cui agli art. 22 e 37 del Dpr 380/2001, risultando dirimente constatare come detti abusi siano relativi alla realizzazione di nuovi servizi igienici e quindi, alla costruzione ex novo di impianti, circostanza quest’ultima che consente di ritenere applicabile la fattispecie della manutenzione straordinaria di cui di all’art. 3 lett. b) del Dpr 380/2001.

3.1 A dette conclusioni è possibile pervenire sia esaminando il disposto di cui alla norma sopra citata laddove qualifica la manutenzione straordinaria nell’ipotesi in cui sussistano “modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari..” (in questo senso si veda TAR Liguria Sez. I 31/10/2007 n. 1895).

4. Ciò premesso va rilevato come il provvedimento deve ritenersi comunque illegittimo nel momento in cui mette in correlazione il mutamento di destinazione, agli abusi in corso di realizzazione e, ciò, considerando come la destinazione a magazzino/deposito fosse già acquisita e con riferimento all’area agricola di cui si tratta.

4.1 L’Amministrazione, pertanto, se ha correttamente individuato la fattispecie applicabile nel connaturato disposto di cui agli art. 22 e 37 del Dpr 380/2001 ha erroneamente fatto riferimento alla circostanza del mutamento di destinazione d’uso nel calcolo della sanzione, assumendo a riferimento l’aumento del valore venale relativo all’intera superficie dell’immobile di cui si tratta (per mq. 1600).

4.2 Detto aumento del valore venale avrebbe dovuto essere calcolato sulla base della sola superficie interna adibita ad ufficio e bagni per una superficie pari a mq. 103,6, ben potendo gli abusi in questione essere funzionali alla destinazione commerciale già acquisita e di cui alla nota del 2010”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 286 del 2014

Sul risarcimento del danno connesso alla mancata aggiudicazione

01 Apr 2014
1 Aprile 2014

Nella stessa sentenza n. 303/2014 il T.A.R. Veneto si sofferma sul risarcimento del danno per mancata aggiudicazione chiarendo che, laddove non sia più utile il risarcimento in forma specifica, soccorre quello per equivalente in quanto: “atteso, peraltro, che nei procedimenti concorsuali la posizione giuridica sostanziale del partecipante assurge ad interesse legittimo (pretensivo) con riferimento all’ammissione a parteciparvi, e che nel caso di specie l’esecuzione del contratto è in fase conclusiva (cfr. la memoria 27.1.2014 di Viveracqua, pag. 4-5), il risarcimento del danno alla ricorrente non può essere disposto in forma specifica, mediante dichiarazione di inefficacia del contratto ai fini della riedizione della procedura, ma va somministrato per equivalente, in correlazione con la perdita della chance di aggiudicazione dell'appalto. Danno, questo, che si verifica tutte le volte in cui la perdita della possibilità di conseguire un risultato utile a causa dell’adozione colpevole di un atto illegittimo da parte della PA abbia determinato una lesione del diritto all’incremento del proprio patrimonio, e che dovrà calcolarsi in via presuntiva sulla base del valore dell'appalto ridotto in relazione alla chance di aggiudicazione in sede di riedizione della gara. Il danno, pertanto, data l’impossibilità di provarlo nel suo preciso ammontare (si tratta, infatti, della chance, cioè della teorica possibilità di un risultato favorevole), va risarcito ai sensi dell’art. 1226 c.c. ricorrendo al criterio di valutazione del danno globalmente considerato per la mancata aggiudicazione, diminuito di un coefficiente di riduzione proporzionato alla misura di probabilità di ottenere l’aggiudicazione. A tal proposito va anzitutto precisato che non si può accedere all’istanza, avanzata dalla parte, di commisurazione della perdita dell'utile di impresa pari al 10% del valore dell'offerta economica secondo il criterio desumibile dall'art. 345 della legge n. 2248/1865, all. F (riprodotto nell'art. 122 del DPR n. 554/1999), e ciò non solo perchè tale disposizione è valida per il settore dei lavori pubblici (e, dunque, non appare suscettibile di pedissequa estensione analogica ai diversi casi di appalti di servizi, come è quello di specie), ma anche perché le citate disposizioni attinenti alla liquidazione del lucro cessante sono state abrogate (cfr. l’art. 256 del DLgs n. 163/2006) e non risultano riformulate nel codice dei contratti e/o nel relativo regolamento. Con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 124 c.p.a., richiamato dall’art. 245-quinquies del DLgs n. 163/2006 (che prevede che, in assenza di dichiarazione di inefficacia del contratto, il risarcimento del danno per equivalente deve essere "provato") e al di fuori dell’ipotesi di liquidazione del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c., è sempre necessaria la prova rigorosa, a carico dell'impresa, della percentuale di utile effettivo che essa avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria. (cfr. CdS, IV, 2.12.2013 n. 5725; VI, 27.4.2010 n. 2384);

