Occupazione d’urgenza senza successivo esproprio

31 Lug 2013
31 Luglio 2013

Segnaliamo sul punto le considerazioni della sentenza del TAR Campania - Napoli n. 3879 del 2013, giĂ  citata nei post che precedono.

Scrive il TAR: "il ricorso è fondato in maniera assorbente sotto il profilo dell’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, ove si consideri che al decreto di occupazione non ha mai fatto seguito il decreto di esproprio; al riguardo è appena il caso di ribadire (10.6.2009, n.3192) che l’art.13,  comma 3, della Legge n.2359/1865 ha riguardo all’inutile spirare del termine entro cui deve compiersi l’espropriazione ed al venir meno del potere dell’Amministrazione nel caso di inosservanza di tale necessario presupposto. Tale quadro normativo non è stato modificato dal DPR n.327/2001, il cui art.13, al comma 6, contempla la sanzione dell’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità nel caso di omessa emanazione del decreto di esproprio entro il termine di cinque anni dalla data in cui è diventato efficace l’atto che aveva dichiarato la pubblica utilità dell’opera. L’operato di parte resistente va pertanto censurato proprio perché la citata previsione di cui all’art.13 costituisce un precetto posto dalla legge ed indirizzato all’Amministrazione al fine di porre un vincolo alla discrezionalità dei suoi poteri, la cui violazione integra gli estremi della violazione di legge in  quanto vizio di legittimità dell’atto amministrativo; la mancata adozione da parte dell’Amministrazione di un provvedimento di esproprio ha come conseguenza che l’originaria pubblica utilità è certamente scaduta, ragion per cui il potere ablatorio, validamente sorto, è stato colpito da  un’inefficacia sopravvenuta che sanziona ex nunc un vizio dell’iter procedimentale, integrandosi una fattispecie di cattivo esercizio del potere.
4. Ciò considerato ai fini della declaratoria dell’illegittimità dell’operato di parte resistente, occorre poi tener conto dell’orientamento comunitario (Corte Europea Diritti Uomo, 6.3.2007, n.43662) che preclude di ravvisare una “espropriazione indiretta” o “sostanziale” in assenza di un idoneo  titolo previsto dalla legge.
4.1 Il T.U. n.327/2001, attraverso la disciplina contenuta nell’art.43, aveva originariamente introdotto un meccanismo che attribuiva all’Amministrazione il potere di acquisire la proprietà dell’area con un atto formale di natura ablatoria e discrezionale al termine del procedimento nel corso del quale vanno motivatamente valutati gli interessi in conflitto; il citato art. 43 era stato in definitiva emesso dal Legislatore delegato per consentire all'Amministrazione di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto quando il bene fosse stato <modificato per scopi di interesse pubblico> (fermo restando il diritto del proprietario di ottenere il risarcimento del danno). Da un lato vi era un’interpretazione garantista, ma minoritaria, che richiedeva una motivazione esauriente delle ragioni della disposta sanatoria che provasse la sua inevitabilità (Cons. Stato, VI, 9.6.2010, n.3655); dall’altro, in maniera prevalente, si ammetteva l’applicabilità dell’istituto anche in presenza di un giudicato che riconosceva al privato il diritto alla restituzione dell’area (ex multis, Cons. Stato, IV, 22.10.2010, n.7619; V, 13.10.2010, n.7472). La Corte Costituzionale, però, con sentenza n.293 dell’8 ottobre 2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del cennato art.43: muovendo dalla contrapposizione tra la Corte di Cassazione, che esclude l’ammissibilità dell’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 con riguardo alle occupazioni appropriative verificatesi prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, e il Consiglio di Stato, secondo il quale «la procedura di acquisizione in sanatoria di un’area occupata sine titulo, descritta dal citato articolo 43, trova una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell’entrata in vigore della norma», la Consulta ha affrontato la possibilità di acquisire alla mano pubblica un bene privato, in precedenza occupato e modificato per la realizzazione di un’opera di interesse pubblico, anche nel caso in cui l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità sia venuta meno, con effetto retroattivo, in conseguenza del suo annullamento o per altra causa, o anche in difetto assoluto di siffatta dichiarazione. Preso atto che la delega riguardava il «riordino» delle norme elencate nell’allegato I alla legge n. 59 del 1997 ed, in particolare, il «procedimento di espropriazione per causa di pubblica utilità e altre procedure connesse: legge 25 giugno 1865, n. 2359; legge 22 ottobre 1971, n. 865», il giudice delle leggi ha affermato la necessità che, in ogni caso, si faccia riferimento alla ratio della delega, si tenga conto della possibilità di introdurre norme che siano un coerente sviluppo dei principi fissati dal legislatore delegato e detta discrezionalità venga esercitata nell’ambito dei limiti stabiliti dai principi e criteri direttivi.  