La prescrizione degli interessi moratori connessi agli oneri di urbanizzazione

04 Ott 2013
4 Ottobre 2013

Il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza del 05 settembre 2013 n. 4462, si occupa degli interessi moratori collegati agli oneri di urbanizzazione.

I Giudici di Palazzo Spada confermano la sentenza appellata del T.A.R. Campania, Salerno, n. 2599/2003, ove si era affermato che: “il termine di prescrizione per gli oneri di urbanizzazione è di dieci anni ed “inizia il suo corso soltanto nel momento in cui è previsto l’adempimento della relativa obbligazione e quindi . . . dalla data di rilascio del provvedimento concessorio”, mentre per il costo di costruzione decorre dallo scadere di sessanta giorni dalla data di ultimazione delle opere”, e che: “gli interessi dovuti, da qualificarsi moratori “perché fissati convenzionalmente per l’ipotesi di ritardo nell’adempimento dell’obbligazione”, sono “maturati via via, di giorno in giorno, fino a che non è intervenuta la prescrizione del credito” e anche per essi il termine di prescrizione è decennale, non potendosi applicare il termine quinquennale poiché “essendo il credito principale unico e da estinguersi in un’unica soluzione, anche gli interessi moratori . . . per la loro natura di credito accessorio e in difetto di una pattuizione che ne prevedesse una corresponsione periodica, sono risultati soggetti al medesimo regime del credito cui afferivano”:

- infine “l’obbligazione di interessi è si collegata con vincolo di accessorietà all’obbligazione principale, ma solo nel momento genetico, cosicché una volta sorta le sue vicende risultano indipendenti da quelle dell’obbligazione principale”.

La sentenza in esame approfondisce tali considerazioni asserendo che: “Il Collegio rileva che gli interessi moratori, quali sono quelli oggetto di pattuizione intervenuta tra le parti, non costituiscono esclusivamente “frutto civile” (ex art. 820, comma terzo, c.c.), quali gli interessi su capitali, dovuti per effetto del godimento che altri abbia del denaro, ovvero sono l’effetto di una “produzione di pieno diritto” afferente a crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro (ex art. 1282 c.c.).

La funzione degli interessi moratori convenzionalmente pattuiti è (anche) quella di determinazione convenzionale dell’entità del risarcimento del danno derivante da ritardo nell’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore (art. 1224, comma secondo). Tale determinazione ha carattere esaustivo, senza che il creditore possa richiedere – anche mediante prova di un danno di entità patrimoniale maggiore – ulteriori somme a titolo di risarcimento del danno per la predetta causale.

In definitiva, per effetto della pattuizione degli interessi moratori, al verificarsi dell’inadempimento dell’obbligazione pecuniaria, e fintanto che questo perdura, il creditore “originario” diviene altresì titolare di un ulteriore diritto di credito (alla percezione degli interessi moratori), derivante dall’inadempimento; ed il termine di prescrizione di tale diritto non può che decorrere dal momento del prodursi di tale “fatto”, e fintanto che questo non viene a cessare con l’adempimento dell’obbligazione principale.

In altre parole, l’obbligazione principale costituisce il “presupposto” dell’obbligazione accessoria costituita dal pagamento degli interessi moratori, ma – occorre precisare - tale “accessorietà” attiene al necessario collegamento con detta obbligazione, sia in quanto l’esistenza di questa è il presupposto dell’obbligazione degli interessi; sia in quanto il quantum della prima costituisce il parametro di calcolo della misura (in percentuale) degli stessi interessi moratori.

In questo senso deve essere intesa (e dunque condivisa) l’affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale il vincolo di accessorietà all’obbligazione principale sussiste solo “nel momento genetico”.

Si intende cioè affermare che tale “momento genetico” non deve essere inteso come quello di insorgenza (e dunque di conseguente “indissolubilità”) di entrambe le obbligazioni, posto che la prima nasce da propria fonte, che può essere il contratto, ovvero, come nel caso di specie, l’esercizio di potestà pubbliche, mentre la seconda, pur trovando nella medesima fonte della prima la propria previsione, nasce dall’inadempimento di quella.

Tale “momento genetico” deve essere invece inteso come momento di collegamento strutturale tra le due obbligazioni, trovando la seconda nella prima obbligazione la propria “ragion d’essere” e il presupposto della determinazione della propria misura.

Ciò chiarito e posto che la fonte ed il momento di insorgenza dell’obbligazione accessoria diverge da quello dell’obbligazione principale, non può che essere condiviso quanto affermato dal I giudice in ordine al fatto che “una volta sorta le sue vicende risultano indipendenti da quelle dell’obbligazione principale”, di modo che il regime di prescrizione (e la decorrenza del relativo termine) sono del tutto autonomi.

Ciò comporta che la intervenuta prescrizione del diritto di credito afferente all’obbligazione principale non comporta (né comunque rileva) ai fini della prescrizione dell’obbligazione accessoria.

Alle considerazioni sinora esposte, occorre ancora aggiungere che – contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante – non può trovare applicazione, con riferimento agli interessi moratori, il termine di prescrizione quinquennale.

Ed infatti, se gli interessi moratori costituiscono il risultato di una determinazione convenzionale del risarcimento del danno dovuto al creditore per le conseguenze derivanti dall’inadempimento, e dunque costituiscono l’oggetto di un (autonomo) diritto di credito, essi non possono rientrare nella eccezionale previsione dell’art. 2948 n. 4 c.c..

Ciò in quanto essi hanno natura affatto particolare e non costituiscono somma da pagarsi periodicamente, poiché la “periodicità” (ossia il riferimento temporale ad anno), rappresenta non già un termine di pagamento, quanto un momento di determinazione, convenzionalmente definito, della misura del risarcimento del danno derivante da inadempimento dell’obbligazione pecuniaria”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza CDS 4462 del 2013

 

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