che, alla luce delle suesposte considerazioni – ed assodata la colpa dell’Amministrazione: il privato può, infatti, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa dell’Amministrazione: spetterà a quel punto all'Amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata – e precisato che in assenza di prova da parte dell’interessato il danno va liquidato in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. (alla stregua dell’attuale crisi economica, invero, il criterio del 10% oltre a non essere, come si è detto, più vigente, sarebbe altresì illogico ed irragionevole, in quanto conduce al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore ben più favorevole dell’impiego del capitale: è di questi giorni il dato – cfr. “il Sole 24 ORE” del 14 febbraio 2014 – che se nel 2008 “cento euro di fatturato producevano due euro di utili….nel 2013 cento euro di fatturato generano 50 centesimi di utile” al netto delle imposte), nel caso di specie il ristoro del danno da perdita di chance di aggiudicazione può essere quantificato - tenuto conto, altresì, che la ricorrente non ha dimostrato (anche mediante l’esibizione dei libri contabili) di non aver eseguito, nel periodo durante il quale sarebbe stata impegnata dall'appalto in questione, altre attività lucrative incompatibili con quella per la cui mancata esecuzione chiede il risarcimento del danno (cfr., in termini, CdS, IV, 7.9.2010 n. 6485; VI, 21.9.2010 n. 7004) - nella misura del 2% dell'importo contrattuale (tenendo conto che il relativo importo, configurandosi quale lucro cessante, è soggetto alle rituali imposte), somma che, poi, va ridotta all’1% tenendo conto dell'aliunde perceptum dell'impresa, ed ulteriormente ridotta ad 1/3 in ragione del numero dei partecipanti alla selezione (ove deve essere ricompreso pure il soggetto escluso per carenza di requisiti, potendo ricorrere tale evenienza anche nei confronti della ricorrente);

che, pertanto, alla stregua dei suesposti principi il risarcimento del danno per perdita di chance di aggiudicazione (comprensivo del danno curricolare, di regola corrispondente al 10% di quanto liquidato a titolo di lucro cessante: cfr. TAR Veneto, 8.11.2011 n. 1663) da corrispondere all’impresa ricorrente deve essere conclusivamente quantificato in complessivi € (1.678.351 x 1% : 3 =) 5.594,50”.

 

Per quanto riguarda gli interessi compensativi invece si legge: “Non spettano, invece, gli interessi compensativi sulla somma via via rivalutata: nei debiti di valore, infatti, gli interessi compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria dell'eventuale danno da ritardo nella corresponsione dell'equivalente monetario attuale della somma dovuta all'epoca della produzione del danno, sicchè essi non sono dovuti ove il debitore non dimostri la sussistenza di una perdita da lucro cessante per non avere conseguito la disponibilità della somma di danaro non rivalutata fino al momento della verificazione del danno ed averla potuta impiegare redditiziamente in modo tale che avrebbe assicurato un guadagno superiore a quanto venga liquidato a titolo di rivalutazione monetaria (cfr., per tutte, Cass. Civ., III, 12.2.2008 n. 3268). A decorrere dalla pubblicazione della sentenza, in conseguenza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta e, pertanto, saranno corrisposti gli interessi legali fino al soddisfo”.

dott. Matteo Acquasaliente

La scelta della procedura negoziata deve essere giustificata dalla stazione appaltante