In definitiva l’istituto previsto e disciplinato dall’art.43 era connotato da numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale, specie nel momento in cui si era introdotta la possibilità per l’Amministrazione e per chi utilizza il bene di chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo, la condanna al risarcimento in luogo della restituzione; nel regime risultante dalla norma impugnata, inoltre, si era previsto un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa Amministrazione che aveva commesso l'illecito, a dispetto di un giudicato che disponeva il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato. Il Legislatore delegato, in definitiva, non poteva innovare del tutto e derogare ad ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega, dovendo piuttosto limitarsi a disciplinare in modi diversi la materia e ad espungere del tutto la possibilità di acquisto connesso esclusivamente a fatti occupatori, garantendo la restituzione del bene al privato in analogia con altri ordinamenti europei.
4.2 A seguito dell’eliminazione dal mondo giuridico dell'istituto della cd. “acquisizione sanante” di cui all'art. 43 D.P.R. n. 327 del 2001, la Sezione (a partire dalle pronunce nn.261 e 262 del 18 gennaio 2011) ha ritenuto che in siffatte ipotesi il comportamento tenuto dall’Amministrazione dovesse essere qualificato non già come illecito, bensì come illegittimo; si trattava di un’illegittimità a cui non poteva porsi rimedio neppure riesumando l'istituto di origine giurisprudenziale della cosiddetta “espropriazione sostanziale” - nelle due ipotesi alternative della occupazione acquisitiva o usurpativa - perché tale  istituto era stato ritenuto in contrasto con l'ordinamento comunitario (cfr.: T.A.R. Sicilia Palermo I, 1.2.2011 n. 175; idem III, 21.1.2011 n. 115). Del resto in nessun caso - neppure a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione dell’opera pubblica - era possibile giungere ad una condanna puramente risarcitoria a carico dell’Amministrazione, poiché una tale pronuncia presupponeva in ogni caso l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene per fatto illecito dalla sfera giuridica di parte ricorrente, originaria proprietaria, a quella della P.A. che se ne è illecitamente impossessata, esito, questo, non consentito dal primo protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, 1.7.2010, n. 1418). Pertanto, ricorrendone i presupposti le Amministrazioni sono state condannate alla restituzione a parte ricorrente degli immobili in ragione dell’accertato utilizzo degli stessi per come materialmente appresi sia pure per fini pubblicistici, atteso l’irrilevanza, nell’ottica di una eventuale traslazione della proprietà della res, che fosse stata realizzata l’opera pubblica nella misura in cui questa aveva modificato la destinazione originaria del cespite e recato un pregiudizio patrimoniale e non a carico di parte ricorrente. Tale statuizione era peraltro compatibile con la restituzione dei cespiti e facoltà dello ius tollendi concessa al proprietario dei manufatti alle condizioni previste dall'art. 935 c.c., comma 1 e art. 937 c.c., laddove il diritto al risarcimento e l’applicabilità dell’art.2058 c.c. sarebbero entrati in discussione ove si fosse rientrati nella materia risarcitoria.
4.3 In costanza di vuoto normativo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (31.5.2011, n.11963) hanno affermato che l’irreversibile trasformazione, anche parziale, del fondo determina l’acquisto della proprietà del bene, nei limiti della parte trasformata, da parte dell’Amministrazione che aveva dato corso al processo espropriativo, mentre l’eventuale domanda di risarcimento in forma specifica sarebbe ordinariamente destinata ad avere esito negativo, dovendo trovare prioritario soddisfacimento l’interesse posto a base della realizzazione dell’opera pubblica. Da canto suo, a titolo esemplificativo, la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, I, 12.7.2011, n.245) ha ritenuto che, proprio a seguito del citato vuoto normativo, ove il privato avesse chiesto unicamente il risarcimento del danno per equivalente in ragione dell’irreversibile trasformazione del bene, detta richiesta andava considerata come rinuncia alla restituito in integrum; comunque la richiesta del solo risarcimento per equivalente non determinerebbe un effetto abdicativo della proprietà all’Amministrazione occorrendo piuttosto un accordo transattivo tra le parti (Cons. Stato, IV, 13.6.2011, n.3561; 1.6.2011, n.3331; 28.1.2011, n.676), mentre se il privato dovesse insistere per la tutela restitutoria la stessa andrebbe disposta eccezion fatta per la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione degli artt.2933, comma 2 o 2058 c.c. Di recente si è poi affermato (Cons. Stato, IV, 29.8.2011, n.4833) che, essendo venuto meno il procedimento espropriativo accelerato di cui al citato art.43, la P.A. avrebbe potuto apprendere il bene facendo uso unicamente del contratto tramite l’acquisizione del consenso della controparte, ovvero del provvedimento anche in assenza del consenso ma con riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie.
