Il regime giuridico delle proprietà collettive (o regoliere o comunioni famigliari montane).

05 Set 2014
5 Settembre 2014

Segnaliamo l'interessante sentenza del Tribunale di Belluno n. 464 del 2014, che espone un quadro chiaro del regime giuridico delle regole, che sono una peculiarità giuridica assoluta delle montagne venete.

sentenza Tribunale Belluno n. 464-14

Urbanistica: materia comunale o regionale?

05 Set 2014
5 Settembre 2014

Ringraziando l’arch. Emanuela Volta per la segnalazione, pubblichiamo alcuni passi della sentenza del T.A.R. Veneto, sez. II, 06.04.2006 n. 881, che si occupa delle tematiche connesse all’urbanistica, che è interessante, anche se di qualche anno fa.

I Giudici, dopo aver evidenziato che la materia dell’urbanistica comprende anche quella dell’edilizia, si soffermano sul riparto di competenze Regione-Comune statuendo che: “In via generale, va osservato che l’urbanistica in quanto tale, dovendo regolamentare l’intero assetto del territorio, interferisce necessariamente con tutte le altre discipline che fanno riferimento al territorio medesimo, non solo quindi l’edilizia in senso stretto, ma anche l’industria, il commercio, l’agricoltura, la viabilità, la tutela ambientale e via discorrendo. L’urbanistica invero, come disciplina regolatrice di molteplici interessi, costituisce per così dire una materia traversale, analoga, mutatis mutandis, alle finanze. Risulta quindi un’ovvietà l’affermazione che l’edilizia sia intrecciata con l’urbanistica. La questione in realtà risulta mal posta, in quanto quello che va verificato è il potere rispettivo della regione è del comune. Invero, sulla base della legislazione statale e regionale veneta, non vi è dubbio che il potere di regolamentazione urbanistica sia di spettanza in primis del comune, laddove l’intervento regionale deve intendersi come eventuale e riguardante comunque aspetti limitati, come emerge dalla stessa legge regionale n. 61 del 1985 (e anche dalla legge regionale n. 11 del 2004). Appare quindi corretta la scelta regionale di esaminare alcuni limitati aspetti della variante comunale”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 881 del 2006

Urbanistica: quali poteri pianificatori spettano al Comune?

05 Set 2014
5 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella medesima sentenza n. 881/2006, afferma che il Comune, in sede di pianificazione, legittimamente può sanare delle situazioni di abusività: “In linea generale e prodromica, ritiene questo collegio che la pianificazione urbanistica, per sua stessa natura, deve tener conto della situazione esistente ma deve anche programmare e organizzare il futuro del territorio. Ciò significa che risulta senz’altro consentito alla pianificazione comunale agire in senso restrittivo, vietando o limitando l’edificazione in zone in cui prima essa era consentita. In tal modo vengono chiaramente lese le legittime aspettative dei soggetti proprietari di terreni edificabili resi appunto inedificabili dalla nuova strumentazione urbanistica. È evidente che anche in questo caso bisogna tener conto dell’esistente, per cui le edificazioni già avvenute non vengono toccate dalla nuova pianificazione, laddove le misure di salvaguardia impediscono nelle more dell’approvazione dello strumento urbanistico l’edificazione in zone in cui essa non sarà più consentita. Peraltro si deve ritenere, sulla base della normativa esistente e della stessa logica testé illustrata, che sia consentito anche l’opposto, rendere cioè edificabili zone che non lo erano in precedenza, sulla base di una diversa valutazione delle linee programmatiche di sviluppo del comune. Si tratta anche in questo caso di una scelta discrezionale dell’amministrazione comunale, proiettata nel futuro. Se quindi è in generale consentito mutare l’assetto pianificatorio esistente, in entrambi in sensi, rendendo edificabile una  zona che non lo era e viceversa, risulta implicitamente consentito anche sanare alcune situazioni pregresse, ammettendo ad esempio l’edificazione in zone in cui essa non era consentita e sulle quali peraltro esistevano edifici abusivi. L’abusività di un edificio può quindi ben essere sanata in sede di pianificazione urbanistica, rientrando anche tale peculiare aspetto nella scelta discrezionale dell’amministrazione. Ciò implica il tener conto della situazione di fatto, ancorché contrastante con quella de jure, il che risulta implicito in caso di abusività. Si tratta ovviamente di una sanatoria affatto diversa da quella prevista dalle normative statale e regionale, che si applica in via generale agli edifici abusivi e solitamente risulta collegata a specifici requisiti e oneri, in quanto una sanatoria avente origine in un piano regolatore risulta frutto di una scelta discrezionale comunale, legata al futuro assetto del territorio e a specifiche e puntuali scelte programmatorie (si veda sul punto Consiglio di Stato, sezione IV, 25 novembre 2003 n. 7775). Indipendentemente quindi dal fatto che i capannoni in questione fossero abusivi o meno (questione dubbia ma che risulta comunque irrilevante), l’amministrazione può ben decidere di rendere edificabile l’area, nel caso entro limiti ben precisi, in qualche modo procedendo ad una “sanatoria” di quanto esiste già sul territorio. Non si tratta quindi di consentire una sanatoria non prevista dalla legge, quanto di ammettere che tra le scelte dell’amministrazione comunale in sede di pianificazione urbanistica possa rientrare anche quella di rendere legittima l’edificazione dove prima non lo fosse, implicitamente ma indirettamente sanando una situazione di fatto esistente. Altrimenti opinando, una pregressa situazione di abusività impedirebbe la libera scelta pianificatoria comunale, con un vincolo che non trova alcun riscontro nella normativa esistente o nella logica. Il Comune deve tener contro della situazione di fatto esistente, ma non ne può rimanere vincolato per il futuro, in nessun senso”.