01 Apr 2014
1 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 05 marzo 2014 n. 303, si sofferma sulla procedura negoziata chiarendo la natura speciale della stessa: “che – come questa Sezione ha già avuto modo di precisare – la procedura negoziata, che si sostanzia in una vera e propria trattativa privata, rappresenta un'eccezione al principio generale della pubblicità e della massima concorsualità tipica della procedura aperta, con la conseguenza che i presupposti fissati dalla legge per la sua ammissibilità devono essere accertati con il massimo rigore e non sono suscettibili di interpretazione estensiva: l'urgenza di provvedere, pertanto, non deve essere addebitabile in alcun modo all'Amministrazione per carenza di adeguata organizzazione o programmazione, ovvero per sua inerzia o responsabilità (cfr. sent. 6.3.2013 n. 350)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 303 del 2014

Novità in materia di inquinamento

31 Mar 2014
31 Marzo 2014

Pubblichiamo il Decreto Legislativo 04 marzo 2014 n. 46 relativo all'"Attuazione della Direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento)" (G.U.R.I. n. 72 del 27.03.2014) che modifica il D. Lgs. n. 152/2006.

DECRETO LEGISLATIVO 4 marzo 2014 n 46

A proposito di conflitto di interesse dei consiglieri comunali

31 Mar 2014
31 Marzo 2014

Nella medesima sentenza n. 371/2014 il T.A.R. Veneto chiarisce che, nei ricorsi avverso le deliberazioni in cui vi è un possibile conflitto di interesse di alcuni consiglieri comunali, occorre indicare sia i nomi di coloro che avrebbero dovuto astenersi dalla votazione sia allegare ogni elemento significativo della presenza di interessi personali tali da implicare un preciso dovere di astensione: “Il Consiglio si Stato con sentenza del 26 gennaio 2012, n. 351, ha infatti condivisibilmente stabilito sul punto che: “chi, in sede di ricorso giurisdizionale avverso la deliberazione consiliare, deduce la violazione dell'obbligo di astensione di cui all’art. 78, d.lg. n. 267 del 2000, da parte di alcuni consiglieri comunali, ha il dovere di indicare puntualmente i nominativi di coloro che ritiene abbiano partecipato alla discussione in aula e alla votazione finale, violando il dovere di astensione; in base a quali elementi, ed interessi concreti, si affermi che i consiglieri o i loro prossimi congiunti fossero concretamente interessati alla votazione al punto di incidere negativamente sulla validità della deliberazione e sulla serenità degli altri consiglieri comunali…L'obbligo di astensione dei consiglieri comunali relativamente alle delibere di approvazione del PRG, presuppone non il semplice fatto che lo stesso sia genericamente proprietario di fondi, ma la prova dell'effettivo vantaggio dal provvedimento”.

In carenza della dimostrazione degli elementi fattuali a sostegno della censura ed in mancanza di alcuna prova certa dell’esistenza di uno specifico interesse proprio dei consiglieri comunali, la censura è comunque infondata e deve essere respinta”.

dott. Matteo Acquasaliente

Le varianti urbanistiche sono indipendenti dal P.I.

31 Mar 2014
31 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 20 marzo 2014 n. 371, si occupa del rapporto tra la variante urbanistica al P.R.G./P.I. e l’approvazione del P.I., confermando quanto già dichiarato nelle sentenze n. 416/2013 e n. 417/2013: “Con tali sentenze si è infatti precisato che tali “due strumenti urbanistici, oltre a non essere fra loro collegati da un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica, non risultano avvinti da un nesso procedimentale né diretto né indiretto, poiché il PI è normativamente legato, quale suo completamento, al Piano di Assetto Territoriale. A ciò deve aggiungersi che il recepimento della variante n. 305 ad opera del PI, per quanto in esso non espressamente previsto, non è idoneo a trasferire su quest’ultimo i vizi eventualmente sussistenti nella originaria procedura di adozione della variante medesima: detto recepimento opera infatti un rinvio recettizio al “contenuto” dell’atto richiamato e non già un rinvio alla “fonte” normativa utilizzata per l’adozione di esso. Alla stregua di tali considerazioni deve quindi ritenersi che l’adozione del Piano degli Interventi rende in ogni caso improcedibili, per sopravvenuta carenza di interesse, i ricorsi in esame relativamente a tutte le censure svolte nei confronti della specifica procedura di adozione della variante in esso recepita, poiché attinenti alla “fonte” di essa, allo stato non più rilevante in quanto totalmente sostituita dall’esercizio del nuovo potere pianificatorio”. Da tale rapporto Di autonomia del P.I. rispetto agli atti di approvazione del progetto preliminare e della variante urbanistica n. 305 ne deriva dunque, anche nel caso in esame, l’improcedibilità per sopravvenuto difetto d’interesse delle censure di natura procedimentale - individuate nel prosieguo - mosse nei confronti di quest’ultimi atti”.