4.4 Ad oltre nove mesi dalla sentenza di incostituzionalità dell’originario art.43, con l’art.34 del Decreto-Legge 6.7.2011, n.98 convertito in Legge 15.7.2011, n.111 (in materia di misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria) è stato reintrodotto attraverso l’art.42-bis l’istituto dell’acquisizione coattiva dell’immobile del privato utilizzato dall’Amministrazione per fini di interesse pubblico, potendosi acquisire al suo patrimonio indisponibile il bene del privato allorchè la sua utilizzazione risponde a “scopi di interesse pubblico” nonostante difetti un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità. L’obbligo motivazionale ai sensi del nuovo comma 4 impone di dare conto dell’assenza di ragionevoli alternative alla adozione del nuovo provvedimento, che entro trenta giorni va anche comunicato alla Corte dei Conti (comma 7); ancora nella nuova versione (commi 1, 2, 3 e 4) si fa riferimento all’indennizzo, piuttosto che al risarcimento del danno, quale corrispettivo dell’attività posta in essere dall’Amministrazione, ciò forse per la liceità dell’attività, non retroattiva, posta in essere dall’Autorità agente. Laddove prima, anche in sede di contenziosi diretti alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, la P.A. poteva chiedere che il giudice amministrativo disponesse la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione, e successiva adozione del provvedimento sanante dall’Amministrazione interessata, ora (comma 2) il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche in corso di giudizio di annullamento previo ritiro dell’atto impugnato; il potere acquisitivo dell’Amministrazione è esercitabile anche in presenza di una pronunzia giurisdizionale passata in giudicato che abbia annullato il provvedimento che costituiva titolo per l’utilizzazione dell’immobile da parte della stessa Amministrazione, atteso che il giudicato è intervenuto sull’atto annullato e non sul rapporto tra privato ed Amministrazione. Il nuovo atto, che l’Amministrazione è legittimata ad adottare finchè perdura lo stato di utilizzazione pur se illegittima del bene del privato, è distinto da quello annullato, tant’è che non opera con efficacia retroattiva e non ha una funzione sanante del provvedimento annullato; in ogni caso la P.A. deve porre in essere tutte le iniziative necessarie per porre fine alla perdurante situazione di illiceità, restituendo il bene al privato solo quando siano cessate le ragioni di pubblico interesse che avevano comportato l’utilizzazione del suolo, dovendo in caso contrario acquisire al suo patrimonio indisponibile il bene su cui insiste o dovrà essere realizzata l’opera pubblica o di pubblico interesse. Premesso che in ogni caso non sarà possibile la restituzione della nuda proprietà superficiaria al privato, atteso che ciò che rileva è appunto l’idoneità del bene del privato a soddisfare, attraverso la sua trasformazione fisica, l’interesse pubblico perseguito dall’Amministrazione, la prima giurisprudenza (T.A.R. Sicilia, Catania, III, 19.8.2001, n.2102) successiva all’entrata in vigore del nuovo art.42- bis ha ritenuto che il giudice amministrativo, anche nell’esercizio dei propri poteri equitativi e nella logica di valorizzare la ratio della novella legislativa di far sì che l’espropriazione della proprietà privata per scopi di pubblica utilità non si trasformi in un danno ingiusto a carico del cittadino e che gli effetti indennitari e/o risarcitori conseguano necessariamente ad un formale provvedimento della PA, possa accogliere la domanda risarcitoria derivante dall’occupazione senza titolo di un bene privato per scopi di interesse pubblico, se irreversibilmente trasformato, differendone però gli effetti all’emissione di un formale provvedimento acquisitivo ai sensi dello stesso art.42-bis. Si potrebbe obiettare che si prescinde in tal modo dalle problematiche di carattere applicativo e che l’acquisizione sanante è inidonea a fungere da strumento di giuridico di tutela del principio di legalità, ma è un dato che la previsione di una “legale via d’uscita” con l’esercizio di un potere basato sull’accertamento dei fatti e sulla valutazione degli interessi in conflitto (che di fatto trasforma un comportamento in un’attività amministrativa supportata dalla presunzione di legittimità) è già stata ritenuta immune da questioni di costituzionalità (Cons. Stato, VI, 15.3.2012, n.1438) in quanto conforme alle disposizioni della CEDU ed alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo che in passato ha condannato la Repubblica italiana proprio perché i giudici nazionali avevano riscontrato la perdita della proprietà in assenza di un valido provvedimento motivato. L’art. 42-bis, pur facendo salvo il potere di acquisizione sanante in capo alla P.A., non ripropone lo schema processuale previsto dal comma 2 dell’originario art.43, che attribu iva all’Amministrazione la facoltà e l’onere di chiedere la limitazione alla sola condanna risarcitoria ed al giudice il potere di escludere senza limiti di tempo la restituzione del bene, con il corollario dell’obbligatoria e