 dott. Matteo Acquasaliente

 

Quale motivazione deve avere il parere paesaggistico?

05 Set 2014
5 Settembre 2014

Infine il Collegio, nella sentenza n. 881/2006, si sofferma sulla motivazione che deve sorreggere il provvedimento amministrativo in materia ambientale-paesaggistica: “Come noto, la disciplina generale dei vizi dell’azione amministrativa ha subito un radicale mutamento ad opera della legge n. 15 del 2005, che ha inciso sui fondamenti della legge 241 del 1990 e sulla stessa attività amministrativa. In particolare rilevano, per quanto qui interessa, la dequotazione dei vizi formali, che, pur sussistenti, talvolta non portano all’annullamento dell’atto, e la rilevanza data dalla novella legislativa al fattore temporale (per cui un atto illegittimo non può essere revocato, se il tempo trascorso dalla sua emanazione risulta eccessivo). In sostanza, il giudizio amministrativo e indirettamente anche l’operato dell’amministrazione assumono una connotazione più sostanzialistica rispetto al passato, laddove la forma perde in parte la sua rilevanza. Concentrandosi ora sulla motivazione dell’atto amministrativo, essa, come noto, assume una duplica connotazione: di comunicazione, ovvero esternazione di quanto avvenuto all’interno del procedimento formativo dell’atto, e sostanziale, di specchio della regolarità della ponderazione dei vari interessi in gioco. Ove la motivazione sia carente a fronte di un iter procedurale sostanzialmente corretto, la lesione è solo alla trasparenza, cioè al diritto dei soggetti interessati di conoscere quanto avvenuto all’interno dell’amministrazione. Ove invece il difetto di motivazione evidenzi all’esterno una carenza sostanziale, cioè un’erronea o carente valutazione degli interessi in gioco, il vizio diventa necessariamente sostanziale, non sanabile se non con i limiti e le forme previste. Nel caso in esame, il parere paesaggistico favorevole, ove fosse carente nella sua esternazione ovvero motivazione, non lederebbe evidentemente alcuna posizione del richiedente, che vede accolta la sua istanza. La motivazione potrebbe peraltro essere viziata altresì nella seconda delle accezioni sopra indicate, come specchio cioè di un vizio sostanziale, ove cioè la tutela ambientale non fosse stata congruamente considerata o ove addirittura l’opera si ponesse in contrasto con il bene ambiente. Nel caso peraltro la motivazione sul punto appare congrua anche se sintetica, anche in quanto riferita alla complessa istruttoria eseguita, né del resto parte ricorrente rileva in che cosa esattamente consisterebbe il presunto vulnus ambientale del permesso a costruire impugnato. La documentazione in atti spiega poi con chiarezza come la sostituzione dei capannoni con edifici ad uso residenziale sia stata consentita dal comune anche per ragioni di tutela ambientale e paesaggistica. In altri termini, trattandosi di un provvedimento positivo per chi lo aveva richiesto, il vizio di difetto di motivazione va valutato, anche alla luce dei principi sostanzialistici introdotti dalla legge n. 15 del 2005 nell’ambito della procedura prevista dalla legge 241 del 1990, unicamente ove si verifichi una violazione del diritto alla trasparenza del richiedente, il che non risulta né dedotto né avvenuto nel caso, ovvero quando dal difetto di motivazione si evinca una violazione della normativa sostanziale. Venendo al caso in esame, il vizio di motivazione del parere paesaggistico ambientale in tanto rileva in quanto da esso si possa desumere una violazione dei valori paesaggistico ambientali tutelati nella zona di riferimento”.