Per quanto riguarda il potere discrezionale dell’ente il Collegio afferma che: “3.3. Con riferimento al terzo motivo – con il quale si contesta, in sostanza, la specifica localizzazione dell’opera pubblica rispetto alla proprietà della ricorrente - il Collegio rileva che la censura impinge in valutazioni discrezionali e di merito dell’Amministrazione rispetto alle quali non sono stati dedotti vizi di macroscopica illogicità e/o incongruenza; peraltro, quanto alla questione degli accessi alla proprietà Abital, essa appare maggiormente conferente alla fase attuativa delle previsioni generali, come condivisibilmente disposto in sede di piano degli interventi, laddove, in risposta alle osservazioni di Abital ed in parziale accoglimento delle stesse, si è stabilito che “le diverse possibilità di accesso all’area siano oggetto di verifica in sede di PUA”.

3.4. Quanto sopra detto in ordine ai limiti di sindacabilità delle scelte discrezionali in materia urbanistica, vale anche relativamente alla ipotizzata violazione dell’art. 28 del regolamento del codice della strada, di cui al quarto motivo, posto che la norma statale si limita a imporre delle distanze minime lasciando allo strumento di pianificazione l’esercizio del proprio potere discrezionale sul punto, e non risultando che la scelta di imporre una fascia di rispetto di venti metri dalla viabilità secondaria sia inficiata da palesi errori di fatto o abnormi illogicità”, mentre per quanto concerne l’apporto collaborativo dei privati si legge che: “Infatti, per giurisprudenza consolidata condivisa da questa sezione (v. sent. n. 689/2013) le osservazioni presentate dagli interessati in merito alle varianti di piano assumono valore di apporto collaborativo, il cui rigetto non richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano, come avvenuto nel caso di specie”.

Infine con riferimento sia alla fonte della possibile lesione del privato sia alla necessità della V.I.A./V.A.S. per la realizzazione dell’opera pubblica si legge che: “3.6. Invece, il settimo motivo, come eccepito dal Collegio all’odierna udienza di discussione, deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione ad agire della odierna ricorrente nei confronti dell’intera serie procedimentale inerente la gara ad evidenza pubblica concernente l’individuazione del soggetto promotore. Infatti, la ricorrente in quanto estranea alla gara medesima, è sprovvista di qualunque posizione differenziata rispetto ad essa e dunque priva di un interesse legittimo giudizialmente tutelabile che la abilita a sindacarne la legittimità. E’ infatti evidente che la lesione di cui la ricorrente si duole non deriva dalla pretesa illegittimità della procedura selettiva in sé e per sé considerata, ma dalla decisione della realizzazione dell’opera pubblica secondo un determinato schema progettuale ed una precisa localizzazione, la cui valenza lesiva è data non già dall’individuazione di un determinato soggetto esecutore, bensì dalla sua assunzione nell’ambito di un determinato strumento urbanistico (variante n. 305) da cui discende l’effetto impositivo di vincoli preordinati all’espropriazione in conseguenza della localizzazione dell’opera stessa (cfr. T.A.R. Veneto, sez. I, n. 416/2013).

4. Con riferimento ai motivi aggiunti presentati, nel ricorso n. 1920/10, avverso la delibera di approvazione della variante urbanistica n. 305, come esposto in fatto, con essi si ripropongono le medesime censure dedotte con il ricorso principale con l’aggiunta, innanzitutto, di un motivo (sub III) con il quale si lamenta la mancata sottoposizione del progetto alla procedura d’impatto ambientale.