successiva emanazione dell’atto di acquisizione. Ciò nonostante, il potere discrezionale dell’Amministrazione di disporre l’acquisizione sanante è conservato (Cons. Stato, IV, 16.3.2012, n.1514): l’art.42-bis infatti regola i rapporti tra potere amministrativo di acquisizione in sanatoria e processo amministrativo di annullamento, in termini di autonomia, consentendo l’emanazione del provvedimento dopo che “sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio” od anche, “durante la pendenza di un giudizio per l'annullamento degli atti citati, se l'amministrazione che ha adottato l'atto impugnato lo ritira”; non regola più invece, come innanzi accennato, i rapporti tra azione risarcitoria, potere di condanna del giudice e successiva attività dell’Amministrazione, sicchè ove il giudice, in applicazione dei principi generali condannasse l’Amministrazione alla restituzione del bene, il vincolo del giudicato eliderebbe irrimediabilmente il potere sanante dell’Amministrazione (salva ovviamente l’autonoma volontà transattiva delle parti) con conseguente frustrazione degli obiettivi avuti a riferimento dal legislatore. L’ordinamento sovranazionale che lo Stato ha recepito, anche a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione di un’opera pubblica astrattamente riconducibile al compendio demaniale necessario e nonostante l’espressa domanda in tal senso di parte ricorrente, esclude la possibilità di una condanna puramente risarcitoria a carico dell’Amministrazione, poiché una tale pronuncia postula l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene, per fatto illecito, dalla sfera giuridica del ricorrente, originario proprietario, a quella della P.A. che se ne è illecitamente impossessata, esito, questo (comunque sia ricostruito in diritto: rinuncia abdicativa implicita nella domanda solo risarcitoria, ovvero accessione invertita), vietato dal primo Protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. T.A.R. Umbria, 22.10.2012, n.451; Cons. Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2012 n. 5189).
5. Il Collegio ritiene dunque che, atteso che non può più essere azionato il meccanismo procedimentale accelerato previsto dal citato art.43 (Cons. Stato, IV, 29.8.2012, n.4650) e che la realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non  in grado di assurgere a titolo dell'acquisto e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà (Cons. Stato, IV, 29.8.2011, n.4833; 28.1.2011, n.676), l'Amministrazione possa divenire proprietaria o al termine del procedimento, che si conclude sul piano fisiologico con il decreto di esproprio o con la cessione del bene espropriando, oppure quando, essendovi una patologia per cui il bene è stato modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, viene emesso il decreto di acquisizione al patrimonio indisponibile ai sensi dell'art. 42-bis, indennizzando il proprietario per il mancato utilizzo del bene (5% di interesse annuo sul valore venale di ogni anno), per il lamentato danno patrimoniale (al valore venale attuale) e non patrimoniale (10% del valore venale attuale salvo casi particolari in cui è il 20%). In verità deve ritenersi possibile (T.A.R. Sicilia, Palermo, 5.7.2012, n.1402) l’usucapione da parte della Pubblica Amministrazione in presenza dei presupposti di cui all’art.1158 c.c. (possesso ininterrotto, non violento, non clandestino, da oltre un ventennio) ed alle condizioni di cui al D. Lgs. n.28/2010, con possibilità di un risparmio di spesa dovendosi corrispondere solo danno non patrimoniale e da mancato utilizzo. Sul punto la giurisprudenza ha precisato che “Il Tribunale Amministrativo é competente a decidere circa l'eccezione di intervenuta usucapione in materia espropriativa ricondotta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 34 D. Lg. n.80 del 1998 ed oggi ai sensi dell'art.53 del T.U. espropriazioni” (Tar Catania, II, 14.7.2009, n. 1283). Ove poi si ritenga che la pronuncia sull’usucapione non rientra nell’ambito rimesso alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, primo comma, lett g) c.p.a. in quanto la specifica questione non è riconducibile, anche mediatamente, all’esercizio del pubblico potere, si deve affermare che, se il giudice amministrativo può conoscere in via incidentale di tutte le questioni pregiudiziali relative a diritti ai sensi dell’art. 8 c.p.a. nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva, a maggior ragione ne può conoscere alla stessa stregua nelle materie in cui ha giurisdizione esclusiva; al giudice ordinario, per contro, sono devolute tutte le controversie relative all’accertamento del possesso ventennale ininterrotto necessario per l’usucapione in quanto, ove l’interesse di parte ricorrente fosse da correlarsi unicamente al dedotto diritto di proprietà derivante dall’acquisto a titolo originario per intervenuta usucapione, sulla controversia deve pronunciarsi il giudice ordinario. In sede di conferma della citata pronuncia n.1402 del 2012 del TAR Palermo, si è ancora affermato (Cons. Giust. Ammin., 14.1.2013, n.9) che l’avvenuta usucapione estingue non solo ogni sorta di tutela reale spettante al proprietario del fondo ma anche quelle obbligatorie tese al risarcimento dei danni subiti poiché, retroagendo gli effetti dell’usucapione - quale acquisto a titolo originario – al momento dell’iniziale esercizio della relazione di fatto con il fondo altrui, “viene meno ab origine” il connotato di illiceità del comportamento della PA che occupava “sine titulo” il bene poi usucapito. 