dott. Matteo Acquasaliente

 

Disciplina per l’utilizzo nelle aree di montagna della denominazione aggiuntiva “ospitalità diffusa”‏

05 Set 2014
5 Settembre 2014

Link:

DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N. 1518 del 12/08/2014
Disciplina per l'utilizzo nelle aree di montagna della denominazione aggiuntiva "ospitalità diffusa". Deliberazione N. 100/CR del 15 luglio 2014. Legge regionale 14 giugno 2013, n. 11, articolo 28."Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto".

Requisiti, condizioni e criteri per la classificazione della struttura ricettiva “Albergo diffuso”

05 Set 2014
5 Settembre 2014

Link:

DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE N. 1521 del 12/08/2014
Requisiti, condizioni e criteri per la classificazione della struttura ricettiva "Albergo diffuso". Deliberazione/CR N. 101 del 15 luglio 2014. Legge regionale 14 giugno 2013, n. 11 "Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto", articoli 24 e 25.

Alcune questioni in materia di abusi edilizi e sanatoria

04 Set 2014
4 Settembre 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 04 agosto 2014 n. 1128 si sofferma su alcune questioni concernenti la sanatoria edilizia.

Innanzitutto il Collegio ribadisce che spetti al privato dimostrare la data di ultimazione dei lavori: “Costituisce principio consolidato, peraltro ribadito da recenti pronunce (per tutti si veda Cons. Stato Sez. IV, 10-06-2014, n. 2960) che “in materia di abusivismo edilizio l'onere della prova circa l'ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere il condono, grava sul richiedente la sanatoria. Ciò perché, solo colui che richiede la sanatoria può fornire qualche documentazione da cui si desuma che l'abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data predetta, non potendosi ritenere sufficiente, la sola allegazione della dichiarazione sostitutiva di atto notorietà (L. n. 47/1985) (Conferma della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma, sez. II bis, n. 1645/2006)”.

In secondo luogo, si sofferma sul contenuto dell’ordinanza di demolizione di un’opera abusiva statuendo che: “Sul punto va ricordato come costituisce orientamento consolidato che l’ordine di rimessione in pristino ha natura di un provvedimento dovuto e vincolato, immediatamente consequenziale all’emanazione del diniego di sanatoria e, ciò, considerando che “il responsabile dell'abuso è perfettamente consapevole delle conseguenze cui va incontro una volta che gli sia stata negata la sanatoria e non può ammettersi nessun legittimo affidamento alla conservazione di una situazione di fatto e di diritto abusiva che il tempo non può avere legittimato (T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, 15-06-2006, n. 2785 e T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, 23-04-2009, n. 2140)”.

Infine il Collegio, dopo aver chiarito che la modifica della localizzazione dell’edifico e/o della destinazione d’uso costituisce una variazione essenziale se altera gli standard urbanistici, giunge a negare che il privato possa invocare l’applicazione dell’art. 34, c. 2 del D.P.R. n. 380/2001, ove non dimostri il serio pregiudizio per la parte conforme: “L’esistenza di dette circostanze non poteva che portare l’Amministrazione comunale a ritenere applicabile l’art. 32 del Dpr 380/2001 nella parte in cui prevede che costituisce una difformità essenziale del progetto, quella riferibile alla localizzazione dell’edificio o al mutamento della destinazione d'uso che implichi una variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968 e, ciò, anche con particolare riferimento al fabbricato “B”.