4.1. Quest’ultima specifica questione, è stata già decisa da questo Tribunale con le sentenze già citate nn. 416 e 417 del 2013 con le quali si è osservato sul punto che: “dal rapporto ambientale approvato con DGRV 4148/2007 risulta che tale infrastruttura viaria é stata oggetto di specifica valutazione, come emerge dall’estratto della Valutazione ambientale strategica acquisito agli atti di causa in cui essa è specificamente indicata quale “potenziamento della rete stradale con la realizzazione del Traforo delle Torricelle”. Peraltro, trattandosi di progetto ancora “preliminare”, esso non risulta ancora sottoponibile a VIA per l’espresso riferimento solo a quello “definitivo” contenuto all’art. 23 del decreto legislativo n. 156 del 2006. La valutazione di impatto ambientale su di un progetto preliminare in project financing, in quanto tale suscettibile di successive modificazioni in ragione dell’interesse pubblico, non potrebbe infatti assolvere al proprio scopo che è appunto quello di valutare il progetto definitivo dell’opera pubblica prevista dallo strumento urbanistico generale”.

Pertanto tale terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti non può essere accolto.

4.2. Inoltre, con motivo rubricato come sesto nel medesimo ricorso per motivi aggiunti, si solleva la questione dell’elusione della sentenza n. 3634/05, con la quale si è annullato il diniego espresso dal Comune sul progetto di PIRU presentato dalla Abital, nel 2004, relativamente all’area di sua proprietà, oggi interessata dal progetto dell’opera autostradale in discussione.

Al riguardo si osserva che tale sentenza, censurando la valutazione preliminare d’inammissibilità del progetto effettuata dal Comune, ha lasciato integra l’ampia discrezionalità dell’amministrazione nella valutazione del merito di tale progetto di PIRU, con la conseguenza che la Abital non era titolare di una posizione qualificata che condizionasse l’amministrazione nell’approvazione degli strumenti urbanistici successivi”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 371 del 2014

TAR Veneto n. 416 del 2014

TAR Veneto n. 417 del 2014

Quando il ricorso incidentale deve essere esaminato prima di quello principale?

31 Mar 2014
31 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 20 marzo 2014 n. 357, chiarisce in quali casi occasioni il ricorso incidentale deve essere esaminato con priorità rispetto a quello principale. In particolare, se nel post del 05.02.2014 si era evidenziato che il ricorso incidentale non prevalesse più ex se su quello principale, nella sentenza che ivi si commenta il T.A.R. dichiara che le ipotesi di ricorso incidentale c.d. escludente hanno comunque priorità su quello principale: “Quanto all’ordine di trattazione delle questioni, il Collegio ritiene che debba essere esaminato prioritariamente, rispetto al ricorso principale, il ricorso incidentale in quanto ha carattere escludente, sollevando un’eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario per non essere stato escluso a causa di un preteso errore dell’amministrazione (cfr. Ad. plen. n. 4 del 2011 e Ad. plen. n. 9 del 2014)”.

Nel caso di specie il T.A.R. ha accolto il ricorso incidentale diretto ad escludere “l’offerta avanzata dalla ricorrente (in tutte e tre le procedure) per violazione dell’art. 86, comma 3-bis e comma 3-ter, dell’art. 87, comma 4, anche in relazione all’art. 46, comma 1-bis, e all’art. 131 del d.lgs. n. 163 del 2006, essendo stato operato il ribasso anche sugli oneri di sicurezza per rischi interferenziali (non soggetti a ribasso), così come fissati dall’Amministrazione nel bando”, atteso che: “7.4. L’offerta economica della ricorrente si pone quindi in contrasto con quanto prescritto dal disciplinare di gara che sul punto prevede che “il prezzo offerto dovrà essere formulato come ribasso percentuale sull’importo a base di appalto soggetto a ribasso” (cfr. lettera “b” sub 2. “modalità di formulazione dell’offerta tecnica e dell’offerta economica ed attribuzione di punteggi”), incidendo così su un elemento che per legge è insuscettibile di ribasso in quanto connesso a fattori interferenziali di esclusiva pertinenza della stazione appaltante, preventivamente individuati e indicati nel bando.
7.5. Tale contrasto si traduce nella violazione di una norma imperativa in subiecta materia di cui l’art. 131 del d.lgs. n. 163 del 2006 è specifica espressione e, al contempo, in un’incertezza assoluta dell’offerta, per l’equivocità dell’importo cui riferire il proposto ribasso percentuale.
7.6. L’offerta della concorrente ricorrente principale doveva pertanto essere esclusa: di qui l’accoglimento del ricorso incidentale con conseguente sopravvenuta improcedibilità del ricorso principale per sopravvenuta carenza di interesse”.