5.1 Quando si accerta l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione e la rilevanza nel giudizio dei principi quali desumibili dal menzionato art.42-bis, l’accoglimento del ricorso e la condanna dell’Ente al  risarcimento pongono il problema dell’eventuale applicazione dell’art.5-bis del D.L. n.333 del 1992, convertito in Legge n.359 del 1992; al riguardo occorre precisare che, con riguardo al comma 7-bis di tale articolo come introdotto dall’art.3, comma 65, della Legge n.662 del 1996, la Corte Costituzionale di recente (24.10.2007, n.349) ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in quanto non prevederebbe un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della Pubblica Amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, dunque in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’art.1 del Protocollo addizionale alla CEDU e con lo stesso art.117, primo comma, Cost. Quanto alla misura dell’indennizzo, nella giurisprudenza della Corte europea (29.3.2006, Scordino) è ormai costante l’affermazione secondo cui “una misura che costituisce interferenza nel diritto al rispetto dei beni deve trovare il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e le esigenze imperative di salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo”, non potendosi garantire in tutti i casi il diritto dell’espropriato al risarcimento integrale in quanto obiettivi legittimi di pubblica utilità possono giustificare un rimborso inferiore al valore commerciale effettivo. In ogni caso la liquidazione del danno per l’occupazione acquisitiva stabilita in misura superiore a quella stabilita per l’indennità di espropriazione, ma in una percentuale non apprezzabilmente significativa, non permette di escludere la violazione del diritto di proprietà come garantito dalla norma convenzionale. Il danno subito da parte ricorrente va dunque liquidato tenendo conto non della rendita catastale quale è un mero valore fiscale impresso dall’Amministrazione agli immobili a meri fini tributari, bensì del valore di mercato (o venale) del bene ablato, da determinarsi attraverso la valutazione delle caratteristiche intrinseche dell’immobile e delle sue eventuali potenzialità edificatorie, la verifica dei prezzi risultanti da atti di compravendita di immobili finitimi con analoghe caratteristiche ed il valore accertato dal Ministero delle Finanze rivalutato alla data dell’irreversibile trasformazione, mentre sulla somma così determinata andranno calcolate la rivalutazione monetaria e gli interessi al tasso legale. Quanto al danno non patrimoniale, premesso che le disposizioni di cui al comma 1 del citato art.42-bis sono rivolte non al giudice bensì all’Amministrazione che procederà o meno alla liquidazione dell’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale subito – mentre il giudice potrà valutare la legittimità dell’attività amministrativa solo ex post ove sia chiamato a sindacare l’operato della P.A., esso è risarcibile (Cons. Stato, IV, 9.1.2013, n.76; Cass. Civ., SS. UU., 11.11.2008, n.26972) nei soli casi “previsti dalla legge” e cioè, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.2059 c.c., a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato (in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale); b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di un’ipotesi di  reato (ad es. nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati "ex ante" dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice. Occorrerà dunque verificare la sussistenza di un pregiudizio non patrimoniale derivante da attività o comportamenti illegittimi o illeciti della P.A., a ciò provvedendo il giudice in quanto ne venga investito a domanda di parte atteso che il diritto al risarcimento del danno è un diritto disponibile. Ai sensi dell’ultima parte del secondo comma dell’art.42-bis, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell’interesse legale, devono essere detratte da quelle dovute ai sensi del nuovo atto. Ove invece venga disposta l’acquisizione ai sensi del citato art.42-bis, atteso che ai sensi del comma 3 della stessa norma l’indennizzo deve tener conto della misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità - mentre se l’occupazione riguarda un terreno edificabile occorre aver riguardo ai commi 3, 4, 5, 6 e 7 dell’art.37, andrà risarcito il danno relativo al periodo della utilizzazione senza titolo, nonché l’importo spettante in base alle vigenti disposizioni oltre interessi moratori. Per il periodo di occupazione illegittima il danno da risarcire deve essere forfettariamente determinato nella misura fissa dell’interesse del 5% annuo sul valore venale del bene".