10.4 Nemmeno sussisteva l’obbligo del Comune di Fossò di accertare il pregiudizio che sarebbe derivato alla parte conforme del fabbricato dall’esecuzione dell’ordinanza di demolizione e, ciò, in ossequio ad un costante orientamento giurisprudenziale in base al quale il privato, al fine di invocare l’applicazione della disposizione di cui all’art. 34 comma 2, …”sanzionato con l'ordine di demolizione per la costruzione di un'opera edilizia abusiva, non può invocare l'applicazione a suo favore dell'art. 34, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), che comporta l'applicazione della sola sanzione pecuniaria nel caso in cui l'ingiunta demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, se non fornisce seria ed idonea dimostrazione del pregiudizio stesso sulla struttura e sull'utilizzazione del bene residuo.. (T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, 05-08-2013, n. 4056)”.

Dott. Matteo Acquasaliente 

TAR Veneto 1128 del 2014

A che cosa possono derogare i parcheggi interrati previsti dall’art. 9 della L. 122/1989

04 Set 2014
4 Settembre 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n. 1131 del 2014.

Si legge nella sentenza a proposito dei piani di comparto e delle distanze: "1.2 La ricostruzione della disciplina applicabile, posta in essere dalla parte ricorrente, non considera che per quanto concerne la realizzazione dei parcheggi interrati risulta applicabile quanto previsto dall’art. 9 della L. n. 122/1989, nella parte in cui consente che i proprietari possono realizzare nel sottosuolo parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari e, ciò, anche in deroga agli strumenti  urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti (in questo senso anche Cons. Stato Sez. VI, 30-05-2014, n. 2821).

1.3 La disposizione sopra citata consente, pertanto, che sia possibile derogare alla disciplina regionale citata dalla ricorrente, così come risulta derogabile la disciplina in materia di piani di comparto e la necessità che sia rispettata la distanza di 5 metri dai fabbricati esistenti e, ciò, specie laddove si consideri come il parcheggio di cui si tratta sia interrato.

1.4 Si consideri, in ultimo, che la realizzazione del parcheggio implica il riferimento a standard funzionali ad un singolo immobile che, anche sotto questo profilo, non richiedono la preventiva approvazione di uno strumento urbanistico".

A proposito di aree non urbane e di zone di tutela paesaggistica scrive il TAR: "2. Va respinto anche il terzo motivo del ricorso mediante il quale si sostiene che non sussisterebbero i presupposti per applicare la L. n. 122/1989 in quanto detta disciplina riguarderebbe solo le aree urbane e, nel contempo, si evidenzia che la realizzazione del parcheggio comporterebbe lo sbancamento di un’intera area a verde e ad andamento a declivio.

2.1 In particolare il ricorrente sostiene che l’art. 9 sopra citato non troverebbe applicazione in quanto non sarebbero possibili interventi in zone di tutela paesaggistica, ma solo in contesti di aree urbane. Dette argomentazioni non risultano condivisibili in quanto l’art. 9 sopra citato si limita a stabilire che è sempre possibile assentire l’opera in deroga allo strumento urbanistico con l’unica condizione che, nell’ipotesi in cui nell’area insista un vincolo, sia preventivamente acquisita la relativa autorizzazione. Nel caso di specie l’autorizzazione paesaggistica non solo è stata acquisita, ma è rimasta inoppugnata dalla parte ricorrente.

2.2 L’esame della cartografia allegata dall’Amministrazione comunale permette di verificare, inoltre, come l’immobile sia posto nelle
immediate vicinanze del centro storico del Comune di Zeno di Montagna e che, nel contempo, l’area in esame rientri nell’ATO San
Zeno di Montagna ovvero la zona relativa al centro storico del Comune".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 1131 del 2014

Concorso e graduatorie: le SS.UU. fanno chiarezza sulla giurisdizione

04 Set 2014
4 Settembre 2014

Le SS.UU. della Cassazione civile, nella sentenza del 23 luglio 2014 n. 16756, chiariscono il riparto di giurisdizione in materia di concorsi pubblici e di approvazione delle graduatorie.