Per quanto ivi interessa si riportano le massime tratte dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 25 febbraio 2014 citata dai Giudici: “l’art. 4, comma 2, lett. d), nn. 1 e 2, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni nella legge 11 luglio 2011, n. 106, che ha aggiunto l'inciso ‘Tassatività delle cause di esclusione’ nella rubrica dell'articolo 46, del Codice dei contratti pubblici e nel suo testo ha inserito il comma 1-bis, non costituisce una norma di interpretazione autentica e, pertanto, non ha effetti retroattivi e trova esclusiva applicazione per le procedure di gara i cui bandi o avvisi siano stati pubblicati (nonché alle procedure senza bandi o avvisi, i cui inviti siano inviati), successivamente al 14 maggio 2011, data di entrata in vigore del medesimo decreto legge.

In considerazione del principio della tassatività delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici (applicabile unicamente alle procedure di gara disciplinate dal medesimo Codice), i bandi di gara possono prevedere adempimenti a pena di esclusione, anche se di carattere formale, purché conformi ai tassativi casi contemplati dal medesimo comma, nonché dalle altre disposizioni del Codice, del regolamento di esecuzione e delle leggi statali.

Il “potere di soccorso” sancito dall’art. 46, comma 1, del Codice dei contratti pubblici - sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti - non consente la produzione tardiva della dichiarazione o del documento mancanti o la sanatoria della forma omessa, ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal medesimo Codice, dal regolamento di esecuzione e dalle leggi statali.

E’ illegittima la previsione del bando di una gara ‘diversa da quelle di massa’, disciplinata dall’art. 6, comma 1, lett. b), l. 7 agosto 1990, n. 241, e non dal Codice dei contratti pubblici , qualora essa non consenta il “potere di soccorso” e disponga l’esclusione nel caso di inosservanza di una previsione meramente formale.

Il giudice amministrativo deve decidere la controversia, ai sensi degli artt. 76, comma 4, c.p.a. e 276, secondo comma, c.p.c., secondo l’ordine logico che, di regola, pone la priorità della definizione delle questioni di rito rispetto alle questioni di merito e, fra le prime, la priorità dell’accertamento della sussistenza dei presupposti processuali rispetto alle condizioni dell’azione.

Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, va esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale il ricorso incidentale ‘escludente’ che sollevi un’eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario (che non ha partecipato alla gara o vi ha partecipato ma è stato legittimamente escluso, ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore dell’amministrazione); tuttavia, per ragioni di economia processuale può esservi l’esame prioritario del ricorso principale, qualora questo risulti manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile;

Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, il ricorso incidentale non va esaminato prima del ricorso principale allorquando non presenti carattere ‘escludente’; tale carattere non si verifica se il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale.

Nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, sussiste la legittimazione del ricorrente in via principale – escluso dall’Amministrazione ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale - ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, esclusivamente quando le due offerte siano affette da vizio afferente la ‘medesima fase procedimentale’.”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 357 del 2014

Ad. Pl. n. 9 del 2014

Il rito avverso il silenzio non può contestare il merito delle scelte dell’Amministrazione

28 Mar 2014
28 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 14 marzo 2014 n. 330 chiarisce che il rito avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione e disciplinato dagli artt. 31 e 117 c.p.a. non può essere utilizzato dal ricorrente per aggirare i termini perentorio previsti per l’impugnazione dell’atto o del provvedimento amministrativo illegittimo: “l’evidente inammissibilità del ricorso è quindi conseguente non solo alla tardività delle censure dedotte avverso tali atti, ma soprattutto per l’utilizzo del rito speciale del silenzio, che ha la finalità di accertare l’eventuale illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione, impregiudicata ogni valutazione sulla fondatezza della pretesa sottostante.

E’ quindi evidente che risulta del tutto inammissibile una pretesa azionata con tale speciale rito al fine di denunciare l’illegittimità di tali atti, anche se al solo fine di avallare la parimenti denunciata illegittimità del silenzio, non essendo possibile recuperare per questa via i termini per la loro impugnazione, ormai decorsi da tempo.