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4 replies
  1. Arch. Assunta Acone says:

    Buongiorno, ringrazio sentitamente l’Avv. Alberto Antico per la Sua cortese risposta.
    Lo apprezzo davvero tanto…
    Mi permetto di porLe ancora una quesito, alla luce di un PEEP annullato congiuntamente a tutti gli atti connessi e consequenziali (per dati demografici sballati, per non aven avuto nulla osta dalla Soprintendenza, per abuso d’ufficio, ecc ecc), i titoli edilizi (all’epoca concessioni edilizie) sono ad oggi valide o l’annullamento del PEEP ha avuto un effetto caducante su tutto?
    La ringrazio ancora tanto

    Rispondi
    • avv. Alberto Antico says:

      Buongiorno,
      devo nuovamente premettere che, non avendo visionato i documenti, si possono solo offrire dei suggerimenti.
      La giurisprudenza ha negato che l’annullamento giurisdizionale di un piano attuativo (com’è il PEEP) comporti automaticamente l’annullamento anche delle relative concessioni edilizie, in virtù della “natura solo “viziante” e non anche “caducante” delle patologie del piano presupposto, che quindi non possono estendersi con un effetto automaticamente demolitorio al titolo edilizio consequenziale” (sent. TAR Lazio – Latina, Sez. I, 26.10.2021, n. 585).
      Pertanto, il Comune, ove ne sussistessero i presupposti, dovrebbe in caso avviare un apposito procedimento di annullamento in autotutela delle concessioni edilizie.
      Nel Suo caso, sembra che la sentenza del Giudice amministrativo abbia avuto ad oggetto anche “tutti gli atti connessi e consequenziali”.
      Ciò non sembra sufficiente per affermare la conseguente caducazione delle concessioni edilizie emanate sulla base del PEEP annullato.
      La giurisprudenza ha chiarito che “il generico richiamo, nell’epigrafe del ricorso, alla richiesta di annullamento degli atti presupposti, connessi e conseguenti, o la mera citazione di un atto nel corpo del ricorso stesso non sono sufficienti a radicarne l’impugnazione, in quanto i provvedimenti impugnati devono essere puntualmente inseriti nell’oggetto della domanda ed a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure; ciò perchĂ© solo l’inequivoca indicazione del petitum dell’azione di annullamento consente alle controparti la piena esplicazione del loro diritto di difesa” (sent. Cons. St., Sez. V, 05.12.2014, n. 6012).
      Un caro saluto,
      per Italia ius
      avv. Alberto Antico