Ecco il passo: “7. Queste Sezioni unite (cfr., in particolare, Cass. S.U. 9 agosto 2010 n. 18479; Cass. S.U. 28 luglio 2009 n. 17466; Cass. 13 febbraio 2008 n. 3399) hanno precisato che, in materia di graduatorie permanenti del personale della scuola e con riferimento alle controversie promosse per l'accertamento del diritto al collocamento nella graduatoria, ai sensi del D.Lgs. n. 297 del 1991 e successive modificazioni, la giurisdizione spetta al giudice ordinario venendo in questione atti che non possono non restare compresi fra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2), di fronte ai quali sono configurabili solo diritti soggettivi avendo la pretesa ad oggetto la conformità a legge degli atti di gestione della graduatoria utile per l'eventuale assunzione. Non può configurarsi, in particolare, l'inerenza a procedure concorsuali - per le quali il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 mantiene la giurisdizione del giudice amministrativo - trattandosi piuttosto dell'inserimento di coloro che sono in possesso di determinati requisiti in una graduatoria preordinata al conferimento di posti che si rendano disponibili. Ed infatti il concorso a pubblico impiego consiste nella procedura comprendente sia la fase di individuazione degli aspiranti forniti dei titoli generici di ammissione sia la successiva fase delle prove e dei confronti di capacità, diretti ad operare la selezione in modo obiettivo: fase, questa, dominata dall'esercizio di una discrezionalità, non solo tecnica, ma anche amministrativa nella valutazione delle prove dei candidati da parte degli organi selettori, il che spiega la perdurante devoluzione delle relative controversie al giudice amministrativo. Suole così contrapporsi il sistema di reclutamento basato su liste degli uffici di collocamento e sulle relative graduatorie a quello basato sulle prove di concorso: nell'un sistema è ravvisabile solo la prima delle due fasi suddette, e l'inserzione dell'aspirante nella graduatoria in base a criteri fissi e prestabiliti ne determina il reclutamento non già immediato ma solo eventuale e futuro, ossia destinato a realizzarsi se e quando si rendano vacanti uno o più posti di lavoro; nell'altro sistema sono ravvisabili entrambe le fasi suddette ed a quella della selezione segue, immediatamente e di regola, l'assunzione. Solo a questo secondo sistema si riferisce l'art. 63 cit., che si riferisce alle procedure concorsuali per le assunzioni, mentre le ipotesi in cui si controverta circa l'inserzione dell'aspirante in graduatorie di utilizzazione soltanto eventuale esulano da questa previsione.

Sono ipotesi in cui il soggetto privato fa valere il suo diritto al lavoro (artt. 4 e 36 Cost.), chiedendone la realizzazione ad una pubblica amministrazione dotata di potere di accertamento e di valutazione tecnica, con la conseguenza che le relative controversie debbono essere conosciute dal giudice ordinario.

8. Nel caso di specie, come si evince chiaramente dalla ordinanza del TAR Calabria che ha sollevato d'ufficio la questione di giurisdizione, la domanda della ricorrente era preordinata unicamente alla formazione della graduatoria in una situazione nella quale non esistevano posti messi a concorso, e pertanto, in applicazione dei principi sopra affermati, deve dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario”.

Alla luce di ciò, dunque, ove non vi siano effettivamente dei posti messi a concorso, ma soltanto l’approvazione di una graduatoria in prospettiva di avere dei posti vacanti, la giurisdizione spetta al Giudice Ordinario.

dott. Matteo Acquasaliente

SS. UU. 16756 del 2014

Partecipazione del pubblico alll’elaborazione di taluni piani o programmi in materia ambientale (qualora non si applichi l’articolo 6, comma 2, del D. LGT 152/2006)