In buona sostanza, non è ammissibile che attraverso il rito del silenzio, denunciando l’illegittimità dell’inerzia della Pubblica Amministrazione a fronte di una richiesta di interventi in autotutela, possa essere sostanzialmente concessa una sorta di rimessione in termini per ottenere, in via indiretta, l’annullamento degli atti non tempestivamente impugnati.

Per altro verso e specificatamente per quanto poi riguarda il caso di specie e la denunciata illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione intimata, si osserva in primo luogo come detta inerzia non sia qualificabile in alcun modo come illegittima a fronte di un’attività che, diversamente da quanto prospettato dalla difesa istante, non è affatto vincolata.

Invero, va ancora una volta ribadito come gli atti di pianificazione contestati e la concessione edilizia e sua variante rilasciate alla controinteressata non sono mai stati oggetto di impugnazione e quindi sono del tutto legittimi ed efficaci: in modo particolare i titoli edilizi, che hanno consentito la costruzione dell’edificio contestato dal ricorrente, sono stati rilasciati in piena conformità alla disciplina urbanistica allora vigente, mai impugnata e quindi pienamente operativa.

Ne consegue che nessun obbligo sussisteva per l’amministrazione di intervenire su tali atti in autotutela, disponendo il loro annullamento e/o la loro revoca, trattandosi di atti a tutti gli effetti legittimi ed inoppugnabili”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 330 del 2014

L’atto interlocutorio non necessita di essere impugnato

28 Mar 2014
28 Marzo 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 05 marzo 2014 n. 280 dichiara che il provvedimento con cui il Comune, a fronte di una richiesta di autorizzazione per l’installazione di una stazione radio-base, chiede all’istante di presentare una variante al piano comunale di settore per la localizzazione degli impianti di telefonia mobile, costituisce un atto interlocutorio che non può essere autonomamente impugnato perché: “Va peraltro evidenziato che il provvedimento impugnato col presente ricorso non è un provvedimento di diniego conclusivo del procedimento, bensì un provvedimento interlocutorio, dunque neutrale, che tuttavia determinava un aggravamento ingiustificato se non un arresto del procedimento, come accennato dal Collegio nell’ordinanza cautelare. Con esso infatti si indicava alla ricorrente la necessità di presentare, per il proseguimento della pratica edilizia, un’istanza di variante al piano comunale di settore per la localizzazione degli impianti per la telefonia mobile, come previsto, dall’art. 24 delle n.t.a. di tale piano, per i casi in cui l’area interessata dalla nuova infrastruttura non fosse compresa tra i siti previsti dal piano di settore.

Ne deriva che nel caso in esame, ai fini di una definitiva e completa soddisfazione dell’interesse della ricorrente, non vi era alcun provvedimento di diniego da revocare preventivamente da parte dell’amministrazione, come invece argomentato dalla difesa della ricorrente, occorrendo solo il superamento della tortuosità procedimentale imposta dalla nota impugnata, che era di ostacolo ad una celere e favorevole conclusione del procedimento, come poi effettivamente avvenuto”.

Nel caso di specie, però, è lo stesso Collegio a confermare che questo atto interlocutorio aveva la natura di un c.d arresto procedimentale per il quali, si ricorda, vi è l’onere di impugnazione: “Di arresto procedimentale può parlarsi ove ci si trovi dinanzi a fattispecie endoprocedimentali sostanzialmente provvedimentali, ossia preclusive delle aspirazioni dell’istante o comunque di uno sviluppo diverso e per esso maggiormente favorevole: è il caso, ad es., delle clausole escludenti, o delle statuizioni terminative di fasi del procedimento destinato a concludersi con provvedimenti favorevoli a terzi (Cfr. Cons. di Stato, Ad. plen., 10 luglio 1986, n. 8; da ultimo Ad.Plen. 28 gennaio 2012, n. 1). Esse onerano il destinatario del tempestivo esperimento dell’azione di annullamento, pena la decadenza (non così per i pareri vincolanti. Sul punto, da ultimo, Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28-03-2012, n. 1829)” (Consiglio di Stato, sez. IV, 09.05.2013, n. 2511).

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 280 del 2014

CdS n. 2511 del 2013

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