      Rispondi
  2. avv. Alberto Antico says:

    Buongiorno,
    devo doverosamente premettere che, senza poter esaminare i documenti e i provvedimenti da Lei citati, la risposta ha solo carattere orientativo.
    Il Comune sembra appellarsi al cd. principio della integrale copertura dei costi ricavabile dall’art. 35 l. 865/1971, secondo cui i costi di acquisizione delle aree PEEP devono essere integralmente sostenuti dai beneficiari delle aree stesse.
    Il Comune sembra voler estendere questo principio anche alla condanna al risarcimento del danno per equivalente, pronunciata dal Giudice civile a favore dei privati delle aree occupate in base ad un PEEP poi annullato dal Giudice amministrativo e passata in giudicato.
    Si possono enucleare alcuni argomenti contrari a una simile tesi.
    Il giudicato civile ha accertato l’illecito permanente dell’occupazione usurpativa delle aree (il che ha infatti richiesto un successivo provvedimento di acquisizione sanante) e tale natura illecita esclude che il risarcimento debba essere sostenuti dalle Cooperative che avevano acquisito le aree PEEP espropriate (prima dell’annullamento giurisdizionale).
    Infatti, la giurisprudenza sia civile sia amministrativa escludono l’applicabilitĂ  del principio di integrale copertura dei costi, nel caso in cui le aree siano state acquisite a mezzo di un fatto illecito (com’è l’occupazione usurpativa).
    Si legga infatti in seguente arresto: “20. La giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 25369 del 2008) e quella amministrativa (Cons. Stato n. 577 del 2005) hanno, poi, affermato il condivisibile principio secondo cui il costo di acquisizione dell’area, cui fa riferimento la L. n. 865 del 1971, art. 35 non può riferirsi all’esborso sostenuto a seguito dell’accessione invertita del terreno, che costituisce un risarcimento del danno e trova la sua fonte in un titolo affatto diverso (responsabilitĂ  aquiliana).
    20.1. In tal caso, il principio della integrale copertura dei costi sostenuti per l’acquisto viene meno, atteso che si è fuori dalla lettera e dalla ratio della L. n. 865 del 1971, art. 30 non potendosi fare ricadere sui concessionari delle aree e loro aventi causa i maggiori costi determinatisi in forza di una acquisizione delle aree realizzate attraverso un fatto illecito” (Cass. civ., Sez. I, 05.05.2016, n. 9024).
    PiĂą sottile sarebbe la questione se il Comune chiedesse il rimborso dei costi dell’acquisizione sanante.
    Tuttavia, credo si potrebbe dare applicazione all’art. 42-bis, co. 8 T.U. espropri, secondo cui “le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è giĂ  stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualitĂ  e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione; in tal caso, le somme giĂ  erogate al proprietario, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo”.
    Pertanto, dalle somme dell’acquisizione sanante si potrebbe detrarre il risarcimento di cui al giudicato civile, che dovrebbe essere integralmente sostenuto dal Comune senza rimborso da parte delle Cooperative.
    Un cordiale saluto,
    per Italia ius
    avv. Alberto Antico