04 Set 2014
4 Settembre 2014
Segnaliamo l'articolo 16 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (In Gazzetta Ufficiale serie generale - n. 144 del 24 giugno 2014), coordinato con la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116 (in questo stesso Supplemento ordinario - alla pag. 1), recante: «Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonche' per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea.»).
Art. 16 (( .....Disposizioni in materia di partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani o programmi in materia ambientale. Caso EU Pilot 1484/10/ENVI) 
(( 5-bis. All'articolo 3-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo il comma 1 sono aggiunti i seguenti: «1-bis. Nel caso di piani o programmi da elaborare a norma delle disposizioni di cui all'allegato 1 alla direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, qualora agli stessi non si applichi l'articolo 6, comma 2, del presente decreto, l'autorita' competente all'elaborazione e all'approvazione dei predetti piani o programmi assicura la partecipazione del pubblico nel procedimento di elaborazione, di modifica e di riesame delle proposte degli stessi piani o programmi prima che vengano adottate decisioni sui medesimi piani o programmi. 1-ter. Delle proposte dei piani e programmi di cui al comma 1-bis l'autorita' procedente da' avviso mediante pubblicazione nel proprio sito web. La pubblicazione deve contenere l'indicazione del titolo del piano o del programma, dell'autorita' competente, delle sedi ove puo' essere presa visione del piano o programma e delle modalita' dettagliate per la loro consultazione. 1-quater. L'autorita' competente mette altresi' a disposizione del pubblico il piano o programma mediante il deposito presso i propri uffici e la pubblicazione nel proprio sito web. 1-quinquies. Entro il termine di sessanta giorni dalla data di pubblicazione dell'avviso di cui al comma 1-ter, chiunque puo' prendere visione del piano o programma ed estrarne copia, anche in formato digitale, e presentare all'autorita' competente proprie osservazioni o pareri in forma scritta. 1-sexies. L'autorita' procedente tiene adeguatamente conto delle osservazioni del pubblico presentate nei termini di cui al comma 1-quinquies nell'adozione del piano o programma. 1-septies. Il piano o programma, dopo che sia stato adottato, e' pubblicato nel sito web dell'autorita' competente unitamente ad una dichiarazione di sintesi nella quale l'autorita' stessa da' conto delle considerazioni che sono state alla base della decisione. La dichiarazione contiene altresi' informazioni sulla partecipazione del pubblico». )) 

L'articolo 16 è volto a superare i rilievi formulati dalla Commissione europea nell'ambito del caso EU-Pilot 1484/10/ENVI, relativo al recepimento della direttiva 2003/35/CE sulla partecipazione del pubblico nell'elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e che modifica le direttive 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all'accesso alla giustizia.

In particolare, la Commissione europea contesta il mancato recepimento nell'ordinamento interno delle disposizioni dell'articolo 2, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2003/35/CE nel caso di piani o programmi di cui all'allegato I della stessa direttiva ai quali non si applica né la direttiva 2001/42/CE sulla valutazione ambientale strategica (VAS ) né la direttiva 2000/60/CE in materia di acque.

Secondo la Commissione, infatti, i citati paragrafi 2 e 3 dell'articolo 2 della direttiva 2003/35/CE debbono intendersi nel senso che i piani o programmi di cui all'allegato I della direttiva, che non sono sottoposti ad una procedura di partecipazione del pubblico ai sensi della direttiva 2001/42/CE o ai sensi della direttiva 2000/60/CE, devono comunque essere assoggettati alle disposizioni dell'articolo 2, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2003/35/CE.

La Commissione europea non ha ritenuto soddisfacente l'argomentazione prospettata dalle autorità italiane, secondo la quale non sarebbe necessaria un'espressa trasposizione delle disposizioni in questione in quanto la loro osservanza sarebbe comunque garantita dall'applicazione di norme già vigenti nell'ordinamento interno (decreto legislativo n. 195 del 2005 e legge n. 241 del 1990).

Si è reso pertanto necessario:

a) prevedere l'obbligo, per le autorità competenti  all'elaborazione, alla approvazione, alla modifica e al riesame dei piani o dei programmi di cui all'allegato I della direttiva 2003/35/CE, di assicurare la partecipazione del pubblico al procedimento di elaborazione, di modifica e di riesame degli stessi piani o programmi;

 b) definire le modalità di detta partecipazione del pubblico.

Tali disposizioni costituiscono, altresì, ulteriore attuazione della Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, fatta ad Aarhus il 25 giugno 1998, resa esecutiva per l'Italia con legge 16 marzo 2001, n. 108.

geom. Daniele Iselle

 


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