    Rispondi
  3. Arch. Assunta Acone says:

    Salve, sono l’Arch. Acone, ho letto attentamente l’articolo e vorrei porre un caso alla Vs attenzione:

    1. Il Comune di Vico Equense nel 1977 adottò il Piano per l’Edilizia Economica e Popolare (P.E.E.P.). La Regione Campania lo verificò
    2. Con Delibera Consiliare furono assegnati i suoli, inseriti nel PEEP, a due Coop.
    3. Con Decreti di Esproprio furono espropriati i sopracitati suoli a favore delle Coop
    4. Nel 1978 il proprietario del lotto impugnò TUTTO il PEEP e la Deliberazione Consiliare di assegnazione dei suoli e quella relativa alle varianti del Piano di Zona, i due Decreti Sindacali di Esproprio
    5. Nel 1979 (nonostante i ricorsi giĂ  presentati dal Lauro) vennero stipulate le Convenzioni tra il Comune di Vico Equense e le Coop.
    6. Negli anni 1979 e 1980, nonostante i ricorsi, il Comune di Vico Equense rilasciò le Concessioni Edilizie alle Coop
    7. I fabbricati vennero ultimati nel 1984
    8. Nel 1988 il TAR annullò il PEEP e tutti gli atti connessi e consequenziali
    9. Tale sentenza fu confermata dalla Sentenza del Consiglio di Stato nel 1999
    10. Il proprietario del fondo, a questo punto, agiva per il risarcimento danni contro il Comune di Vico Equense e il Tribunale accertava la intervenuta occupazione usurpativa e condannava il Comune al pagamento in favore del sig. Lauro del valore venale dell’area, oltre interessi e rivalutazione ed oltre all’indennizzo per l’occupazione illegittima
    11. SOLO DOPO LA PRONUNCIA DELLA CORTE D’APPELLO, E CON L’AGGRAVANTE DI UN RITARDO DI BEN 10 ANNI il Comune di Vico Equense avviava (nel novembre 2011) il procedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis T.U. Espropri
    12. IL PROCEDIMENTO VENIVA DEFINITO (SOLO DUE ANNI DOPO) con la Delibera di Consiglio Comunale n. 40 del 6 novembre 2013
    13. PRIMA DELL’ADOZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI ACQUISIZIONE SANANTE EX ART. 42 BIS SI ERA FORMATO, IN FAVORE DEL PROPRIETARIO DEL FONDO, IL GIUDICATO CIVILE
    14. Il Comune nel 2016 veniva condannato al pagamento del risarcimento del danno di oltre 4 milioni di euro
    15. Il Comune infine nel 2020 chiama in causa i proprietari delle case (ex soci delle Coop) e riversa i 4 milioni di euro su di loro, facendo leva sulle Convenzioni (convenzioni travolte dall’annullamento del PEEP!!!)

    A fronte di tutto questo chiedo:
    – l’acquisizione sanante ha sanato anche i titoli edilizi?
    – il Tribunale può basare una sentenza su un atto dichiarato nullo nel 1999 (PEEP e tutti gli atti connessi e consequenziali)?
    – il pagamento di circa 180.000/famiglia non contrasta con lo spirito del PEEP?

    Grazie

    Rispondi

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